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al testo di Socrate Toselli
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Nessun'altra casa era altrettanto rumorosa. La vita che vi si svolgeva manifestava con baccano il suo decorso. Era come se non potessero vivere senza far sentire che vivevano. Così ogni loro gesto era chiassoso, anche quando silenziosamente avrebbe potuto trovare svolgimento.
Se scrivevano declamavano quello che scrivevano e se leggevano facevano altrettanto, addirittura sfogliando le pagine con forza, fin quasi a strapparle, pur di affermare con fragore la loro presenza, la loro partecipazione alla vita che ormai consisteva, quasi del tutto, nell'esprimere vitalità.
Così fortemente presi da tale occupazione (testimoniare caoticamente la loro esistenza), e da tale occupazione per nulla spossati (mai stanchi si sentivano ma sempre pù rinvigoriti), arrivarono a pensare all'immortalità come obiettivo della loro lotta. Addirittura all'immortalità. Pensarono che vivendo tumultuosamente e nel tumulto manifestando la propria vita, si potesse sconfiggere la morte, e se ne convinsero.
Con maggiore forza, allora, ripresero a far chiasso, confondendo il chiasso con la vita. Sfidarono la morte col frastuono, col fracasso pretesero di vincerla. E per secoli continuarono, nella loro baraonda, ad uccidere il silenzio che, tuttavia, mai morì.
Lentamente i rumori, pur restando forti, meno intensi si fecero. Gli abitanti della casa non smettevano mai quel loro putiferio, ma iniziarono a dubitare della possibilità della vittoria, fino a rendersi conto dell'ineluttabile sconfitta.
Non smisero però di far rumore. Dopo una vita trascorsa nel frastuono, inaudita appariva la quiete. E nella loro disperata gazzarra finirono per morire, uno a uno, fino a che, morti tutti, ogni suono ebbe fine.
Vuota rimase la casa rumorosa. Ed il silenzio ne restò padrone.
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