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Montecassino e la piana del Garigliano nell’XI secolo

Argomento: Storia

di Giovanni Aniello
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Pubblicato il 02/05/2017 13:38:42

        Nel corso dell’XI secolo l’Abbazia di Montecassino ricevette una quantità di donazioni e lasciti non certo casuali né spiegabili come semplice manifestazione di  devozione.

Nel 1058 Marino di Traetto e sua moglie Oddolana donarono all'Abbazia di Montecassino la quinta parte della contea di Traetto e del Castrum di Fratte e la metà del castrum di Spigno con la sola condizione che il monastero continuasse a chiedere agli abitanti solo quei servigi e quelle prestazioni che da tempo antico erano soliti rendere ai conti di Traetto. Ma l'abate si dimostrò più magnanimo: nel 1061, con una carta di franchigia e di libertà personali unica nel suo genere, il monastero riconosceva agli abitanti di Traetto privilegi superiori a quelli riconosciuti loro dai conti, anche relativi ai fondamentali diritti di libertà e di persona, in quanto si obbligava a non esercitare su di loro violenza né a permettere che altri la esercitasse e a garantire libertà di matrimonio e quella di allontanarsi a piacere dal territorio.

Nel 1066 Riccardo e Giordano di Capua donarono all'Abbazia la Torre a mare e la Torre del Garigliano compresa la striscia di terra sulla sponda destra del fiume dalla foce all'Ausente; nel 1071 fu donato a Montecassino un terzo di castrum Argenti e nel 1078 il castello di Suio; nel 1085 Giordano di Capua vi aggiunse una striscia di terra lungo la stessa sponda destra da Suio all'Ausente nonché una striscia di terreno lungo la sponda sinistra, in territorio di Sessa, ininterrottamente da Mortola alla Torre a Mare.

Inserite in quel contesto storico, tali donazioni si spiegano con la  persistente ricerca da parte dell’Abbazia di uno sbocco al mare e  con la creazione di un corridoio lungo il Garigliano considerato come la via naturale più idonea allo scopo.

Era una politica che veniva da lontano.

Il monastero di Montecassino fu nel Medioevo un centro prestigioso di studi per l'Italia e per l'Europa: monaci dotti e umili amanuensi ne fecero il centro di diffusione di scriptoria e biblioteche che ancora oggi custodiscono preziosi capitali di cultura e qui vissero e operarono monaci famosi come Paolo Diacono, il più grande storico dell'alto medioevo, e futuri papi come Vittore III e Gelasio II, originario di Gaeta.

Inserita nella sfera politica dei Longobardi di Benevento, sopravvissuti per oltre 3 secoli ai Longobardi settentrionali, l'Abbazia possedeva un vasto territorio su cui esercitava la propria giurisdizione e da cui ricavava ingenti risorse economiche. Ma, saccheggiata e data alle fiamme dai Saraceni del Garigliano, i monaci superstiti furono costretti a rifugiarsi nell'833 a Teano e nel 915 a Capua dove salvarono molti documenti e costruirono un nuovo monastero.

Quando nel 949 ritornarono a Montecassino trovarono il proprio territorio disastrato: i conti di Aquino e Teano si erano impadroniti di quasi tutti i possedimenti dell'Abbazia e ai monaci non restava che la semidistrutta città di S.Germano (l'odierna Cassino) e il monte su cui ricostruirono il monastero. Infatti anche i pochi abitanti rimasti, senza la protezione dei monaci, si erano posti sotto quella dei signori feudali vicini.

Nello spazio di 15 anni l'Abbazia tornò in possesso di tutti i territori usurpati con una serie di cause promosse contro i principi di Capua e Benevento: sono i famosi Placiti, tra cui quello di Castro Argento del 1014 riguardante la controversia tra l'Abbazia e i conti di Traetto che gestivano ( sulla base delle bolle di concessione dei papi Giovanni VIII e Giovanni X a Docibile I e Giovanni I, duchi di Gaeta, rispettivamente nell'882  e 915 ) un territorio tra gli Aurunci e il Liri comprendente i villaggi di S. Ambrogio, S. Andrea, S. Apolllinare, S. Stefano e Vallefredda.

Ma anche i monaci rivendicavano sullo stesso territorio i diritti di giurisdizione legati alla costituzione della Terra di S. Benedetto e alle concessioni di Gisulfo II nel 744 e di Carlo Magno  nel 787, riconfermate più volte fino alla definitiva attribuzione di Lotario nel 943.

Il riconoscimento di questi territori era di fondamentale importanza per l'abbazia di Montecassino per realizzare un corridoio al mare attraverso il corso del Garigliano con la costruzione di un porto a Suio.

E il Placito risolse a favore del monastero la controversia.

 L'importanza di questa via di comunicazione fluviale per l’Abbazia è dimostrata  sia dal fatto che nel 1066 i marmi per la chiesa del monastero, trasportati via mare da Roma fino alla Torre del Garigliano, risalirono via fiume di qui fino a Suio dove furono trasbordati e trasportati fino all'abbazia, sia dalla costanza con cui gli abati realizzarono questo corridoio con i riconoscimenti e le donazioni di cui abbiamo parlato: a cominciare da quella del 788 del duca di Benevento con cui il monastero riceveva il porto di Traetto e quello sul Volturno con le relative vie d'accesso ai porti e sulle sponde e i territori adiacenti, da S.Ambrogio al Tirreno, anche per evitare imboscate e pagamenti di dazi.

La via d'acqua del Garigliano, a causa delle condizioni disastrose della viabilità terrestre durante l'alto medioevo, poteva infatti costituire un importante collegamento tra costa ed entroterra anche se presentava due gravi problemi: gli scogli di Suio e l'innalzamento della foce.

