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Andrea Bassani o l’anima nuda della poesia d’amore

Argomento: Poesia

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 22/11/2017 19:23:46

Andrea Bassani … o l’anima 'nuda' della poesia d’amore.
‘Lechitiel’ - Terra d’ulivi Edizioni 2016

“Ma che ne sai tu del pianto di un vetro, quando la luce scompare?..”

… scrive l’autore di questo libro per così dire ‘insolito’ di Andrea Bassani, in cui l’esercitazione nell’arte poetica, nella scrittura così come nella lettura, richiede una pronunciata enfasi drammatica che mette a nudo il senso intrinseco delle parole. Non necessariamente delle frasi compiute o incompiute che siano, quanto il suono racchiuso negli interstizi del ‘senso’ o dell’insensatezza (spazi bianchi, vuoti passati sotto silenzio); così come dell’incongruenza illogica o dell’assurdità tragicomica in cui il suo mondo poetico trova ispirazione. Senso e nonsenso in cui si propaga il suono delle parole, proprio come avviene in musica nel controcanto e nel discanto, contrario all’andamento uniforme del canto:

“La poesia ha questo di brutto (o forse di straordinario?):
ti salva la vita una volta e poi le appartieni.
Ti carica in spalla moribondo
e ti nasconde per curarti, non so dove.
Ma quando ti ha guarito
ti costringe a cantare
tutti i mali del mondo.”

Un ossimoro, se vogliamo, che in musica trova il suo corrispettivo nel cosiddetto ‘canone’, la forma più conosciuta di imitazione contrappuntistica nei canti a più voci, in cui il tema principale può essere tuttavia esposto anche rovesciando specularmente gli intervalli, come ad esempio nel ‘canone inverso’. Un modo di procedere questo, che ritroviamo in ‘Lechitiel’ la silloge poetica che Andrea Bassani ha intitolato all’angelo della pace interiore, invocato dagli scoraggiati caduti nella disperazione e che non hanno la forza di rialzarsi. Ma anche di chi cerca invano di oltrepassare la soglia dell’invisibile assoluto per entrare in quell’universo parallelo dove prevale la mutazione fra ciò ch’è reale e l’effimero visibile, fra l’occulto e l’incomprensibile. Dove infine si amalgamano il segreto palpabile dell’esistenza e ciò che è l’eterno dell’arte, la voce suprema e il verbo, la musica eccelsa e la poesia della parola, utilizzando l’esercizio pratico dell’eloquenza, l’insieme di tecniche, schemi e figure che regolano l’arte poetica ma che, tuttavia, per quanto possa sembrare un controsenso, non appartengono al Bassani poeta di questa raccolta:

“Non cercate di salvare i poeti,
non vi seguiranno:
loro vegliano, giorno e notte,
la salma assente del corpo amato,
nella camera ardente
del vuoto d’amore.”

Scrive l’autore riferendosi ai poeti che nell’estaticità della loro illusione, leccano le ferite della propria anima da essi stessi violentata, uccisa, smembrata, morta di niente, e se ne stanno in solitudine al chiuso della propria torre d’avorio, dominata dalle fiamme dell’inferno (masochista) in cui essi stessi ardono e si bruciano:

“Lascia che il mio sogno continui
Per la follia della mia penna delirante.”

Simile al delirio del ‘nudo’ Adamo che non sa come coprirsi per il freddo che lo incalza, e come ripararsi dallo sconcio immorale di una realtà che lo sovrasta, così, raccolto nel nichilismo adamitico della sua funzione poetica, l’autore mette a nudo la parola nel segreto della propria oscura visione che ha dell’amore. Nel senso che egli ‘denuda’ la poesia spogliandola degli orpelli declamatori, e apre all’esercizio dell’elaborazione minimalista, talvolta ripetitivo e claustrofobico, decisamente peggiorativo dell’arte del dire, interiorizzando tutto quello che ruota intorno al ‘suo’ dramma personale:

“Subisco la bellezza come una violenza inaudita.
Il mistero della bellezza è un’incomprensibile tortura.”

Ogni volta accogliendo e dismettendo le continue metamorfosi della sua anima inquieta, nel modo inedito in cui Paul Celan scompone e cristallizza le figure alla luce della sua attualità retorica, mirando a un contenuto di verità che trascende il loro significato consueto. Allo stesso modo che trasforma la ‘bellezza dell’amore’ (narcisistico) in amore universale, avulso dalle branche della forma poetica per entrare negli interstizi della forma letteraria, e lo fa proprio nel suo “Cantico della bellezza”, in cui dice:

“Ogni desiderio è figlio di una bellezza.
Dunque la bellezza è madre, una madre che non ama.”

Ma se un madre non ama chi altro può dare soccorso a chi è caduto o ripetutamente cade nell’incauto difetto, per debolezza o anche per imperfezione, poiché nulla ci è dato senza laggio, finanche la redenzione richiede un equo riscatto. Né l’espiazione di una colpa avviene senza aver oltrepassato la ‘soglia’ dell’invisibile assoluto:
“Se tu mi avessi amato, (donna, madre, sorella, amante)
nel niente, nel buio, nel vuoto,
non sarei qui a dirti: ‘ti amo’.”

