I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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- Religione
Così non sia di Uta Ranke-Heinemann
Così non sia Uta Ranke-Heinemann A volte, come in questo caso, il sottotitolo spiega meglio del titolo: Introduzione al dubbio della fede Dopo il suo Eunuchi per il regno dei cieli, in cui analizza il comportamento della chiesa cattolica verso la sessualità, la teologa Ranke-Heinemann prende di petto il problema della storicità dei quattro vangeli e degli Atti degli Apostoli. L'autrice, prima donna cattolica autorizzata all'insegnamento della teologia in università, ne venne poi esclusa perché scrisse tra l'altro che la verginità di Maria è da considerare un fatto teologico e non biologico. A questo è dedicato infatti il capitolo: La madre-vergine. Gli autori dei vangeli sono ritenuti nomi di comodo, in quanto pubblicati dal 70 al 90 d.C. e scritti sulla base di storie raccontate, questo si comprende perché la datazione dei fatti, quando esiste è chiaramente discordante. Ad esempio sulla località di nascita di Gesù gli “evangelisti” vanno a ruota libera perché sarebbe probabilmente nato a Nazareth, per Betlemme si tratta invece di affermare la discendenza da Re Davide. Buio completo sulla datazione! Le date dei censimenti furono inventate a posteriori per farle coincidere con annunci biblici, comunque per questo i romani non richiedevano alcun trasferimento. La cometa è una citazione ricorrente, avrebbe annunciato anche la nascita di Ottaviano Augusto! Così come la strage degli innocenti è una fiaba inventata da Matteo senza alcuna traccia storica. Buona occasione per condannare Erode il Grande reo di avere regnato sotto il Protettorato romano. Perché agli estensori dei vangeli, di origine ebraica, non interessava la realtà storica ma la continuità con i dettami biblici. Pure Giuda è un personaggio inventato, una figura fiabesca ricalcata da Geremia e Zaccaria. I vangeli hanno divinizzato il personaggio Gesù interpretandolo su basi teologiche, lui infatti non aveva alcuna intenzione di fondare la Chiesa perché non intendeva essere il Messia cioè il Cristo. Si tratta di una tesi essenica, una tesi militaresca che spingeva alla cacciata dei Romani dalla terra giudaica. Non dimentichiamo la certezza, in quel periodo, della fine dei tempi. Vedi l'Apocalisse! Pure la sua volontà al martirio fu inventata posteriormente da Ignazio di Antiochia, un padre della chiesa. Per Pietro e Paolo non esistono prove storiche della loro permanenza a Roma la cui Chiesa esisteva prima di Pietro e Paolo, fondata probabilmente da Lino. Infatti gli Atti non dettagliano minimamente né la loro presenza, né il loro martirio. Nell'ultimo capitolo, dopo l'analisi delle fiabe e delle falsificazioni, la teologa si scaglia contro l'invenzione peggiore: la necessità di arrivare alla redenzione attraverso l'esecuzione capitale, sia per Gesù che tutti i credenti. L'assassinio per Dio, con Dio, in nome di Dio per approdare al paradiso. Finale: Gesù è il grande sconosciuto, smarrito sotto il mastodontico edificio teologico costruito sopra di lui da chi inventò l'inferno trasformando la Buona Novella in quella cattiva. Perché “...con la sua religione da sacrificio umano ha sostituito la parola di Gesù con una teologia da boia...” La teologa Ranke-Einemann rivendica il diritto al dubbio, contro ogni dogmatismo, prendendo di Gesù solo la sua vita e la sua voce al netto di favole miracolistiche che ne annullano la verità. Si tratta, com'è ormai chiaro, di un testo stimolante che ti obbliga a riflettere seriamente.
Id: 3440 Data: 06/09/2024 23:49:21
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- Letteratura
Barbarossa di Rudolph Whal
Barbarossa Rudolph Wahl Rudolph Wahl è uno studioso del medioevo tedesco, in questo libro di oltre 300 pagine si cimenta con l'imperatore Federico I, meglio conosciuto come Barbarossa . Lo segue attentamente, passo passo, dagli esordi militari, al suo predominante ingresso nella politica europea. Il Barbarossa venne nominato Re di Germania a trentanni e imperatore due anni dopo. Si tratta di un racconto ben scritto, spesso avvincente, che arriva anche ad esporre il pensiero dell'Imperatore. Emerge un personaggio intelligente, lungimirante, cioè politico. Capace di circondarsi da valenti cancellieri. Una lettura in contrasto con la storiografia nostrana per la quale era solo il nemico del Carroccio. Il Barbarossa risulta sempre impegnato dal complesso mantenimento dell'equilibrio in Germania con la lotta continua contro i cugini Guelfi e le Diete con i principi tedeschi per garantirsene l'appoggio. Pure in Italia seguiamo l'affermazione decisa dell'imperatore contro l'autonomia del gruppo di comuni italiani, ben sobillati, non certo per questioni dottrinali ma per interessi di bottega dall'onnipotenza terrena papale. Ecco allora l'arma dei antipapi e la presa di Roma per contrastare l'egemonia papale . Poco lo spazio dedicato alla battaglia di Pontida, sottolineato invece il successivo buon rapporto reciproco. Si trattava, in buona sostanza, della riaffermazione del diritto prioritario del Sacro Romano Impero, avendo come riferimento Carlo Magno. Emerge un politico duttile, duro con gli avversari ma capace di compromessi importanti pur di ottenere il raggiungimento delle finalità imperiali. Una lettura consigliata per anche per vedere il Barbarossa da un'angolazione non banalmente nostrana.
Id: 3424 Data: 14/07/2024 17:51:34
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- Letteratura
Umberto Bellintani Ovvero lessenza delle origini
Umberto Bellintani ovvero l'essenza delle origini Umberto Bellintani di se stesso scriverà: “Ho incominciato ad essere poeta forse troppo presto, mi pare tra gli otto o i nove anni. Fu allora che sentii poeticamente che avevo le mani, e avevo tutto il resto; fu allora che mi accorsi che avevano voce il silenzio e la solitudine, e l’avevano i campi e le acque; fu allora che sentii di parlare ad erbe e a fiori, e posai l’orecchio sul petto degli alberi”. Ecco perché è fondamentale, nella sua opera, parlare di terra nel senso pieno e delle sue radici ineliminabili, dell'unione del poeta e dell'intera vita sua con la primordialità della natura e conseguentemente con la quotidianità, senza incantamenti. Il suo rapporto con la natura non è il normale confronto come “...il rosseggiar di peschi e albicocchi...” alla Pascoli, perché la sua visione della vita è differente da ogni narrazione precedente. Nella poesia “sono un topo di campagna” infatti Bellintani disegna il suo ritratto nella bassa mantovana: con la Luna, la Casa, (tutti in maiuscolo), in quella fetta di terra, a Gorgo, dove visse la maggior parte della sua esistenza. Sono un topo di campagna Forse un giorno partirò dai campi miei, dal gorgheggio delle passere di luce per la grigia città. Me ne andrò alle pallide ombre dei vicoli, nella folla dei monotoni passaggi delle ore sui viali, alla muraglia delle case contro il cielo delle lodole. Non avvenga. Lasciatemi all’aperto mattino, al cammino sulle orme del passato, alla luna ch’è la Luna al mio paese, alla casa ch’è la Casa. Sono un topo di campagna, sono il grillo che nel cuore mi ricanta ogni sera se l’ascolto dal paterno focolare. Forse lo spaventa persino lo spazio illimitato della pianura e allora si àncora di più nel recinto amato, memore di quel che diceva il suo conterraneo Virgilio “dalle piccole cose nasce il grande”. Per questo la sua vita sottolinea il legame indelebile con le origini e gli impone di non abbandonare mai il borgo natio. Onnipresente, nella sua narrazione, è il fiume, non solo come presenza fisica ma una pienezza spirituale che lo compenetra. Ed è nominato semplicemente fiume, quello che dà la vita ma che spesso ghermisce abbozzi di esistenze lasciandone però sempre una scia a ricordare che nulla della vita è mai completamente perduto perché basta stare ”sempre lieti al core sulla riva”. Così si evidenzia il potente filo conduttore della poetica di Bellintani: la morte! La sua concezione della morte, rifiutata come finale, è unica, perché c'è sempre un'altra vita e anche se questa ti afferra lascia che il ricordo resti come testimonianza. L'eterno ritorno: giorno, notte, sole, luna, vita, morte. Ma non si trema mai davanti alla morte, “povera madre che soffre”, anche perché “in noi s'alterna timore d'essa e quieta attesa del suo riposo”. Ed è certamente nel vivere così intensamente il rapporto con la sacralità della vita che chiosa: “...soltanto un dolcissimo rapporto fra noi e il tutto fa ponte e il tempo passa lento e veloce” con l'inesorabilità delle stagioni, legate magneticamente all'incorruttibilità della natura in ogni suo aspetto, che resta ancora potente la spiritualità del messaggio di questo concreto visionario che nonostante il suo proverbiale silenzio ed il suo carattere ispido, ha lasciato per noi un monito duraturo da tesaurizzare. Umberto Bellintani è nato a San Benedetto Po il 10 maggio del 1914 ed è morto, dov'è nato, il 7 ottobre del 1999. Nonostante fosse appassionato di poesia sin da ragazzo, si diploma in scultura a 23 anni a Milano. Successivamente si trasferisce a Firenze dove farà parte di una cerchia di artisti fra cui i poeti Alessandro Parronchi, Giorgio Caproni ed il pittore Ottone Rosai al quale dedicherà una poesia alla sua morte. Di quella sua fase rimangono solo alcune opere che testimoniano il suo impegno per realizzarsi come scultore. La guerra e poi la prigionia in Germania per 2 anni interromperà ogni suo progetto. Ritornato a San Benedetto Po, dopo un periodo d'insegnamento del disegno, viene assunto come applicato, alla locale scuola media, dove rimarrà sino al pensionamento. Assieme al disegno e allo studio dei maestri, che non abbandonerà mai, inizia a comporre poesie. Partecipa felicemente ad alcuni importanti concorsi, facendosi presto apprezzare dalla critica. Pubblica anche alcune poesie per Elio Vittorini e Roberto Longhi. Dal 1953 al 1963 pubblica tre libri: Forse un viso tra mille, Paria e E tu che m'ascolti, vincendo anche due prestigiosi premi letterari. Nel 1963 nonostante continue sollecitazioni, smette di pubblicare, ma non certo di scrivere, pur mantenendo contatti con poeti e letterati. Si trattò quasi solamente di rapporti storici, perché in lui la ritrosia per la modernità, la famigliarità col silenzio dominavano ogni suo agire. Seguirono 35 anni di oblio editoriale, nonostante il suo nome fosse ormai ben conosciuto ed apprezzato. Quando pareva acconsentire ad incontri poi sfuggiva deciso, come quando inviò una serie di disegni ad una mostra a Firenze per poi precipitosamente ordinarne la distruzione. Oppure sfuggire ad un Quasimodo che s'era recato appositamente a San Benedetto per incontrarlo. Negli ultimi due anni della sua vita, pressato ulteriormente, pubblica “La grande pianura” un'antologia delle sue opere con un'integrazione di nuove opere e “Canto autunnale”. Rilevante fu il suo epistolario, per un credente della sacralità della terra come lui, con il suo vicino don Primo Mazzolari, “La tromba dello spirito Santo in terra mantovana”. Così come non stupisce il rapporto, anche cinematografico, con il regista Franco Piavoli, il poeta dell'immagine. Per lui partecipa a Voci nel tempo con cinque poesie ed un disegno. La poetica di Bellintani, non aderisce all'ermetismo ma non è comunque inquadrabile in nessuna delle correnti allora presenti. Si tratta di una poesia dell'essenza, scarnificata di orpelli, che va diretta al cuore dell'ispirazione. È una testimonianza del ciclo eterno della vita ed i legami esistenziali col grembo della Madre Terra che nutrono ogni essere vivente accompagnandolo sin dalla nascita, sempre. Non è affatto maligna Non è affatto maligna la morte è una povera donna infelice che ti passa la mano sul capo e gli occhi ti serra e il cuore te lo ferma e ti dice amorosa di dormire, di nulla temere. Non ha falce ne teschio la morte è una povera donna che soffre e che attende ogni figlio che muore e ogni volta che un figlio le muore e la mamma dolente che piange questa povera morte affettuosa. Dolce chiude l'ora di sera Forse non esiste Dio. Forse solo il rapporto fra noi esiste e gli alberi annosi o appena d'anni uno e le erbe e i coccodrilli e il buon tepore della sera. Non v'è che poi la morte ed altro ancora innanzi ad essa da soffrire. Ma poi tutto per lei si placa; e in noi s'alterna timore d'essa e quieta attesa del suo riposo: così oggi è da porre questo giorno fra non quelli di sofferenza e sgomento: dolce chiude l'ora di sera col risorgere di una ampia stellata. Dunque forse soltanto un dolcissimo rapporto fra noi e il tutto fa ponte e il tempo passa lento e veloce. Continuare Bisogna continuare a credere nella poesia, a vivere la vita. Bisogna uscire dalla folla, credere ancora in Dio, tornare fanciulli nel cuore, tornare alla contemplazione dei fiori, della luna, delle piccole e grandi cose. Lasciamoli agli altri gli stadi le macchine le fabbriche le adunate sulle piazze dove si infolla l’essere e muore. Se uccidi un grillo, quale strada può accogliere il tuo piede, quale cielo il tuo occhio? Quale cavallo la tua mano, quale fiore il tuo sorriso? Tutto è così difficile, impossibile… Ma chissà. È nel mistero il clamore bianco della gioia.
