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Poesia della settimana

Questa poesia è proposta dal 11/08/2014 12:00:00
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Fatti deprecabili

di Caterina Davinio (Biografia/notizie)

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Droga - inedito

 

Volevi provare,

mia giudiziosa amica,

e andammo in quei meandri

del parco

dove più sentivamo l'ebbrezza

del rifiuto,

delle scelte ascose,

e lui, più esperto,

ci raggiunse

con un sorriso d'intesa sotto i baffi

e il volto smunto.

Tu volevi per gioco, e io per davvero,

ti presi alla lettera e capii

che da tempo aspettavo

d'incrociare quel pomeriggio;

non chiedere perché

fu la strada facile

e più mai tornai

mentre tu ti ritraevi prudente

salutandomi con la mano dal ciglio

delle fragole e del vento,

risucchiata dalla lontananza.

Fu l'inizio

in cui imparai

a precipitare nel nulla

che ancora mi morde,

da quell'aereo giorno nell'oscuro del parco,

di vortici,

buchi neri,

di sdrucciolosi sentieri.

 

 

 

Il mio amico D.

 

Dopo una dose

rimanemmo al baretto

del più e del meno,

tu aspirante avvocato,

io aspirante niente,

è che avresti voluto amarmi

per una notte

e io tergiversai

perché la mia notte è capricciosa

e tu famigerato tossico di quartiere

non eri nelle mie corde,

il buio tutto intorno

apriva le sue ali su di noi

dinanzi un bicchiere.

Tu ti disamorasti a stento,

io, io ti avrei voluto per puntiglio,

per metterti in un elenco

di tipi strani e significativi,

ma l'intimità mi era avversa,

avversa al mio cuore sterile

innamorato di altre vie.

Così andammo

ognuno al suo destino,

tu ubriaco,

io drogata,

nella notte dei bassifondi

dove ci eravamo cacciati,

scesi dalle nostre case di notai

e professori incapaci

dei propri figli traditi,

per una notte bianca di bianco, stupida,

dove rivendicavi una ballerina da night,

quasi una prostituta,

per un abbraccio caldo,

per un abbraccio da niente

che a te sembrava vita sufficiente,

che ti somministrava quel piacere sovrumano

che un uomo addenta come selvaggio;

ella ti diede sesso senza questioni,

senza promesse,

mentre io che cercavo l'eterno mi persi

nelle disquisizioni

che a un uomo non danno pane

né ventura.

Così finì quella notte

e noi tornammo

in case nemiche,

spenti dalla droga,

entrambi

disamorati dell'amore.

 

 

 

Il suicida

 

Sul carro del buio

sedevo a stento

quando la notte

si precipitò su di me come un demone

chiedendomi conto

del mio senso.

Dietro ogni finestra

viveva una famiglia

una luce accesa

e io in strada

prendevo bastonate

dalla mia solitudine

tanto che annichilito

lanciai un grido in me

di stupore

come bestia ferita a tradimento,

e spenta come colui che muore,

che deve morire,

vidi le luci correre

sul Lungotevere

e il buio tutto intorno a me.

Le pietre bianche erano spettrali,

volevano la mia fine

e il destino mi spremeva lacrime

come un mantice, una spugna d'aria,

con mani possenti

prive di pietà.

Me ne andai fuggendo

come l'ultimo respiro

ucciso dal momento,

il nulla graffiava forte

nel baratro dov'ero caduto

più povero che mai

e cieco,

senza forze,

ché anche la notte corre

e ha le sue destinazioni

inconosciute,

mentre la mia finiva lì,

e saltai dal ponte.

 

 

 

(Poesie tratte da: Fatti deprecabili. Poesie e performance dal 1971 al 1996, inedito)

 


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