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Raccolta di articoli di Manuel Paolino
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Poesia

Non è forse questo essere un poeta? A proposito di un’opera

Sono soltanto venti liriche, ma ognuna di esse accompagnata da un'immagine in bianco e nero fatta di forme e parole legate alla composizione stessa. Varie tematiche uniscono i versi, tra questi spicca l'universo dei bambini. Poesie che assemblano stili personali percorsi in tanti anni di composizione e pubblicazioni. Un lavoro maturo lo definirei, scritto senza fretta e di fretta. Cioè liriche scritte nel tempo, non cercate, una sorta di pigrizia letteraria e senile. Ma anche scritte di getto, come se dopo tanti dettati ora bastasse una piccola scintilla per alimentare un automatismo poetico, fortemente intriso d'ispirazione.
 
La poesia è sempre cercata da parte del poeta. Una porta aperta, delle antenne tese, uno stato attivo di ricezione nei confronti dei versi dettati è sempre presente con diversi gradi di forza ed efficacia; questo permette all'ispirazione di bussare con frequenza. Ma stavolta per me non è stato così, non ho cercato queste liriche, per vari motivi. Per una pienezza di vita che ti assorbe talmente da lasciare tutto il resto, e per una sorta di appagamento e rassegnazione poetici. Eppure la Poesia è venuta comunque a farmi visita per venti volte attraverso strade tortuose e cancelli sbarrati. Non è forse questo essere un poeta?

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- Poesia

Recensione Vino divino, Manuel Paolino, Lupieditore, 2020

In un'epoca dove l'arte letteraria riceve un apprezzamento diverso da quello di due secoli fa, la raccolta "Vino Divino" di Manuel Paolino porta una ventata di freschezza nel panorama poetico mescolando tradizione e contemporaneità.

Parafrasare, comprendere e scavare nei versi dell’autore è un’impresa che sfugge ai più, perchè poesia è arte e come tale non va recensita, ma goduta ed abbracciata per quella che è.

Manuel Paolino ci mette di fronte al suo stile, così uguale e così diverso pagina dopo pagina. Un filo conduttore che si interrompe e riannoda ad intervalli irregolari.
Ci si perde nei versi tra pensieri nostalgici, d'amore e d'esoterismo.

Il lettore centellina le strofe col contagocce al fine di assaporare ogni poesia, ogni pensiero.

Completamente.

La scrittura di Paolino è sfuggente ed enigmatica, ma anche evocativa e piena.
Uno stile sentimentale e nostalgico, dal sapore antico e divino, racchiuso in duecento pagine di pura poesia.

L'opera di Paolino è una rarità al giorno d'oggi dove un certo tipo di scrittura non è più sotto i riflettori ma che pulsa ancora, forte.

 

(Antonio Canale)

 

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- Poesia

Da Baudelaire alla poesia dominicana

Il simbolismo francese, la Generazione del ’27, l’avanguardismo ispanoamericano, furono le strade principali su cui la poesia pura fece il proprio ingresso nelle isole delle Antille. Ma ciò che rende questi poeti dominicani autori di grandissimo interesse è il loro essere la punta di un iceberg, un apice ricettivo capace di accogliere tutto quello che, da Poe e Baudelaire, fino a Verlaine, Mallarmé e Valéry, a Jimenez ed i suoi discepoli, e poi Huidobro, era stato pensato, teorizzato, discusso, scritto e diffuso. La poesia pura non è soltanto una nuova estetica letteraria, originale, spiazzante, distruttiva, è una forma di pensiero poetico che, come un discorso tramandato da bocca a bocca, da generazione in generazione su scala mondiale, è infine approdato agli angoli più caldi dell’oceano; essa consiste in un’eredità sacra, rivelatrice, frutto delle più grandi menti del passato; un cammino eternamente e auspicalmente percorribile.

Un movimento poetico dell’arte per l’arte, dove la poesia, per sua natura indecifrabile, rimanda ad un occulto infinito, ad un’altra realtà inconoscibile con pienezza da parte dell’uomo, del poeta, ciononostante capace di stregarlo. Una poesia che maschera dietro l’apparente semplicità dello stile un’acuta ricercatezza formale, che esalta la musicalità del linguaggio, come dichiara Verlaine nella sua Art poétique; o che sottolinea l’importanza di crearne uno nuovo, autonomo, basato sul suggerimento musicale dato da un’idea, racchiusa nella parola stessa, astrazione di una realtà concreta atta a produrre un effetto nel componimento e delle sensazioni nel lettore (Mallarmé). O ancora, come teorizza Valéry, una poesia espressa nel suo stato puro, primordiale, nella quale l’effetto puro si realizza mediante un processo selettivo - depuratore finalizzato ad eliminare tutti gli elementi prosaici, superflui; con Huidobro infine il rigore poetico, l’ansia d’infinito, e il tentativo di creare mondi autonomi, si condensano nel suo creazionismo, dove: ‘La primera condición del poeta es crear, la segunda crear, y la tercera crear’.[1]

La mia dimestichezza con la lingua spagnola, la conoscenza diretta della Repubblica Dominicana, oltre che un vivo interesse per una certa poesia – la quale attraverso un cammino tutt’altro che prestabilito mi ha condotto proprio qui – sono stati gli elementi fondamentali ai quali si deve la nascita di questo libro che per la prima volta affronta autori inediti in Italia. E che vuole testimoniare la ricchezza letteraria di un paese.

Ho voluto condurre questa antologia attraverso un percorso che iniziasse con due poeti fondamentali del simbolismo francese, e con quelle poesie che considero fra le più rappresentative della loro produzione. Oltre a Baudelaire e Verlaine quindi ho tradotto un esponente della Generazione del ’27 spagnola, Gerardo Diego, e un poeta cubano, Regino Pedroso, per infine soffermarmi sulla poesia sorprendida dominicana.



[1] Da una celebre conferenza tenuta a Buenos Aires nel 1916.

 

 

 

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- Poesia

L’idromele Parte prima - Recensione

L’idromele è una sostanza tra le più antiche del mondo e rimanda alla bevanda prediletta di Odino, che era il dio della poesia. Esso ha sempre rappresentato la capacità di poetare o, meglio, di rileggere il mondo in chiave poetica. Per tale motivo, certamente, Manuel Paolino, triestino, classe 1977, lo ha scelto come titolo della summa di versi che ha pubblicato in due volumi per i tipi de ‘Il seme bianco’. Si tratta di poesie che coprono un lungo arco di tempo e che rappresentano il percorso intrapreso dall’autore a seguito di una chiamata ‘alle armi’ definitiva e viscerale. La suddivisione dell’opera in ‘parti’ non ha valore cronologico-temporale. Da subito, sin dall’esergo, il lettore è lasciato libero di procedere secondo il suo sentire, confrontandosi con i versi come in uno specchio che possa riflettere ciò che egli è.
“Da qualunque parte Tu lettore apra questo libro esso comincerà”.
Restiamo convinti che la grande sfida dell’arte sia quella di essere riconosciuta nella sua universalità, nel suo leggere il reale per diventare ‘oggettiva’, senza che al  fruitore venga fornita alcuna mappa. La strada poetica, in sostanza, sa svelarsi da sé, rispondendo in modo misterioso agli interrogativi di chi la percorre, sia in veste di autore che di lettore.
Il titolo di quest’opera ci parla da subito di una poesia colta, avveduta, ricca di rimandi: Garcia Lorca, ma anche il mito greco che rivive, in questi versi, sempre nuovo e potente. Una poesia che è, allo stesso tempo, saggia e profonda ma anche – come suggerisce il titolo – fluida. Che accetta l’abbaglio come momento di crescita e che appare sincera, mantenendo sempre la capacità di sapersi dentro le cose, più a fondo, parte di un disegno superiore.
“E da quassù,/ posso vedere una città brulicante di versi,/ accendersi in un liquido – d’idromele - / dai molteplici sapori”. Dove quel ‘da quassù’ indica una posizione anche scomoda, perché impone di non distogliere lo sguardo.
Che si parta dalla fine o si segua ordinatamente l’iter delle composizioni, il disegno appare chiaro, fondato com’è sulla volontà di comprendere il mondo nella sua interezza. “L’idromele” è un diario poetico che copre ben quattordici anni, offrendosi al lettore con pudore e schiettezza al tempo stesso. “Alle così care pietre/ mi siedo accanto/ prima che la mia/ valchiria arrivi/ devo contar ancor/ tutte le nubi”. E, ancora: “Vivo di passioni, come vedi/, e lascio l’anima contemplare nella veglia/ del mio sonno; caccio, o Ermete,/ puro e con i miei vizi,/ anche Dio”.
Partenze, ripartenze, città, approdi. I versi di Paolino raccontano tutto questo con grande capacità di coinvolgere il lettore, come un “fluido dolce capace di soddisfare la sete”.


(Recensione di Tullia Bartolini)

 

 

 

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- Poesia

Manuel Paolino in un’intervista su L’idromele parte prima

Manuel, ci parli del suo nuovo libro...

 
Quando decisi di dare vita ad un'opera che potesse racchiudere tutta la mia produzione poetica non avevo composto ancora gran parte delle liriche de "L'idromele", eppure sapevo che quel giorno prima o poi sarebbe arrivato. Ho voluto dare una forma liquida al libro, sia per riprendere il significato del titolo, impregnato com'è di una simbologia divina e poetica legata all'ispirazione, sia per mischiare al suo interno tutte le mie composizioni, proprio come se venissero immerse in un fluido, in modo da non offrire saldi punti di riferimento, ma anzi attribuire completa autonomia al lettore, a cui il libro si rivolge fin dall'incipit.
 
Qual è la testimonianza che quest'opera apporta alla realtà poetica?
 
Appare da subito chiara la metafora della bevanda degli dei madre della poesia che si dona qui come un liquido fatto di versi il quale si prefigge di dissetare il lettore. Ma non solo. L'idromele è un vero e proprio ricettacolo poetico, che testimonia l'evoluzione lirica ed estetica di un poeta che vuole trasmettere tutto ciò che ha visto, letto, appreso e sperimentato, attraverso il suo personale punto di vista sulla poesia e sul mondo. Un'opera che risalta uno sguardo mai sazio e lo fa mediante continui riferimenti ad autori, poeti, personaggi, luoghi; un libro nel libro, costituito anche da storie, reali o immaginarie, e dalla presenza di grandi maestri del passato, oltre che dalla continua ricerca poetica e della poesia, trasportata sulla corrente biografica dell'autore, che qui si snoda in multipli sentieri.
 
Perché "Parte Prima"? E in quali estetiche e tematiche si potrebbe trovare immerso il lettore leggendo le sue poesie?
 
Non potevo non dividerlo in due parti, su suggerimento della casa editrice Il seme bianco, e di Michele Caccamo, data la mole. Ed ecco che la "Parte Prima" si manifesta, con la sua magnifica copertina, come la prima metà della mia produzione. Certo, si tratta di un liquido ben definito anche se con una miriade di sfumature: non un mare, né un fiume, ma un liquido intenso, che stringe tra i suoi versi, in un naufragare, in attesa di una rivelazione. Ne consegue un'estetica, che muta, si evolve su uno stesso piano, segue il pensiero, le riflessioni del poeta: poesia pura, ermetismo, simbolismo, e poi ancora surrealismo, in seguito creazionismo e infine un realismo cosciente. E a tutto questo si mischiano, miti antichi e mistero, antichità e storia, religioni; una poesia di maledizioni e illuminazioni che spazia nel mondo e oltre.
 
 
 

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- Poesia

Poe-tando

«Colui che sogna ad occhi aperti sa di molte cose che sfuggono a quanti sognano solo dormendo. Nelle sue nebbiose visioni, egli afferra sprazzi dell’eternità e trema, al risveglio, di vedere che per un momento si è trovato sull’orlo del grande segreto. Così, a lembi, apprende qualcosa della sapienza del bene, e un po’ più della conoscenza del male. Pur senza timone né bussola, penetra nell’oceano sterminato della ‘luce ineffabile’ come gli avventurieri del geografo nubiano, che ‘aggressi sunt mare tenebrarum, quid in eo esset exploraturi’.» 

(Da Eleonora, I racconti del terrore, Edgar Allan Poe)

 

 

Opide allo specchio

 

Di fronte ad uno specchio Opide

Pensava.

D’improvviso, come morso dal tempo,

Opide scrisse sull’immagine riflessa:

 

A quoi un poète est il bon?

 

Poeta nascitur non fit

 

Opide allo specchio

Ragionava, ragionava fra le righe

Fissando ora le dipinte lettere,

Ora lo spazio della sua fronte;

Fino a quando un giorno queste

Scomparvero ai suoi occhi investigatori,

Pietrificati nei suoi occhi,

Soli, appollaiati dinnanzi;

 

Prima ancora che verso l’alto

La sua bocca mutasse,

Allo specchio

Sorrideva Edipo.

 

 

Come Gordon Pym

 

Dove hai imparato quella canzone?

– Quale?

Quella che cantavi ieri.

– Da bambina...

La cantiamo insieme?

                             

Cominciò lei, io la seguii:   

 

– Un elefante si dondolava          ...dondolava       

sopra la tela di un ragno;          sopra la tela di un ragno;         

siccome vedeva                         siccome vedeva                        

che resisteva                            che resisteva                         

andò a chiamare                     andò a chiamare                    

un altro elefante.                     un altro elefante.              

Due elefanti si dondolavano       Due elefanti si dondolavano

sopra la tela di un ragno;          sopra la tela di un ragno;   

siccome vedevano                      siccome vedevano

che resisteva                            che resisteva

andarono a chiamare                andarono a chiamare

un altro elefante.                     un altro elefante.