Id: 3416 Data: 02/07/2024 18:13:44
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- Letteratura
Umberto Bellintani Lessenza delle origini
Umberto Bellintani ovvero l'essenza delle origini Umberto Bellintani di se stesso scriverà: “Ho incominciato ad essere poeta forse troppo presto, mi pare tra gli otto o i nove anni. Fu allora che sentii poeticamente che avevo le mani, e avevo tutto il resto; fu allora che mi accorsi che avevano voce il silenzio e la solitudine, e l’avevano i campi e le acque; fu allora che sentii di parlare ad erbe e a fiori, e posai l’orecchio sul petto degli alberi”. Ecco perché è fondamentale, nella sua opera, parlare di terra nel senso pieno e delle sue radici ineliminabili, dell'unione del poeta e dell'intera vita sua con la primordialità della natura e conseguentemente con la quotidianità, senza incantamenti. Il suo rapporto con la natura non è il normale confronto come “...il rosseggiar di peschi e albicocchi...” alla Pascoli, perché la sua visione della vita è differente da ogni narrazione precedente. Nella poesia “sono un topo di campagna” infatti Bellintani disegna il suo ritratto nella bassa mantovana: con la Luna, la Casa, (tutti in maiuscolo), in quella fetta di terra, a Gorgo, dove visse la maggior parte della sua esistenza. Sono un topo di campagna Forse un giorno partirò dai campi miei, dal gorgheggio delle passere di luce per la grigia città. Me ne andrò alle pallide ombre dei vicoli, nella folla dei monotoni passaggi delle ore sui viali, alla muraglia delle case contro il cielo delle lodole. Non avvenga. Lasciatemi all’aperto mattino, al cammino sulle orme del passato, alla luna ch’è la Luna al mio paese, alla casa ch’è la Casa. Sono un topo di campagna, sono il grillo che nel cuore mi ricanta ogni sera se l’ascolto dal paterno focolare. Forse lo spaventa persino lo spazio illimitato della pianura e allora si àncora di più nel recinto amato, memore di quel che diceva il suo conterraneo Virgilio “dalle piccole cose nasce il grande”. Per questo la sua vita sottolinea il legame indelebile con le origini e gli impone di non abbandonare mai il borgo natio. Onnipresente, nella sua narrazione, è il fiume, non solo come presenza fisica ma una pienezza spirituale che lo compenetra. Ed è nominato semplicemente fiume, quello che dà la vita ma che spesso ghermisce abbozzi di esistenze lasciandone però sempre una scia a ricordare che nulla della vita è mai completamente perduto perché basta stare ”sempre lieti al core sulla riva”. Così si evidenzia il potente filo conduttore della poetica di Bellintani: la morte! La sua concezione della morte, rifiutata come finale, è unica, perché c'è sempre un'altra vita e anche se questa ti afferra lascia che il ricordo resti come testimonianza. L'eterno ritorno: giorno, notte, sole, luna, vita, morte. Ma non si trema mai davanti alla morte, “povera madre che soffre”, anche perché “in noi s'alterna timore d'essa e quieta attesa del suo riposo”. Ed è certamente nel vivere così intensamente il rapporto con la sacralità della vita che chiosa: “...soltanto un dolcissimo rapporto fra noi e il tutto fa ponte e il tempo passa lento e veloce” con l'inesorabilità delle stagioni, legate magneticamente all'incorruttibilità della natura in ogni suo aspetto, che resta ancora potente la spiritualità del messaggio di questo concreto visionario che nonostante il suo proverbiale silenzio ed il suo carattere ispido, ha lasciato per noi un monito duraturo da tesaurizzare. Umberto Bellintani è nato a San Benedetto Po il 10 maggio del 1914 ed è morto, dov'è nato, il 7 ottobre del 1999. Nonostante fosse appassionato di poesia sin da ragazzo, si diploma in scultura a 23 anni a Milano. Successivamente si trasferisce a Firenze dove farà parte di una cerchia di artisti fra cui i poeti Alessandro Parronchi, Giorgio Caproni ed il pittore Ottone Rosai al quale dedicherà una poesia alla sua morte. Di quella sua fase rimangono solo alcune opere che testimoniano il suo impegno per realizzarsi come scultore. La guerra e poi la prigionia in Germania per 2 anni interromperà ogni suo progetto. Ritornato a San Benedetto Po, dopo un periodo d'insegnamento del disegno, viene assunto come applicato, alla locale scuola media, dove rimarrà sino al pensionamento. Assieme al disegno e allo studio dei maestri, che non abbandonerà mai, inizia a comporre poesie. Partecipa felicemente ad alcuni importanti concorsi, facendosi presto apprezzare dalla critica. Pubblica anche alcune poesie per Elio Vittorini e Roberto Longhi. Dal 1953 al 1963 pubblica tre libri: Forse un viso tra mille, Paria e E tu che m'ascolti, vincendo anche due prestigiosi premi letterari. Nel 1963 nonostante continue sollecitazioni, smette di pubblicare, ma non certo di scrivere, pur mantenendo contatti con poeti e letterati. Si trattò quasi solamente di rapporti storici, perché in lui la ritrosia per la modernità, la famigliarità col silenzio dominavano ogni suo agire. Seguirono 35 anni di oblio editoriale, nonostante il suo nome fosse ormai ben conosciuto ed apprezzato. Quando pareva acconsentire ad incontri poi sfuggiva deciso, come quando inviò una serie di disegni ad una mostra a Firenze per poi precipitosamente ordinarne la distruzione. Oppure sfuggire ad un Quasimodo che s'era recato appositamente a San Benedetto per incontrarlo. Negli ultimi due anni della sua vita, pressato ulteriormente, pubblica “La grande pianura” un'antologia delle sue opere con un'integrazione di nuove opere e “Canto autunnale”. Rilevante fu il suo epistolario, per un credente della sacralità della terra come lui, con il suo vicino don Primo Mazzolari, “La tromba dello spirito Santo in terra mantovana”. Così come non stupisce il rapporto, anche cinematografico, con il regista Franco Piavoli, il poeta dell'immagine. Per lui partecipa a Voci nel tempo con cinque poesie ed un disegno. La poetica di Bellintani, non aderisce all'ermetismo ma non è comunque inquadrabile in nessuna delle correnti allora presenti. Si tratta di una poesia dell'essenza, scarnificata di orpelli, che va diretta al cuore dell'ispirazione. È una testimonianza del ciclo eterno della vita ed i legami esistenziali col grembo della Madre Terra che nutrono ogni essere vivente accompagnandolo sin dalla nascita, sempre. Non è affatto maligna Non è affatto maligna la morte è una povera donna infelice che ti passa la mano sul capo e gli occhi ti serra e il cuore te lo ferma e ti dice amorosa di dormire, di nulla temere. Non ha falce ne teschio la morte è una povera donna che soffre e che attende ogni figlio che muore e ogni volta che un figlio le muore e la mamma dolente che piange questa povera morte affettuosa. Dolce chiude l'ora di sera Forse non esiste Dio. Forse solo il rapporto fra noi esiste e gli alberi annosi o appena d'anni uno e le erbe e i coccodrilli e il buon tepore della sera. Non v'è che poi la morte ed altro ancora innanzi ad essa da soffrire. Ma poi tutto per lei si placa; e in noi s'alterna timore d'essa e quieta attesa del suo riposo: così oggi è da porre questo giorno fra non quelli di sofferenza e sgomento: dolce chiude l'ora di sera col risorgere di una ampia stellata. Dunque forse soltanto un dolcissimo rapporto fra noi e il tutto fa ponte e il tempo passa lento e veloce. Continuare Bisogna continuare a credere nella poesia, a vivere la vita. Bisogna uscire dalla folla, credere ancora in Dio, tornare fanciulli nel cuore, tornare alla contemplazione dei fiori, della luna, delle piccole e grandi cose. Lasciamoli agli altri gli stadi le macchine le fabbriche le adunate sulle piazze dove si infolla l’essere e muore. Se uccidi un grillo, quale strada può accogliere il tuo piede, quale cielo il tuo occhio? Quale cavallo la tua mano, quale fiore il tuo sorriso? Tutto è così difficile, impossibile… Ma chissà. È nel mistero il clamore bianco della gioia. Alberto Gaetano Castrini
Id: 3404 Data: 15/06/2024 21:34:40
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- Storia
La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arend
Hannah Arendt, all'atto del processo ad Adolf Eichmann, aveva 55 anni, la stessa età dell'imputato, ed era nota come filosofa e teorica politica. Ebrea tedesca, laureata in filosofia era stata legata al suo maestro Martin Heidegger. Nel 1933 all'avvento del nazismo riuscì a fuggire dalla Germania e dopo varie peregrinazioni europee si stabilì definitivamente nel 1941 negli USA. L'analisi delle dittature era una delle sue passioni: nel 1951 aveva infatti pubblicato “Le origini del totalitarismo” incentrata su stalinismo e nazismo. La sua lettura del processo era stata veramente laica e la pubblicazione dei suoi articoli nel febbraio /marzo del 1963 aveva scatenato l'ira dello Stato d'Israele. Adolf Eichmann era stato catturato dal Mossad in Argentina, nel 1960, dove viveva sotto falso nome con la sua famiglia. Il libro distrugge non solo il mito delle granitiche SS, visto che Himmler, senza consultare Hitler, smobilita precipitosamente l'apparato di sterminio e altro per essere pronto alla trattativa con i vincitori... Ma pure l'immagine dell'efficienza teutonica ne esce a brandelli nella descrizione di una serie di apparati burocratici in lotta fra loro per la supremazia politica! Sbaglia chi pensa che la “banalità del male” sia un'analisi psicologica del personaggio Eichmann, si tratta invece principalmente dello studio dell'anima del popolo tedesco e di come resse e supportò il tragico periodo hitleriano, abbeverandosi di slogan, per 12 anni. Perché, la Arendt lo spiega un intero capitolo, il dovere del cittadino tedesco è di essere ligio alla legge. Aggiungendo come la lontananza dalla realtà e la mancanza di idee sia più pericolosa degli istinti malvagi perché impedisce di capire ciò che si sta facendo. Per quanto riguarda l'imputato si tratta, sempre secondo la Arendt, del carattere istrionesco di un burocrate frustrato per non aver raggiunto il grado di colonnello. Privo di ogni personalità, per il quale, come per il popolo tedesco, risultava inconcepibile non obbedire agli ordini. Qualunque fossero! Come un qualsiasi postino! Eichmann, da bravo apprendista si era ben documentato sul problema ebraico diventando presto uno dei pochi “esperti” del problema. Prima del blocco totale dell'emigrazione, nell'autunno del '41, fece partire almeno 3.500 ebrei. Perché bisognava aiutare gli ebrei tedeschi ad andarsene (Madagascar, Palestina ecc..). Quando però Hitler dette il via alla “soluzione finale” si trasformò immediatamente nel “signore della morte”. Durissima la parte che analizza la collaborazione ebraica anche nella parte terminale del rastrellamento, perché all'inizio i sionisti credevano fosse addirittura possibile un accordo col regime! (Sarebbe bastato leggere Mein Kampf per capire il finale del percorso). Ci sono poi 4 capitoli che analizzano per i vari paesi europei le modalità di attuazione delle deportazioni ed il conseguente invio verso lo sterminio. Importante è vedere la differente obbedienza delle varie nazioni agli ordini hitleriani. L'Italia viene definita non antisemita perché attua solo sulla carta le leggi razziali e tergiversa non inviando i suoi ebrei, fino a quando i tedeschi, a seguito della della caduta del fascismo, invadono l'Italia e attuano completamente, con gli obbedienti fascisti, le leggi razziali. Altrettanto importante alla fine è la questione se la corte di Gerusalemme avesse soddisfatto la domanda di giustizia dell'umanità o se per fare questo si sia processato nel 1961 solo il “simbolo” Eichmann, poi giustiziato nel giugno del '62, quasi a sanare l'enormità del male patito. Per questo, scatenando feroci polemiche, l'autrice si chiede se Israele ne avesse titolo, perché il suo non era, a differenza di Norimberga, un tribunale internazionale atto a giudicare il crimine verso tutto il complesso degli esseri umani. Dal libro emerge la profondità e complessità di pensiero della filosofa Arendt e il suo sviscerare a fondo qualunque questione per cercare di capirne la genesi e l'evoluzione.