Perché l’autore di questi versi ama davvero, profondamente, e senza mezzi termini si prostra alla passione, fino ad esautorarsi, a dissanguarsi davanti all’inspiegabile presenza della bellezza d’amore che lo consuma. La cui assenza è rivelatrice della bassezza della sua anima primordiale, della sua volgarità e nefandezza per cui, ancor prima, amare significa ‘bruciare tutto cià che è attorno’, come la Fenice che attende di risorgere per poi bruciare di nuovo:

(da ‘Cantico della Bellezza)

“Alzati!
Segretamente mi comando
ogni qual volta malcapitato mi capita d’incontrarla.
Eccola che arriva,radiosa, stupendamente cinica,
impassibile mi passa accanto con l’aria superba
di un angelo mortifero,
impunita,
sempre assolta per mancanza di prove.
Le sue vittime paino tutte suicide!
Alzati!
Eccola che arriva, sediziosa,
lei che di tutte le anime conosce la chimica.
Per questo predilige i tuoi spasimi, poeta!
Alzati!
Eccola che arriva,
e mi coglie impreparato col suo incedere regale.
La sua mano invisibile,
osannata dalla mia povertà,
mai si eleva a benedire il mio capo chinato.
Alzati!
Tacitamente le offro la mia intera esistenza
che puntualmente oltrepassa snobbandola
Alzati!
Perché la mia vita non le interessa.
Alzati!
Si prende gioco del tuo mancato, del tuo mancante.
Alzati!
. . .
È così avara e taccagna,
mostruosamente incaritatevole,
ama soltanto se stessa.”

“Ma la realtà è un’altra …”, scrive ancora Bassani rinvenendo nei sacri testi biblici le ragioni di una sconfitta che brucia.
“Siamo noi a mentire con forza per sopportarne la visione. Siamo noi che ci voltiamo empi giunti alle porte di Sodoma. Noi, come la moglie di Lot, a rimanere di sale.” … Ma non c’è ragione che tenga contro l’abiura a dover essere e di volere, nulla contro il sale (senso) della vita che chiede, che pretende altri sacrifici, come di continuare a soffrire e di proseguire lungo la strada dell’afflizione d’essere uomini tra gli uomini, umani sdraiati sulla terra, polvere da calpestare:

“Oh Cristo, preservami dalla bellezza!
. . .
Che cos’è ch’io non sappia resisterle?
È una bianca colomba adagiata
Sulle spire ipnotiche di un serpente
dall’apparenza gentile?
. . .
Per quanti anni l’ho inseguita,
volevo averla, ne pretendevo il possesso.
Ma ho appreso consumandomi che
chi desidera la bellezza è all’anticamera della follia.
Perché la bellezza non si lascia possedere,
soltanto si contempla.”

Come ‘I borghesi di Calais’, (l’impressionante gruppo statuario di Auguste Rodin), che scalzi vanno verso la morte, o forse restano (aspettando la morte), la cui abnegazione fa virtù, destinati a essere martiri o a diventare eroi (?) di una realtà liquida destinata a scomparire. Anche per questo: “Come un ricordo collettivo di sofferenza e sacrificio”, la figura dello scrittore Andrea Bassani va qui celebrata come un esempio di chiara elettività poetica.

Nota d’autore:

“… A ventitré anni fui abbandonato dalla donna che amavo più di me stesso. Ho trascorso poi tre anni di buio che mi hanno visto cadere nella rete dell'alcolismo. In quei tre anni la poesia mi ha salvato diverse volte ma in molte altre occasioni avrei voluto liberarmene per sempre, perché la poesia era diventata il surrogato della donna che mi aveva condannato alla sofferenza: la schiavitù di quella pesante assenza e la nuova schiavitù di una poesia necessaria a risalire la china talvolta si alleavano e insieme mi torturavano. La poesia non è sempre straordinaria (lo diventa quando riusciamo a gestirla): da qui "la poesia ha questo di brutto, ti salva la vita una volta e poi le appartieni". A ventisei anni, in condizioni disastrose, fui portato da quello che è il mio attuale padre spirituale, un francescano che mi ha riportato alla luce, per il quale ho lasciato l'azienda, famiglia, casa, amici e mi sono trasferito nella comunità in cui tutt'oggi vivo, occupandomi di persone bisognose e della cura dell'anima. La conversione spirituale mi ha aperto gli occhi su un nuovo modo di concepire il mondo e l'amore. Il passaggio dall'amore umano per una donna all'amore universale, la lotta che ne consegue, l'elaborazione del dolore, la nostalgia del passato, la sua rivisitazione, la volontà di ricominciare, la resistenza alla bellezza e alla sensualità, passi necessari per intraprendere la nuova via spirituale/religiosa, costituiscono il mio ‘Lechitiel’, scritto a più riprese: in parte nell'abisso, in parte nel periodo di transizione/metamorfosi, in parte nella luce di una spiritualità rivelata che mi chiedeva di chiudere col passato e di resistere a ciò che un tempo era ragione di vita e ora niente più che tentazione e peccato. ‘Lechitiel’ non è un libro di poesia scritto pensando al lettore: questi versi sono intrisi di lacrime e sangue, concepiti quasi istericamente. Ogni poesia è stata necessaria in un determinato momento di grande difficoltà emotiva. Se non avessi scritto ‘Lechitiel’ molto probabilmente non sarei qui a stendere questa email.”


bassanieco@libero.it
terraduliviedizioni@libero.it



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