Tre elefanti si dondolavano        Tre elefanti si dondolavano

sopra la tela di un ragno;           sopra la tela di un ragno;

siccome vedevano                      siccome vedevano

che resisteva                            che resisteva

andarono a chiamare                andarono a chiamare

un altro elefante.                      un altro elefante.       

Cinque elefanti...                     Quattro elefanti...

 

Ridemmo continuando a cantare:

 

Nove elefanti...                        Cinque elefanti...

 

Ridemmo ancora come bambini

poi, ci addormentammo

come Gordon Pym, nel buio della cala,

salpando da Nantucket.

 

 

Il vostro bacio

 

La lingua nel ristoro dolciastro, liquido –

Piccolo intaglio d’ebano – più dolci ancora

I graffi duri arrivati dalle spine di tenebra.

Morire tra le gonfissime mongolfiere di Hans Phaall

Fiere nell’incursione dell’ignobile dio buono –

Dentro col firmamento tutto!

E il Bacio a te dovuto.

 

Le mani soffici sui vetri di Murano.

La clessidra calda che decora il portone dove

Sulla soglia mi spoglio nudo poi,

Contemplo con furore fra due perle

Incredule il paesaggio haitiano della discesa:

Sul mare d’olio della schiena accesa

Scivola il Bacio a te dovuto!

 

 

Epidendrum Flos Aeris

 

La sensazione che lascia il sogno

come d’un antro profondo sotto

la pietra alzata tra luce di tenebra:

nell’arca della notte ricompari tu,

tu, a ancora tu dal punto dove

vi avevo lasciati.

 

Magnifici fiori sciolti

che non appassiscono!

Epidendrum Flos Aeris

che vive sradicata

dalla terra, appesa

su lampadari di sogni;

 

noi di nuovo eterni:

profuma l’Odissea

in cui davvero ci si tocca.

 

 

Edgar

 

Quando la poesia ci muove alle lacrime

noi piangiamo per eccesso di un rammarico impaziente;

insistente, perchè come semplici mortali

non possiamo ancora banchettare con quelle estasi supreme

di cui la poesia ci concede solo una visione

fuggevole e indefinita.

 

Il corvo nero si posò

sulla statua di Pallade;

e fu frammento di saggezza notturno

impiumato di luce.

 

 

Nella poesia «Opide allo specchio» i vv. 5, 6 sono delle citazioni rispettivamente di Casimir Perrier, uomo politico francese della seconda metà del Settecento, e di Quinto Orazio Fiacco, poeta latino del I sec. a. C., tratte dal racconto di Edgar Allan Poe «Tre domeniche in una settimana». Edipo, eroe della mitologia greca, riuscì nell’impresa di risolvere l’enigma della Sfinge.

Nella poesia «Come Gordon Pym», il titolo e gli ultimi versi si riferiscono al protagonista del romanzo di Edgar Allan Poe «Le avventure di Gordon Pym», in particolare rimandano all’inizio del suo avventuroso viaggio.

Nella poesia «Il vosto bacio» Hans Phaall è il protagonista di un racconto di Edgar Allan Poe, «L’incomparabile avventura di un certo Hans Phaall».

Nella poesia «Epidendrum Flos Aeris» il titolo è il nome di una pianta tipica di Giava, come riferisce Poe nel suo racconto «Come si scrive un articolo alla Blackwood».

La prima parte della poesia «Edgar» si rifà ad una definizione della musica scritta da Edgar Allan Poe in uno dei suoi saggi brevi.

 

 

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- Poesia

Floriana Porta - Dove si posa il bianco

È un ritmo alterno dei respiri

quello che si sente battere.

Pochi tocchi repentini

reclusi nel tempo,

imprigionati nella pietra

e nella sabbia.

Un gioco di riflessi duplice,

sull’incerto confine

dell’altrove.[1]

 

 

Fra le tappe di un viaggio dentro lo sterminato bianco che abbaglia per i suoi numerosissimi dettagli, segni d’un ignoto siderale irraggiungibile, eppure visibile a tratti, percepibile, si materializzano le tracce esistenti di esplosioni poetiche silenziose. Su questo sentiero ermetico, impreziosito da sospiri surrealisti, si snoda il cammino di Floriana Porta.

Cadenzate e simili nella struttura, come uno spettacolo teatrale breve ed intenso suddiviso dalle chiusure e dalle aperture d’uno stesso sipario – firma, questa, della poetessa – le sue liriche parlano di mondi nascosti oltre l’orizzonte. I suoi piedi percorrono bordi poetici d’ignoto, eppure reali: il poeta poggia s’una materia familiare soltanto a lui, e celata per gli altri.

La Porta testimonia attraverso i suoi sguardi, le sue continue torture, la vita, intesa come vita del poeta, perchè non può essere nient’altro che tale: onirica, intellettuale; la realtà, intesa come realtà del poeta, riflessa come una luce che si posa in molti luoghi, riflesso di riflesso, fino alla sua ultima comparsa come luce pura, essenza magica.

Nuove infinità si susseguono nell’anima di questa autrice – in ogni sua cellula disobbediente agli dei – che incarna il merito universale di saperle cogliere col suo dono, all’interno di una precisa estetica, e di scolpirle sul bianco: Là dove risuonano misteri impenetrabili.   

 

Manuel Paolino

(Poeta, critico, traduttore)



[1] Floriana Porta, Respiri e riflessi, da Dove si posa il bianco, Sillabe di Sale Editore, Condove (TO), 2014.

 

 

 

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- Poesia

José Manuel Glass Mejía

José Manuel Glass Mejía e Gilberto Hernandez Ortega (1924-1978) sono gli ultimi due componenti del gruppo della poesia sorprendida. Quest’ultimo pubblicò alcune poesie sulla rivista tratte dalle sue due raccolte Eternas palabras e De Gualey al cielo, ma il suo fu un ruolo piuttosto marginale: dedicò invece la sua vita quasi interamente alla pittura, arte nella quale raggiunse prestigiosi risultati. José Manuel Glass Mejía nacque a Santo Domingo nel 1923, fu tra i più giovani poeti membri del gruppo. Scrisse la maggior parte dei suoi componimenti durante l’adoloscenza; il meglio della sua produzione poetica si trova in Antología Panamericana de la Literatura Dominicana (1912-1962). Si spense nel 1994.  

 

INTIMO LATIR

 

Serenidad pensante, inmóvil vida,

grandes ojos serenos divagando.

¿Realidades? ¿Ensueños?... No se

cuando entre sombra de luz reverdecida.

Desintegrada imagen toda herida;

turbias horas de insomnio palpitando

en intimo latir abandonado toda

memoria de inquietud perdida.

Miradas extraviadas en desvelo

de lejanas ausencias presentidas

como algo extraño que jamás se nombra.

Fuente ya sin retorno de su cielo

como huella fugaz en su partida

no son ya si no sombras entre sombras.

 

 

INTIMO BATTERE

 

Serenità pensante, immobile vita,

grandi occhi sereni divagando.

Realtà? Sogni ad occhi aperti?... Non so

quando fra l’ombra di luce sia germogliata.

Disintegrata immagine ferita;

torpide ore d’insonnia palpitante,

nell’intimo battere abbandonato tutta

la memoria d’inquietudini si è persa.

Sguardi disorientati, vigili

sulle lontane assenze presentite

come qualcosa di strano che non si nomina.

Fonte senza ritorno dal suo cielo

come impronta fugace della sua partenza:

non sono che ombre tra le ombre.

 

 

 

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- Poesia

Antonio Fernández Spencer

Antonio Fernández Spencer nacque il 22 giugno del 1922 a Santo Domingo, fu poeta, critico letterario, diplomatico, educatore, saggista e filosofo. Vivette in Spagna per sei anni dove fondò e presidiò gli incontri de La Tertulia Hispanoamericana insieme a importanti intellettuali come Luis Rosales, Rafael Alberti, e altri poeti appartenenti alla Generazione del ’27. Pubblicò i suoi primi versi nella poesia sorprendida, gruppo poetico del quale fu uno dei fondatori. Le sue prime poesie furono marcate dall’avanguardia e la sua opera saggistica dimostrò la sua solida formazione intellettuale. Polemico, avanguardista e sempre disposto ad orientare i giovani che gli si avvicinavano per consultarlo, si adentrò anche nella poesia negrista. Morì nella città di Santo Domingo nel mese di marzo del 1995.

 

“La poesia del dominicano Antonio Fernández Spencer è, soprattutto, poderosa. Un senso d’urgenza contenuto, di premurosa nostalgia e stupore permea i suoi componimenti, costituiti dalla delicata ed evanescente sostanza dell’immagine. La voce del poeta, trasparente e luminosa, si avvicina all’oggetto dell’amore o del desiderio con una reverenza che sembra provenire da secoli di osservazione sulla natura, l’essere e le cose. E questo stupore raggiunge ogni verso, ogni parola che vibra in lui come se fosse la nota breve e sequenziale di una chitarra che aspetta nell’ombra una mano destra e allenata.” (Fernando Ureña Rib)

 

ROSA TRANSITORIA

 

Todo en lúcida forma te señala:
el sufrimiento, el alma sin noticia,
y tu forma de pájaro que escala
lo puro de ese cielo que se inicia.

 

Remota estás – ¡oh rosa! – como una ala
en la muerte de póstuma caricia;
ya subes por el tiempo que señala
lo que duerme a tu ser en la delicia.

 

Todo en el orbe sin ficción te agota:
el vivo mar que todo lo fecunda
el pájaro olvidado en alta rama;

 

pues caes por amor en lo que anota
la soledad, que al sueño te circunda,
¡y que te nombra soledad en llama!

 

 

ROSA TRANSITORIA

 

Tutto in lucida forma ti segnala:

la sofferenza, l’anima senza notizia,

e la tua forma d’uccello che scala

la purezza di questo cielo che comincia.

 

Sei lontana – oh rosa! – come un’ala

nella morte di una postuma carezza;

sta salendo nel tempo che segnala

quel che dorme sotto la tua gioia.

 

Tutto nel globo senza fingere ti stanca:

il vivo mare che ogni cosa feconda

l’uccello dimenticato su un alto ramo;

 

allora cadi per amore in ciò che annota

la solitudine, che nel sonno ti circonda,

e che ti chiama solitudine in fiamme!

 

 

 

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- Poesia

Freddy Gatón Arce

Freddy Gatón Arce, narratore, poeta, giornalista, professore e avvocato dominicano, fu uno dei fondatori del movimiento della poesía sorprendida. Nacque il 22 marzo a San Pedro de Macoris. Tra il 1944 e il 1947 diresse la rivista. Il suo componimento Vlía (1944), una lunga prosa poetica, lo situa tra gli introduttori della tecnica della scrittura automatica in Repubblica Dominicana. Vlía, testo scritto sotto l’influenza surrealista, fu composto nell’anno del centenario della Repubblica, quando il furore nazionalista della dittatura era al suo apice. Un testo ancora oggi di grande risonanza, una poesia maledetta, che cerca dentro i pozzi del subcosciente. Si spense nel 1994.

 

VLÍA

 

 Poema para la quinta hoja de un trébol cualquiera

 

1 - Oído inescuchado

 

Los espacios aquietados, azules de enclavados astros,

dan su violeta a la torre invertida del cielo. La torre,

extática, muda, salta nerviosa en sus risas y gemidos,

como mama tallada de virginidad. Cantar de los gallos

espada la vigilia y el mundo noche de todos los donceles.

 

La vida ha perdido un inconsciente de por qué la vida. El

traje color rubor de timidez quedó destrozado en el

valladar de los ojos. Clavada torre en el mar de los

sueños remolino de sangre de la sensitiva, blancor de

olas altas llagadas como la incertidumbre, o dos pavores

y cinco pétalos caídos traéis a Vlía.

 

(…)

 

 

VLÍA

 

Poesia per la quinta foglia di un trifoglio qualsiasi

 

1 - Udito inascoltato

 

Gli spazi calmi, azzurri di annidati astri,

danno la loro violetta alla torre investita dal cielo. La torre,

estatica, muta, salta nervosa nelle sue risate e gemiti,

come mamma scolpita di verginità. Cantare dei galli

spada la veglia e il mondo notte di tutti i donzelli.

 

La vita ha perso un incosciente perchè della vita. Il

vestito rosso di timidezza è rimasto lacerato nell’

ostacolo degli occhi. Inchiodata torre nel mare dei

sogni turbine di sangue della sensitiva, biancore di

onde alte giunte come l’incertezza, o due spaventi

e cinque petali caduti voi portate a Vlía.  

 

(...)

 

 

 

*

- Poesia

Rafael Américo Henríquez

Rafael Américo Henríquez nacque il 30 settembre 1899 a Santo Domingo. Figlio del poeta romantico Enrique Henríquez Alfau e Lea de Castro, completò i suoi studi negli Stati Uniti. Al ritorno nel paese natale la sua casa diventò ben presto un punto di riunione dei più rilevanti intellettuali dominicani di quel periodo, e venne battezzata La cueva. Inizialmente affiliato al postumismo, in seguito si incorporò al movimento della poesia sorprendida, gruppo con cui collaborò per molti anni, diventando uno dei direttori della rivista. Il suo stile, fortemente sensoriale e immaginativo, fu influenzato, tra gli altri, da Federico Garcia Lorca. Compose anche varie prose poetiche, tra le quali la più importante, Rosa de Tierra. Morì l’11 gennaio del 1968 a Santo Domingo.  

 

“Non conosco in tutta la poesia dominicana un poeta come questo capace di disprezzare l’uso dell’idea, fino al punto di convertire i suoi componimenti in pure astrazioni. In esse il contenuto è la parola; e la parola non è tale, ma il riflesso della parola, riflesso del riflesso della parola...” (Manuel Rueda, dall’introduzione di Briznas de cobre, 1977)

 

PAZ

 

Ademanes de barro de manos sembradoras

han tomado la tarde. Jícaras amarillas

la gozan prisioneras, la muestran triunfadoras,

que tales son bandadas sonoras de semillas.

