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Il problema annonario a Napoli nel secondo Seicen

Argomento: Storia

di Giovanni Aniello
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Pubblicato il 30/11/2016 13:56:07

               Nel Seicento il problema annonario a Napoli era avvertito in modo quasi ossessivo dal governo per timore delle carestie che si ripetevano con una frequenza impressionante e costituivano un male endemico comune a tutti i paesi del Mediterraneo: una viabilità scarsamente efficiente, un terremoto, un’alluvione, addirittura un inverno più rigido del solito potevano procurare insufficienza di scorte granarie e, spesso, vere e proprie carestie.

Se ad essi si aggiunge il notevole aumento di popolazione della capitale e degli altri centri urbani in seguito all’ondata migratoria dalle campagne determinata dagli insopportabili oneri fiscali, ci si rende effettivamente conto della preoccupazione dei vari viceré succedutisi al governo del Regno nell’organizzare i magazzini d’ammasso per evitare che un cattivo raccolto potesse provocare torbidi e rivolte.

Precise norme di legislazione annonaria, severamente applicate nei momenti critici, confermano come la produzione del Regno fosse sempre in funzione della capitale: i permessi di esportazione di grano all’estero venivano concessi solo dopo aver approvvigionato i magazzini napoletani.

Ma pur svolgendo un’utile funzione politico – sociale (assicuravano ai ceti meno abbienti il pane ad un prezzo invariato) a lungo andare questi ammassi determinarono l’abbandono della cultura cerealicola anche nei territori dove prima era fiorente.

Divieti di esportazione imposti dai viceré, fenomeni di carestia, migrazione interna, abbandono delle campagne, rialzo del costo della mano d’opera e conseguente concorrenza inglese e olandese portarono alla rovina i produttori dell’Italia meridionale.[1]

Il problema, abbastanza normale per quel tempo, divenne allarmante all’indomani della peste del 1656, allorché le riserve granarie della capitale furono messe a dura prova dalle continue richieste pervenute dalle province del Regno.

Il Collaterale cercò di tamponare la situazione rilasciando permessi di rifornimento da località non più affette dal contagio con priorità assoluta per città politicamente e strategicamente importanti come Reggio Calabria e Gaeta solitamente accontentate, pur nei limiti del possibile: nell’aprile 1658 si riforniva Reggio (già sovvenzionata con 13.000 tomoli di grano l’anno precedente) con metà dei 10.000 tomoli richiesti “per essere piazza tanto importante che conviene tenerla munita” presi dallo scalo di Crotone; nel luglio dello stesso anno  si dava l’assenso a una consulta della Camera sulla richiesta di Gaeta di “poter pigliare 4.000 ducati per poter comprar grani occorrenti la provista del vitto” e si coglieva l’occasione per proibirne altri usi e per rimproverare il percettore della vendita che ne aveva fatto l’anno precedente “lasciando sprovista una piazza como Gaeta”.[2]

A rendere più acuta la crisi di produzione e rifornimenti concorsero sicuramente altri eventi regionali quali l’eruzione del Vesuvio e il terremoto calabrese del 1659 che operarono una distruzione delle campagne dopo che la peste ne aveva decimato la popolazione.

I catastrofici effetti di questi eventi sull’annona napoletana sono documentati in Collaterale sul finire dell’estate del 1660.

Se a giugno, nel dare esecuzione alla richiesta del sovrano spagnolo Filippo IV di una tassa straordinaria di 100.000 scudi in occasione del matrimonio della figlia Maria Teresa col re di Francia Luigi XIV, il viceré puntualizzò che le province erano impossibilitate a pagarla per la grave crisi economica in cui versavano e chiese la collaborazione della classe feudale, invitata ad accollarsene la terza parte, fu a settembre che annunciò in Collaterale la quasi completa distruzione dell’annona della capitale determinata, a suo avviso, dalla cattiva amministrazione degli Eletti. Preoccupato per la difficoltà degli approvvigionamenti in caso di malaugurata carestia, invitò i Reggenti, sulla scorta del bilancio presentato dal razionale Carbone, a prendere i primi provvedimenti urgenti.[3]

Nelle sedute successive si decise infatti l’affitto degli uffici di portolano e giustiziere, l’acquisto di grano sufficiente a far fronte alle necessità più immediate, l’esazione da parte del grassiere di tutti i debiti in grano e in denaro contratti nei confronti dell’annona; si denunciò anche la mancanza di denaro esistente nel Regno, lo stato di miseria della popolazione e si discusse sulla convenienza di concedere ai massari alcune tratte di grano precedentemente sospese.[4]

Sei anni dopo il problema annonario si riproponeva.