Id: 3261 Data: 23/12/2023 22:33:03
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- Religione
Oltre san Paolo di don Paolo Pagliughi
Don Paolo Pagliughi Oltre san Paolo (Il dio in cui noi possiamo credere. Intuito dai classici, oscurato dai cristiani, risorto con gli umanisti) L'attacco di Pagliughi verso san Paolo è totale e parte da un lettura psicologica del personaggio, asserendo che lui identifica la sua persona con la dottrina, vendicandosi con chi la rifiuta perché respinge la sua persona. Per questo ad ogni critica risponde che glielo ha detto Cristo, vietando perciò il libero pensiero! Più oltre l'autore sottolinea come la redenzione per la morte di Cristo sia un'invenzione di Paolo, a differenza di Barnaba per il quale i veri dogmi sono: speranza, giustizia e amore. Di conseguenza la grazia solo attraverso i sacramenti diventa merce di scambio (Lutero!). Ed è così che l'intolleranza si fa comandamento. Perciò Paolo asserisce: assoggettate l'intelligenza. Guardatevi da coloro che ostacolano la dottrina. Distruggerò la sapienza dei sapienti, l'intelligenza degli intelligenti, rendendoli soggetti all'obbedienza al Cristo perché essi non servono Cristo ma il proprio ventre e ingannano il cuore dei semplici. Paolo cancella così l'infinita misericordia del perdonare settanta volte sette trasformando la Chiesa che, attraverso la confessione, attua un processo giudiziario per ricavarne potere e vantaggi politici. La gestione dei fedeli diviene allora solo timore e terrore, con l'inferno che è il risultato di un potere intollerante e vendicativo al contrario di Dio che è amore. Totale l'opposizione paolina al mondo romano, sia per quanto riguarda il ruolo della donna, l'omosessualità e il rapporto con gli schiavi. Ernest Renan nella Vita di san Paolo dice: Paolo è la causa dei principali difetti della teologia cristiana. Cristo ha insegnato l'amore, Paolo la verità. Al calore dell'amore è subentrata la luce della fredda verità. Invece per Mario Luzi: Paolo è una figura enorme che usò la sua persona per oscurare con il proprio vangelo quello di Cristo. Nella parte finale troviamo un excursus sul libero pensiero dei filosofi dell'antichità e le novità intellettuali dell'umanesimo citate nel sottotitolo. In conclusione Don Pagliughi, “prete ateo per amore di Dio” che si è sempre battuto per il ritorno della religione alle origini evangeliche, pagando duramente per questo, delinea il ritratto del prete vero. .
Id: 3207 Data: 08/11/2023 21:25:33
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- Storia
Il cattivo tedesco e il bravo italiano di Filippo Focardi
Il bel libro dello storico Focardi parte col titolo ammiccante, furbesco, che pare promettere un rovesciamento del giudizio comune, anziché col più pertinente sottotitolo. L’analisi, alquanto approfondita, inizia ovviamente con “l’infame tradimento monarchico” dell’otto settembre 1943 e la conseguente slealtà verso il camerata tedesco. Il rovesciamento dell’alleanza trovò concordi sia l'élite militare italiana sconfitta che il variegato mondo dell’antifascismo e persino degli anti-antifascisti, supportati dalla storica antipatia italica verso i germanici. L'autore sottolinea continuamente le colpe Re e di Badoglio per la loro connivenza ventennale con Mussolini ed il fascismo sua creatura. Già poco prima dell’armistizio, sia Churchill che Roosevelt in messaggi radio, ampiamente ascoltati dagli italiani, avevano sottolineato le colpe del vergognoso governo mussoliniano, satellite di Hitler. Addossando conseguentemente alla responsabilità tedesca ogni crimine commesso. Implicitamente quest'analisi tendeva ad assolvere tutto il popolo italiano perché aveva subito il fascismo, dato che la vera Italia era stata vittima e non complice di Mussolini. Tra l'altro gli Stati Uniti dovettero digerire la monarchia italiana su pressione inglese. Tutto questo ha contribuito alla creazione dello stereotipo, tuttora vivo, del bravo italiano e, assieme al valore della Resistenza, a fianco degli alleati è servito a De Gasperi a rivendicare ad una nazione sconfitta una pace non punitiva, evitando tragiche condanne all'Italia. Al contrario della Germania che pagò con il suo smembramento anche la colpa d'essere rimasta compatta con Hitler sino all’epilogo. Non fu mai fatta nessuna analisi critica neppure sul comportamento italiano nelle colonie come a Debrà Libanòs (Graziani) o all’isola di Raab dove fu installato un campo di prigionia antislavo. Nessuna condanna sul comportamento dei generali Ambrosio e Roatta, responsabili delle forze armate italiane in Jugoslavia, per la loro attività di repressione delle attività partigiane e di guerra ai civili. Nessuna parola neppure sulla persecuzione antisemita attuata dal 1938. Secondo Focardi non ci furono colpe tedesche per le ritirate ad El Alamein nel novembre 1942 e sul Don nel dicembre 42 e gennaio 43 ma solo alcuni episodi negativi, senza alcun tradimento, però da li iniziò il disincanto verso i camerati tedeschi. In mancanza di una Norimberga italiana, inutilmente richiesta dall'infoibatore Tito, si chiuse qualunque attività giudiziaria. Senza processi, inevitabilmente, trionfò il mito del bravo italiano e, conseguentemente quello del cattivo tedesco.
Id: 3172 Data: 18/09/2023 22:20:58
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- Storia
Medioevo di Barbero e Frugoni
Medioevo di Alessandro Barbero e Chiara Frugoni I due storici aveva già lavorato assieme al Dizionario del Medioevo ma questa volta l'argomento viene trattato diffusamente, come una serie di lezioni. Il bel libro si legge scorrevolmente. Si tratta specialmente di capire il Medioevo; storia di voci, racconto di immagini. Molto utile la scelta di affiancare ai vari capitoli le immagini (sculture, pitture, miniature), che testimoniano l'aderenza del testo con la sua rappresentazione. Inizia con Romani e Germani, poi cristianizzazione, vassallaggio, mutazione feudale, l'origine dei comuni, riforma della Chiesa, ecc. sino a la rinascita dello Stato. Praticamente sono analizzati tutti i gangli di quel periodo, specialmente da Carlo Magno in poi. Vendono così sciolti i nodi, i meccanismi che hanno incasellato in formule ormai superate il cosiddetto periodo dei secoli bui. Mentre invece trattasi di evoluzioni e trasformazioni continue. Ogni argomento è smitizzato, tolto dagli stereotipi con i quali abbiamo letto il Medioevo sino ad ora. Persino con le Crociate si analizzano tutte le idealità che le hanno sorrette. Infatti faceva parte della crociata anche fare piazza pulita delle comunità ebraiche che s'incontravano nel passaggio verso la Terrasanta. Non sfugge all'analisi l’immutabile schematizzazione guelfi/ghibellini, persino il termine stesso medioevo. Un lavoro a quattro mani coinvolgente e ben riuscito.
Id: 3092 Data: 26/03/2023 22:29:01
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- Libri
Se questo è un uomo di Primo Levi
Mi sono finalmente deciso a leggerlo. Ho fatto bene! La prosa asciutta, asettica, da testimone non vendicatore ti sconcerta. Non c'è, volutamente, un grido, un pugno verso il cielo, una bestemmia! L'annichilimento totale dell'essere umano voluto dai nazisti ottiene il risultato sperato: i dannati sono senza volontà, sentimenti, futuro, speranze. Sono già morti! Quasi sperano nella Selezione (camera a gas), parola che non fa più nemmeno paura. Nella narrazione non ci sono bugie sulla solidarietà degli oppressi, perché anche questo è stato annientato. Persino quando si sentono i rombi delle cannonate del nemico che avanza non c'è nessuna reazione. Perché essere “il sopravvissuto che non ha rinunciato a nulla del proprio mondo morale è concesso solo ai martiri o ai santi”. E “la sola strada di salvezza conduce alla demenza e alla bestialità subdola”. Unico sprazzo di luce le lezioni di racconto della Divina Commedia. Si rimane senza fiato nel constatare la disumanità sino a quale abissi possa arrivare. Ed è per testimoniare questi che Levi si è posto il compito di scriverlo. Ma evidentemente il peso di questi misfatti aveva talmente inciso nella sua anima che alla fine è risultato insopportabile. Importanti le domande finali alle quali Levi risponde. Specialmente quando dice che i tedeschi, e i polacchi, non potevano non sapere. Colpisce che l'autore non sappia rispondere alla domanda sul perché nella storia gli ebrei vengano quasi sempre perseguitati.
Id: 3036 Data: 15/11/2022 19:02:11
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- Storia
Maria Stuarda di Stefan Zweig
Maria Stuarda di Stefan Zweig Questa volta a Stefan Zweig non è riuscita l'impresa di “Maria Antonietta. Una vita involontariamente eroica”. Eppure, aveva con la vita di Maria Stuarda una tragedia perfetta, senza limiti! Incoronata regina di Scozia a sei mesi, inviata a 5 anni in Francia come promessa sposa del Delfino che sposerà, presto divenendo regina di Francia. Però il destino pare tradirla con la morte rapida del giovane sposo. Ma che vita sarebbe stata con alle costole una suocera come Caterina de' Medici? Ritorna in patria a 19 anni nel turbine delle lotte cattolico anglicane. Si sposa nuovamente, ma l'amore non è eterno e ...allora suggerisce l'assassinio del coniuge e, cupe de théâtre, ne sposa l'artefice! Ribellione del popolo e dei candidi sovrani europei... Allora fugge. Dove? Dalla cugina Elisabetta d'Inghilterra! Dimenticando, la tapina, di avere sempre rivendicato per sé giusto quel trono! Continua perciò a tramare ed essere sempre al centro di congiure contro “l'amata sorella”. Come dipinge l'eroina il nostro biografo? “Si tratta di una persona non responsabile perché soggiogata dalle passioni”. Ed allora, non ritenendo affidabile nessun documento dell'epoca, si dilunga in risibili interpretazioni psicologiche. Così alla fine pure lui condividerà l'icona della martire, tanto cara alla Controriforma. Il peggio però Zweig lo darà nel dipingere le due sovrane come donnette isteriche perché prive delle forti spalle maschie.