Oro móvil, espigas, color y campanadas

son presencias de luz, pájaros forasteros

en esferas de sol, en lumbres alcanzadas

por el propio rebrillo. Irrumpen los primeros

heraldos de la paz. Ya no siembra la moza

mil diamantes azules llovidos de la frente

cándida, nazarena; en rojez alboroza

un naranjo dormido. Y rezuma la gente

y mecen los frutales arpegios de laguna,

reflejos de senderos. .. ¡Despereza la luna!

 

PACE

 

Gesti fangosi di mani seminatrici

si sono presi il meriggio. Ciotole gialle

godono prigioniere; le mostrano trionfatrici,

stormi sonori di semi.

Oro mobile, spighe, colore e rintocchi di campane

sono presenze di luce, uccelli forestieri

in sfere di sole, in fuochi raggiunti,

dal proprio brillio. Irrompono i primi

araldi della pace. Non semina più la fanciulla

mille diamanti azzurri piovuti dalla fronte

candida, nazarena; esulta nel rossore

un arancio addormentato. E trasuda la gente

e ondeggiano i frutteti, arpeggi di laguna,

riflessi di sentieri. .. Si stiracchia la luna!

 

 

PAISAJE REFLEJADO

 

Sombras de pájaros inútilmente

el aire quiebran, a la luz embisten,

pues los árboles y la paz resisten,

y en cárcel fía la voz de la fuente.

Gajos de bronces van a la corriente,

de frutas la ponen, de sol la visten,

y frutas y sol si corren existen

y sangran colores y crían serpiente.

Redondez de miel de quedar gozosa,

suaviza la luz en luz reflejada

y por gracia tal de sí desnudada.

Y de nubes ebrios Dios y la moza

mezclan sus rosas con rosas de viento

y mudan la sed en florecimiento.

 

PAESAGGIO RIFLESSO

 

Ombre d’uccelli inutilmente

fendono l’aria, assalgono la luce,

gli alberi e la pace resistono,

e dalla carcere ressicura la voce della fonte.

Spicchi di bronzo vanno alla corrente,

la decorano di frutti, la vestono di sole,

e frutta e sole correndo appaiono

e sanguinano colori e generano serpenti.

Gioiose rotondità di miele,

la luce soavizza nella luce riflessa

e per grazia infine nuda.

E ebrio di nuvole Dio e la fanciulla

mescolano le sue rose con rose di vento

e mutano la sete in fioritura.

 

 

BROMA DE DOMINGO

 

Domingo con sol.

Palomas. Caracol.

Corros. Campanadas.

Mozas lugareñas

desatan bandadas

de risas risueñas.

Aquellas de verde,

invierten molinos!

¡Barajan caminos!

Verán que ya pierde

el rumbo la luna!

Mirando la torre

aguardan fortuna

los pechos de miel.

El viento no corre!

Pedradas las horas!

Pedradas de hiel!

– ¿Qué tanto demoras?

¡Luna demorada!

– Si tarda la luna

no llega la cuna

a moza casada.

 

LO SCHERZO DELLA DOMENICA

 

Domenica con sole.

Colombe. Lumaca.

Cori. Campane.

Fanciulle del luogo

sciolgono stormi

di risate allegre.

Quelle di verde,

investono i mulini!

Scompigliano le vie!

Vedono la luna

perdere la meta!

Guardando la torre

aspettano fortuna

i petti di miele.

Il vento non soffia!

Colpite le ore!

Pietrate di ghiaccio!

– Perchè ritardi tanto?

Luna ritardataria!

– Se ritarda la luna

non arriva la culla

alla fanciulla sposata.

 

 

 

*

- Poesia

Manuel Llanes

Manuel Llanes nacque a Santo Domingo il 5 maggio 1899. Dopo essere appartenuto alla corrente del postumismo si integrò al movimento della poesia sorprendida insieme al poeta e amico Rafael Américo Henríquez. La sua produzione più importante fu El fuego (Collana La Isla Necesaria, 1953); in essa le fonti, che probabilmente coincidono con la Bibbia, si trovano mescolate e fuse con grande proprietà all’interno di un nuovo contesto letterario; il risultato coincide con la creazione di una lunga poesia considerata una delle più caratteristiche e originali della nuova estetica sviluppatasi in Repubblica Dominicana. Venne definito per il suo carattere e per la sua poetica come uno dei poeti maggiormente spirituali della sua epoca, tanto da essere soprannominato ‘Buda viviente’. Morì il 4 maggio del 1976 a Santo Domingo.  

 

EL FUEGO

 

Y otro ángel salió del altar, el cual

tenía poder sobre el fuego, y clamó

con gran voz al que tenía la hoz aguda,

diciendo: Mete tu hoz aguda, y

vendimia los racimos de la tierra 
porque están maduras sus uvas. 
Apocalipsis: 14-18

 

Escucha las indeterminadas palabras: 
¿Quién sabe de ti? ¿Quién eras aún? 
Llegas desde una vez y trasciendes fugaz para siempre. 
A solas permea tu luz fría, en clara gestación 
del cielo y loado sea tu espíritu en el fuego celeste. 
En ese andén de las incontables sombras, 
¿cuál eres? 
Ni tú ni yo lo sabemos. Pero dime, 
aún antes de que seas signo: 
¿Por qué sonó la voz de Dios desde donde te tiendes 
y detuvo la primera pareja en las volantes hojas? 
¿Qué será de mi dolor sin una eternidad? 
¡Oh, fuego! Levanta adversa tu frente 
a la soledad que nos traen las primeras angustias, 
a las clementes candilejas, temblorosas, en el aire, 
pues sólo existes para mí en una divisa, 
porque de mí a ti, con tus demencias quizás, 
me haces tu intercesor. 
Acabarás, inconsolable, una breve escala de oro 
para que hasta mí bajen los ángeles encendidos. 
Tu culpa es sola, se sostiene, apenas se siente 
trayéndonos la sangre entre gritos y cadenas, 
y es un entrechocar de danzas, de cantos y banquetes 
donde se ven los que vienen delante,

no los de atrás.

 

(vv. 1-25)

 

Cuando tú gritas a un túmulo desesperadamente, 
Dios tiene las alteraciones de su fiebre, 
y empiezan las descargas de las tronadas
para vernos en los solsticios. 
Yo sé que la luz es igual: mata en una porfía, 
y admitamos, hermano fuego, el trueque

de las grandes radiaciones 
de esa luz que vuelve a la tierra en menos tiempo

que la alondra; 
quien puede ahora alcanzarte no lo sabe aún decir, 
por la integridad de las ánimas que me causan terror 
mientras persigo las hurentes tizonas de los fuegos fatuos, 
cuando alguien ve delante a las bestias heridas 
en la hora de los atontecidos, para correr a prisas. 
Es que tú tocas un clave que arde, 
interrumpes un concierto, muchas veces, de voces. 
Y la casa, ¿en dónde? Vuela. Ella no nos pertenece.

 

Así estoy seguro que se aparta, puedes decirme: 
ahora que están aquí, no está nadie conmigo 
y la vida tuya y la mía continúan calladas,

en una meta, 
al levantarse el orto y acostarse el día, en el ocaso. 
Salgo y voy como un pájaro enigmático y sombrío 
a buscarla en un reino.

 

Escuchamos formarse un acto en el fuego de los aires.

 

(vv. 99-123)

 

 

IL FUOCO

 

E un altro angelo uscì dall’altare, il quale

aveva potere sul fuoco, e chiamò

a gran voce colui che aveva la falce affilata,

dicendo: prendi la tua falce affilata, e

raccogli i grappoli della terra;

perchè sono mature le sue uve.

Apocalisse: 14-18

 

Ascolta le indeterminate parole:

Chi sa di te? Chi eri ancora?

Arrivi una volta e penetri fugace per sempre.

Da sola la tua luce fredda impregna, nella chiara gestazione

del cielo e sia lodato il tuo spirito nel fuoco celeste.

In questa piattaforma di innumerevoli ombre,

quale sei?

Né tu né io lo sappiamo. Ma dimmi,

ancora prima di essere segno:

perchè è risuonata la voce di Dio da dove ti stendi

e ha trattenuto la prima coppia tra le foglie volanti?

Che ne sarà del mio dolore senza un’eternità?

Oh, fuoco! Alza la tua fronte avversa

alla solitudine che ci porta le prime angustie,

alle clementi luci, tremanti, nell’aria,

allora per me esisti soltanto in una veste,

poichè tra di noi, con la tua demenza forse,

mi rendi il tuo intercessore.

Terminerai, inconsolabile, una breve scala d’oro,

in modo tale da far giungere fino a me gli angeli accesi.

La tua colpa è sola, si sostiene, si sente appena

portandoci il sangue tra gridi e catene,

ed è uno spingersi di danze, di canti e banchetti,

dove si vedono coloro che stanno davanti,

non quelli dietro.

 

(vv. 1-25)

 

Quando gridi disperatamente sopra un tumulo,

Dio stringe l’alterazione della sua febbre,

ed iniziano le scariche dei temporali

per scorgerci nei solstizi.

Io so che la luce è uguale: uccide con ostinazione,

e ammettiamo, fratello fuoco, il baratto

delle grandi radiazioni

di quella luce che torna alla terra in meno tempo

dell’allodola;

chi può adesso raggiungerti ancora non lo sa dire,

per l’integrità delle anime che mi causano terrore

mentre inseguo i tizzoni ardenti dei fuochi fatui,

quando qualcuno guarda oltre le bestie ferite

nell’ora degli afflitti, per correre più in fretta.

È che tu tocchi una chiave che arde,

interrompi un concerto, molte volte, di voci.

E la casa, dov’è? Vola. Lei non ci appartiene.

 

Così sono sicuro che si allontana, puoi parlarmi:

ora che loro sono qui, che non c’è nessuno con me

e la tua vita e la mia continuano in silenzio,

verso una meta,

dalla sveglia dell’orto all’andare a dormire del giorno, nel crepuscolo.

Salgo e vado come un uccello enigmatico e cupo

a cercarla in un regno.

 

Ascoltiamo formarsi un atto nel fuoco delle arie.

 

(vv. 99-123)

 

 

 

*

- Poesia

Paesaggio creazionista

L’assoluta slegatura del componimento da una qualsiasi realtà che non sia quella del poeta prima, e in una fase più evoluta quella soltanto della stessa poesia, esistente in quanto viva, scatenatrice di bellezza, corpo e forma ormai distaccatasi non solo dalla realtà esterna ma anche dal suo stesso creatore: ecco il mio approdo al creazionismo di Huidobro e di Diego. A quel sublime ‘da taschino’, surreale e fantasioso, che fa dell’armonia poetica di numerosi elementi, di numerosi piani, la sua grandiosa essenza. Il paradiso perduto, l’ignoto, si trovano ora nella stessa poesia, sopra e sotto le sue braci estetizzanti.

La poesia non ricerca più il divino ma diventa essa stessa il proprio culto, non per un rifiuto, ma per necessaria deviazione. Se il poeta era un simulacro di carne capace di compiere un’evoluzione attiva, fino a controllare il proprio dono, ora gli effetti dello stesso hanno dato vita ad un nuovo soggetto animato, mobile, quindi autonomo, un altro da sé in quanto in sé.

Queste cinque liriche tratte dalla mia silloge La poesia sorpresa vogliono essere qui un omaggio al creazionismo, filtrato da una poetica in cui, nella sete di ricerca che la contraddistingue, gli argini estetici, di linguaggio e di contenuto, finiscono dunque col fondersi all’interno di uno specchio indissolubilmente legato alle tappe passate, e presenti, di un personale e sempre nascente discorso poetico ed esistenziale.

 

 

Altazor

 

Sui fili d’erba del cielo

                               vedo scritto il mare

                                                     Rema

Il cielo cieco sotto l’erba dei fili

Si squarcia il sesso della parola

Altazor

ENTRA

Nel minuscolo regno siderale

Esce il gioco che si feconda

Che inonda

Che circonda

Che al mulino sorride

Che si siede sulle palpebre per vederlo

                                                         varcare

 

Il miracolo dei lupi

                             pende

Da una campana                                                    Di una stella

A una campana                                                       Di un'altra stella

Pascola il poeta sull’altra faccia

Della luna e

                 cade

                       cade

                             cade

Fino al pascolo affacciato sui remi

Rotti del mare

 

Ed ESCE

ALTAZOR

Come un re gigante sulla pianura

Sognata dai nani

 

Le palpebre allungano le gambe

Impolverate di farfalle

Ombre di gioco

Sentiero mobile

Gioco di greggi ignote

Note greggi giocose

Piume di note

Silenzio                                                                  Caduta

Vedo scritto IL MARE

 

__ 

 

Dal ritorno

 

MURO DI NEBBIA

Furia ed acque trasparenti

Divine incantatrici

                            salvatrici

Capezzoli di petali e sale                                          Facce di diamanti


Ade veggente

Tentacoli

              delle sette teste

Achille triste

                  Agamennone

                                      tradito

I massi atroci dei giganti

 

Schiene d’oro della sabbia                                        Circe viola

La fame infame

Sole che bruca incendiati mari

 

Le voci                                                                   Sulle labbra

Intrecciate                                                              Appuntite

Delle sue donne                                                      Dei seni più salati

 

ITACA

Ancora il remo

                       sulla spalla

 

 __

 

Lei

 

Per comprendere la purezza di LEI –

che come ebbi già modo di dire perfino

gli alati araldi bianchi invidiano –

basti pensare a quel suo esser sbalordita:

mi servirebbe un giorno intero per raccogliere

tutte le sue rotonde riflessioni!

Ma ce n’è una che ora mi impressiona

in modo particolare.