Dopo alcune notizie relative a uno scandaglio sulla conservazione di vari tipi di grano effettuato nell’ottobre 1665, il Collaterale affrontò a partire dai primi mesi del 1666 il problema dei danni arrecati all’annona dall’attività di panificazione nei casali e nei luoghi pii: su richiesta degli Eletti della Città pose freno alla vendita illegale di grano e farina oltre l’area di competenza da parte dei casali e minacciò l’abbattimento dei forni e la limitazione dei rifornimenti di grano ai conventi.[5]

Se il terremoto di Ragusa del 6 aprile 1667 e le conseguenti richieste di aiuto da parte di quella repubblica, cui Napoli doveva far fronte in quanto dominio della corona, acuirono e dilatarono il problema annonario fu la cattiva annata del 1671 a risultare fatale all’annona napoletana il cui rifornimento era stato trascurato, negli anni precedenti, a favore di traffici commerciali più intensi.

I risultati furono disastrosi: i magazzini svuotati e il prezzo del grano triplicato.

Il viceré corse ai ripari: inviò don Diego de Soria in Puglia, maggior centro di produzione del Regno, a fare incetta di grano e a contenere le manovre degli speculatori; ma la decisione riuscì solo ad alleviare la tensione annonaria sia perché gli speculatori avevano appoggi influenti a Napoli (tra cui il reggente Carrillo, ex capo della Grassa cittadina), sia perché sulle riserve annonarie avrebbe di lì a poco pesato il duro compito di fronteggiare la crisi degli alleati siciliani e le richieste dei Presìdi Toscani in un momento in cui le ostilità tra Francia e Spagna andavano riaccendendosi.

Di fronte a questa grave crisi di produzione cerealicola il viceré Pietro d’Aragona impartì l’ordine di bloccarne l’esportazione e di limitarne la vendita ai commercianti locali.[6]

Ma l’attuazione del blocco in funzione del rafforzamento delle riserve della capitale fu messo in pericolo dagli atti di pirateria dei Messinesi che, visti inascoltati i reiterati appelli di aiuto per superare un’analoga crisi annonaria che anch’essi stavano attraversando, cominciarono ad impossessarsi dei vascelli napoletani carichi di grano che attraversavano lo stretto.

La città di Napoli reagì inscenando una vivace protesta che indusse il Collaterale a trovare un accordo con la città di Messina sulla base di una fornitura di 30.000 tomoli di grano e di una imprecisata quantità di orzo, come si evince dalla risposta alla lettera inviata dal Senato messinese a giustificazione degli atti di pirateria commessi.[7]

In novembre, mentre il presidente Ulloa scriveva da Foggia che stava compiendo gli ultimi sforzi per tenere fede alla consegna dei mille carri di grano richiesti dal governo per l’annona napoletana, il viceré, invitato dalla Regina a dar conto dello scarso incremento che la Real Hazienda aveva avuto durante il suo mandato, si vedeva costretto a convocare per due giorni consecutivi il Consiglio Collaterale e a chiedere ai presidenti della Camera precise relazioni sullo stato delle province dando luogo a un riesame della linea politico – amministrativa del suo governo.[8]

A giustificazione dello scarso incremento lamentato il viceré, oltre al bilancio completo presentato dai razionali Fazio ed Alessio, addusse una serie di impegni finanziari sia per sovvenzionare le opere pubbliche (costruzione della nuova darsena che garantiva maggior sicurezza alle galere aumentate di due unità e ricostruzione delle mura di Gaeta) che per rispettare accordi presi (il notevole quantitativo di grano inviato in Spagna, il mantenimento dell’esercito tedesco nel Regno, l’aumento di mille soldati nei terzi spagnoli, il mantenimento a Pizzofalcone dei soldati adibiti all’ordine pubblico).[9]

La crisi toccò il fondo l’anno successivo.

Gli Eletti della città furono convocati in Collaterale e con loro si discusse l’acquisto di 30.000 tomoli di grano a 20 carlini il tomolo offerti dal vescovo di Aversa e, quando questi cambiò idea, il viceré minacciò di sequestrare la quantità promessa: segno evidente che i magazzini stavano svuotandosi come conferma anche il bando di espulsione dal Regno per 3.800 siciliani che vi erano entrati.