L'esistenza degli scogli, attestata nel 1001 da Leone Ostiense, costituiva un grave ostacolo in quanto impediva a grossi natanti di spingersi oltre la stretta gola di Suio, ma fin lì il fiume è sempre stato navigabile sia nell'alto Medioevo sia in epoca moderna ( testimonianze del Settecento parlano di barche che dal mare entrano nella foce inoltrandosi per 3 miglia fino al tenimento di Castelforte in una ripa detta delle pietre a commerciare vino, grano e altri generi). Oltre tale limite gli scogli e le 9 cateratte più a monte permettevano il trasporto e il commercio di legname e carbone solo a barche piatte dette sandali guidati da capaci battellieri (i sandalari del Garigliano) famosi e richiesti in tutta l'area napoletana perché abilissimi a navigare in tali situazioni di rapide e mulinelli.

L'altro problema del fiume era costituito dall'insabbiamento e dal conseguente innalzamento della foce dovuto sia al flusso lento del fiume che all'eccessiva quantità di detriti trasportati: il tratto finale pendeva all'indietro con un dislivello di 4 metri all'altezza dell'Appia mentre la profondità del fiume, in genere di 8 metri, si riduceva a circa 1 metro alla foce impedendo alle barche cariche di entrare e uscire ( problema già attestato in un passo di Ulpiano in età romana).

Eppure avere il controllo del fiume era di particolare importanza per la comunicazione verso l'interno, ma soprattutto per le cospicue rendite che l'Abbazia otteneva col pedaggio pagato da chi lo attraversava: è probabile che per tutto l'alto medioevo l'attraversamento del Garigliano all'altezza dell'Appia era già regolato dallo scafario in vigore nel XII secolo (documento conservato nell'archivio di Montecassino).

I diritti di traghetto prevedevano che chiunque passasse a piedi utilizzando le scafe del monastero fosse tenuto al pagamento di 9 grane allo scafario cassinese sia all'andata che al ritorno. La somma saliva a 12 grane e ½ per chi passava con gli attrezzi del mestiere (sarto, calzolaio, muratore, falegname, vasaio, venditore) e non si sottraevano al pagamento neanche i suonatori ambulanti e le prostitute. Il pedaggio per l'attraversamento con gli animali era rapportato alla loro taglia (12 grane e ½ per  asini, muli, cavalli e mucche; 9 grane e ½ per pecore e capre) e al valore del carico trasportato ( 18 grane per oro e argento grezzo; 12 grane per carichi di minor valore fino a 3 grane e ½ per pepe, pesce o formaggio). Erano esentati dal pagamento i corrieri dei papi e dei re; pedaggio ridotto a 9 grane per corrieri di duchi e baroni e limitato a una candela per monaci e rappresentanti dei mendicanti.

La scafa era nel medioevo, fino a quando gli Aragonesi costruirono un nuovo ponte di legno, l'imbarcazione di fortuna con cui veniva assicurato il passaggio del Garigliano.

Lo stesso sistema era utilizzato anche negli altri fiumi meridionali dove la larghezza e il loro carattere torrentizio, ma anche la natura per lo più alluvionale del terreno, rendevano problematica la costruzione di ponti e bloccavano spesso il traffico soprattutto nel periodo invernale.

I ponti romani andati in rovina vennero costruiti, infatti, solo dove i fiumi attraversavano le città anche perché le tecniche costruttive del tempo non erano capaci di garantire ponti stabili e sicuri. Questi mancavano anche su affluenti secondari, anch'essi difficili da guadare in periodi di piena.

Le scafe utilizzate per passare da una riva all'altra erano costruite con tronchi d'albero legati in modo da formare un cassaro piatto che tra gli interstizi lasciava intravedere l'acqua del fiume, sprovvisto di parapetti e tirato per mezzo dei tradizionali sarti. Accanto a scafe più grandi come quella di Traetto erano presenti nella piana anche scafe secondarie fino a Suio, che però non reggevano grossi pesi ed erano quindi di scarsa utilità per il commercio.

La loro utilizzazione era pericolosa se non proibitiva nei periodi invernali.

Un'idea della loro struttura e del loro funzionamento possiamo ricavarla con sufficiente precisione da documenti scritti e iconografici di età moderna:  le impressioni grafiche delle vedute del disegno di Francisco de Hollanda (prima metà del 1500), delle incisioni di A.D'Anna (1791-92), di Smith (1796), di F. Gandini (1832) e del disegno di F. Hackert (1804) forniscono informazioni sulla scafa del Garigliano confermate dall'Apprezzo del 1690 e dalla “Statistica” del Regno di Napoli nel 1811. Questi documenti ci consentono di capire quale concreto pericolo rappresentasse la scafa per chi doveva imbarcarsi per attraversare un fiume come il Garigliano, soprattutto quando era in piena.

Il quadro  è allarmante: strade di accesso non curate, scomode per uomini e diligenze; nessuna precauzione presa in periodi di piena e allagamenti; scafe poco sicure affidate a personale inesperto nella costruzione e nel funzionamento; traversate allo scoperto anche con la pioggia e senza alcuna divisione tra persone, animali e diligenze; animali che spaventati calpestavano e ferivano i viaggiatori. Una situazione di grande insicurezza che sarebbe migliorata solo nell'Ottocento con Patti tra gestore e Stato che prevedevano scafe comode e solide con parapetti lungo i lati corredati di catene tese durante la traversata, con bloccaggio delle ruote delle carrozze, con un sandalo aggiuntivo a bordo come scialuppa di salvataggio, con gomene e funi di ormeggio aggiuntive per la sostituzione di quelle rovinate per l'usura e per l'attrito.

 

 


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