 

LEI odia la Chiesa, i Papi, i vescovi,

la Messa; afferma con sdegno sorpreso,

e domanda a se stessa, come un uomo possa

ritenersi rappresentante di Dio. Come può

tale arroganza essere accettata?

LEI non l’accetta. Eppure c’è una circostanza

nella quale il suo cuore trova la pace.

Un aspetto, soltanto uno.

 

LEI ama il silenzio delle chiese;

sedersi, da sola, all’interno

di una grande chiesa vuota:

LEI, la quiete, e Dio.

 

__

 

Essere e creare

 

Sento quel bronzo splendente                                  ESSERE

esplodere dal mio corpo;

succede di notte, quando il sonno

col sogno si avvicinano,

quando la lingua cerca

le sue foglie secche,

la mandibola e la mascella

le proprie piume, e la saliva

aspetta la calma.

Succede quando le ante del cancello

cominciano a tremare:

sento quel bronzo splendente

esplodere dal mio corpo –

o così vorrebbe – tanto da io dover

tenere con le redini la mente.

 

Penso a Álvaro de Campos,                                     CREARE

a Ricardo Reis,

a Alberto Caeiro,

a Coelho Pacheco,

a Bernardo Soares.

Penso a Pessoa.

 

PENSO A TUTTE LE STALATTITI DELL’ANIMA.

 

 __

 

Storia di una maledizione

 

CONFESSO:

Ho bevuto alla fonte dell’Eterna Giovinezza.

Non domandatemi dove si trovi;

Per arrivarci,

Ho dovuto chiedere in prestito

Le ali ad Icaro

                     il sole

Non le strinse fra le fiamme:

Bruciò i miei occhi.

 

CONFESSO,

Ho fatto un Patto con il Diavolo:

Eterno fascino e bellezza,

In cambio della vista.

Non chiedetemi quando sia accaduto;

So

   invece,

Che forse dovrei cercare e uccidere

La Strega che mi ha maledetto.

 

 

 

 

*

- Poesia

Poesia cubana: il realismo negrista

"Non ho mai apprezzato un realismo troppo netto nella poesia, piuttosto l'ho sempre considerato una componente all'interno di quadri linguistici, espressivi ed estetici più ampi, sfumati, ermetici e simbolici. Ho sempre creduto che sia la parola a creare una realtà e non viceversa, e che questo sia il binario luminoso della vera arte poetica.
Ne sono ancora convinto, tuttavia esistono dei casi dove il realismo, vestiti i panni di una genuina primitività, diviene materia poetica di inestimabile forza, giustificazione essa stessa di un'esibizione di verità necessaria, essenziale. Se il neopopularismo lorchiano assumeva connotati realistici, popolari, storici e folcloristici, esso rimaneva ad ogni modo costantemente permeato da un ancestrale e misterioso surrealismo, che contraddistingue il fascino del poeta spagnolo. Questo genere di componimenti si legano con il canto, le filastrocche, le tradizioni, la favola.
Nicolas Guillen porta nella poesia negrista cubana questi insegnamenti, ma sprigiona in essi un realismo profondo, nudo, solitario, non condito da nulla se non dalla veridicità del lessico, la parlata popolare cubana, che quindi da linguaggio orale diviene lingua scritta, e poetica. 
Sono i neri oppressi a cantare; le parole con le loro consonanti atte a ricreare il ritmo dei tamburi, percuotono incessantemente, e la storia emerge come una sinfonia tribale dalle spaccature di una civiltà bianca malata.
Credo che tutto questo non sia solo una valida giustificazione per amare il realismo di Guillen, il poeta mulatto, ma anche motivo di scoperta di una ammirabile vetta raggiunta."

 

 

 

*

- Poesia

Mario Lebrón Saviñón

Mario Lebrón Saviñón nacque a Santo Domingo il 3 agosto del 1922. Saggista, poeta, scrittore, umanista, insegnante universitario e medico, fu tra i creatori del movimento letterario della poesia sorprendida; gli furono assegnati durante la sua lunga carriera letteraria numerosi e importanti riconoscimenti.

Nel 1947 si trasferì a Buenos Aires per specializzarsi in pediatria, lavoro che occuperà una parte fondamentale della sua vita. In quegli anni, immerso nella ricca vita culturale della città argentina, si manifestarono le sue prime inquietudini intellettuali e poetiche, e pubblicò il primo libro, Luces del Tropico. Nel 1944 aveva editato Sonámbulo sin Sueños, che rimase il suo unico quaderno poetico con le Edizioni della rivista La Poesia Sorprendida. Più tardi editò in collaborazione con Alberto Baeza Flores e Domingo Moreno Jimenez Los Triálogos, disquisiciones a tres voces; Infinitéstica y Cosmo hombre. In seguito raccolse tutta la sua produzione poetica con il titolo Tiempo en la tierra, con introduzione di Manuel Rueda.

Amante del sonetto, tradusse i poeti francesi Paul Eduard, Robert Dermosy, George Henein, e scrisse l’opera in cinque volumi Historia de la cultura dominicana, uno dei saggi più illuminanti nel suo genere, che stabilì le linee maestre del processo storico culturale della nazione dominicana.

Dopo una vita dedicata alla letteratura e alle scienze mediche, morì a Santo Domingo il 18 ottobre del 2014, a 92 anni. Nei circoli intellettuali e letterari era chiamato ‘el último sorprendido’.  

 

 

Fuego en el río

 

Tierra, libres caminos para el hombre.

Trópico libre amor, para el camino.

Trópico nunca dicho por tu nombre.

 

Sigue cantando en tu tambor sin gentes,

sigue, sigue feliz, yo te adivino,

en tu callado amor resplandeciente.

 

La sangre está corriendo por tus montes,

la sangre se estremece en tu pradera,

mancha, cubre, se inclina en tu horizonte,

con un silencio vivo de pantera.

 

Sube la sangre, gime, el río crece,

se va al cielo, lo roba, lo transforma.

Invade el caimital, va, lo estremece.

Va al flamboyán para encontrar su forma.

 

Chisporrotea en tu árbol, va a las venas,

corre por las heridas de la arena,

el fuego va a la sangre, corre al río;

 

el hombre muere, surge, grita, salta,

la sangre; el fuego corre vivo, asalta.

Sangre, fuego de amor, trópico mío.

 

 

Fuoco nel fiume

 

Terra, liberi sentieri per l’uomo.

Tropico libero amore, per il cammino.

Tropico mai chiamato con il tuo nome.

 

Continua cantando nel tuo tamburo senza gente,

continua, continua felice, io ti immagino,

nel tuo silenzioso amore risplendente.

 

Il sangue sta correndo per i tuoi monti,

il sangue si scuote nel tuo prato,

macchia, copre, si inclina sul tuo orizzonte,

con un silenzio vivo di pantera.

 

Sale il sangue, geme, il fiume cresce,

va al cielo, lo ruba, lo trasforma.

Invade le cainette, va, le scuote.

Entra nell’albero di fuoco per trovare la sua forma.

 

Brucia nel tuo albero, va alle vene,

corre per le ferite della sabbia,

il fuoco va nel sangue, corre al fiume;

 

l’uomo muore, sorge, grida, salta,

il sangue; il fuoco corre vivo, assalta.

Sangue, fuoco d’amore, tropico mio.

 

 

 

*

- Poesia

Note - Tutte le poesie

Nella poesia «La preghiera dell’Angelo» Fjalarr e Gallarr sono i due fratelli nani della mitologia norrena che dopo aver ospitato Kvasir lo uccisero e dal suo sanque nacque il magico idromele. Kvasir era l’uomo più saggio mai esistito; amava condividere la sua conoscenza con le genti, e fu creato dalla saliva degli Æsir (gli dei). Maha, Gayatri, Aruru, Tara, Yum Chenmo, sono tutti nomi di una stessa divinità universale a seconda delle varie culture, Madre della Terra; la citazione è presa dal libro di Carlo Martigli «L’eretico».

Nella poesia «Thàlassa», il titolo in greco antico significa ‘mare’; era anche il nome di una dea primordiale del mare, impersonificazione del mar Mediterraneo.

Nella poesia «Canzone del fiume e dei semi d’arancia» ‘Mieses’ è Franklin Mieses Burgos, poeta dominicano appartenuto alla corrente della poesia sorprendida. La lirica si ricollega in particolar modo a due suoi componimenti: «Cancion de la niña que queria ser sirena» e «Cancion del sembrador de voces».

Nella poesia «Come Gordon Pym», il titolo e gli ultimi versi si riferiscono al protagonista del romanzo di Edgar Allan Poe «Le avventure di Gordon Pym», in particolare rimandano all’inizio del suo avventuroso viaggio.

La poesia «L’Agosto di Lorca» si ispira alla lirica «Agosto» dalle «Canzoni» di Garcia Lorca. Gli ultimi due versi sono del poeta spagnolo.

La poesia  «Gnosi» cita «Il mio cuore messo a nudo» dagli «Ultimi scritti» di Charles Baudelaire. 

Le poesie «Volo» e «Il Campo di Martin» sono dedicate alla memoria di Martin Bisiacchi, amico morto suicida a Trieste nell’ottobre del 2015.

La prima parte della poesia «Edgar» si rifà ad una definizione della musica scritta da Edgar Allan Poe in uno dei suoi saggi brevi.

La poesia «La piccola Christelle» è dedicata alla memoria dell’amica Christelle Cesar, morta a Santo Domingo nel gennaio del 2013.

Nella poesia «Incidere funes», l’origine dell’espressione del titolo, testimoniata anche da Virgilio, risale al linguaggio degli antichi marinai che indicavano in questo modo l’azione del salpare, cioè ‘tagliare le corde’. 

Nella poesia «Libète» il titolo è in creolo haitiano: significa ‘libertà’ e viene pronunciata la ‘e’  finale come se fosse accentata.  

Nella poesia «Il vosto bacio» Hans Phaall è il protagonista di un racconto di Edgar Allan Poe, «L’incomparabile avventura di un certo Hans Phaall».

La poesia «Effigie saffica» cita nel primo verso la lirica «Ballata Saffo» da «Parallelamente» di Paul Verlaine.

Nella poesia «Plutone» i vv. 5, 6, 7 rimandano alla lirica «I gioielli» dalle poesie condannate tratte dai «I Fiori del male» di Charles Baudelaire.

Nella poesia «Opide allo specchio» i vv. 5, 6 sono delle citazioni rispettivamente di Casimir Perrier, uomo politico francese della seconda metà del Settecento, e di Quinto Orazio Fiacco, poeta latino del I sec. a. C., tratte dal racconto di Edgar Allan Poe «Tre domeniche in una settimana». Edipo, eroe della mitologia greca, riuscì nell’impresa di risolvere l’enigma della Sfinge. La lirica si classifica al terzo posto nel concorso «Versi in libertà» indetto da Les Cahiers Virtuels nel maggio del 2016.

La poesia «Il ballo del lupo e del corvo» si ispira alla lirica «Il ballo degli impiccati» di Arthur Rimbaud.  

La poesia «La coperta» riceve una Menzione Speciale al «Premio Montano 2016».

La poesia «Risposta di Ermete al poeta» si ricollega alla lirica «Ragione e Intelletto»; entrambe rimandano in parte al contenuto del «Corpus hermeticum» di Ermete Trismegisto; come anche il componimento «I tre simulacri» prende spunto dalla teoria delle statue

La poesia «Un solo verso» prende ispirazione dalla tematica del componimento «Romance del Duero» di Gerardo Diego, e dalla poetica dell’autore spagnolo.

La poesia «Quello che Lorca non disse» si ispira alle liriche «Capriccio» e soprattutto «Narciso» di Garcia Lorca.

Nella poesia «Consonanti», ‘Arthur’ è Arthur Rimbaud.

La poesia «Canzone della morte e degli organetti» si riferisce alla morte di Federico Garcia Lorca: rifiutatosi di lasciare la Spagna allo scoppio della guerra civile, Lorca si recò a Granada dove fu arrestato. Venne fucilato lungo la strada verso la vicina Viznar dalle milizie nazionaliste, all’alba del 18 o 19 agosto 1936. ‘Diego’ è Gerardo Diego, autore della lirica «Chitarra» e caro amico di Lorca.

La poesia «Icaro» fa riferimento alla lirica di Gerardo Diego «Icaro (Fontana della Granja)»; la Granja è una tenuta reale presso Segovia, fra le sue famose fontane vi è una in cui si vede Icaro infiggersi, precipitando, nella roccia.

Nella poesia «Dalla notte al sogno (Haina)», ‘Haina’ è un quartiere di Santo Domingo.

Nella poesia «Epidendrum Flos Aeris» il titolo è il nome di una pianta tipica di Giava, come riferisce Poe nel suo racconto «Come si scrive un articolo alla Blackwood».

Nella poesia «Casa», ‘Au revoir à tout le monde/ adieu à tout le mal’, tradotto in italiano: ‘Arrivederci a tutti quanti/ addio a tutto il male’.

Nella poesia «Fenrir», l’omonimo protagonista è un gigantesco lupo della mitologia norrena, incatenato dagli dei a causa delle sue dimensioni con una catena magica e destinato a rimanere imprigionato fino alla fine del mondo.  

Nella poesia «Meiji», ‘Meiji’ (1852-1912) è stato il 122º Imperatore del Giappone.

Nella poesia «Gli occhi di Goya» viene nominato Francisco José de Goya y Lucientes, pittore e incisore spagnolo il quale, ad un certo punto della sua vita, perse del tutto l’udito.

Nella poesia «Altazor», ‘Altazor’ è il protagonista dell’omonima opera poetica di Vincente Huidobro. 

La poesia «Dal ritorno» si riferisce al viaggio di ritorno di Odisseo da Troia a Itaca.

