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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Poesia della settimana

Questa poesia è proposta dal 31/03/2014 12:00:00
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L’oasis

di Charles Leconte de Lisle (Biografia/notizie)

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Derrière les coteaux stériles de Kobbé

Comme un bloc rouge et lourd le soleil est tombé;

Un vol de vautours passe et semble le poursuivre.

Le ciel terne est rayé de nuages de cuivre;

Et de sombres lueurs, vers l’Est, traînent encor,

Pareilles aux lambeaux de quelque robe d’or.

Le rugueux Sennaar, jonché de pierres rousses

Qui hérissent le sable ou déchirent les mousses,

À travers la vapeur de ses marais malsains

Ondule jusqu’au pied des versants Abyssins.

La nuit tombe. On entend les koukals aux cris aigres.

Les hyènes, secouant le poil de leurs dos maigres,

De buissons en buissons se glissent en râlant,

L’hippopotame souffle aux berges du Nil blanc

Et vautre, dans les joncs rigides qu’il écrase,

Son ventre rose et gras tout cuirassé de vase.

Autour des flaques d’eau saurnàtre où les chakals

Par bandes viennent boire, en longeant les nopals,

L’aigu fourmillement des stridentes bigaylles

S’épaissit et tournoie au-dessus des broussailles;

Tandis que, du désert en Nubie emporté,

Un vent âcre, chargé de chaude humidité,

Avec une rumeur vague et sinistre, agite

Les rudes palmiers-doums où l’ibis fait son gîte.

 

Voici ton heure, ô roi du Sennaar, ô chef

Dont le soleil endort le rugissement bref.

Sous la roche concave et pleine d’os qui luisent,

Contre l’âpre granit tes ongles durs s’aiguisent.

Arquant tes souples reins fatigués du repos,

Et ta crinière jaune éparse sur le dos,

Tu te lèves, tu viens d’un pas mélancolique

Aspirer l'air du soir sur ton seui! famélique,

Et, le front haut, les yeux à l’horizon dormant,

Tu regardes l’espace et rugis sourdement.

Sur la lividité du ciel la lune froide

De la proche oasis découpe l'ombre roide,

Où, las d’avoir marché par les terrains bourbeux,

Les hommes du Darfour font halte avec leurs bœufs.

Ils sont couchés là-bas auprès de la citerne

Dont un rayon de lune argente l’onde terne.

Les uns, ayant mangé le mil et le mais,

S’endorment en parlant du retour au pays;

Ceux-ci, pleins de langueur, rèvant de grasses herbes.

Et le mufle enfoui dans leurs fanons superbes,

Ruminent lentement sur leur lit de graviers.

À toi la chair des bœufs ou la chair des bouviers!

Le vent a consumé leurs feux de ronce sèche;

Ta narine s’emplit d’une odeur vive et fraîche,

Ton ventre bat, la faim hérisse tes cheveux,

Et tu plonges dans l’ombre en quelques bonds nerveux.

 

 

 

L'oasi

 

Dietro i colli sterili di Kobbe

come un blocco rosso e pesante il sole è calato,

uno stormo di avvoltoi passa e sembra inseguirlo.

Il cielo sbiadito è striato di nuvole di rame;

e tetri bagliori, verso Est, perdurano ancora,

simili ai lembi di qualche abito d’oro.

L’aspro Sennar, cosparso di pietre rosse

che ricoprono la sabbia o strappano il muschio,

attraverso il vapore delle sue paludi insalubri

serpeggia fino ai piedi dei versanti Abissini.

La notte scende. Si odono i koukals dalle grida stridule.

Le iene, scrollando il pelo delle loro magre schiene,

di cespuglio in cespuglio scivolano ansando rauche.

L’ippopotamo sbuffa sulle sponde del Nilo bianco

e rotola, tra i giunchi rigidi che schiaccia,

il suo ventre rosa e grasso tutto corazzato di melma.

Intorno alle pozzanghere d’acqua salmastra dove gli sciacalli

a branchi vengono ad abbeverarsi, costeggiando i nopali,

l’acuto brulichio degli striduli insetti

si infittisce e volteggia sopra le sterpaglie;

mentre, dal deserto portato in Nubia,

un vento acre, pregno di calda umidità,

con un rumore vago e sinistro, agita

le ruvide palme dum dove l’ibis fa il suo nido.

 

Ecco la tua ora, o re del Sennar, o capo

il cui breve ruggito è sopito dal sole.

Sotto la roccia concava e piena di ossa che luccicano,

contro l’aspro granito le tue unghie dure si affilano.

Inarcando le elastiche reni stanche del riposo,

e la tua gialla criniera sparsa sul dorso,

ti alzi e vieni con passo malinconico

a respirare, affamato, l’aria della sera sulla tua soglia,

e, la fronte alta, gli occhi volti all’orizzonte dormiente,

guardi lo spazio e ruggisci sordamente.

Sul cielo livido la fredda luna

ritaglia l'ombra immobile della vicina oasi,

dove, stanchi per aver camminato per terreni fangosi,

gli uomini di Darfour sostano con i loro buoi.

Sono distesi laggiù, presso la cisterna

di cui un raggio di luna inargenta l’onda spenta.

Gli uni, dopo aver mangiato il miglio e il mais,

si addormentano parlando del ritorno al paese;

gli altri, pieni di languore, sognando grasse erbe

e col muso affondato nelle loro superbe giogaie,

ruminano lentamente sul loro letto di ghiaia.

A te la carne dei buoi o la carne dei mandriani!

Il vento ha consumato i loro fuochi di rovi secchi;

la tua narice si impregna di un odore vivo e fresco,

il tuo ventre batte, la fame ti fa rizzare il crine,

e tu ti tuffi nell'ombra con pochi balzi nervosi.

 

 

[ Tratta da Poemi Barbari (Poèmes barbares)Edizioni Ariele, a cura di Silvio Ferrari ]

 

 


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