Ulteriori notizie pervenute in Collaterale davano un quadro della situazione abbastanza critico: i prezzi aumentavano giornalmente, le province lamentavano la lentezza delle forniture di grano, gli incettatori operavano per l’utile personale speculando su una popolazione affamata e sfuggendo in vario modo ai calmieri ordinati dal viceré, i quantitativi di grano che si riuscivano a reperire non sempre giungevano a Napoli, messi in pericolo dagli atti di pirateria di Messinesi e Turchi.[10]

Il viceré, ormai all’ultimo mese del suo mandato governativo e volendo lasciare un buon ricordo di sé, seguì con attenzione il problema come conferma l’approvazione di diversi provvedimenti nelle due lunghe e animatissime sedute di Collaterale di metà gennaio 1672: si affidò al marchese di Crispano il sequestro del grano di Aversa e casali e a don Francesco Moles quello di Capua e casali; si proibì l’esportazione del grano prenotato in Puglia dalla città di Messina e si ordinò di inviarlo a Napoli agli stessi prezzi; si ammucchiò il restante grano in modo visibile dando l’impressione che ve ne fosse ancora abbastanza per non allarmare la popolazione; si trasferì il grano abruzzese in Terra di Lavoro dove il prezzo del grano fu fissato a 16 carlini il tomolo e per i contravventori si decisero pene varianti da 5 anni di galera ai non nobili a 5 di relegazione per i nobili con sequestro per tutti del grano trovato in possesso. Al marchese di Crispano, in difficoltà col sequestro, si spedì un bando che intimava ai possessori di grano di denunciarlo minacciando le stesse pene proposte per chi ne maggiorava il prezzo. Infine si bloccarono sia i 36.000 tomoli di grano acquistati dalla città di Palermo che i 21.800 dalla città di Messina. Al presidente Ulloa si ordinava di sveltire le operazioni di invio a Napoli del quantitativo di grano richiesto.[11]

Verso la fine del mese venne vietato ai forestieri di entrare nel Regno per qualsiasi ragione, si ordinò al presidente Ulloa di presentare un preventivo di spesa per l’acquisto e il trasporto a Napoli del grano pugliese e si scrisse al marchese di Crispano di intensificare l’operazione di sequestro del grano di Capua e Aversa facendo attenzione a lasciarne il quantitativo necessario alla popolazione locale in quanto dalle due città erano giunte lettere preoccupate su tale aspetto.[12]

Si pensò addirittura di sequestrare il grano custodito nei monasteri e nei luoghi di giurisdizione ecclesiastica; ma prima di impartire l’ordine, che avrebbe richiesto un lungo sforzo diplomatico con le autorità ecclesiastiche, il viceré pretese una documentata relazione sui vantaggi che ne sarebbero derivati all’annona.[13]

Ma già prima che la relazione fosse pronta, la Chiesa accordò tutto il suo appoggio con un gesto davvero inaspettato: il Nunzio si dichiarò disposto ad emanare bandi ed editti generali con l’ordine per gli ecclesiastici di consegnare il grano superfluo alle autorità laiche.

Il Collaterale ne approfittò per chiedere la nomina di due commissari ecclesiastici da affiancare a quelli governativi nell’operazione di raccolta del grano nei monasteri di giurisdizione ecclesiastica dove si trovava grano tenero di cui  si avvertiva maggiore necessità.[14]

L’8 febbraio il Collaterale seppe che il grano sequestrato ad Aversa dal Marchese di Crispano consisteva in 42.695 tomoli (di cui 18.000 già in viaggio per Napoli) oltre i 2.302 dati dai particolari e, sulla scorta di questa notizia, decise di accettare l’aiuto offerto dal Nunzio e si sgravare l’annona con l’emanazione di un bando che allontanava dal Regno i forestieri non sposati.[15]

Il momento più acuto della crisi coincise col cambio della guardia al governo del Regno.

La partenza di don Pietro Antonio d’Aragona e l’insediamento dell’Astorga avvenne tra gravi tensioni di carattere annonario: a Cosenza la popolazione si rivoltò contro gli incettatori e chiese a gran voce che il prezzo del pane fosse calmierato, disordini si verificarono a Manfredonia in seguito del trasferimento a Foggia anche del grano necessario alla città, la protesta salì anche a Napoli per l’esagerato prezzo del grano pugliese e il governo, sotto la pressione dell’opinione pubblica, fu costretto a fissarne il prezzo a 12 carlini il tomolo e a bloccare l’esportazione di pane e farina. Né si fermavano le richieste di fornitura.[16]

Il nuovo viceré rispose a questa insistente trafila di istanze convocando il Collaterale e proponendo l’organizzazione di una vasta rete di trasporto che vedesse impegnati i muli e le carrozze della capitale e delle province per accelerare l’invio di tutto il grano reperibile in Puglia o in alternativa il trasporto via mare meno costoso  e altrettanto sicuro con l’impiego di galere armate di scorta contro le possibili rappresaglie dei Messinesi.[17]