Nella poesia «Essere e creare», i citati Álvaro de Campos, Ricardo Reis, Alberto Caeiro, Coelho Pacheco e Bernardo Soares, sono pseudonimi di Fernando Pessoa, ma non solo; si tratta infatti di caratteri individuali dotati di una precisa storia, fisiologia, e stile poetico.

Nella poesia «Ashé», ‘Ashé’ nella religione yorubá africana che si diffuse a Cuba con l’avvento della schiavitù, significa ‘parola sacra’; Eshu-Elegbara è il padrone della parola, colui che permette la comunicazione tra il dentro e il fuori ed è capace di aprire tutte le porte. I primi due versi sono tratti da un proverbio yorubá.

La poesia «Notte della pelle» si ispira ad un verso della lirica «Donna nera» di Leophold Sedar Senghor (1906-2001), poeta e politico senegalese, primo presidente dello stato africano in carica dal 1960 al 1980.

Nella poesia «Gou», il titolo è in creolo haitiano, significa ‘gusto’; ‘Hic est enim calix sanguinis mei’, tradotto: ‘Questo è il calice del mio sangue’.

Le poesie di «Aguardiente» sono state composte a Santo Domingo nei mesi di febbraio e marzo del 2017, si riferiscono tutte a situazioni e personaggi dell’isola caraibica. Nel mese di marzo del 2017 la silloge viene  pubblicata sulla rivista Critica Impura con il titolo di «Aguardiente: ritratti caraibici».

La poesia «Novizio» è dedicata al film «In memoria di me» di Saverio Costanzo.

La poesia «Congedo con Pessoa» si ispira al componimento «Grandi sono i deserti, e tutto è deserto» di Fernando Pessoa.

Nella poesia «Con il mio amore con un amore in grembo», i primi due versi riportano il frammento 1 di Archiloco: 'Εἰμὶ δ’ἐγὼ θεράπων μὲν Ἐνυαλίοιο ἄνακτος/ καὶ Μουσέων ἐρατὸν δῶρον ἐπιστάμενος'. Tradotto in italiano: 'Io sono il servo d'Ares signore della guerra/ e conosco l'amabile dono delle Muse'.
Nella poesia «Inno a Ecate» i primi quattro versi sono una citazione dell'inno dedicato a Ecate di Esiodo.
Nella poesia «Tal kyrte» il titolo rappresenta il nome con il quale si faceva chiamare il popolo delle Amazzoni.
La poesia «L'amabile dono» si riferisce al testo dell'epigrafe di Mnesiepes, che riporto per intero: 'Il dio Apollo vaticinò a Mnesiepes che era conveniente e giusto onorare il poeta Archiloco nel modo che aveva in animo.
E in osservanza a questo vaticinio di Apollo, chiamiamo il luogo «Archilocheion», costruiamo gli altari, sacrifichiamo agli dèi come ad Archiloco e lo onoriamo, secondo l’oracolo che Apollo ci rese.
Quanto a ciò che decidemmo di scrivere, parte lo abbiamo appreso dalla tradizione antica, parte lo abbiamo verificato personalmente.
Dicono infatti che Archiloco, ancora molto giovane, fu mandato dal padre Telesicle in campagna, al villaggio chiamato Leimon, per portare a vendere una vacca; partì che era già notte e splendeva la luna, per portare la vacca in città; quando fu nella località chiamata Lissides, gli parve di intravedere un gruppo di donne. Credendo che esse tornassero dai campi alla città, iniziò a motteggiarle, e quelle risposero con scherzi e risate e gli chiesero se portasse la vacca al mercato. Archiloco rispose di sì, e le donne dissero che gli avrebbero dato loro un degno compenso. Dopo aver detto così, scomparvero sia loro sia la vacca, ma Archiloco vide una lira posata ai suoi piedi. Ne rimase sconvolto, ma dopo qualche tempo comprese che gli erano apparse le Muse e che gli avevano donato una lira; la prese, si avviò verso la città e raccontò a suo padre quanto era accaduto…'.
La poesia «Limes», che in latino significa ‘confine’, si ispira all’omonimo racconto di Valerio Massimo Manfredi, come anche la poesia «Alcibiade» prende spunto dal suo racconto «Il vasaio di Acarne». 
La poesia «La legge di Licurgo» si riferisce all'ordinamento che secondo la tradizione il legislatore Licurgo diede alla città di Sparta. Esso era costituito da norme severe, tra le quali l'usanza di lasciare i propri figli maschi intorno all'età di sette, otto anni a vivere per un lungo periodo fuori di casa, nei boschi e in mezzo alla natura; abbandonati totalmente ad una condizione selvaggia, allo scopo di fortificarsi in mezzo ad ogni sorta di pericoli, dovevano provvedere da soli alla propria sopravvivenza. Era loro concesso rubare, e in caso uccidere gli iloti (schiavi spartani) e i perieci (persone libere, ma non cittadini).
Le poesie «Cipride e Ippolito» («La furia di Afrodite» e «I tre desideri») sono una ricostruzione della tragedia «Ippolito» di Euripide.

 

 

 

*

- Poesia

Omaggio a Garcia Lorca: canzoni create

Canzone della morte e degli organetti

 

Cominciando da qualunque più antica luce

capace di accecare,

caddi nel creato pozzo non d’acqua ma di vento

come la chitarra di Diego.

 

Ed ecco fucilate di suoni:

 

sonoro osso grigio di corde dal tallone spuntato

ai buchi d’un nero abissale,

coi proiettili nel pugno pronto

a lanciare lungo il cammino di Granada.

 

Soldati eseguono la guerra incivile;

giallo giullare balla con gli occhi lontano,

gli organetti cantano dall’eterne fessure;

si chiude il sipario.

 

Burattinai muovono l’ultimo accordo;

fili svenenti di corvo gitano.

 

 

Quello che Lorca non disse

 

Lo specchio

si raccoglie

come una conchiglia di luce

nelle tenebre.

 

Chi sarai domani?

Su quale acqua – nuovo –

ti formerai?

In quali riflessi si poseranno

la tua anima, e il tuo cuore –

se ne conservi uno?

Cadrai come Narciso?... Oppure no?

 

(...)

 

Guarda, guarda quell’uccello giallo!

Ay, ay.

Lasciala stare!

Ay, ay, ay.

Lascia in pace – ay

la Poesia!

Ay, ay attento!...

 

Lo specchio

si desta

come la piuma di un cigno

sopra la radice di una rosa.

 

 

Canzone del fiume e dei semi d’arancia

 

Stavo sulla riva col vecchio,

tra me e me un pesce morto

a pancia in su con una rotonda

capriola di luna spinse la corrente

con la coda fino a tuffare le ali

da una palpebra all’altra del chiarore

di vino rosso al fondo nero

dei nostri occhi in fila:

 

i miei e quelli di Mieses che come

i suoi versi pareva dipinto con tinta

di stelle, d’alghe, di una pena bianca

che lassù nel cielo non era la luna;

 

sputavamo semi d’arancia nel fiume,

il suo sorriso era dolce

come quello dell’arcangelo bambina

che voleva essere sirena salata

e non si mangiava le unghie.

 

Quanto ho amato la cristalleria

sorta da quelle labbra di raggi

doloranti!

 

Sputavamo parole rotonde

nell’acqua del fiume:

 

mi insegnavi a costruire

la statua di me stesso sul tempo.

 

 

La melodia del corvo

 

Flagellata col vento dalla gioia;

noia veli il volto col fianco dell’odore

nero, giunge fiero il solco del candore

feroce in armatura.

 

Cela il mio braccio ch’apre l’ombra;

gesto di fulmine, abbaglio

vince ancora il lampo ammiccante

dell’incappucciata falce;

 

scura piuma dipinta che cola in piume,

corvo sbircia da uno spiraglio.

Era sveglia del corvo, nel corpo melodia

per chi non dorme mai, finchè non muore.

 

 

Quello delle donne pure

 

L’alito dei diavoli

puzza di sangue, olive e cenere;

quello dei draghi

odora di fumo e lame di parole;

quello dei guerrieri

di olio, di formaggio e di vento;

quello delle streghe

di fiori viola e d’erba bruciata;

quello dei poeti

di sale e di fonti;

quello delle donne pure

odora del proprio riso.

 

 

Note

 

La poesia «Canzone della morte e degli organetti» si riferisce alla morte di Federico Garcia Lorca: rifiutatosi di lasciare la Spagna allo scoppio della guerra civile, Lorca si recò a Granada dove fu arrestato. Venne fucilato lungo la strada verso la vicina Viznar dalle milizie nazionaliste, all’alba del 18 o 19 agosto 1936. ‘Diego’ è Gerardo Diego, autore della lirica «Chitarra» e caro amico di Lorca.

La poesia «Quello che Lorca non disse» si ispira alle liriche «Capriccio» e soprattutto «Narciso» di Garcia Lorca.

Nella poesia «Canzone del fiume e dei semi d’arancia» ‘Mieses’ è Franklin Mieses Burgos, poeta dominicano appartenuto alla corrente della Poesia Sorprendida. La lirica si ricollega in particolar modo a due suoi componimenti: «Cancion de la niña que queria ser sirena» e «Cancion del sembrador de voces».

 

 

 

 

*

- Poesia

Recensioni e note: da Leunam a I luoghi sepolti

Voci e Recensioni

 

Una voce tutta propria e originale, che consente di mettere a frutto la lunga e paziente ricerca di una dizione ritmicamente sorvegliata e suggestiva, ben supportata da adeguati contenuti poetici e da una inesauribile vena ermetica laddove tracima un sottile, penetrante sentimento di distaccata, consapevole e anche amara contemplazione esistenziale.

 

Tito Cauchi

(Presidente della giuria del Premio Nazionale di poesia edita Leandro Polverini 2012, a proposito del libro Leunam)

 

 

Manuel Paolino è un visionario di poche parole. Le sue sono poesie con una dolce cadenza ritmica, dove l’eco dell’immagine poetica, risuona leggera nel resto della pagina bianca.

Un poeta dalle tinte pastello, che non ha bisogno di punteggiatura per scandire le sue espressioni poetiche mai banali e sempre eleganti e pregne.

Nelle poesie di Paolino, c’è tanta umanità, ma soprattutto un rapporto empatico con la natura, fedele amica di sogni e pensieri, sciorinati in vorticanti metafore. Come nell’ultima strofa della poesia A Legnoverde: «Mi appoggio/ sulla pietra amica/ e insieme al sole sogno/ piccola erba dorata». L’uomo e la sua anima poetica, diviene un unicum spirituale con la natura, che è maestra chiarificatrice.

Un raggio di sole, vale come mille parole e tanti discorsi. Sono sensazioni date dal ciclo naturale, che il poeta fa sue e rende magma d’inchiostro, pronto a ergersi ad atavica soluzione del nostro tempo e del nostro rincorrerci nel tempo.

In un contesto di visione d’insieme, i terrestri di Paolino, sono come anime sospese e «ci sono uomini/ e donne/ separati da montagne/ altissime/ come le promesse/ gridate al cielo».

Una silloge profonda e penetrante, da leggere in assoluto silenzio, per riuscire ad immergersi nelle candide atmosfere naturali del poeta triestino.

Calda, rossa, sfumata, cristallina, accogliente, leggera... è la poesia di Manuel Paolino.

 

Paolo Coiro

(Caporedattore di Aphorism.it, a proposito del libro Leunam)

 

 

Calda: molto. Rossa: forse no, forse più verde. Sfumata: assolutamente no, tagliente direi, piuttosto. Cristallina sì, davvero, di una trasparenza che permane anche laddove al lettore rimane il dubbio di non aver afferrato qualcosa. Accogliente sì, ma è un padrone di casa di quel tipo che si diverte a fare gli scherzi ai suoi ospiti. Leggera... per dirla con Kundera «l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale». Ed è infatti nella dimensione onirica che si svolgono le avventure di Leunam.

 

Alessio Marzi

(Storico, ricercatore, insegnante di sostegno)

 

 

Nella nuova silloge poetica di Manuel Paolino, dall’evocativo titolo di Prima del crepuscolo, si intrecciano numerose tematiche. Da un lato ci immergiamo nell’anima del poeta, nei suoi pensieri e nei suoi desideri più reconditi, dall’altro siamo portati a riflessioni più generali ed universali, che coinvolgono la vita dell’umanità intera.

In questa raccolta la poetica di Manuel si fa più intima, più sofferta, rispetto a quella di Leunam. Il più celestiale dei poeti, che non si curava dei numi, torna ora ad essere mortale tra gli uomini confusi, nella lirica Mani.

L’umanità di Paolino è un’umanità stanca, rancorosa, incattivita, come declama in Un nuovo giorno: «Ho incontrato uomini vecchi/ traballanti d’arroganza/ con rabbie trattenute/ in scricchiolii d’ossa insane».

Un’umanità guidata da esseri abietti, che saranno alla fine giudicati, come canta nella lirica L’ora del giudizio: «Voi/ che dell’umano potere/ avete fatto scempio (...) Ora al traguardo// Sarete giudicati».

Ma oltre queste oscurità e queste cattiverie c’è una forza che interviene nella vita dell’uomo, una forza che tutto supera e tutto abbatte, si tratta dell’amore.

L’amore che Manuel declama, con timore e tremore, nella lirica In un’anima: «Mai/ avrei pensato/ fosse così/ grande/ il mio timore/ d’un amor/ tanto profondo».

L’amore che accompagna dolce nel sonno di Verso Morfeo: «Infine/ m’addormento/ per mano/ accanto/ alla persona/ amata».

L’amore nella poesia Un uomo, un amore che è capace di superare anche la morte: «Ascolta il suo grido/ madre/ perchè se c’è una cosa/ che nessun vociare/ né alcuna morte/ può cambiare/ è l’amore/ che sana/ le cadute/ su quei cammini rovinosi/ di cui ancor non vedi/ i petali sommessi».

