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Con gli occhi di Socrate

Osservavo il cielo grigio da dietro il vetro della finestra accanto a cui mi ero raggomitolato. Stava per piovere, me lo sentivo nelle orecchie.

Quando scorsi quel tipo accostarsi al cancelletto di ferro verde fiancheggiato da ortensie, seppi che era foriero di guai. Aveva le guance penzoloni come quelle di un bulldog, l’aria affettata di un barboncino e l’andatura sgraziata di un carlino. E una spessa valigetta nera nella mano sinistra. L’indice destro era premuto impertinente sul campanello.

Tentai di dissuadere Armida dall’invitarlo a entrare, le indicai la radio, dove a quell’ora ascoltavamo insieme Misteri al crepuscolo, ma fu inutile. Un attimo e fu in salotto. E colsi il suo sguardo bieco su di me e il suo odore sgradevole. Mi misi a sedere guardingo e sulla difensiva.

La mia Armida era una donnina sveglia e di rara intelligenza, ma talvolta fin troppo affabile. Così che qualche sempliciotto, vedendola avvolta nei suoi delicati abiti d’altri tempi, con un cammeo appuntato sul colletto e l’incedere quieto dell’età, pensava talvolta di poterla ingannare. Poveri sciocchi!

- Guardi signora, noti la purezza di queste gemme! – stava suggerendo il tipo canino ad Armida mentre lo scintillio di un rubino catturava il riflesso delle mie pupille – Perfetto per una sua nipotina, vero? –

Armida non aveva nipotine urlanti che tentavano di afferrarmi e strapazzarmi. Era sempre stata una rivoluzionaria e aveva allevato da sola una figlia che ora girava per il globo a scattare nei musei strane fotografie che poi spediva alla madre.

- E questa perla nera! Su di lei sarebbe sublime! –

Armida con lo sguardo sereno e un sorriso cordiale annuiva, mentre all’ultima luce del tramonto sollevava uno zaffiro per ammirarne i dettagli.

E colsi quella luce nei suoi occhi.

- Solo per lei cara signora, un finanziamento senza pari e una settimana per scegliere in tutta tranquillità dalle schede tecniche che le lascerò! – che entusiasmo! – E’ sufficiente solo un piccolo acconto per bloccare questi prezzi straordinari! –

Armida sorrise ancora e il suo sguardo era ora quello di una bambina incuriosita – E perché non posso scegliere ora tra le gemme che ha con sé? –

- Signora mia! Si fidi! Questo è solo un campionario di poco valore, da dimostrazione. Comprenderà, non posso andare in giro con pezzi esclusivi… -

- Aah! – Armida annuì comprensiva. Poi il suo sguardo incrociò il mio ed io sbadigliai partecipe acciambellandomi sul davanzale con gli occhi fissi sul ciarlatano dall’aspetto di canis domesticus – Gradisce un caffè? –

- Con estremo piacere, signora! Purché non le arrechi disturbo! –

Armida mi lasciò di guardia nel salotto, permettendo all’imbonitore di studiare l’ambiente e capire che la consolle dell’Ottocento era autentica, che il tappeto proveniva davvero dalla lontana Persia, e conoscendo Armida, forse era perfino quel tappeto, ma sì, mi avete inteso, quello volante, vero e originale… Dicevo, che la balaustra del caminetto era in marmo raro, che la lista sul tavolino da tè era ricamata a mano e che ogni piccolo dettaglio suggeriva che Armida era disposta a spendere per circondarsi di rare e preziose meraviglie.

Anche il mio cuscino era caldo, morbido e imbottito di soffici piume. Forse in un angolino, un po’ logorati dal tempo e dalle mie unghie, quei curiosi segni ricamati erano il mio nome, chissà!

Poco prima che Armida rientrasse in salotto con i suoi passi

delicati, saltai sulla mia poltrona, giusto accanto alla sedia del furfante e di nuovo il suo sguardo sinistro si appuntò su di me. Presi a fissarlo intensamente, senza distogliere l’attenzione neppure per un istante e dopo meno di un minuto avvertii il suo disagio. Tentò di farmi scendere dalla poltrona, mi spinse in malo modo afferrandomi per la collottola, ma appena Armida arrivò col caffè finse di volermi fare due moine. Io fui più lesto, ovviamente.