A complicare la già difficile situazione intervennero, oltre le richieste dei Messinesi ratificate dalla stessa Regina, anche quelle del muniziere di Orbetello che forniva un quadro drammatico della città e degli altri Presìdi toscani: gente nuda che si nutriva esclusivamente di vegetali per mancanza di grano in quanto le scorte restanti potevano bastare al massimo fino alla metà di aprile ad Orbetello e al massimo a fine febbraio a Portoercole e Portolongone.[18]

Ma Napoli, che avrebbe dovuto provvedere, non viveva una situazione migliore: la relazione del grassiere Ortiz sullo stato dell’annona chiariva che i 58.000 tomoli di grano giacenti nelle fosse della capitale non sarebbero bastate fino alla metà di aprile.

La notizia ripropose drammaticamente in Collaterale il problema dell’approvvigionamento e spinse il viceré a dare esecuzione al piano di trasporto del grano pugliese: si inviarono 150 animali da soma al presidente Ulloa affiancato dal presidente D’Amico, vennero incaricati i giudici Pontecorvo e Gomez a vigilare sulla regolarità del trasporto e venne discussa la possibilità di un’azione diplomatica con i Messinesi promettendo loro rifornimenti di grano per alleviare gli atti di pirateria. Ma molti reggenti si opposero a quest’ultima proposta, che prevedeva l’invio del consigliere Guerrero a Messina, perché dubitavano della lealtà dei Messinesi e, soprattutto, della possibilità di far fronte alle loro richieste sicuramente superiori ai 20-25.000 tomoli che rappresentavano lo sforzo massimo che il governo avrebbe potuto sopportare.[19]

L’accordo quindi saltò e i Messinesi minacciarono di riprendere con più ferocia gli atti di pirateria.

Il Collaterale non si lasciò intimorire e alle lettere risentite del viceré siciliano Principe di Ligni, dello stratega e del senato messinese rispose di non poter venire incontro alle loro richieste perché anche la popolazione del Regno si trovava nelle stesse drammatiche condizioni.

Che viceré e Collaterale avessero il polso della situazione veniva confermato da una lunga trafila di richieste e lamentele inviate dalle varie province del Regno e dalla decisione di approvvigionare urgentemente Salerno, città chiave e centro di smistamento di tutta la costiera amalfitana e delle isole, nel timore che la popolazione di quell’area si riversasse nella capitale creando in tal modo problemi ancora più drammatici.[20]

In questo clima di tensione generale portare a termine con successo il trasporto del grano pugliese nelle riserve centrali costituiva il più urgente problema di politica interna che impegnò viceré e Collaterale.

Il 14 marzo partiva per la Puglia il Luogotenente Carrillo con la nomina di “Vicario Generale et alter nos per la provista et conduttura de grani per questa città  e con l’autorità di comandare in tutte le province del Regno, ad eccezione delle due Calabrie, per risolvere definitivamente la questione del trasporto. A fine marzo l’approvvigionamento, almeno per le necessità della capitale, era stato portato a termine se il segretario annotava che, siccome Napoli era stata rifornita, si poteva liberalizzare l’acquisto del grano per evitare acquisti di contrabbando.[21]

 

 

 

 



[1] Cfr. G. Coniglio, Il viceregno di Napoli nel sec. XVII, Roma 1955, pagg.26-43.

[2] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 62, 9 aprile e 5 luglio 1658.

[3] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 64, 10 giugno e 6 settembre 1660

[4] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 64, 13 e 17 settembre 1660

[5] Archivio di Statto di Napoli, Not. Cons. Coll., vol. 67, 22 febbraio e 2 marzo 1666;11 e 31 gennaio 1667

[6] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  18 settembre e 6 ottobre 1671.

[7] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  12 e 16 ottobre 1671

[8] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  17 novembre 1671

[9] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  26 e 27  novembre 1671

[10] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  11 e 13 gennaio 1672

[11] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  14 e 18 gennaio 1672

[12] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  21 e 26 gennaio 1672

[13] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  29 gennaio 1672

[14] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68, 4 febbraio 1672

[15] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  8, 12 e 16 febbraio 1672

[16] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  16 e 19 febbraio 1672

[17] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  22 febbraio 1672

[18] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  23 febbraio 1672

[19] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  3 marzo 1672

[20] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  6, 8 e 10 marzo 1672

[21] Archivio di Stato di Napoli, Notamenti del Consiglio Collaterale, vol. 68,  14, 15 e  23  marzo 1672

 


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