Id: 3024 Data: 30/10/2022 21:20:33
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- Politica
La Russia di Putin di Anna Politkovskaja
Sa di tragedia il libro di Anna Politkovskaja. Ne ha tutto l'impasto greve e al tema si lancia dura con rari sprazzi di serenità. L'itinere è sempre sorvegliato dalla cupezza della Storia che serra questa nazione e la fatalità dei suoi bagni di sangue. Perché ancora figli della forma mentis sovietica: non contraddire mai i superiori ed eseguire gli ordini Si tratta solo di un periodo: la Russia di Putin e cosa è successo nel paese con il suo avvento. Dal 2000 al solo 2004. I suoi primi quattro anni! Nell'incipit è spiegato il motivo del libro: Putin tenente colonnello del nefasto KGB soffoca ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nella precedente professione, profanando qualunque cosa tocchi. Ha persino abolito, nel 2013, l'elezione diretta dei governatori, stracciando la Costituzione, in modo che solo UNO possa decidere. Ma noi non possiamo, grida Anna Politkovskaja, tollerare altri decenni di glaciazione per noi, figli, nipoti. Il racconto inizia con la II guerra cecena, voluta da Putin, nazione che la giornalista ben conosceva per aver vinto nel 2000 il Golden Pen Award dei giornalisti russi per le cronache dal fronte della prima guerra. Prosegue analizzando la società parlando di singole storie, della tragica quotidianità. La penosa odissea d'una madre alla ricerca del cadavere del figlio caduto in battaglia. Normali violenze degli ufficiali delle forze armate verso i soldati inferiori. Stupro e uccisione d'una ragazza cecena da parte d'un colonnello e processi farsa. La storia del capitano Dikij, dimenticato da Mosca col suo sommergibile atomico. Ladrocini di successo. Dopo i primi capitoli l'angoscia ti prende e ti chiedi perché la giornalista abbia proseguito infaticabile nonostante la scia di sangue che la precedeva. E che non si sarebbe certo interrotta! Sono infatti oltre 300 i giornalisti spariti o uccisi in Russia dal 1993! Forse perché è la rara scuola del giornalismo d'inchiesta che ci ha svelato l'origine delle rapide fortune dei nuovi oligarchi, formatisi nei dieci anni del disfacimento dell'URSS, con proprietà statali passate gratis alla criminalità. Dopo i vani tentativi della riforma Él'cin, la distorsione del sistema giudiziario viene completata da Putin, tornando al bolscevismo. Risultato: nessuno in Russia chiede più giustizia perché i tribunali, come il resto della società, sono corrotti sino all'osso. Il libro è un'interminabile accusa alle forze armate ed al loro comandate in capo e la conseguente impermeabilità alla democrazia. In Cecenia è stato loro permesso di comportarsi come in un poligono di tiro senza nessuno intorno, bambini compresi! L'efferata guerra ha tolto ai Russi quel poco di umano che rimaneva. Le conseguenti stragi d'innocenti non hanno minimamente scosso il paese. Perché, scrive la la Politkovskaja, negli ultimi anni siamo diventati molto più rozzi e molto più vili. Ma i veri responsabili siamo noi che ci limitiamo a dei borbottii da cucina, anche assuefatti alla banalità della ricerca del nemico ad ogni costo. Alla fine Valdimir Vladimirovič Putin diventa Akakij Akakievič Bašmačkin (Putin II), lo scialbo personaggio del Cappotto gogoliano che brama certezze che non possiede ricercandone perciò solo la parvenza. Che cosa glielo fa detestare al punto di dedicargli un libro di 370 pagine si chiede? “Putin può distruggerci se lo desidera. Lui è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in un tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Ed io non voglio che accada di nuovo”. Il libro verrà terminato il 6 maggio 2004, il giorno prima che Putin, il vendicativo con la formamentis del KGB e l'aspetto scialbo di chi non è riuscito a diventare colonnello, tornerà ad insediarsi per la seconda volta sul trono di tutte le Russie. Ha spezzato la Russia e l'ha costretta ad inchinarsi a lui, ma a differenza di Akakij Akakievič Bašmačkin non attenderà d'esser fantasma per vendicarsi della mala sorte. Infatti dopo 10 anni di guerra, la strage di Beslan e le donne kamikaze, riuscirà a terminare la guerra cecena con la riduzione in macerie dell'intero paese. La rielezione sarà comunque preceduta da un coro di osanna in Occidente: Blair, Schroeder, Chirac, Bush junior ma specialmente Silvio Berlusconi, il caro Silvio che di lui è invaghito ed è il suo paladino in Europa Postscriptum Il 10 luglio 2004 vengono uccisi il giornalista Pavel Chlebnikov e Viktor Čerepkov deputato, uno pochi non obbedienti della Duma, per impedirgli di diventare sindaco di Vladivostok. Il 1 settembre 2004 la Politkovskaja partirà immediatamente per Beslan, all'inizio del sequestro che terminerà due giorni dopo con 334 morti, dopo l'intervento gassificatore putiniano. Il suo viaggio però s'interromperà subito perché si tentò d'avvelenarla. Sarà assassinata il 7 ottobre 2006. Giorno del compleanno di Putin! La voce di Anna Politkovskaja, forse l'unica che aveva compreso le sue intenzioni sin dal 2004, continua ad ammonirci. Ricorda la pericolosità di un autocrate che ha invaso una libera nazione come l'Ucraina, incedendo col suo vacuo sorriso su migliaia di cadaveri e gettando l'Europa ed il mondo intero nel baratro di una nuova guerra.
Id: 3001 Data: 04/08/2022 19:48:43
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- Storia
Dux di Margherita Sarfatti
Non è facile scrivere di un libro politico uscito quasi cento anni fa. Però anche questo fa parte dell'analisi del fascismo italiano sul quale non si cessa d'interrogarsi. Scritto tre anni dopo la presa del potere, con la Marcia su Roma, non si comprende se lo scopo della Sarfatti fosse di spiegare Mussolini agli italiani o chi dall'estero s'interrogava sulla natura del fascismo. Margherita è stata in parte la fattrice del mito del “Duce” e dell'enorme culto della sua figura. Intellettuale di pregio, proveniva anch'essa dalle file socialismo, come la stimata Anna Kuliscioff, quella che definì Mussolini un poetino che aveva letto Nietzsche. Quello che però stupisce e rende illeggibile oggi il testo è il livello di sudditanza dell'intellettuale verso la sua creatura. Una vera intervista in ginocchio! Si parla con entusiasmo della vittoria elettorale del 1924. Quella denunciata come chiaramente fraudolenta, in Parlamento, da Giacomo Matteotti e che gli costò immediatamente la vita. Vittima, secondo la biografa, solo di un misfatto diabolico! Ovviamente sin dalla nascita erano chiari i segni della genialità del nostro. Ma specialmente si tratta della lettura post della Storia, che interpreta ogni atto come premessa dell'apice. Perché, già nella trincea della I guerra, si presagiva a quali compiti fosse destinato il caporal maggiore Mussolini “circondato da italiani eccellenti e fedeli che ambivano solo a trovare un vero Capo”. Quello che nel 1915 scrisse: “Sono sempre più convinto che per la salute dell'Italia bisognerebbe fucilare, ripeto fucilare, nella schiena qualche dozzina di deputati e mandare all'ergastolo un paio di ex ministri. Credo con fede profonda che il Parlamento sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo!” Purtroppo non tutti nutrivano “disprezzo per la molle democrazia e le sue battaglie schedaiole” e allora “...dovevamo imporre le nostre idee ai cervelli a suon di randellate per toccare i crani refrattari”. Individui che ignoravano “il magnetismo di uno spirito superiore”, paragonato dalla biografa, alla possanza del Colleoni immortalato dal Verrocchio. Ovviamente non mancano autentiche invenzioni come “L'alta fraternità che mai si smentì fra il Poeta ed il Condottiero”! A proposito di D'Annunzio. Verso la fine del libro l'adorazione oltrepassa ogni decenza perché: oltre all'uomo che rinnova le partecipazioni del divino alla vita umana, l'abolizione delle idee intermedie, al restauratore dell'intransigente verità, finisce con Duce che per pudico pathos rifugge dall'applauso con cura! Si capisce allora perché, come risulta dagli atti, Mussolini fece alle bozze solo pochissime insignificanti correzioni ad un testo che gronda di un servilismo stomachevole. Non è facile scrivere di un libro politico uscito quasi cento anni fa. Però anche questo fa parte dell'analisi del fascismo italiano sul quale non si cessa d'interrogarsi. Scritto tre anni dopo la presa del potere, con la Marcia su Roma, non si comprende se lo scopo della Sarfatti fosse di spiegare Mussolini agli italiani o chi dall'estero s'interrogava sulla natura del fascismo. Margherita è stata in parte la fattrice del mito del “Duce” e dell'enorme culto della sua figura. Intellettuale di pregio, proveniva anch'essa dalle file socialismo, come la stimata Anna Kuliscioff, quella che definì Mussolini un poetino che aveva letto Nietzsche. Quello che però stupisce e rende illeggibile oggi il testo è il livello di sudditanza dell'intellettuale verso la sua creatura. Una vera intervista in ginocchio! Si parla con entusiasmo della vittoria elettorale del 1924. Quella denunciata come chiaramente fraudolenta, in Parlamento, da Giacomo Matteotti e che gli costò immediatamente la vita. Vittima, secondo la biografa, solo di un misfatto diabolico! Ovviamente sin dalla nascita erano chiari i segni della genialità del nostro. Ma specialmente si tratta della lettura post della Storia, che interpreta ogni atto come premessa dell'apice. Perché, già nella trincea della I guerra, si presagiva a quali compiti fosse destinato il caporal maggiore Mussolini “circondato da italiani eccellenti e fedeli che ambivano solo a trovare un vero Capo”. Quello che nel 1915 scrisse: “Sono sempre più convinto che per la salute dell'Italia bisognerebbe fucilare, ripeto fucilare, nella schiena qualche dozzina di deputati e mandare all'ergastolo un paio di ex ministri. Credo con fede profonda che il Parlamento sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo!” Purtroppo non tutti nutrivano “disprezzo per la molle democrazia e le sue battaglie schedaiole” e allora “...dovevamo imporre le nostre idee ai cervelli a suon di randellate per toccare i crani refrattari”. Individui che ignoravano “il magnetismo di uno spirito superiore”, paragonato dalla biografa, alla possanza del Colleoni immortalato dal Verrocchio. Ovviamente non mancano autentiche invenzioni come “L'alta fraternità che mai si smentì fra il Poeta ed il Condottiero”! A proposito di D'Annunzio. Verso la fine del libro l'adorazione oltrepassa ogni decenza perché: oltre all'uomo che rinnova le partecipazioni del divino alla vita umana, l'abolizione delle idee intermedie, al restauratore dell'intransigente verità, finisce con Duce che per pudico pathos rifugge dall'applauso con cura! Si capisce allora perché, come risulta dagli atti, Mussolini fece alle bozze solo pochissime insignificanti correzioni ad un testo che gronda di un servilismo stomachevole. Ma poi, succede spesso, che la creatura si ribelli al creatore e allora già nel 1929: “...Poiché voi non possedete ancora l’elementare pudore di non mescolare il mio nome di uomo politico alle vostre invenzioni artistiche o sedicenti tali, non vi stupirete che alla prima occasione e in un modo esplicito, io preciserò la mia posizione e quella del Fascismo di fronte al cosiddetto ’900 o a quel che resta del fu ’900”. Il loro rapporto troncò, oltre all'avvento della giovane Claretta Petacci, quando, nel 1938 alla promulgazione delle funeste leggi della Difesa della Razza, Margherita Sarfatti, di origine ebraica, varcò prontamente il confine svizzero che distava solo alcuni chilometri dalla sua residenza estiva.