Quest’amore sembra essere il preludio ad un amore più grande, quello di un sole che non tramonta, ma anzi, abbraccia l’uomo in tutta la sua luce.

Così canta Paolino nella lirica Prima del crepuscolo, che dà il nome alla raccolta: «Scorgo/ la mia vita/ tra quelle montagne/ disegnate con le loro curve/ sul tiepido abbaglio/ in discesa/ di un sole/ a metà// Prepotente ora/ dal cielo emerge/ e mi vince/ in un abbraccio di luce».

 

Fabrizio Bandini

(Scrittore, poeta, saggista, Direttore della Midgard Editrice)

 

 

Prima del crepuscolo è la seconda raccolta del pluripremiato Manuel Paolino. Il titolo della silloge è preso da una poesia contenuta nell’opera, che ci introduce nell’animo e nelle parole a cui l’autore dà vita: «Scorgo/ la mia vita/ tra quelle montagne/ disegnate con le loro curve/ sul tiepido abbaglio/ (…) e mi vince/ in un abbraccio di luce», il sole sembra essere l’inizio e non la fine di un incontro che riscalda il corpo.

La raccolta è composta da trenta poesie, tutte hanno un elemento peculiare quale la sofferenza, che è vista però sotto molteplici aspetti come in Le mie domande: «Non c’è spazio/ né condanna/ non ci sono suoni/ né perdono/ i sospiri tacciono/ nel tempo/ scandito/ da queste foglie/ che si sbriciolano», tutto è in un continuo avvenire, e in un lento progressivo esaurirsi, tornare alla terra. Altri versi ancora ci introducono al concetto di fine, di esaurimento di speranze: «(…) In questo/ varco/ spalancato/ le profezie/ galleggiano/ su felicità/ interrotte».

Attraverso due percorsi il poeta ci apre i sentieri del verseggiare, uno più intimistico, che è portavoce di sogni, speranze, desideri (forse mai diventati realtà), e l’altro più arioso, aperto, conviviale per ogni possibile intimo ritrovarsi. Intimità e sofferenza diventano pure un tutt’uno: «Esplodono/ alle spalle/ cadono/ incessanti/ (…) in posa/ per il finale// Fu solo pioggia».

C’è spazio anche per sprazzi di eterea speranza, di gioiosità in scadenza: «Si mischiano/ con le pietre del fiume/ i piedi degli angeli/ (…) Siamo figli/ superstiti/ feriti/ fra cortine/ di speranza».

Ma quel guizzo di labile felicità, trova conferma nel più alto, onesto, gentile, ma anche strano, indecifrabile, aguzzo sentimento che da tanti anni muove la mente, il corpo, la vita: l’amore.

Testimonianza di ciò l’abbiamo in Un uomo, ma non solo: «(…) Ascolta il suo grido/ madre/ perchè se c’è una cosa/ che nessun vociare/ né alcuna morte/ può cambiare/ è l’amore/ che sana/ le cadute/ su quei cammini rovinosi/ di cui ancor non vedi/ i petali sommessi/ (...) Non c’è più notte/ dietro lo specchio/ della quale tu possa/ aver timore».

Versi per sognare, per decidere, per lasciarsi naufragare in un mare in tempesta, che risuona al dolce frastuono dell’ingannevole semplicità.

 

Gino Centofante

(Scrittore, poeta)

 

 

Il poeta ha la forza poetica dei cantori greci. La sua bravura lo porta sull’Olimpo di una Poesia eccelsa e incoronata dall’alloro dei miti del passato. Manuel ha la grandezza di un vate che non si sperava di trovare nei nostri tempi. Figlio della fine di un decennio che lo illumina ancora di giovinezza è straordinario e commovente. 

 

Antonella Griseri

(Scrittrice, critico letterario, dopo aver letto le poesie CalipsoLa piccola Christelle, RichiamoL’urlo)

 

 

Dopo Leunam e Prima del crepuscolo Manuel Paolino ci presenta la sua terza raccolta poetica: Calipso.

Un titolo evocativo che raccoglie in sé il senso profondo della sua poesia. In questa nuova raccolta difatti le tematiche del viaggio e del mare vengono fuori in maniera preponderante.

Viaggio, che è in sé il viaggio della vita, che ognuno di noi compie, ma che è anche il viaggio del poeta, che attraversa nuovi territori lirici e nuove opere. Il mare, inoltre, è già di per se stesso simbolo di viaggio, di attraversamento dell’ignoto, per giungere infine nello sperato porto o a casa, come il prode Ulisse.

Le figure di Ulisse e Calipso si impongono in questa raccolta in maniera naturale e quasi necessitante.

Ulisse è il viaggiatore, è l’uomo che attraversa il mare della vita, siamo tutti noi, ed è anche il poeta, l’uomo che riflette sullo scorrere della sua esistenza e sul mondo che lo circonda.

Calipso è la ninfa dell’isola, che si innamora di Ulisse, che lo imprigiona, durante il suo errare, durante il suo ritorno a casa, ma è anche la Poesia, con cui il poeta intrattiene un rapporto stretto e a tratti travolgente.

La riflessione poetica di Paolino si avviluppa tutto attorno a queste figure, al viaggio e al mare, sprofondando alla ricerca di significati e di verità ulteriori, ancora più nascoste, in un incedere che sembra non avere tregua.

Ma infine c’è il ritorno a casa, il ritorno al porto natio, in cui il poeta/Ulisse infine approda, portando con sé l’amore per la sua donna, per la sua musa ispiratrice.

In questo caso è Empera, la moglie di Manuel, che con lui ha attraversato il grande Oceano, da Santo Domingo a Trieste.

Un ritorno in qualche modo similare, ma anche molto diverso, di quello narrato nell’Odissea. Così come tutti i viaggi degli uomini sono similari, ma sono anche unici ed irripetibili.

 

Fabrizio Bandini

(Scrittore, poeta, saggista, Direttore della Midgard Editrice)

 

 

Una raccolta di poesie è sempre un viaggio nella mente e nel cuore di chi le scrive. Il poeta si mette a nudo, lascia cadere le sue difese e rivela la sua parte più nascosta. Proprio per questo, le raccolte di poesie sono, a mio parere, le più difficili da recensire. Come si fa a rencensire degnamente un insieme di emozioni così profonde e personali? Permettetemi e scusatemi pertanto se le poche parole che scriverò non renderanno giustizia alla bellezza di ciò che ho letto e riletto in queste sere.

Si dice che i numeri siano infiniti, mentre le parole no, però le parole si possono usare un infinito numero di volte per esprimere innumerevoli sfumature: paesaggi, immagini, stati d’animo. C’è anche chi dice che una poesia non è tale se non è in rima, lunga e prolissa.

Il poeta Paolino, con questa collezione, dà prova di riuscire a trasmettere al lettore svariate emozioni e ci dimostra anche che a volte basta poco per descrivere tanto. La poesia, ripeto, è nel cuore, nell’anima del poeta e Paolino, in poche righe, riesce dipingere l’universo che è dentro di lui.

Da una manciata di versi, selezionati, ponderati e strutturati con estrema cura, esce un’opera d’arte, una scultura – come accenna l’autore stesso nell’introduzione alla raccolta – che è completa nella sua semplicità.

Sono versi disarmanti. Alle volte ci tolgono il respiro, altre volte ci danno filo da torcere per comprenderli, ancora ci scuotono profondamente, e sempre e comunque risuonano dentro di noi come una eco che non ci vuole lasciar andare.

Mi piace pensare alle poesie di Paolino, e dei grandi poeti in generale, come a un buon rum davanti al caminetto in una sera d’inverno.

Alla fine la poesia è un sorseggiare le parole e godere del retrogusto che esse ci infondono in funzione dello stato d’animo in cui ci troviamo, sia esso felice, malinconico o anche infuriato. Qualsiasi emozione scaturita da una poesia, in positivo o in negativo, è fondamentalmente un brindisi all’arte. Salute!

 

Katia Guido

(Redattrice di Aphorism.it, a proposito del libro Calipso)

 

 

Nel suo ultimo lavoro letterario, Manuel Paolino, che nella precedente raccolta Leunam si era fatto esplicitamente profeta e cantore delle estensioni dell’Accanto e dell’Altrove, scoperchia, dal punto di vista poetico, una nuova dimensione attorno a cui far ruotare i suoi versi liberi, alternativa ma complementare allo Spazio: il Tempo.

È questo il risultato di una ricerca (historia) da lui definita, paradossalmente, di luoghi sepolti.  

Il rivelarsi del divenire (accanto all’essere) come una «clessidra nella pelle» è invece un’epifania poetica che, per Manuel Paolino, ha il valore di una scoperta scientifica.

A farla da padrone nella raccolta, a dispetto del titolo, è quindi il Tempo, protagonista assoluto e narratore in prima persona degli scenari apocalittici rivelati nel poemetto intitolato Il giorno in cui il Tempo distrusse i sepolcri.

Manuel Paolino sembra voler qui sperimentare assieme alla durata, il ritmo e la distribuzione geometrica. Il poemetto è infatti ripartito in due canti, ciascuno composto da sette stanze di otto versi. Eppure, in questa piccola cattedrale matematica e gotica, segnata dal «male dantesco», è consapevolmente inserito un elemento perturbante che ne fa traballare l’intera architettura.

È infatti un singolo verso libero, slegato da qualsiasi simmetria, ad introdurre le ultime due stanze: «Ecco qualcosa accade:». Si insinua così il dubbio che l’apparentemente inesorabile e necessariamente determinato flusso del divenire, che «sale e non dà pace», possa correre (sotto gli occhi di un Tempo divenuto infine un immobile spettatore) lungo percorsi molteplici e casuali, una volta risvegliatosi ciò che «(...) nel ventre/ il sonno dorme d’un poeta».  

 

Alessio Marzi

(Storico, ricercatore, insegnante di sostegno)

 

 

 I luoghi sepolti è una raccolta di sette liriche che precedono il breve poemetto allegorico Il giorno in cui il Tempo distrusse i sepolcri diviso in due parti, Il mattino e il mezzogiorno e Il vespro e la notte, opera dell’autore Manuel Paolino.

Nella sua introduzione Paolino ci spiega che il poeta non è più soggetto come un burattino alla poesia ma ne è consapevole e ne affronta il viaggio, verso destinazioni ispiratrici ovunque esse siano: dentro la mente o nello spirito del poeta o in luoghi lontani, l’importante è che restino avvicinabili per mezzo di un vero e proprio percorso, sia esso fisico o mentale. 

Protagonista del poemetto è il Tempo, il quale è sia muto osservatore, sia inesorabile distruttore; anche se questo spazzerà via luoghi e tombe di illustri poeti, non riuscirà comunque a cancellarne il ricordo delle poesie, e nemmeno potrà fermare la nascita di nuovi avventurieri della poesia.

Tra le liriche che precedono il poemetto, il mio gradimento personale è per Il girasole; breve, mi ha portato a ricordare l’estate, conducendomi in viaggio verso una fonte d’ispirazione.

 

Stefano Bergamasco

(Comitato dei Lettori di Aphorism.it)

 

 

Dedica, Ringraziamenti e Note

 

Dedico questo libro a Emperatriz Paula Valerio, mia cara moglie, che conobbi un giorno d’estate del 2009, alla quale molte mie liriche si riferiscono (Empera – composta nell’autunno del 2009 – In un’anima, Colori, Rugiada di poesia, Verso Morfeo, Virus, Vetri, Il miracolo, Luna, Elisir, Risveglio, La profezia di Poseidon, Il mare degli dei, Il giorno più bello, La chiromante, Versi antichi, Casa, Poetica, L’angolo – «con la testa appoggiata lì/ dove il mento incrocia le carezze» – Il girasole), oppure ci vedono protagonisti. 

Ringrazio dal profondo del mio cuore mia madre Vinicia Cadenaro, amica, mamma deliziosa, donna immensa e da sempre mia prima lettrice.

Ringrazio mio padre Salvatore, anima della mia anima, uomo incredibile ed unico. Ringrazio mia moglie, mia madre e mio padre, per il loro intenso amore e per la purezza lucente dei loro spiriti, senza i quali oggi non sarei quello che sono.

I miei genitori sono presenti, oppure ci sono riferimenti che li riguardano, in più d’una poesia (Sangue, Cenere e luce, Un uomo, La cena, Casa – «qui tra le lenzuola d’amor/ grande a Trieste» – Poetica).

Ringrazio i miei fratelli, Fabio e Davide, la zia Marisa (con le sue passeggiate dentro casa, con i miei libri in mano – dopo averli volutamente lasciati da qualche parte, in attesa – leggendo i versi ad alta voce, cercando in essi ulteriori significati ed emozioni) e le molte persone care che in questi anni hanno letto i miei lavori.

Vorrei sottolinare inoltre come varie mie liriche si soffermino sulla Poesia; indole, questa, decisiva nel mio cammino e nel mio pensiero poetico (In fiamme, I versi, Poeta, Io salto, Congedo con Pessoa, Rugiada di poesia, Lontano dal porto – «m’abbandono/ alle sorde mie finestre» – Mani, Calipso, Incidere funes – «Son tornato/ alla socchiusa Porta/ per portar/ con me gli abiti più belli» – Armonie, Sognando la balena, Poetica, Ermete, e certamente il poemetto: Il giorno in cui il Tempo distrusse i sepolcri).

La mia poesia è popolata anche da numerose figure femminili, a parte mia madre e mia moglie, siano queste amori di gioventù, ricordi o apparizioni (Domani, Catarina, Memorie di battitti, Una terra, Frammenti d’oceano, Estremi di pensiero, Nel fiume, Dal buio, Alba rossa, Memoria di te, Dieci scintille, La piccola Christelle, La pleine lune).

