Avrei potuto giurarlo, perché era vero.
Non lo sapevo, no, non lo sapevo
Che fosse alto da oscurarmi il sole
E grande, tra le sue braccia la rabbia
Era un cielo di comete silenziose
E ogni muscolo un paesaggio
E il corpo una nazione.
La fronte faceva ombra sugli occhi
E sembrava che guardasse da ogni parte
Con quelle orbite oscure
Come la morte, come ogni morte.
Ma guardava solo me
Con l’aria di chi attende la sua preda.
Era deciso nel ruolo
Che gli era stato dato.
E io non potevo essere altro.
Una scena formale di poche mosse,
Le mie. Non si sarebbe mai spostato
Dal luogo in cui s’illudeva
Di nascondersi a se stesso, alla preda
Come il leopardo tra i cespugli.
Chissà cosa pensò quando avanzai
Per fermarmi solo dopo pochi passi:
Conta, mi dicevano i miei,
E ad ogni numero accorcia la distanza.
Ma era al tetto della fronte che puntavo,
A quella cima inespugnata.
Quando roteai la fionda
Capii che quella notte si stava spegnendo
Con tutta la ricchezza del suo cielo,
Per sempre. Lanciai la pietra senza pensare.
Cadere fu il suo ultimo battito.
Solo quando fu a terra e oltre
Già s’alzava la polvere della fuga
Mi distesi accanto a lui
Per vedere fin dove gli arrivavo.
***
Non avevo mai potuto capire
Di che pasta fosse fatto l’amore.
Per me era solo una scia di parole
E di note intorno ai bivacchi.
Ero certo della mia immunità,
Io, il solo uomo a non poter salire
Sulle spalle degli altri.
Fu facile convincermi che facevo
Paura. Mi misero in prima fila
Ad aspettare l’orizzonte. Immaginavo
Un piccolo esercito da calpestare,
Invece mi si fece incontro lui.
Esile da non poterlo mettere a fuoco
E senza età. Fu questo a tradirmi,
Il voler capire. Chi fosse
E perché m’innamorava
Come uno specchio confonde i pensieri
E li deforma, come un’eclissi
Restituisce il giorno alla notte.
Non avrei potuto fare nulla.
Quando venne a sdraiarsi accanto a me,
Respiravo ancora.
[ Tratte da Solstizio, Mondadori ]
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