Id: 2994 Data: 22/07/2022 23:36:37
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- Storia
Mussolini e i ladri di regime
Canali/Volpini Mussolini e i ladri di regime (Gli arricchimenti illeciti del fascismo) Il libro di oltre 200 pagine, inizia dal mito dell'onestà fascista e della questione morale, poi analizza l'arricchimento di alcune delle figure eminenti del ventennio. Si tratta di una ricerca dettagliata e mai noiosa quella proposta dai due autori su questo capitolo di malaffare, sconosciuto ai più. Si inizia con Alessandro Pavolini il duro e puro del regime, che da protetto di Galeazzo Ciano diverrà suo implacabile nemico al fatale Processo di Verona. Fiumi di danaro per l'attrice Doris Duranti e contratti cinematografici pilotati per l'amante del Robespierre Nero. Finale: l'attrice lamenterà uno “scippo” da parte dello Stato di 30 milioni, la famiglia invece concorderà la restituzione di soli 250.000 lire a rate. Questo perché la legge stabilì che solo i beni “acquistati “ nel solo quinquennio anteriore il 25 luglio del 1943 potevano essere oggetto di indagine sugli illeciti arricchimenti! Roberto Farinacci il ras di Cremona; l'inchiesta sull'ex ferroviere valuterà nel 1949 il suo patrimonio in 600 milioni di lire e agli eredi basteranno 8 milioni per chiudere il contenzioso. Edmondo Rossoni, ex sindacalista rivoluzionario, definito la migliore forchetta del Regime, concorderà con l'Erario la restituzione di 26 milioni e rotti... Guido Buffarini Guidi, ministro dell'Interno, riuscì tra l'altro a mettere le mani anche su beni ebraici, il suo patrimonio illecito sarà valutato oltre 10 milioni. Capitolo importante quello della famiglia Ciano; il conte Costanzo ed il celebre figlio Galeazzo. Gli eredi concorderanno nel 1951 la restituzione di ben 25 milioni, il 10% degli illeciti accertati! Non fece però parte dei beni un capolavoro di Boldini regalato a Galeazzo da Göring che l'aveva “prelevato” da casa Rothscild. Nel clan Petacci, oltre a Claretta, beneficiaria di un budget di 200.000 lire mensili, l'intera famiglia era economicamente favorita. In particolare Marcello, fratello di Claretta, si evidenziò con i suoi numerosi traffici con la Spagna. Come per i Ciano e Mussolini la magistratura nemmeno provò ad approfondire i fondati sospetti di sostanziosi depositi in banche svizzere. Per quanto riguarda Mussolini, lo Stato non riuscì a farsi restituire il castello di Rocca delle Camminate, per una “vendita truffaldina” effettuata a suo tempo da Mussolini alla moglie Rachele. L'immobile fu da questa venduto nel 1962 per 45 milioni. Rachele venne comunque sanzionata per 20 milioni (versati in contanti). Capitolo a parte invece per le proprietà immobiliari dei nipoti. Conclusione: il libro demolisce il mito del Fascismo onesto, popolare e austero ma pure quello del Duce, dalle cui tasche non cadde un solo centesimo!
Id: 2922 Data: 28/03/2022 21:50:59
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- Letteratura
Acqua passata
Margherita G. Sarfatti Acqua passata In questo libro, pubblicato nel 1955, Margherita Sarfatti (1880-1961) presenta i più importanti personaggi artistici o politici che ha incontrato come intellettuale, esperta d'arte e tenutaria di un frequentatissimo salotto intellettuale milanese. Insomma una collezionista di celebrità! Si tratta di una carrellata, che non si limita all'aspetto psicologico ma guarda con acutezza alla società in cui vivono. Il tutto scritto con leggerezza, anche se con una prosa un po' vetusta, figlia dell'epoca. Va detto però che a volte nel tratteggiare i personaggi l'autrice non si sottrae alla maldicenza, che mal s'addice ad una gran signora. Sfila Giolitti: solitario volpone, solido come le rupi natie. Criticato ma insostituibile. Il bel giovane Marconi che ragiona sempre differentemente dagli altri e che preconizza la conoscenza di Marte e della Luna. Il bonario cardinale Giuseppe Sarto (poi Pio X) che ha un rapporto d'amicizia con il padre della scrittrice. D'Annunzio: per lui un solo personaggio inviolabile, il Padre Eterno D'Annunzio! Pirandello del quale s'interroga se contagiò lui la moglie con la pazzia o se fu lei la levatrice dei suoi testi. Poi l'amore senile per Marta Abba che seccò la sua arte. Ampia la carrellata sull'intellighenzia socialista, che conobbe da collaboratrice dell'Avanti! Sfilano: Filippo Turati, fedele ad una meticolosa probità morale ed intellettuale; Anna Kuliscioff la rigorosa zarina dal cervello virile, unica donna di stato socialista e poi Bissolati, Prampolini e altri. Ampio il capitolo dedicato alle regine e principesse di casa Savoia e Aosta. Sorprendentemente senza commento, il rammarico della regina Elena per la firma del Re alla dichiarazione della seconda guerra! (Ma il fascismo dove stava?) Grande capitolo finale su Franklin Delano Roosvelt, la sua famiglia e sguardo sulla società e lo spirito statunitense. Una solo riferimento al fascismo, che ad avviso dell'autrice raccolse la quasi unanimità delle forze popolari (non importa se non esisteva altra scelta!). Nessun commento sulle leggi razziali e lo sterminio degli ebrei, fra cui la sorella. Pronta però la Sarfatti, alla promulgazione, con la sua immediata fuga in Svizzera, il cui confine distava utilmente solo alcuni chilometri dalla sua villa comasca. Forse da una firmataria del Manifesto degli intellettuali fascisti, stilato l'anno successivo all'assassinio di Matteotti, non ci si poteva aspettare nessun ravvedimento! Stupisce invece che non sia citato una sola volta Mussolini, del quale scrisse il celebratissimo Dux. Ne fu amante ufficiale per un ventennio, oltre che ispiratrice del rapporto fra fascismo e borghesia dalla quale lei proveniva. A meno che la frase “...vedo i piedi di creta anche dell'idolo di cui venero l'alta fronte...” Sua conclusione: la saggezza è un dono divino ma è anche una conquista della moderazione sulla passione.
Id: 2857 Data: 22/11/2021 22:17:41
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- Religione
Inchiesta sul cristianesimo
Corrado Augias e Remo Cacitti Inchiesta sul cristianesimo Il libro è impostato come un'intervista che il “profano” Augias pone al professor Cacitti, insegnante di Letteratura cristiana e storia del cristianesimo presso la Statale di Milano. Questo libro, del 2008, il cui sottotitolo è “Come si costruisce una religione” è il secondo su questo tema iniziato dal giornalista, dopo Inchiesta su Gesù. Per questo ad un ateo come Augias interessa spogliare Yehoshua dai paludamenti immediati costruiti con la costruzione del cristianesimo da parte di Saulo e successivi. “Il vangelo da me annunciato non è modellato sull'uomo; infatti non l'ho ricevuto ne l'ho imparato da uomini ma per rivelazione da Gesù Cristo” lettera ai Galati 1,11-13. Si passa perciò sin da subito dal Gesù della storia al Cristo della fede. “Le parole e le gesta di Gesù ci sono tramandate in funzione dei bisogni e dei contesti delle varie comunità che li hanno raccolti” Apprendiamo come i nomi degli evangelisti siano di comodo, senza nessuna attinenza coi personaggi storici. Stupisce anche apprendere che a Giacomo spetti un ruolo principale nella gerarchia perché fratello di Gesù. Lo dicono gli evangelisti Matteo e Marco, che nominano anche gli altri fratelli: Giuseppe, Giuda, Simone e Saulo. Le prime comunità praticarono un cristianesimo naif, definito successivamente eretico, perché le regole sono spesso fissate a posteriori con rettifiche ed aggiustamenti. Inizierà l'imperatore Teodosio ad obbligare, pena la morte, ad essere veri cristiani. Ecco allora sant'Ambrogio scagionare i distruttori di una sinagoga perché vi si negava la presenza di Cristo. Successivamente S. Agostino giustificherà la repressione verso gli eretici con la citazione dalla parabola “...allora vai e costringi ed entrare chiunque passa...” Dobbiamo attendere il XIX secolo con i protestanti tedeschi per l'analisi e la separazione del Gesù storico dal Cristo teologico. Tesi rifiutata dal cardinale Ratzinger (poi Benedetto XVI) che ribadirà invece l'attinenza della teologia con la storia. Nelle 276 pagine non si troverà la risposta a tante questioni ma può essere questo l'inizio per chi voglia iniziare un percorso di approfondimento su questi temi.
Id: 2852 Data: 14/11/2021 21:47:24
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- Letteratura
Giovanna DArco di Franco Cardini
Il libro di quasi duecento pagine del 1998 affronta, con la consueta competenza condita da ironia sottotraccia di Franco Cardini, una figura/mito come Giovanna d'Arco. Il personaggio, amato dall'autore, che si rivolge a: studenti, insegnanti e “a conforto di chi crede ancora che la Storia offra certezze”. L'inizio è alquanto noioso per l'elenco dettagliato di tutta, proprio tutta, la nobiltà francese e britannica dell'epoca. Ma la maggior parte del testo non è dedicata ai due anni della battaglie di Giovanna ma all'anno trascorso in prigione e specialmente al processo. Chiaramente Cardini si prefigge di togliere Giovanna dalla facile icona dell'eroina per analizzare con amore i passi della detenuta e i suoi (pochi) errori di difesa. Ma è specialmente su questo, analizzando anche le modalità giuridiche dell'epoca, che Cardini, segue quasi giorno per giorno la sua Giovanna e la forza che le viene dalle sue “voci”, il suo breve e oscuro ritrattare e poi l'inevitabile rogo. Particolare interessante è anche il capitolo finale dedicato alla cultura, principalmente francese, e alla creazione del mito di Giovanna D'Arco.
Id: 2843 Data: 25/10/2021 22:08:02
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- Letteratura
La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth
Il testo sarà conosciuto anche per il capolavoro cinematografico di Ermanno Olmi. L’autore, Joseph Roth, austriaco d’origine ebraica della grande stagione letteraria di Werfel, Musil ecc, ed è testimone diretto dello sgretolamento dell’impero Austro-Ungarico: soldato durante la prima guerra mondiale, è fatto prigioniero dai russi. Dalle conseguenti derive umane e sociali del crollo trarrà i suoi più celebri: La marcia Radetzky e La Cripta dei Cappuccini. Roth, in questo volumetto di nemmeno settanta pagine, ambientato a Parigi, dove nel 39 morirà come rifugiato dopo l’annessione hitleriana dell’Austria, da una prova alta di come si possa scrivere, anche di temi gravi con leggerezza poetica. É la breve storia (amaramente autobiografica, perché Roth morirà appena quarantenne per etilismo) di Andreas, un clochard alcolizzato che vive sotto i ponti. A lui il fato consentirà l’opportunità di cambiare sorte, con gruzzolo di denaro inverosimilmente ricevuto in prestito. Sprecherà invece ogni occasione, lasciandosi trascinare dall’ignavia, prima della resa dei conti finale. Non temete, il racconto non è triste, e si potrebbe definire il tragitto di un individuo affrancato alla fine dalla Grazia. Quella laica. L’icipit ed il finale sono seducenti. Anche tutto il testo veleggia rapido, scorrevolissimo, e vi spingerà, come raramente capita chiusa l’ultima pagina, a proseguire la conoscenza di questo rilevante autore del novecento.
