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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Poesia della settimana

Questa poesia è proposta dal 18/06/2018 12:00:00
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Quartine sonetti madrigali

di Paolo Pettinari (Biografia/notizie)

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da QUARTINE

 

 

La terrazza

 

Solo la notte senza ti si senta
Stupire per il senso di vertigine
Sali in terrazza e scopri quale origine
Tra stelle e strada ha il mostro che ti annienta

 


Il comodino

 

L'aspetto asciutto e il corpo quasi nero
Tacito come un'ombra lo è tra i vivi
Della mia donna lui nasconde austero
Lo spermicida e i miei preservativi


 

La notte ventosa

 

Il vento che si avvita tra le sbarre
Vibra quei vetri e scherma i sordi gridi
Delle cespose stelle e tu ti affidi
A un tremito che al sonno non sa trarre

 


La conchiglia


Il mare di anni ha incrostato la valva
Che tra i sassi seccati si prosciuga
Al vecchio sole ma ancora la salva
La fredda notte che imperla la ruga


 

La parte buia


Verrà la notte poi con le legioni
D'astri vertiginosi arditi e tremuli
Schèrnono la ragione mitici emuli
Di guerre diurne e d'infrante intenzioni

 


L'armadio con gli specchi


Un universo immobile e intoccabile
Spia la tua stanza e cela l'ombra calda
Di vacue stoffe a cui s'intreccia e sfalda
Tenue un odore di lavanda amabile


 

Il temporale


Il vento finalmente ha ricondotto
La fredda pioggia addosso a queste tegole
Ma le crepe son fossi e un mare cieco
Assalta ciò che il sole audace ha rotto

 


Il mare


Ora galleggiano gabbiani striduli
Su un'acqua che ha salato i ferri ardenti
Del sole inquieto e che assopiti i venti
Regalerà alla luna raggi aciduli


 

 

da SONETTI DEI SEGNI CELESTI

(e quattro strofette) 

 

 

Bella donna con un fiore in mano


Stanotte Colombina osserva inquieta
Dopo l'amore, investiga le cose
Che nella stanza vibrano corrose
Dall'ombra, nella luce un po' desueta

 

D'una candela. Lui dorme, e la segreta
Vita di forme e molecole, irose
Volpi lunari, e le mistiche rose
E l'angelo e il serpente ed il pianeta

 

Di sogni matematici alla mente
Vagano eterni, né un dio lo disturba.
Ma Colombina è lì seduta e sente

 

Il ticchettìo beffardo, la furba
Danza del tempo, e fra le dita attente
Sorregge un ciclamino, e in cuor si turba.


 

Dal parco di Villa Cimbrone


Questo balcone aperto all'orizzonte
Fra poco sarà avvolto dalla pioggia
Che già penetra il mare. E a chi si appoggia
Su questa balaustra, che dal monte

 

Sfida gli dèi, serpeggerà alla fronte
La pallida vertigine che alloggia
Fra gli atomi del corpo. E strana foggia
L'animo assume, che si fa bifronte,

 

Che vuol gettarsi e ne ha orrore, che tende
Verso quell'acqua celeste e abissale,
Ma poi distoglie l'occhio, poi s'arrende;

 

Ed indurito e incrostato dal sale,
Come una statua che trepida attende,
Ti solca e ti dilava il temporale.


 

 

DUE FRAMMENTI

 

 

Il ritorno

 

La notte è impenetrabile. La notte
E' scesa senza ch'io me ne accorgessi.
"Scusi", ho detto allora,
"Buona sera", ho detto.
Nel labirinto della folla
Persone vanno e vengono, s'incontrano,
Cadono palpebre e parole.
Nel labirinto dell'anima,
Fra vicoli odorosi di zolfo e cloro,
Dietro le chiuse finestre e le mura
Immobile perdura spesso fumo.
In questa notte calva
Il gelo taglia i volti delle donne,
Sotto il cielo di porfido
Spacca il legno dei cuori.
"E' tardi", ho pensato fra i lampi,
Fra i vortici di luce delle insegne.

Sull'autobus statue di pietra fuggono,
S'aggrumano agli angoli, fuori
La città fugge, si sparge sui campi
Ghiacciati, si spegne.
In questa metallica periferia
Dio non ci serve e noi lo combattiamo,
Ne disprezziamo gli aliti e i rumori
Nel tanfo oleoso della solitudine;
Dove un vento innaturale
Rode l'asfalto e ci devasta gli occhi,
Dove nei lati più notturni delle strade
Angeli neri fermano le macchine,
Mostrano gonfie le carni,
Si contagiano l'anima.