Con un solo balzo flessuoso gli fui addosso. Dalla sua gola emerse un grido ben poco dignitoso mentre serrava gli occhi e agitava le mani pallide scottate dal caffè bollente. La cravatta rigata in giallo e blu (sì, lo so che voi pensate che noi distinguiamo solo un paio di colori. Ma ne siete davvero persuasi? In fondo non osservate il mondo con i nostri occhi…), dicevo, la cravatta e la camicia bianca erano ora personalizzate da una vivace macchia del caffè forte e speziato di Armida.

- Socrate, birbantello! Il nostro ospite! – il bonario e blando rimprovero di Armida irritò il tipo canino forse più della mia irruenza.

- Ma che diamine… - dovette controllarsi. Mai palesare la furente avversione che si nutre per il beniamino con la coda di un’anziana signora. Specie se l’oscuro intento è raggirare vilmente la signora in questione…

- Lo perdoni, sa! È solo un po’ bizzarro alle volte –

- Sì, certo! – occhio al tono, mi raccomando!

- Prego, la sala da bagno è da questa parte – l’invito di Armida, così gentilmente sollecito, così cortese, non si poteva ignorare. Ciò non di meno, io scorsi l’occhio torvo dell’uomo indugiare malevolo su di me. Sciocco umano!

- Non occorre signora, grazie –

- Ma la sua mano è graffiata. Non è prudente, Socrate trascorre tanto tempo in giardino, a caccia… -

- Ufff! Che creatura dinamica! – si scrutò la mano. Potevo distinguere nei suoi occhi il sospetto agghiacciante che migliaia di piccole vite nocive si stessero moltiplicando fatalmente nel suo sangue. Per un breve istante lo vidi osservare Armida, dovette giudicarla una donnetta assolutamente inoffensiva e discretamente tocca – E’ di là il bagno? –

Fece ritorno pochi minuti più tardi, il ciarlatano con passo da carlino, e il suo sguardo corse rapace alla valigetta perfettamente chiusa e a dei fogli su cui voleva la firma di Armida.

- Dunque, cara signora – si fregò le mani non visto che da me – qui c’è la penna. Come le dicevo poc’anzi, basta una sua firma su una piccola cambiale e il gioco è fatto! Mi perdoni l’espressione colorita –

- Sì, ma come posso scegliere guardando solo delle foto? – si ostinò Armida con tono vagamente infantile – Come posso sapere se le pietre da acquistare sono belle e di qualità? -

- Signora! – ora il tipo sfoderò un’insopportabile voce di sufficienza per sconfiggere l’ottusità cocciuta di una piccola anziana. Per le mie orecchie iniziava a disperare – Le do la mia parola! Deve capire che sono gemme selezionate, solo per pochi intenditori, provenienti da luoghi impervi e… -

- Ho capito! Vuol prendermi per il naso, forse? – Armida gli puntò contro l’indice mentre la sua voce s’incrinava – Certe pietre sono vendute nelle gioiellerie, non da un girovago qualsiasi. Lei vuol raggirare una povera donna sola e indifesa! Si vergogni! –

- Ma signora! Che cosa va a pensare? – il furfante si alzò rubicondo in viso.

- Penso che lei volesse turlupinarmi! Un’anziana debole e inerme! – una grossa lacrima d’ira scivolò lungo la guancia di Armida – Ma ora chiamo i Carabinieri e dovrà dar conto a loro! –

- Ma no, lei si sbaglia! E poi vede? Sto andando via! Che bisogno c’è di scomodare quei bravi signori?  - il manigoldo si affrettò a raccogliere la mercanzia, arraffò i documenti e filò verso la porta come inseguito da un fulmine – E comunque ha perso un’occasione, creda! –

Rise Armida. La sua risata allegra e contagiosa come il morbillo e mi accarezzò la testa.

- Socrate, tesoro, sei impagabile! –

Quel pomeriggio Armida faceva scintillare davanti alla fiamma del caminetto lo zaffiro che aveva individuato a colpo d’occhio. Era grande come una nocciola e blu come un cielo senza stelle.

- Che sprovveduto, vero amico mio? Mostrare pietre autentiche e propinare della paccottiglia per corrispondenza. Ma poi ha incontrato noi, Socrate, ed è caduto nel suo stesso tranello – mi avvicinò la pietra – Bella, vero? Ora però diamo una sbirciata alle foto di Amanda – mi strizzò l’occhio, complice – pare che a Bangkok abbiano esposto la Fiamma d’Oriente… -

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