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Dopo non serve più nessun classico,
nessuno che misuri la notte in metri,
che riceva rassicurazioni, facili progetti.
Con i venti a intermittenza sui lati
e la schiuma della pioggia che scende
come quel caldo blu che sprigiona la notte.
Nemmeno queste bucce d'arancia
riassorbite dal tavolo servono
questa natura morta che riporta il rito,
l'azione che si stempera contro le finestre
in brevi flussi e immagini a campione.
Tutto visto e riportato, quanto basta
per smussare con precisione i marmi
e rendere cartelle e protocolli inutili.
Come se il reale fosse questo stonare di dita,
il movimento, le azioni disciplinate:
l'apertura di un corpo e il suo molle riposo.
*
L'attesa della casa.
Nessun varco, nessuna nebbia
se non il suo seguire
un armonioso e strisciato buio.
*
Le sostanze sono chiare, piene di radiazioni,
portano il filtraggio, spurgano
le lunghe ore di sonno.
E gli occhi sono macchiati di giorni,
di precise intenzioni.
Non ci sono altri oggetti da separare,
nelle stanbze le memorie sono calendari di luce.
*
Ascolta, le radio muovono il vuoto
e l'immagine si è estesa.
Piccole luci entrano dalle vetrate,
la fonte in un giorno di pioggia.
Scarti il latte, la cucina si riempie di idee.
Parli delle sedi avanzate dove saremo esempi,
visitatori costantio e ombre per un futuro di volti.
*
C'è speranza solo adesso che è tardi
e i fili sono tutti tirati
e la lana non si indossa più.
La primavera cresce,
la mia casa è una foresta di ragioni.
[ da Pressioni, di Luca Minola, LietoColle ]