Id: 2809 Data: 26/06/2021 23:32:15
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- Letteratura
Lalfabeto dellestasi Vita di Emily Dickinson di Barbara La
Barbara Lanati – Vita di Emily Dickinson – L'alfabeto dell'estasi Questa biografia, di poco meno di duecento pagine, edita nel 1998, ritengo sia imperdibile per chi voglia oltrepassare le nebbie che avvolgono, con suo impegnato compiacimento, la vita della grande poetessa Emily Dickinson. Nei cinquantasei anni della sua vita, di cui si dice, almeno una “ventina” in uno strettissimo auto isolamento. Si spostò rarissimamente dalla sua Amhrest nel Massachusetts, dove visse e morì. Bastandole l'intima cerchia madre/padre, sorella/fratello/cognata. Dicevamo che Emily impiegò la sua vita a celarsi al mondo; di lei esiste solo una foto sedicenne. Basti pensare che in vita pubblicò solo alcune poesie e la sua sterminata produzione (1775 opere) venne alla luce solo dopo la sua morte. Il grande merito della biografa Barbara Lanati non è solamente quello di accompagnarci con alcune sue poesie ma specialmente di cercare di farcela conoscere intimamente attraverso le sue 1409 lettere. Lettere a conoscenti, parenti e amici spesso accompagnate da mazzolini di fiori e ovviamente poesie. Anche in queste (al netto delle censure posteriori) Emily nasconde i soggetti dei suoi amori. “Potessi soltanto ormeggiare - stanotte - /In te”! Evidentemente l'ermeticità non è solamente la trama della sua opera poetica! Si tratta di un'enorme potenziale d'amore che lei non sa dove collocare! “Notti selvagge - Notti selvagge!/Fossi io con te/Notti selvagge sarebbero/La nostra voluttà!...” Emerge un mente che si pone oltre le convenzioni puritane del suo tempo. Pure la sua visione religiosa è fuori sintonia: “Quelli - che morivano allora,/Sapevano dove andare/Andavano alla Destra di Dio/Quella Mano è amputata ora/E Dio non si riesce a trovare...“ In tempi precedenti per lei si sarebbe sicuramente acceso il rogo. Fondamentale nella sua poetica, è il dialogo quotidiano con la natura che la circonda; sincero mezzo per misurarsi e dialogare incessantemente col mondo. Così il suo sguardo non ferma di certo alla siepe di casa. Altrettanto costante è l'interfaccia con la morte. Questa però, a mio parere, non è mai vissuta con terrore ma come flusso naturale dalla vita. Quasi una sorta di “sora morte” francescana. “Questo Mondo non è Conclusione./Un seguito sta al di là/Invisibile, come la Musica/Ma concreto, come il Suono...”
Id: 2764 Data: 07/03/2021 22:15:39
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- Letteratura
Confesso che ho vissuto di Pablo Neruda
Superata la cautela d’obbligo nella lettura delle autobiografie, spesso intrise d’autocelebrazione e scarsa obiettività, stavolta parlerò di questi quaderni di memoria. Pablo Neruda, l’autore, non ha certo bisogno di essere presentato. Ai più sarà certamente noto per le sue bellissime e sensuali poesie d’amore. Rimangono invece solitamente misconosciute quelle relative alla sua terra, al suo impegno e militanza politica. I quaderni sono in disordine cronologico, però, superata un poco di freddezza iniziale, il libro decolla rapidamente. Farete la conoscenza assieme a lui di alcuni dei maggiori intellettuali del novecento; Garcia Lorca, Majakovski, Rafael Alberti, ecc. Cresce, divenendo il substrato della sua anima, l’amore per la sua terra, intesa nel senso delle radici linfatiche. Con la guerra civile spagnola il suo vedere cambia; scopre il popolo e la poesia politica. Emerge dalle pagine un ritratto del Cile e delle condizioni sociali dell’America Latina che spiegano, più d’ogni trattato, le condizioni di sfruttamento e oppressione che ne hanno segnato in negativo la storia. L’adesione al comunismo è per lui inevitabile, come pure il conseguente innamoramento dell’URSS. Però Neruda non censura queste pagine e ammette amaramente la successiva disillusione e la sua intima tragedia. Soggiornerete con lui nel suo selvaggio rifugio all’Isla Negra, sulla costa del Pacifico poco lontano da Valparaiso, e al quale intitolò il famoso memoriale. Le ultime pagine sono disperate; al termine di una vita pienamente legata alla sua gente, deve assistere impotente ad uno dei golpe più sanguinari del Sudamerica. Solo dodici giorni, il grande poeta resisterà allo scempio del suo amato paese, da parte della dittatura militare di Pinochet. Il libro vi farà conoscere l’uomo-poeta e, anche, di riflesso, una generazione politica non solo sudamericana. Ma specialmente potrete rileggere i suoi capolavori e penetrarli. Meglio di prima. Superata la cautela d’obbligo nella lettura delle autobiografie, spesso intrise d’autocelebrazione e scarsa obiettività, stavolta parlerò di questi quaderni di memoria. Pablo Neruda, l’autore, non ha certo bisogno di essere presentato. Ai più sarà certamente noto per le sue bellissime e sensuali poesie d’amore. Rimangono invece solitamente misconosciute quelle relative alla sua terra, al suo impegno e militanza politica. I quaderni sono in disordine cronologico, però, superata un poco di freddezza iniziale, il libro decolla rapidamente. Farete la conoscenza assieme a lui di alcuni dei maggiori intellettuali del novecento; Garcia Lorca, Majakovski, Rafael Alberti, ecc. Cresce, divenendo il substrato della sua anima, l’amore per la sua terra, intesa nel senso delle radici linfatiche. Con la guerra civile spagnola il suo vedere cambia; scopre il popolo e la poesia politica. Emerge dalle pagine un ritratto del Cile e delle condizioni sociali dell’America Latina che spiegano, più d’ogni trattato, le condizioni di sfruttamento e oppressione che ne hanno segnato in negativo la storia. L’adesione al comunismo è per lui inevitabile, come pure il conseguente innamoramento dell’URSS. Però Neruda non censura queste pagine e ammette amaramente la successiva disillusione e la sua intima tragedia. Soggiornerete con lui nel suo selvaggio rifugio all’Isla Negra, sulla costa del Pacifico poco lontano da Valparaiso, e al quale intitolò il famoso memoriale. Le ultime pagine sono disperate; al termine di una vita pienamente legata alla sua gente, deve assistere impotente ad uno dei golpe più sanguinari del Sudamerica. Solo dodici giorni, il grande poeta resisterà allo scempio del suo amato paese, da parte della dittatura militare di Pinochet. Il libro vi farà conoscere l’uomo-poeta e, anche, di riflesso, una generazione politica non solo sudamericana. Ma specialmente potrete rileggere i suoi capolavori e penetrarli. Meglio di prima.
Id: 2754 Data: 10/02/2021 22:39:03
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- Letteratura
Un ombra ben presto sarai di Osvaldo Soriano
Osvaldo Soriano giornalista e scrittore argentino (Mar del Plata 1943- Buenos Aires 1997) è abbastanza conosciuto anche in Europa. Inizia la sua attività come giornalista nella metà degli anni sessanta, e la sua fama inizia con il racconto”Triste, solitario Y final” del 1973. Con il sanguinoso golpe militare del 1976, lascia il paese per stabilirsi in Europa dove rimarrà sino al ritorno della democrazia. Al suo rientro, nel 1984, oltre al giornalismo proseguirà, ormai celebre, l’opera di scrittore fino alla fine. Grande appassionato di calcio e di cinema trasporterà queste passioni nelle sue numerose opere. Il testo in questione, prende il titolo dal famoso tango Caminito, è del 1990 ed è la storia di un informatico ritornato in Argentina nella speranza che il ripristino della libertà significhi anche riscatto economico suo e del paese. Farà il viaggio assieme ai personaggi più incredibili; un’astrologa imbrogliona, un banchiere divenuto giocatore d’azzardo, un impresario di circo in rovina, dei militari e ragazzi che emigrano. Un’umanità di perdenti. La vicenda non può che essere ambientata nella pampa sterminata, nell’infinito nulla. Il protagonista di questo viaggio, che non va da nessuna parte, si lascia trainare dai fatti senza imporsi o lottare, come un impotente naufrago, circondato da personaggi grotteschi. Si tratta, con la scrittura piacevolissima che gli è congeniale, di un’amara metafora sul popolo argentino, sulla sua ricerca d’identità, sulla solitudine. Anni dopo Marcos Aguinis, autore purtroppo poco tradotto, analizzerà lucidamente lo stesso tema nei due splendidi volumi: “El atroz encanto de ser argentinos”. Soriano urla disperato “perché non possiamo smettere d’essere ridicoli, patetici, suicidi melanconici, pronti a cadere in tutte le trappole della Storia e patire per tutti i governi dopo aver creduto alle loro promesse?” Non si tratta stavolta dell’impossibilità dell’esistere, del mal vivere, ma dell’impietosa analisi di un paese tanto amato e raffigurato icasticamente come un treno pronto per partire ma senza macchinista e passeggeri.
Id: 2751 Data: 07/02/2021 22:17:14
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- Religione
Senza Dio di Giulio Giorello
Argomento caro al filosofo Giulio Giorello l'ateismo, già affrontato in “Di nessuna chiesa” e svariati articoli. Qui viene particolarmente eviscerato cercandone i fili, le origini, attraverso un'analisi non leggera. All'autore “non interessa l'esistenza o la non esistenza di qualche divinità quanto il fatto che Dio può venire impugnato come clava per sottrarci ogni forma di autonomia...si deve evidenziare l'infondatezza di tale pretesa da parte di chiunque: maghi, incantatori, sacerdoti, funzionari di partito, imbonitori televisivi”. Altra tesi è che “I vizi non sono crimini” (Lysander Spooner) ma questo non è ammesso dalle chiese e nemmeno dai totalitarismi. Hitler, ad esempio: “Quanto più si allentano i freni e si lascia libero il campo alla libertà individuale tanto più la storia di un popolo si avvia al regresso civile”. I fari che sorreggono l'analisi sono John Stuart Mill che mira a ridurre non l'eccesso di libertà dell'individuo ma del legislatore e Baruch Spinoza il teorico della potenza del libero intelletto. Non tralasciando Darwin e la selezione naturale. Giorello però denuncia anche la futilità di quell'ateismo che fonda sulle prove la non esistenza di Dio. Il sottotitolo è infatti “Del buon uso dell'ateismo”. Perché la forza dell'ateismo non sta nel dimostrare che Dio non c'è ma nel rifiuto di riconoscerlo come padrone. Di conseguenza non ci può essere mai nessun abbassamento, nessun inginocchiamento.