 


La stella

 

"Dove sei stato?" hai chiesto sulla porta.
La stanza è semibuia
Nera d'oggetti e morbida di stoffe:
"Diventeremo dèi, demiurghi,
Sapremo il bene e il male".
Lo specchio dell'armadio brilla obliquo
Nasconde tenere fibre e rivela

n universo sbieco e trasparente
Un mondo di vetro.
"Solleva una carta dal mazzo
Con la sinistra mano".
Ecco appare "La stella" e nella morta
Ora del buio
Siedi guardi e cominci con le labbra
Con le rapide mani
A edificare forme nella cera.
La tenebra dell'anima fa sangue
Mentre da fuori
Giungono voci e rumori di piatti.
"Nemmeno queste madri sono eterne:
Vagano cieche e luminose e infine,
Superato il confine
Di desolate estati e uguali inverni,
Si consumano mute e silenziose
Nel deserto dei cieli,
Oppure esplodono - vaste! crudeli! -
Consunte da entropie e da sismi interni.
Come le stelle è il nostro amore, incline
A fingerci perenni,
A illuderci che gli anni vorticosi
Ci lascino nel tempo uguali e indenni".
Dalle altre case la TV comunica
Voci di guerra, urla di commercio.
Dalla strada passi
Il portone che sbatte
Passi sulle scale...
Una moltitudine d'ombre
Torna a casa a cenare.



 

da MADRIGALI

 

 

Marina


In lenti gorghi di smeraldo il mare
Scioglie corpi ed oggetti
Davanti allo stupore delle seppie
Sotto il giallo fracasso di lampare
Scivola vite, le adagia sui tetti
Di acque e terre e di nebbie
Tenere e rugginose... Navi nere
Salpano in mezzo a uccelli e ciminiere.


 

Arlecchino a cavallo di un missile
(primo intermezzo)


Da questo coso che puzza di nafta,
Che vibra e fa pernacchie,
Che stride e infilza nuvole e cornacchie,
Voi, caccolette di cellule vizze
Su quella palla enorme che si avvita,
Siete niente di niente.
Gonfi di birre, silicone e pizze,
Non vi vedo neppure! E' rinsecchita
Fra i gorghi della sfera
La boria vostra: che vi venga l'afta!
Beccatevi in saluto 'sto fetente
Peto e per firma uno sputo ne
l'ocio:
Commiato al mondo di Arlechin Batocio!


 

Balanzone sulla luna
(secondo intermezzo)


Oh cacchio, com'è stato
Che almanaccando intorno al mio panzone
Su questo cacio secco e appustolato
Ora mi trovo!? E qui non c'è nessuno
Ch'io possa infinocchiare coi miei detti
Dai pulpiti d'antenne sopra i tetti!
Ora rammento: quando ero qualcuno
Fra i gorghi della sfera,
Che ora vedo lontana e che ho agognato
D'avere a mio comando, una cazzata
Spaventevole a udirsi inopinata
Mi è esplosa dalla bocca e l'esplosione
Ha scosso il globo e... ciao ciao, Balanzone!


 

Notturno

(a Daniele, in memoria)

 

Ha il colore dell'ombra nelle stanze
Questa notte di vetro
Ha colore di terra il labirinto
Dell'anima che passa e lascia indietro
Macchie di luce e simboli e parvenze
Leggere di ricordi
"Ti voglio bene" ho detto
Frugando nel tuo sonno duro e stinto
Indifeso nel letto
Ghermito dai minuti ossuti e ingordi
Poi sono uscito a passi obliqui e sordi


 

 

da POESIE SPARSE

 

 

Stanza con lo spettro


Se questo vago mostro, questa forma,
E' solo un mostro della mente senza
Riposo, oggetto assente che trasforma
L'occhio assopito (e la vana presenza
Ne puoi toccare, carezzarne l'orma,
Se non ti ripugnasse la parvenza...)
Perché su questo sogno di abominio
E di spavento si schianta il tuo dominio?


 

 

 

[ da Quartine sonetti madrigali, Paolo Pettinari, Edizioni Gazebo - cliccando sul titolo si apre la versione pdf integrale del libro ]

 


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