Un ricordo speciale per Christelle – alla quale è dedicata la lirica La piccola Christelle – amica che sempre porto nel cuore, spentasi troppo giovane tentando invano di salvare una bambina dall’acqua, e che ora so ci guarda.

Un ricordo speciale per la terra che mi ha ospitato per quasi cinque anni, la Repubblica Dominicana, che ho amato ed amo, e sempre amerò; e per la città di Santo Domingo.

In Voci e recensioni i commenti che compaiono sono tratti dal sito sul quale gli autori li hanno pubblicati (Paolo Coiro, Gino Centofante, Katia Guido, Stefano Bergamasco, su Aphorism.it); da un’Antologia poetica (Antonella Griseri in 500 Poeti Dispersi. Libro Primo, La Lettera Scarlatta Edizioni, 2013); dalle Note introduttive di Prima del crepuscolo e Calipso (Fabrizio Bandini); da lettere personali inviatomi (Tito Cauchi, lettera relativa al risultato del concorso Leandro Polverini 2012, comprendente la motivazione critica); da messaggi personali (l’amico Alessio Marzi, che compose il suo secondo commento, quello su I luoghi sepolti, in un caffè di Marais, a Parigi, il 5 gennaio del 2015).

Il mio scritto intitolato Le ragioni della nuova poesia pura. Dinamiche poetiche di un’opera, è una successiva edizione, completata e rivista, dello stesso testo presente in Calipso, la mia terza raccolta, e in Nuova poesia pura, libro da me autoprodotto nel 2015.

Ultima annotazione sulla composizione delle liriche: le poesie di Leunam sono state composte fra il 2005 (ma alcune di esse risalgono a tempo prima) ed il 2011, in Italia, tranne la lirica Tra vivere e morire il vento, scritta a Santo Domingo (nel mese di gennaio del 2010 mi trasferisco in Repubblica Dominicana). Le poesie di Prima del crepuscolo sono state composte tra l’estate del 2011 ed il 2012, nel periodo di un anno, in terra dominicana. Le liriche di Calipso sono state ultimate fra il 2013 (ma la poesia Calipso risale a dicembre 2012) ed il 2014 (18 aprile 2014, giorno del mio arrivo in Italia), a Santo Domingo, tranne la poesia Casa, scritta quindi in Italia. Le composizioni de I luoghi sepolti appartengono al 2014 e sono state redatte in patria.

Infine un grazie sentito a tutti i miei lettori, che si avvicinano alla poesia e al mondo attraverso i miei versi.

 

 

Altre note a cura dell’autore

 

NOVIZIO  La poesia è dedicata ad un film: In memoria di me, di Saverio Costanzo (Italia, 2006), seconda pellicola diretta dal regista romano, successiva al suo film d’esordio del 2004, Private, e ispirata al romanzo Il gesuita perfetto (1960) di Furio Monicelli. Del film scrissi una recensione lunga, pubblicata nel Catalogo del Premio Internazionale alla migliore sceneggiatura Sergio Amidei di Gorizia nel 2007.

 

CATARINA  La particolarità della lirica è che le lettere iniziali di ogni verso formano, se messe insieme, il nome proprio che costituisce il titolo;

Altrove, «Altrove» compare nei versi di alcune poesie all’interno dell’opera, come Catarina, ma anche Leunam e Il miracolo. Un luogo nascosto, intimo e reale, onirico e presente. Ed è da lì, forse, che proviene, enigmaticamente, la Poesia.    

 

GLI OCCHI DI GOYA Goya, Francisco José de Goya y Lucientes (1746-1828), è stato un pittore e incisore spagnolo. Nel 1792 compì un viaggio in Andalucía, durante il quale si ammalò e perse del tutto l’udito.

 

UNA TERRA  I Campi dei Nebrodi, il componimento è stato scritto in Sicilia, precedentemente al 2005, nella terra di origine di mio padre, in provincia di Messina, nella campagna di Sauro tra i monti Nebrodi, vicino ai paesi di Brolo e Ficarra.

 

A LEGNOVERDE  Legnoverde, «Legnoverde» è il nome della foresta immaginaria descritta nei versi; la poesia fu realizzata fra il 2004 ed il 2005, in un periodo nel quale scoprì di avere una malattia agli occhi.

 

DAL BUIO  Cerastella, «cerastella», chiaramente un neologismo.

 

IL GIORNO DEGLI SPOSI  La lirica si riferisce al giorno del matrimonio di mio cugino Luca Paolino, nozze celebrate in chiesa a Certaldo, da mio cugino Don Lorenzo Paolino.

 

EMPERA  Ho tradotto la poesia dallo spagnolo in questo modo: Come il vento/ adesso/ sta suonando la mia pelle// Così/ t’amo/ con la stessa dolcezza// Tu sei il mio arcobaleno/ ed io il mar/ sul qual tu appari.

 

TRA VIVERE E MORIRE IL VENTO Yanco, «Yanco» è davvero esistito nella mia giovinezza: batterista (come mio fratello Fabio), che all’epoca a Trieste io ed i miei amici, più piccoli di lui, consideravamo sorprendente per l’estrema velocità di esecuzione che lo caratterizzava.

 

CONGEDO CON PESSOA  La lirica vuole essere l’omaggio e il riadattamento d’un componimento – Grandi sono i deserti, e tutto è deserto – del poeta portoghese Fernando Pessoa (1888-1935), che in parte riporto: «Grandi sono i deserti, anima mia, grandi./ Non ho fatto il biglietto per la vita/ (...) accendo la sigaretta per rinviare il viaggio,/ per rinviare tutti i viaggi,/ per rinviare l’universo intero./ Ripassa domani, realtà!/ Basta per oggi, gente!/ (...)».  

 

IL CUSTODE  Protagonista dei versi è un cane, Divo, il pastore maremmano che per molti anni ha fatto parte della mia famiglia, e che accompagnai fino alla fine, fino ai suoi ultimi respiri. Molto tempo dopo, lo risentii ancora straordinariamente presente in me, e scrissi questa lirica in sua memoria.

 

IL MIRACOLO  Componimento che rappresenta quello che io definisco il primo miracolo. Racconta la drammatica vicenda che vide coinvolta mia moglie Emperatriz in un incidente stradale, dal quale sopravvisse indenne. Anche la poesia Vetri si riferisce ad un incidente automobilistico, di natura lieve.

 

UN UOMO  v. 6 Lui che per tante notti,  Lui è «Un uomo», cioè mio padre. Come in gran parte delle poesie che si riferiscono ai miei genitori, è presente una tematica famigliare, personale, molto forte.

 

ATTESA  Questa breve lirica che conclude Prima del crepuscolo testimonia più di qualunque altra il mio attaccamento, al di là d’ogni bene e d’ogni male, alla terra dominicana. Fu scritta in un periodo in cui avevo già in qualche modo previsto ed immaginato il mio futuro ritorno in patria, ma al quale mancava, tuttavia, ancora molto tempo.  

 

LA PICCOLA CHRISTELLE  Ho parlato di Christelle in Dedica, ringraziamenti e note. Quando mi diressi verso la giovane ragazza haitiana distesa s’una sedia a sdraio al bordo di quella fatale piscina, vidi – come se sol io vedessi – una manciata di rondini, cariche di tutta la loro simbologia del viaggio – ultraterreno – avvicinarsi ed allontanarsi dal corpo privo di vita, per porsi poi di nuovo accanto ad esso, continuando così questa mistica danza. Quella fiamma che, fino a pochi istanti prima stava in lei, ora, lo sentivo, era in qualche forma presente, proprio là, presso tutti noi, che vagavamo attorno. Fu allora che io mormorai – ancora non avevo notato i baci delle rondini – «lei è qui». Questo, senza dubbio, in tutta la sua incredibile purezza, fu il secondo miracolo.

 

INCIDERE FUNES Incidere funes, l’origine dell’espressione, testimoniata anche da Virgilio, risale al linguaggio degli antichi marinai che indicavano in questo modo l’azione del salpare, cioè «tagliare le corde».

 

LIBÈTE  Libète, si tratta di creolo haitiano, significa «libertà», viene pronunciata la «e» finale come se fosse accentata.  

 

LA PROFEZIA DI POSEIDON  Maem, la parola è anche tatuata all’interno di un disegno sul mio braccio. Racchiude le iniziali del mio nome e di quello di mia moglie. La poesia, scritta qualche giorno prima del mio matrimonio (come Il giorno più bello) in origine doveva chiamarsi solo Poseidon. In seguito, quando mi sposai – il 25 novembre 2013 a Santo Domingo – e comparvero inaspettatamente gli anelli grazie a mia madre, il componimento prese il nome di La profezia di Poseidon.

 

IL MARE DEGLI DEI  La lirica racconta i difficili momenti dopo il secondo terribile incidente d’auto di Emperatriz, ancora più grave rispetto al primo, dal quale di nuovo, uscì quasi indenne. Fu questo il terzo miracolo.

 

VERSI ANTICHI  Sono questi, rivisti, riadattati e dedicati alla mia compagna Empera, i miei versi piu antichi; forse i primi che comparvero su quel zibaldone virtuale del quale ho avuto modo di parlare.

 

CASA  vv. 17-18 Au revoir à tout le monde/ adieu à tout le mal, tradotto in italiano: «Arrivederci a tutti quanti/ addio a tutto il male». Si tratta della prima poesia composta in Italia dopo il mio ritorno, e l’ultima di Calipso. La strofa iniziale descrive le prime senzazioni vissute a Trieste dopo la lunga lontananza. In seguito i sentimenti s’alternano fra i ricordi della terra lasciata e la città natale ritrovata.

 

SOGNANDO LA BALENA  Mi capitò, una notte d’estate, nel 2014, di sognare la balena: la balena è il simbolo di un tuffo e di una risalita all’interno di se stessi, alla scoperta della vitalità che la profondità della psiche può custodire, è la garanzia d’una gestazione necessaria per rinascere ad una nuova vita. Il suo significato si lega proprio al contatto con questo mondo profondo ed inconscio, e con le idee e le possibilità ad esso collegate.

 

L’ANGOLO  Piazza, naturalmente, è la Piazza dell’Unità d’Italia a Trieste, affacciata sul mare. Gli «uccelli», sono gabbiani.

 

ERMETE  Ermete Trismegisto è un personaggio leggendario dell’età ellenistica, venerato come maestro di sapienza e ritenuto l’autore del Corpus hermeticum. Dal suo nome deriva il termine «ermetismo» riferito alla corrente poetica fiorita in Italia negli anni tra le due guerre.

 

IL VIAGGIO DI RIMBAUD  Si tratta dell’ultima poesia scritta in ordine di tempo fra quelle presenti nel libro, composta il 29 dicembre del 2014 (non presente quindi nella silloge de I luoghi sepolti, edita nell’autunno dello stesso anno, commentata da Alessio Marzi e Stefano Bergamasco in Voci e recensioni). Essa è costituitata da tre parti le quali si riferiscono a tre diversi momenti della vita del poeta francese: i primi sette versi, la fase iniziale (l’incontro con un soldato morto); i seguenti nove versi, la fase finale (la sua vita in Africa); i restanti cinque versi, la fase centrale (l’abbandono di Verlaine, della poesia, e delle proprie convinzioni poetiche).

 

IL GIORNO IN CUI IL TEMPO DISTRUSSE I SEPOLCRI  vv. 112-113 poichè la terza ancor nel ventre/ il sonno dorme d’un poeta, la terza «ombra» è quella del bambino/poeta che cresce nel grembo della madre, la quale, in questa prima visione del protagonista dopo la lunga tormenta, si trova accanto al suo compagno. L’uomo è misteriosamente ricomparso sulla terra, e con lui, la Poesia, con cui il Tempo nulla ha potuto.

 

 

 

*

- Poesia

Aída Cartagena Portalatín

Aída Cartagena Portalatín (1918-1994), nacque il 18 di giugno a Moca, più tardi si trasferì nella capitale dominicana dove studiò all’Università e completò in seguito i suoi studi di carattere umanistico e artístico alla Sorbona di Parigi. I suoi frequenti viaggi in Europa, America Latina e Africa influenzarono e arricchirono molto la sua opera letteraria. Fece parte, unica donna, del gruppo della Poesia Sorprendida, per il quale nel 1944 pubblicò Víspera del sueño nella Collana El Desvelado Solitario. Antropologa, insegnate di Storia dell’Arte, molto legata alla cultura nera africana, il suo coraggio e il suo talento poetico la fecero imporre in un panorama sociale e letterario dominicano dominato dagli uomini.   



SED DEL DOLOR

 

El llanto de la tarde se apagó en la montaña
las palomas del sueño se han herido en las alas
la infinita ternura con que el olvido
acuna el dolor
para hacerlo olvidar
es una queja vaga rezagada en la arena
donde el dolor se abre
pero el agua no llega.

 

 

SETE DEL DOLORE

 

Il pianto del pomeriggio si è spento sulla montagna

le colombe del sonno si sono ferite le ali

l’infinita tenerezza con la quale la dimenticanza

culla il dolore

per farlo scordare

è un lamento vago lasciato indietro nella sabbia

dove il dolore s’apre

ma l’acqua non arriva.

 




DEL SUEÑO AL MUNDO


Del sueño al mundo
con un mundo en los ojos
que me ha dado mi sueño
con párpados abiertos en las dalias que nacen
en las aguas rendidas.

 

 

DAL SOGNO AL MONDO

 

Dal sogno al mondo

con un mondo negli occhi

che mi ha donato il mio sogno

con palpebre aperte sopra le dalie che nascono

sulle acque arrese.

 




VISPERA DEL SUEÑO 

 

Tierra se hará silencio,

risa no harán los hombre para que me hagan eterna,

llanto no harán las piedras para que me hagan arena.

Mi sangre se ha herido y se parece al fuego,

abísmate en olvido, sueño alma tu sueño,

la luz es solo sombra,

es víspera del sueño.

