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Poesia della settimana

Questa poesia è proposta dal 06/12/2010 12:00:00
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Sono soltanto volume

di Bella Achamadulina

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[ A cura di Marzia Dati ]

*

Sono soltanto volume in cui abita qualcosa
Per cui non bastano i nomi della terra.
Sono una costruzione di sudore e ossa-
Suo possedimento, non mia carne.

Qualcosa: un significato sconosciuto
Insediatosi in una cuccia altrui
Per sfrattare i padroni, saltare fuori,
non voltarsi a guardare quando morirò.

In me, di me più audace, la parola
Non pronunciata oscilla,
mentre nell’emorragia di luce del cielo
io tremo di foglie, di rami.

Esiste un modo per chiamare il senza nome?
Non lo dico. Non si può chiedere al dizionario
Come si chiama una parola
Finchè non gliela diciamo noi stessi.

Mio imperituro e misterioso oppressore,
stretto nella morsa del già noto…
E io mi espando, divento universo-
Io e l’universo di concerto: una sola cosa.

Qualcosa. Non c’è parola. Ma dalla sua
Fonte tremendamente mite fiotta amore.
E già si vede il suo futuro profilo
Battersi per i fratelli, le sorelle.

Bacia sulle labbra l’inanime, e il respiro
Della risposta è grande, manifesto.
Unica, la parola annienta caos e delirio,
e parla ai mortali dell’eterno.

(1982)

(Da "Lo Giuro". Antologia Poetica a cura di di Serena Vitale, Interlinea Edizioni 2008 LericiPea. Traduzione di Serena Vitale)


*

Il mio incontro con Bella Achamadulina (Mosca 10 aprile 1937- Mosca 29 novembre 2010)
di Marzia Dati

Ho appreso soltanto ieri che Bella Achmadulina se ne è andata e subito il mio pensiero è andato a due anni fa quando ho avuto l’enorme fortuna di conoscerla.
Lei, la grande poetessa russa, la voce più alta della poesia russa contemporanea, la poetessa delle poetesse che ha dovuto portare durante tutti gli anni della sua vita terrena un fardello pesante, il fardello di altri come lei che non hanno mai voluto imprigionare le parole dentro delle fredde teche di cristallo.
È stato scritto molto di lei sui giornali in questi giorni e non me ne vogliano molti di coloro i quali la definiscono una poetessa sovietica. Questi non mi trovano d’accordo.

Bella era sovietica perché visse in un periodo della storia che per definizione si chiama così, ma ritengo che sia la poetessa di tutte le Russie in quanto una tra le espressioni più elevate di tutta quella tradizione poetica russa che ebbe inizio con Aleksandr Puskin.
E nei periodi più bui della storia del suo grande paese, come Anna Achmatova, decise di non andarsene, ma di resistere con quella forza ed energia che la contraddistinguevano, unite a mitezza e dolcezza.
Sì, questo era lei, un connubio di qualità contrastanti che la rendevano di un fascino straordinario.
Adesso, mentre scrivo, riguardo il suo meraviglioso ritratto che è appeso nel mio studio


[In esclusiva pubblichiamo il ritratto di Bella Achmadulina, un acquerello che lei stessa donò a Marzia Dati, fatto da suo marito, Boris Messerer, noto pittore russo contemporaneo. Clicca per ingrandire » ]

che la ritrae con un cappello rosso, uno scialle nero e un paio di guanti neri. Il collo reclinato verso destra, la sua figura e il suo portamento rivelano senza dubbio una personalità particolare.
I colori che dominano nell’acquerello, realizzato e donatomi dal suo ultimo marito, il pittore Boris Messerer, che l’aveva accompagnata nel suo viaggio in Italia, sono il nero, il rosso e il verde con qualche sfumatura di marrone. Il ritratto reca la sua dedica e la sua firma tremolante, quasi illeggibile. Quando la incontrai mi resi subito conto che la sua vista vacillava, i suoi occhi erano tuttavia dei fari luminosi, che avevano visto tanto e che volevano comunicare tanto.
Me la presentarono e mi chiese di sedermi accanto a lei. Volle sapere subito di cosa mi occupavo e non appena le dissi che insegno lingua e letteratura russa, i suoi occhi cominciarono a splendere ancora di più e cominciò a parlare: un fiume di parole uscì dalla sua bocca e spesso questo flusso veniva interrotto dal pianto quando ricordava qualche poeta amico scomparso.
E pianse, pianse lacrime di nostalgia mista a gioia quando le raccontai che avevo scritto un breve saggio sulla storia d’amore tra Anna Achmatova e Amedeo Modigliani (leggi »). La sua Anna, che aveva conosciuto e tanto amato, e subito mi disse che mi avrebbe voluto invitare a Mosca a recitare, in una serata letteraria dedicata ad Achmatova, il mio testo.
Vidi quelle stesse lacrime mentre sul palcoscenico recitava i suoi versi: in quel momento quella donna apparentemente gracile e con la voce tremolante era riuscita a tirare fuori una forza che aveva raggiunto le corde più profonde della mia anima.
È cosi che Bella aveva conquistato generazioni e generazioni di giovani che l’amavano come una vera e propria diva letteraria.
Ma ancora più grande per me fu la gioia quando mi chiese di poter visitare la mia città, Carrara. Camminando insieme a lei per il centro storico, la mia città mi sembrava ancora più bella, poiché potevo sentire e condividere con lei le stesse emozioni e sensazioni.
Loro, i poeti, e di questo li invidio sempre, attraverso il loro occhio riescono a vedere ciò che noi non vediamo: quei nessi arcani che rimandano all’invisibile, e che riescono a trasmetterci attraverso le parole. E mi sembrava di essere sospesa in una città che era mia, ma che forse vedevo per la prima volta, insieme a Bella.
E ancora il suo ritratto mi guarda, quasi mi volesse comunicare qualcosa, con urgenza.
Mi fermo e cerco di coglierne il messaggio. Ecco che i colori mi parlano…………….

Il rosso e il verde dello sfondo si trasformano ai miei occhi in sbarre di una cella, ben distinti nella parte alta, si vanno a fondere verso il basso dove il rosso cede il posto al verde.
Il nero dello scialle e del merletto dei guanti si materializza in tanti chiodi appuntiti: essi esprimono il dolore e la sofferenza che si trasforma in un fiotto rosso di sangue, quel sangue versato da molti “fratelli e sorelle”.
Ma il verde che germoglia dalla terra è la speranza, la speranza di un futuro in cui la parola non sarà più imbrigliata ma sarà finalmente libera di volare e di posarsi dove vuole, per essere accolta, scritta e ascoltata.
È così che voglio ricordare Bella Achmadulina, non ingabbiata dal freddo della morte, ma mentre si libra leggera, leggera sul mondo, come le donne nei quadri di Chagall e da lassù mentre sorride felice di questa libertà “la vedo espandersi, diventare universo, lei e l’universo di concerto: una cosa sola”.

M. D.

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