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al testo proposto da Alfredo Rienzi
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Senza mai vera pace, torno anche stanotte ai miei fantasmi, ne ascolto la voce ipnotica, rupestre, che a poco a poco si fa una e penetra le imposte, fuori tempo, inarrestabile. È bastato che morissero i miei, e i ricordi sbattono le ali, uccelli neri che mi osservano, più vigili di un faro, da un cielo ulteriore, interiore.
All’improvviso filtrata l’aria Kierkegaard mi appare, spettro fluttuante fra lo specchio e il letto che apre le porte dell’Incomprensibile. Mi parla, scavato dall’angoscia, e io rimango lì, sospeso a mezza via in uno spazio ostile fra discorsi e rimorsi. Poi la sua gobba si trasforma in una nuvola. La nuvola, in un punto di domanda. Chiudo la luce. E tutti ‒ mamma papà gli uccelli Kierkegaard la nuvola io stesso ‒ ci inabissiamo dentro a un’altra oscurità,
che non so dire.
da L'opera in rosso, Passigli, 2017, pag. 46 |
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