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al testo di Claude Cahun
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La Regina occupa il suo trono e posa i picciol piedi, essendo nana, sul dorso prono della preferita dama. Batte le mani ed urla, in qua e in là, “Portate il piatto delle dignità!” Ne sceglie due o tre, indi le pesta, poscia asciuga le labbra lesta lesta: non è più l’ora adatta al desinare ‘che presto Ella s’appresta a giudicare. Tuona, con la vocina acuta e penetrante, “Chi osò con dalie rosse, per tutte le acquesante, interromper con effluvi vermigli l’innesto fra tulipani neri e bianchi gigli?” S’avvicina al seggio tutto balbettante un armigero giovane e attraente: “Nessuno, mia Signora, potè tanto: fu frutto di natura un tale impianto!” “Che dici, bugiardo e snaturato: tu non leggesti l’editto promulgato? Nei mie giardini, foreste e campagne la terra mi ubbidisce senza lagne: nulla vi nasce o cresce ch’io non voglia né seme né fiore né frutto né foglia! Opera non fu di Cerere Demetra Ma dardo tratto da sacrilega faretra. Temerario soldato, per aver parlato, immantinente, dal boia sarai decapitato!”.
Attenta ai passi tuoi, iraconda Sovrana, potresti malamente inciampar nella sottana. Non ritener sia men grave lo sconquasso Quando il cader avvien dal basso al basso. |
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