Id: 2667 Data: 13/08/2020 22:07:59
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- Storia
Hitler di Joachim Fest
Il corposo volume, oltre mille pagine, non è una narrazione storica ma un'analisi psicologica di Hitler, del suo sviluppo mentale e della sua incapacità strutturale di affrontare una realtà difforme dal proprio pensiero. Che si blocca, senza dettagliarlo troppo, alla sua giovinezza viennese. Gli anni della permanenza nell'odiata capitale multietnica e della nascita del suo odio verso gli ebrei ritenuti “la tubercolosi razziale dei popoli”. Cercherà di evitare il servizio militare per l'impero austro-ungarico per presentarsi invece volontario alla guerra accanto ai “fratelli tedeschi”. Viene analizzato il suo sviluppo politico per oltre settecento pagine, poco rimane alla guerra (alla misteriosa “fuga” di Hess è dedicata una sola riga). Al processo per il putsch del 1923 von Lossow dichiarerà di lui “...privo di tatto, limitato, noioso, ora brutale, ora sentimentale e comunque spregevole". Alla fine della deposizione richiederà vanamente, una perizia psichiatrica Rimane incredibile come nel divenire cancelliere, nel 1933, sopprima senza colpo ferire, partiti, sindacati e associazioni padronali, calpestando la costituzione, senza che nessuno degli alleati governo s'opponga. Così pure attuerà subito una epurazione massiccia di magistrati e dirigenti statali con quel mix di adulazione/intimidazione, forca/festa Ci fu però chi avvertì da subito il baratro. Il generale Ludendorff, ex alleato di Hitler nel putsch di Monaco assieme a von Lossow, scrisse una lettera aperta al presidente Hindenbug: “Avete consegnato la nostra sacra madre terra Germania ad uno dei più grandi demagoghi di tutti i tempi. Profetizzo solennemente che quest'uomo dannato scaglierà il nostro Reich negli abissi e porterà un'inconcepibile miseria nella nostra nazione. Le generazioni future vi malediranno nella tomba per la vostra azione”. Sorprendente il numero di progetti, abortiti, di assassinio da parte della Wermacht per impedirgli l'entrata in guerra. Perché, se la Conferenza di Monaco per evitare la guerra, fu una sconfitta per Francia e Gran Bretagna, questo è quello che volevano le masse, tedesche comprese. Importante il capitolo “Consequenzialità tedesca” profonda analisi sociologica della società tedesca e “Ritratto di una non persona” sulla trasformazione da caporale austriaco al Führer del Reich e alla sua infallibilità . Eccessiva, a mio parere, l'influenza del pensiero wagneriano in questa trasformazione. Per quanto riguarda l'organizzazione dello Stato: “Una realtà incompiuta, provvisoria, una distesa di rovine di progetti farraginosi ...l'insieme assumeva senso solo dal punto di vista della mostruosa volontà di potenza del Führer... Il regime non è giunto neppure a sviluppare forme razionali coerenti con i propri scopi.... La creazione di nuovi posti di lavoro ed altri progetti, varati con gran clamore, erano presi dai progetti weimariani. Però ora in un regime di silenzio sociale obbligatorio e con una situazione economica mondiale favorevole. Andava, per questo, meglio approfondita la tremenda situazione economica della Repubblica di Weimar e la crisi economica mondiale.
Id: 2605 Data: 16/04/2020 22:36:02
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- Storia
I Crociati di Johannes Lehman
Si può leggere un saggio storico e sorridere? Sì, è il caso di questo testo, scritto con stile brillante ed ironico. L'autore palesa subito di non ammirare lo scopo delle crociate e non evita pungenti riferimenti al quotidiano. Contesta che le Crociate siano sette, perché si tratta solo una semplificazione degli storici, si concentra principalmente sulla Prima, quella della conquista di Gerusalemme da parte di Goffredo di Buglione. Ma è persino la motivazione della Prima che viene contestata, con i suoi tentennamenti, le stragi degli ebrei al procedere dei pellegrini. Ovviamente i personaggi vengono vivisezionati, perché si parla di Crociati non di Crociate, con le loro debolezze, meschinità e spirito di rapina e gli accordi con i nemici musulmani per contrastare gli amici cristiani. Non sfuggono all'analisi le avidità degli ordini cavallereschi e l'enigmistico intreccio delle parentele dei regnanti di Gerusalemme, assemblate al solo scopo di mantenere solo l'immagine di un regno. Ed è significativo che le successive crociate non si pongano più nemmeno il compito di riprendere Gerusalemme, ma solamente i vari principati, fondati da chi s'era installato prima ancora di ottemperare al giuramento della liberazione. Grande risalto è data alla figura, divenuta subito leggendaria, per il comportamento “da vero cristiano” del curdo Saladino. Il testo è corredato da numerose cartine che illustrano opportunamente le località.
Id: 2333 Data: 18/03/2019 23:47:08
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- Storia
La Grande guerra, un racconto in cento immagini
Si tratta praticamente di cento schede redatte da cinquantasette autori, con foto rare, molto interessanti, a cura dello Stato Maggiore della Difesa. Serve come approfondimento e stimolo ai fatti della prima guerra mondiale. Le schede abbracciano numerosissimi argomenti, sia tecnici, come ad esempio l'elettricità e la guerra, le invenzioni o argomenti prettamente politici o storici. Ma ci sono anche argomenti ignorati dalla storiografia come gli orfani dei vivi (cioè i figli nati dagli stupri degli invasori). Poco spazio invece ai martiri irredentisti: Battisti, Filzi, Sauro ecc., forse perché ampiamente trattati dai testi canonici. Mancano però cartine che illustrino le posizioni degli eserciti ed i relativi spostamenti, anche del resto dell'Europa. In conclusione un libro che introduce comunque degnamente ad una approfondita analisi della Prima guerra mondiale.
Id: 2289 Data: 10/01/2019 22:19:04
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- Letteratura
la lotta col demone: hölderlin, von kleist, nietzsche
Il filo conduttore dell'analisi di Stefan Zweig è l'inconciliabilità dei tre personaggi simbolo con il mondo in cui vivono. Meglio dire con il mondo che li circonda, li assedia. Molto intelligente il raffronto dei tre con “la misura”, incarnata da Goethe. Hölderlin all'inizio deve disfarsi del mito di Schiller, gli scrive:” Talvolta sono in segreta lotta col vostro genio per salvare la mia libertà”. Ma principalmente deve evitare Kant, definito da Zweig: “...solo cervello, spirito. Un gigantesco e gelido blocco di pensiero che ha profondamente ostacolato la produttività dell'era classica, stroncando la sensibilità, la gioia di vivere, il libero volo degli artisti... Un negazionista della natura, privo di spontaneità”. Hölderlin invece crede nella origine divina della Poesia che per lui non è ornamento ma senso e finalità supreme. Egli non trae versi dal suo sangue, semi, nervi, sensi...ma da una naturale nostalgia verso l'irraggiungibile mondo superiore. Trasforma perciò la vita in poesia ma rifugge dalla vita nella poesia, rifugiandosi nella realtà superiore e più vera della sua esistenza. Von Kleist è definito un fanatico della disciplina esercitata su se stesso con metodi prussiani d'insegnamento. Fu in eterno contrasto con se stesso. La sua tragicità e grandezza sta nel suo gettarsi tutto intero in un sentimento senza trovare mai la via del ritorno se non esplodendo o autodistruggendosi. Sweig non riesce a spiegare nulla dei suoi problemi sessuali, che paiono invece essenziali in von Kleist. Per Nietzsche il cambiamento radicale, il suo rinascere, avviene dal viaggio in Italia con la scoperta della luce. Diventa senza patria, uccello libero. Griderà: Sono evaso! Nietzsche riuscì a tollerare così a lungo la vita solo perché fu pronto a gettarla via ogni ora. L'istinto di autodistruzione o auto rigenerazione diventa poco a poco la sua passione spirituale. In conclusione un testo che può ben introdurre all'analisi dei tre giganti e al loro peso nella letteratura tedesca ed europea.
Id: 2284 Data: 20/12/2018 21:46:34
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- Politica
La scuola dei dittatori di Ignazio Silone
I libro scritto nel 1938, contemporaneamente a “Vino e pane”, affronta stavolta tematiche strettamente politiche. Il saggio è impostato come testo teatrale con i soli dialoghi tra i tre protagonisti. Si confrontano in un hotel di Zurigo: Mr Doppio Vu (aspirate dittatore statunitense, in cerca di suggerimenti), il Prof Pickup (suo assistente e consulente) e Tommaso il Cinico (italiano, esperto di questioni socio-politiche). E' lui il personaggio principale, quello che risponde alle domande e spiega la nascita e lo svilupparsi delle dittature. Ovviamente nello sfiduciato Tommaso non è difficile riconoscere Silone e la sua amarezza di esule. Risulta spietata l'analisi, ancor prima dell'inizio della guerra (1938), sui comportamenti di Mussolini e Hitler la loro metamorfosi per la conquista del potere. Ma oltre alla denuncia delle dittature Silone critica l'impotenza delle democrazie e la loro incapacità di capire le masse (che vengono comunque criticate per la loro facile adesione ai totalitarismi). Per questo sottolinea: “...educare a capire e ragionare, rispettare le loro opinioni quando sono diverse dalle nostre, mantenere vivo lo spirito critico, creare delle coscienze....è l'azione più efficace contro il contagio dell'ipnosi totalitaria”. Insomma un libro che mantiene tuttora il suo pungolo nel capire non solo il passato ma pure l'attualità.
Id: 2189 Data: 27/06/2018 21:32:02
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- Musica
Guida al teatro d’Opera di Aldo Nicastro
Si tratta di un testo importante per chi ama l'opera lirica e intenda approfondirla addentrandosi in questo vasto campo della musica, per capire cosa vi sta sotto, dietro e dentro. Il libro di oltre 600 pagine è ben strutturato e risponde a tutte le domande che ci si pone durante l'ascolto delle opere liriche. Si analizzano ben 85 compositori a partire da Claudio Monteverdi sino a John Adams (classe 1947) per un totale di 160 opere. Per ogni compositore e delle sue principali opere, oltre alle note professionali, si analizza: la genesi, i cenni storici, la trama, l'introduzione all'ascolto, la critica, gli aneddoti e la discografia consigliata. Si possono così analizzare compositori e opere ormai dimenticate o fuori cartellone. Insomma tutto quello che permette al melomane di tenere il libro a portata di lettura per ben comprendere la materia.
Id: 2161 Data: 16/05/2018 22:11:43
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- Fede
Dio e il suo destino
Dio e il suo destino è un libro provocatorio, già dal titolo e dalla dedica: “A chi ha perso Dio a causa di Deus”. Vito Mancuso affronta il problema con coraggio, senza paraocchi, iniziando con la distinzione fra Dio e Deus che è la sovrastruttura della divinità inventata dalla nomenclatura. Ed allora bisogna costruire un nuovo Dio ed il libro continua con provocazioni e stimoli continui. Perché Dio serviva, anche nei tempi antichi, per mantenere aperta la mente alla trascendenza e la religio tesseva la societas mentre la sua assenza la sfilacciava. Perché, citando Wilde “Una carta geografica senza l'isola di Utopia non merita nemmeno uno sguardo perché escluderebbe l'unico paese al quale l'Umanità approda in continuazione”. Gli gnostici sostenevano che c'era il Dio della creazione e quello del governo del mondo. Il cattolicesimo, al contrario dello gnosticismo, non si pone il problema della presenza del male che è invece (non dimentichiamolo) una creazione di Dio. E, se Dio è onnipotente, perché non lo contrasta? Nessuno vive senza credere, si deve dire in quale Dio si crede o non si crede, senza più rifugiasi nei recinti dell'istituzione. Citando Marco Aurelio : “Ognuno vale tanto quanto le cose di cui s'interessa”. E, precisa Spinoza: “Tutta la felicità o infelicità risiede solo nella qualità dell'oggetto al quale l'amore ci lega”. Il vero problema non è se esiste o meno Dio ma è l'identità di questa Realtà. Viene poi evidenziato come il Dio della Bibbia approvi anche lo sterminio. Se ci fosse solo Dio al comando del mondo non esiterebbe la libertà, per questo non è ancora nata la libertà nelle menti che che vedono il mondo sottoposto al Governo di Dio (meglio di Deus), ad esempio per l'Islam Dio è solo onnipotente, non esiste alcun patto con l'uomo. In conclusione, il libro è una dichiarazione d'amore per Dio che deve però essere liberato dal Clero per salvare il mondo, come diceva Teilhard De Chardin, uno dei pensatori più citati assieme a Schweitzer. Si tratta di un testo denso, forte, che per il suo coraggio intellettuale non lascia indifferenti e pone domande che stimolano credenti e a-teisti.
