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al testo di Piero Passaro
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lo dice la parola stessa: serie. Mi fa venire in mente una catena di montaggio di barattolini da trenta o quaranta o cinquanta minuti. La serie presuppone una meccanizzazione dello stile, un approccio visivo appiattito legato al solo fantasmatico bisogno dello spettatore di ingurgitare un'altra puntata; tutto nel grigiore del bisogno disperato di trasformare i prodotti inscatolati in bisogni inferiori. Guardare una nuova puntata è una necessità - ormai - paragonabile all'aggiungere un biscotto nella tazza di latte in più per puro vizio a colazione quando non abbiamo voglia di cominciare la giornata. Non avete ancora capito quello che penso? Bene, mettiamola così: un lungometraggio è uno schizzo dettato dal fragore creativo, comunicativo, di una messa in idea e messa in senso; come una manciata di righe brevi e intensissime quasi fossero insieme un racconto di Carver. La serialità nell'audiovisivo è un prolungamento incessante e ormai delirante per la gioia dei palinsesti coinvolti. Il prodotto seriale audiovisivo è nato simbolicamente con le serie televisive. Gli abbellimenti sono aumentati (budget, attori illustri, registi illustri, produzioni miliardarie) ma lo scopo era fare ascolti in televisione. Vendere banane in piazza urlando al proprio prodotto. Il contenuto era targetizzato e marketizzato. Oltre a non essere scadenti, i contenuti non possono tralasciare la forma. I contenuti devono essere forma e viceversa (l'immagine, la composizione, la storia dell'arte, la semiotica, la psicanalisi, la traslazione ad altre arti o ad altre forme comunicative, i riferimenti auto-referenziali, i riferimenti meta-referenziali...e altre cosette). Si può essere spettatori di entrambi, ognuno guardi quel che vuole. Però penso sia troppo difficile secondo ogni convenzione (quindi soggettivamente ed oggettivamente) paragonare generalmente e complessivamente un prodotto seriale medio ad un prodotto cinematografico medio. No, non c'è bisogno di rispondere a questo post strimpellando esempi specifici e sentire il proprio ego attaccato perchè si è spettatori drogati. Io stesso, molto raramente (ad esempio Gomorra), guardo una serie per assoluto divertimento. Molto raramente. Soltanto non solleviamo confronti inadeguati che ignorino completamente i contesti produttivi, per favore. Le serie sono un fenomeno sociale e, esattamente come i fast food hanno tanti clienti perchè sono tanto pubblicizzati, altrettanto esistono orde di spettatori famelici incollati agli schermi di smartphone e laptop. Andare al cinema (fisicamente) vuol dire innanzitutto mettersi al servizio di un punto di vista enorme (lo schermo è grande, ci avvolge completamente e non c'è altro per quel periodo di tempo in sala) e, secondariamente, significa capire qualcosa in più sul mondo che non avevamo colto nella realtà. Certo, ci sono eccezioni (bla,bla,bla,leoni da tastiera e individui insicuri colpiti nell'ego cercasi) ma non siamo in territorio accademico dove bisogna pulirsi il culo con la seta prima di esprimere un parere che ha come faro nel buio diversi elementi compenetrati tra loro: il buon senso, la consapevolezza, la riflessione...
Prima di lasciarvi andare a commenti minatori ispirati come foste scimmie urlatrici vi ricordo il senso di questo scritto; il prodotto seriale audiovisivo è fascinoso, trascinante, emozionante, enfatico, divertente (oltre ogni modo è la funzione principale). Qui non si sta mettendo in discussione il suo statuto odierno iper-presente (sarebbe come affermare in corollario che l'acqua non è bagnata). Semplicemente, non cominciamo a fare paragoni strampalati con il mezzo cinema, il metro cinema e il luogo cinema. La differenza fra i tre non ho voglia di scriverla (esistono libri). |
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