Id: 1924 Data: 15/07/2017 21:48:41
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- Letteratura
Louis-Ferdinand Céline gatto randagio
Marina Alberghini: Louis-Ferdinand Céline Gatto randagio Titolo azzeccato per questo libro di oltre mille pagine, edito nel 2007. Ben scritto e a dispetto della mole, con una prosa scorrevolissima, anche se le pagine dell'esilio sono veramente troppe. É comprensibile che il biografo s'innamori del personaggio col quale ha convissuto a lungo ma l'autrice si è spinta oltre. Altrimenti come spiegare il parallelismo fra Céline e Dante solo perché quest'ultimo è morto in esilio mentre il nostro... Emerge un personaggio dal carattere impossibile, con una altissima concezione di se ma incapace di rapportarsi con il prossimo; animali e Lucette esclusi. Per quanto riguarda invece il rapporto politico l'autrice è di un anticomunismo così d'antan da superare Céline che li nomina ben poco. Mentre invece sono ignorati gli ebrei e i ricchi che sono il vero bersaglio dello scrittore; “Bagatelle per un massacro” docet. Per la Alberghini esiste solo questa intellighenzia di sinistra, che segue un metodo di calunnia collaudato dai giacobini e che muove tutta la cultura mondiale. Non mancano però alcuni svarioni come definire Wagner il maestro di Hitler, ignorando che l'opera preferita dal dittatore era quella comica: “I maestri cantori di Norimberga”. La biografa non si chiede come mai l'ostracismo contro Celine, dimenticando la sua condanna per collaborazionismo, non gli impedì, al ritorno dall'esilio e dopo l'amnistia, di pubblicare sino alla fine con un grande editore. E specialmente quanto peso invece abbia avuto il suo insopportabile carattere. Forse nella biografia sarebbe stato bene analizzare di più il lato tecnico/letterario, del suo genio nel trasporre dal parlato allo scritto. “É la forma che fa l'arte e non il contenuto”. Appartiene poi all'esagerata compiacenza del biografo definire inesistente l'attaccamento al denaro di Céline, che invece traspare dai suoi atteggiamenti. Gatto randagio è comunque un testo consigliabile per chi voglia conoscere meglio un grande della letteratura del novecento.
Id: 1890 Data: 29/05/2017 22:10:59
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- Musica
Mille e una Callas.
Mille e una Callas. A cura di Luca Aversano e Jacopo Pellegrini. Il corposo testo, di oltre seicento pagine, non tutto di lettura facile, analizza dettagliatamente la figura della grandissima artista. E' incredibile come dopo quarantanni dalla morte Lei occupi ancora la scena e l'interesse di un pubblico vastissimo. Forse la sua fama è ancora più solida oggi, con meno pettegolezzo e maggior interesse musicale. Fortunatamente il libro evita il prurito. Maria Callas viene letteralmente studiata da ogni sfaccettatura da ben trentasette diversi pareri. Mille e una Callas è giustamente il titolo! Qualcuno esce dal tema ma, per chi la ama ancora o voglia approfondirne la conoscenza, questo testo porta a casa egregiamente il suo compito, evitando anche l'altro rischio, quello dell'agiografia.
Id: 1888 Data: 20/05/2017 22:37:47
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- Arte
Da Hayez a Boldini.
Da Hazey a Boldini. Anime e volti della pittura italiana dell'Ottocento. Questa bella mostra di Palazzo Martinengo a Brescia può piacere anche a chi storce il naso sulla pittura di questo periodo. Ma dopo la visita si capirà meglio che un secolo, com'è ovvio, comprenda differenti stili o scuole pittoriche. Si inizia col bel gesso di Amore e Psiche del Canova e poi la dolcezza del Neoclassicismo di Andrea Appiani. Coinvolgente la grande tela dell'Hayez “Maria Stuarda che sale il patibolo”: una selva di personaggi vivi che assistono o si emozionano. Si passa alla contestazione della Scapigliatura contro il Neoclassicismo con artisti come il Piccio, Cremona e Bianchi. Bello spazio anche per i macchiaioli: Fattori con Le ordinanze, Signorini con l'interessante Ghetto di Firenze e Silvestro Lega. Pure i divisionisti sono presenti con il grande Segantini e il suo Alpe di maggio affiancato da Pelizza da Volpedo. Il percorso si conclude con i cosiddetti Italiani a Parigi: De Nittis con la bellissima Il pasto degli anatroccoli, Zandomeneghi e la sua accDa Hayez a Boldini. Anime e volti della pittura italiana dell'Ottocentoattivate Serata di gala. Conclude Boldini con due dei suoi celebri ritratti, anche se colpisce particolarmente La visita. Alla fine si uscirà arricchiti della conoscenza di circa cento opere, per lo più provenienti da collezioni private e perciò difficilmente visibili.
Id: 1880 Data: 06/05/2017 22:03:47
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- Musica
La musica nel castello del cielo
John Eliot Gardiner - La musica nel castello del cielo – Un ritratto di Johann Sebastian Bach Libro consigliato a chi ama Bach o desideri conoscerlo meglio. Gli ostacoli però ci sono, a partire da chi annaspa non solo sulle semicrome ma anche su: “...intervallo discendente di una settima, diminuita, con lente minime e in canone.” Gardiner, uno dei più massimi esperti di Monteverdi e Bach la prende lunga. Nelle quasi 6oo pagine inizia con un'approfondita analisi sociale della Germania dell'epoca per poi passare a quella musicale. Del genio tedesco vengono analizzate le tristi vicissitudini familiari, i rapporti conflittuali con le corti o le municipalità ma specialmente la stretta radice della sua formazione luterana, senza la quale la sua musica non sarebbe pienamente compresa. Gardiner su concentra principalmente, data la sua attitudine, sulla musica corale. Vengono analizzate, vivisezionate, le principali cantate, le messe e le Passioni. L'autore mette subito in guardia dall'idolatria su di un personaggio complesso e imperfetto dal quale discende però tutta la musica a seguire. Senza citarlo, conviene con Beethoven: “Non Bach (ruscello) ma mare dovete chiamarlo”.
Id: 1867 Data: 14/04/2017 22:52:55
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- Storia
Robespierre di mario mazzucchelli edizione 1930
La biografia inizia con la partenza da Arras del giovane avvocato Robespierre e termina tragicamente a Parigi cinque anni dopo con la sua esecuzione pubblica. Cinque anni che rivoluzioneranno dalle radici non solo la Francia ma il mondo intero per il contagio delle idee. Robespierre è sicuramente un personaggio assai complesso che continua a dividere gli storici e le coscienze. Credo che sarebbe importante, oltre all'analisi storico-politica, anche quella psicologica tant'è sconcertante il suo porsi rispetto alla “normalità”. Risulta chiaro come 540 pagine siano insufficienti per un'analisi profonda in questo senso, anche se il lungo testo è comunque ben scritto e mantiene un certo ritmo che coinvolge. Il libro da ovviamente per scontata la conoscenza degli accadimenti concentrandosi sulle dichiarazioni ed i proclami copiosamente presenti negli archivi. Per procedere è essenziale tenere bene a mente il baillame degli organismi che si creano, si sovrappongono e si combattono aspramente tra loro (convenzioni, comitati, tribunali, Comune ), come pure le varie formazioni politiche. Emerge durante la Rivoluzione, da ogni parte, lo svuotamento della parola e il suo isterilimento. Vengono usati senza alcun pudore: Popolo, Verità, Giustizia, Tirannia, Virtù, Patria, Libertà. Robespierre però sopralza tutti per l'ardimento delle sue idee, la coerenza e la dirittura morale assoluta . Ma sarà questa ricerca della purezza, della Virtù suprema, incurante del mare di sangue incolpevole versato e delle debolezze umane a perderlo. La sua, dopo l'invenzione dell'Essere Supremo, sarà una sorta di identificazione con Lui che aumenterà il suo rigore intollerabile staccandolo dagli uomini giudicati solo deboli e corrotti, riservando solo al popolo nel suo complesso il deposito delle purezze d'ispirazione rousseauiana. Questo moltiplicherà la sua visione paranoica dei nemici dopo ogni ondata di esecuzioni. La ghigliottina purificatrice, imposta da chi non comprende e non sa perdonare le debolezze umane, cementerà il terrore di tutti, senza eccezione, e consegnerà inesorabilmente anche lui alla lama fatale.
Id: 1795 Data: 23/11/2016 22:56:45
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- Letteratura
La verità della suora storta di Andrea Vitali
Il nuovo romanzo di Andrea Vitali, uscito nel 2015, si svolge come sempre a Bellano sul lago di Como. Le uscite delle sue opere sono ormai un rituale a scadenze fisse. Come i CD di Mina a Natale. Comunque attesi ed apprezzati da migliaia di lettori. Il personaggio del titolo, la suora storta, fa finalmente la sua comparsa ad un terzo della storia. E fino alle ultime pagine non se ne capisce l'importanza. É uno dei vezzi che Vitali si concede, come l'ostentazione pervicace di 'IL' Scaton. Il personaggio principale, una sorta di filo rosso che tiene tutta la storia, è il giovanotto Sisto Santo, cresciuto in orfanotrofio e circondato dai soliti balordi. Ma come farà Vitali ad inventare 'sti nomi? La storia inizia bruscamente, con la morte, nel taxi del baldo giovane, di una cliente sconosciuta. Come nella consueta tradizione, l'autore ti conduce per mano invitandoti a sciogliere la matassa sempre più ingarbugliata, le false piste disseminate nel proseguire del racconto. Purtroppo i salti temporali dei capitoli a volte risultano pesanti e l'uso degli attributi sessuali sfiora il gratuito. Divertente la parte del gatto col topo dell'immancabile maresciallo del carabinieri, Riversi, con l'avvocato Agliati. La scrittura di Vitali mantiene la freschezza e la leggerezza di sempre: molti i dialoghi, capitoli brevi e frasi cortissime. In conclusione, un libro divertente, in apparenza frivolo, ma che ti lascia anche spunti di riflessione.
Id: 1794 Data: 20/11/2016 21:55:03
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- Arte
El Greco a Treviso
La mostra “El Greco in Italia – Metamorfosi di un genio” si tiene sino al 10 aprile 2016 alla Casa dei Carraresi a Treviso. Si tratta, come appare dal titolo, del periodo a partire dal 1567 (a 26 anni, lascia la natia Creta) data del suo trasferimento a Venezia e poi a ROMA , sino al 1576. Nel 1577 lo troviamo prima a Madrid poi a Toledo dove morirà nel 1614. Mancano ovviamente le opere della maturità. E' però interessante vedere come già nella sua produzione di icone compaiano i suoi colori brillanti. Sono presenti in mostra, per poter fare confronti: Tiziano, Parmigianino, Veronese e Bassano e persino il cartone delle Demoiselles d'Avignon di Picasso . La mostra ti mette in contatto con un grande artista che se ovviamente studiò le opere di diversi pittori mantenne sempre una sua assoluta originalità con i suoi preferiti rosso porpora e azzurro brillante. Un sorta di personalissima versione del manierismo. Unico il suo allungamento delle figure che dona ai soggetti un'aura di ieraticità. Sicuramente da vedere con l'occhio ai capolavori spagnoli. Rimane un mistero: perché se nella locandina vengono citati Manet e Cézanne, non vi è nessuna loro opera e vengono invece esposte due improponibili Crocefissioni (?) di Francis Bacon? .
Id: 1650 Data: 21/02/2016 22:15:55
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- Poesia
La poesia salva la vita
Ho letto parecchi libri di introduzione alla Poesia o manuali del genere ma finalmente ho trovato quello che li riassume e li supera come chiarezza espositiva. Si tratta di “La poesia salva la vita – Capire noi stessi e il mondo attraverso le parole” della nota poetessa Donatella Bisutti, edito da Mondadori nel lontano 1992. Un libro che ovviamente, non trattando di attualità, mantiene tutta la sua validità e freschezza. Fin dall'inizio si pone l'obiettivo di non parlare solo ai poeti ma anche a chi desidera leggere le poesie e specialmente capirle. Attraverso più di un centinaio opere di vari autori, e differenti stili, la Bisutti viviseziona il messaggio che a volte è sotteso portando alla luce la costruzione di ogni tipo di lirica. Il filo conduttore è la duplice valenza della parola: oggetto e significato. Un testo che con leggerezza vi porta attraverso: gioco dei colori, vedere un suono, disegnare con le parole, magie, rime, metafore, musica, parole che si consumano e tanto altro. Insomma, anche chi non ama la poesia ma ha solo il desiderio di saperne di più, uscirà da questo intelligente percorso diverso e più ricco.
Id: 1630 Data: 23/01/2016 18:01:35
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