 

Nieve se irá al cielo y vestirá la luna,

se talarán los bosques para que la desnuden,

sabrá a dulzura la raíz de la hierba.

Amor:

los ojos de la luz quemarán sus pestañas;

te soñaré a mi lado,

en víspera del sueño.

 

Mundos de pies cansados,

descansarán. La sed de los recuerdos

tendrá lluvia de olvido.

Mi lecho se hará muelle sobre los cardos agrios;

soñaré con espigas,

es víspera del sueño.

 

Bocas querrán hablar

y no tendrán palabras.

Las piedras tendrán lenguas,

la arruga de la arena será tapiz de algas;

los mares serán mármoles;

soñaré en sus costales,

en vísperas del sueño.

 

El Tiempo

desde el cuerpo del Sol

con temblor de ceniza

ha reído a los hombres.

Cielos, mares, tierras.

Nacer, vivir y morir.

Los astros tienen sueño,

soñaré con los astros:

es víspera del sueño.

 

 

VIGILIA DEL SONNO

 

Terra si farà silenzio,

risata non faranno gli uomini per rendermi eterna,

pianto non faranno le pietre per rendermi sabbia.

Il mio sangue si è ferito e assomiglia al fuoco,

sporgiti nella dimenticanza, sogno il tuo sonno anima,

la luce è soltanto ombra,

è vigilia del sonno.

 

Neve andrà verso il cielo e vestirà la luna,

i boschi si abbatteranno per desnudarla,

saprà di dolcezza la radice dell’erba.

Amore:

gli occhi della luce bruceranno le proprie ciglia;

ti sognerò al mio fianco,

nella vigilia del sonno.

 

Mondi di piedi stanchi,

riposeranno. La sete dei ricordi

avrà pioggia di dimeticanza.

Il mio letto diventerà molle sopra le gramigne agri;

sognerò con spighe,

è vigilia del sonno.

 

Bocche vorranno parlare

e non avranno parole.

Le pietre avranno lingue,

la piega della sabbia sarà arazzo di alghe;

i mari saranno marmi;

sognerò fra le loro costiere,

nella vigilia del sonno.

 

Il Tempo

dal corpo del Sole

con tremito di cenere

ha riso agli uomini.

Cieli, mari, terre.

Nascere, vivere e morire.

Gli astri hanno sonno,

sognerò con gli astri:

è vigilia del sonno.  

 

 

 

*

- Poesia

Manuel Rueda

Manuel Rueda nacque a Montecristi in Repubblica Dominicana il 27 agosto del 1921. Pianista di grande talento, diplomatosi a Santiago del Cile, dopo il suo ritorno in patria diresse il Conservatorio Nazionale di Santo Domingo per vent’anni. Autore di opere di teatro, di narrativa e di critica, poeta “prima di tutto” (in questo modo amava definirsi), fu intellettuale di spicco del panorama letterario dominicano, come lo testimoniano anche i numerosi riconoscimenti ricevuti, e membro della corrente della poesia sorprendida, al quale si incorporò nel 1944. Creò inoltre negli anni ’70 il movimento letterario chiamato Pluralismo. Si spense nel 1999 a Santo Domingo.

Nella nostra terra, lo scrittore continua a soffrire le conseguenze, vivendo e morendo ogni giorno, pagando col suo sangue la grande colpa di essere nato uomo e artista in un mondo indifferente...” (Manuel Rueda)

 

  

A LA POESIA


Voy hacia ti. Derribo los cerrojos
que guardan tu morada. Entreabro puertas
que dan a salas frías y desiertas
sólo encendidas por celajes rojos.

La memoria me guía, de tus ojos
la luz de tus verdades encubiertas,
y tiemblan celosías casi muertas
cuando voy tras tu soplo y tus sonrojos.

Dónde estás, dónde estás, tú, la que ansío,
forma de mi desvelo y mi vacío
susurrando en mis últimas estancias.

Dura carne de amor en el espejo
donde vives dormida entre distancias
entregándome sólo tu reflejo.

 

 

ALLA POESIA

 

Vado verso di te. Abbatto i chiavistelli

che chiudono la tua dimora. Apro un poco le porte

che danno su sale fredde e deserte

solo accese da abbaini rossi.

 

La memoria mi guida, dai tuoi occhi

la luce delle tue verità ammantate,

e tremano gelosie quasi morte

quando ascolto il tuo respiro ed i tuoi rossori.

 

Dove sei, dove sei, tu, colei che bramo,

forma della mia insonnia e del mio vuoto

sussurando nei miei ultimi soggiorni.

 

Dura carne d’amore nello specchio

dove vivi addormentata tra distanze

consegnandomi solo il tuo riflesso.

 

 

 

CONSEJA DE LA MUERTE HERMOSA 


«Entonces la muerte le hizo una visita...»
Cuento folklórico

I

La muerte me visita cierto día.
Es hermosa la muerte: tiene senos
robustos, fino talle y ojos llenos
de un azul de cristal en lejanía.

En llegando ya sé que es muerte mía.
Con movimientos lánguidos y obscenos
me enloquece y sorbiendo sus venenos
siento, a ratos, que el alma se me enfría.

Lee mis libros, se adapta a mis costumbres,
repite mis ideas y sus gestos
ponen en mí gozosas pesadumbres.

Cuando se va, me deja bien escrita
su dirección y dice: «Un día de éstos
quiero que me devuelvas la visita».

II

Advierto, entonces, que ya no hay salida,
pues su mirada clara me importuna
y sé que cogeré, a sol o a luna,
el camino que lleva a su guarida.

Y aunque empiezo a engañarla con la vida,
a darme plazos, a pensar en una
tarde feliz de cara a la fortuna,
bien yo sé que la muerte no me olvida,

que tengo que tocar, al fin, su puerta
con la valija hecha y el sombrero
en la mano marchita y entreabierta.

Me despido de todos mis amigos
después de tanto ardid y a su agujero
húmedo me abalanzo, sin testigos.

 

 

FAVOLA DELLA MORTE BELLA

 

«Quindi la morte gli fece visita... »

Racconto folcloristico

 

I

 

La morte mi visita un giorno.

È bella la morte: ha seni

robusti, fina corporatura e occhi pieni

di un azzurro di cristallo in lontananza.

 

Arrivando già so che è la mia morte.

Con movimenti languidi e osceni

mi fa impazzire e sorseggiando i suoi veleni

sento, a momenti, che la mia anima si raffredda.

 

Legge i miei libri, si adatta alle mie abitudini,

ripete le mie idee ed i suoi gesti

pone nei miei gioiosi dolori.

 

Quando se ne va, mi lascia ben scritto

il suo indirizzo e dice: «Uno di questi giorni

voglio che mi restituisca la visita».

 

II

 

Avverto, allora, che non c’è via d’uscita,

dopo che il suo sguardo chiaro m’importuna

e so che prenderò, verso il sole o verso la luna,

il cammino che porta alla sua tana.

 

E anche se incomincio ad ingannarla con la vita,

a darmi delle scadenze, a pensare ad un

pomeriggio felice in braccio alla fortuna,

so bene che la morte non mi dimentica,

 

che devo bussare, infine, alla sua porta

con la valigia fatta e il cappello

nella mano marcia e lacerata.

 

Saluto tutti i miei amici

dopo tanta astuzia e nel suo buco

umido mi calo, senza testimoni.

 

 

 

 

 

*

- Poesia

Franklin Mieses Burgos: il poeta dei sensi

Considerato uno dei più grandi poeti dominicani, Franklin Mieses Burgos nacque a Santo Domingo nel 1907 e morì nella stessa città nel 1976. La sua opera poetica si divide tra il verso libero e la metrica con le stesso potente ed originale effetto, senza che il proprio lavoro perda il suo tocco, la sua inconfondibile voce, il suo discorso e il suo accento. Poeta definito neoromantico, le sue influenze derivano da poeti spagnoli quali Emilio Prados, Vicente Aleixandre e dall’ecuadoriano Jorge Carrera Andrade. Fu uno dei fondatori e direttori della Rivista La poesia Sorprendida, con la quale pubblicò le sue prime importanti raccolte come Sin rumbo ya y herido por el cielo (Santo Domingo, Edizioni La Poesia Soprendida, 1944) e Clima de eternidad (Santo Domingo, Edizioni La Poesia Soprendida, 1944).

Fu anche direttore dell’Istituto Dominicano della Cultura Hispanica e della Rivista Hispaniola. Egli esplorò temi di carattere sociale, popolare, politico, filosofico ed esistenziale, con un lirismo profondo e limpido costituito da un timbro fortemente surrealista, scivolando dallo stile classico ad uno stile moderno con dinamicità, e una musicalità sempre molto accentuata.  

La sua produzione poetica può quindi essere suddivisa in tre fasi: quella ermetica, in cui maggiormente si manifesta l’influenza surrealista; qualla che segue modelli classici (i sonetti); e quella legata a temi popolari.

Utilizzava metafore sorprendenti e audaci, che spaziavano dai coloriti sensuali a quelli onirici e psichici; e su tutte la sua predisposizione a descrivere magicamente il tropico, in quanto suo figlio: sole, vegetazione esuberante e il mare.

“Nella poesia di Franklin Mieses Burgos risalta un’estetica piena di aspetti spirituali e sensoriali. Le immagini tattili, olorose, dotate di certe levigatezze e allusioni musicali, sonore e visuali fanno di questo autore il poeta dei sensi.” (Fernando Ureña Rib, pittore, scrittore e poeta dominicano)

 

 

CANCIÓN DE LA VOZ FLORECIDA

Yo sembraré mi voz en la carne del viento
para que nazca un árbol de canciones;
después me iré soñando músicas inaudibles
por los ojos sin párpados del llanto.

Colgada sobre el cielo dolido de la tarde
habrá una pena blanca, que no será la luna.

Será una fruta alta, recién amanecida,
una fruta redonda de palabras
sonoras, como un canto:

maravilla sonámbula de un árbol
crecido de canciones, semilla estremecida
en la carne florecida del viento:

– mi voz.

 

 

CANZONE DELLA VOCE FIORITA

 

Io seminerò la mia voce nella carne del vento

per far nascere un albero di canzoni;

poi me ne andrò sognando musiche inascoltabili

per occhi senza gli sbattitti del pianto.

 

Appesa sopra il cielo sofferente del meriggio

si vedrà una pena bianca, che non sarà la luna.

 

Sarà un frutto alto, da poco sorto,  

un frutto rotondo di parole

sonore, come un canto:

 

meraviglia sonnanbula di un albero

cresciuto di canzoni, seme commosso

nella carne fiorita del vento:

– la mia voce.

 

 

CANCIÓN DE LA NIÑA QUE QUERÍA SER SIRENA

Por los caminos del cielo
llegó la luna gritando
sus claridades nevadas
de caracoles y nardos.

En la guitarra del viento
la brisa con dedos finos
cantaba un canto de plata.

Con su sonrisa de arcángel
que no se come las uñas,
la niña dijo riendo
bajo el capricho de luna:

– Yo fui sirena una noche
de sombras de terciopelo.
Sobre mis muslos de nácar
podían brillar luceros.

Madréporas y corales
entre la noche marina
lloraban sus soledades
por las pupilas salobres
de los dorados delfines.

Dorsos de plata y de luna.
Arena de las estrellas.
¡Cristalerías de espumas
en un mundo en donde sueñan
los tulipanes de nieblas!

– Niña mía, de tus ojos
está muy lejos el mar.
Quizás tú fuiste lucero;
pero sirena, jamás.

– Un palomar de tritones
yo vi en el fondo al pasar. 
¿Por qué tú niegas que he sido
una sirena del mar?

Si negros son mis cabellos,
teñidos han sido allá
con tinta de calamar
y sombras de noche muerta;
si no son claros mis ojos
es por el llanto quizás:
que la pena es también negra
hasta en el fondo del mar.

– Nina mía es que en tus labios
no está el sabor de sal.

Quizás tú fuiste una estrella;
pero sirena, jamás.

 

CANZONE DELLA BAMBINA CHE VOLEVA ESSERE SIRENA

 

Per i sentieri del cielo
arrivò la luna gridando
le sue chiarezze innevate
di lumache e dardi.
 
Nella chitarra del vento
la brezza con dita fini
cantava una canzone d’argento.
 
Con il suo sorriso d’arcangelo
che non si mangia le unghie,
la bambina disse ridendo
sotto il capriccio di luna:
 
– Io sono stata sirena una notte
di ombre vellutate.
Sopra i miei muscoli madreperlacei
potevano brillare luci di stelle.
 
Madrepore e coralli
tra il buio marino
piangevano le loro solitudini
dalle pupille salmastre
dei dorati delfini.
 
Schiene d’argento e di luna.
Sabbia delle stelle.
Cristallerie di schiume
in un mondo dove sognano
i tulipani di nebbie!
 
– Bambina mia, dai tuoi occhi 
è molto lontano il mare. 
Forse sei stata un astro luminoso;
ma sirena, mai.
 
– Una colombaia di tritoni
ho visto sul fondo passando.
Perchè tu neghi che sono stata 
una sirena del mare?
 
Se neri sono i miei capelli,
là sono stati colorati
con tinta di calamaro
e ombre di notte morta;
se non sono chiari i miei occhi
è per il pianto forse: 
perchè il dolore è nero
anche sul fondo del mare.
 
– Bambina mia è che sulle tue labbra 
non c’è il sapore del sale.
 
Forse sei stata una stella;
ma sirena, mai. 
 
 
POESÍA
 
Justa    Precisa    Estricta    Estructurada
Concisa    Vaga    Leve    Estremecida
Amorosa    Sensible    Apasionada
Desnuda    Reluciente    Amanecida
 
Solitaria    Profunda    Desolada
Fresca    Primaveral    Humedecida
Telúrica    Celeste    Idealizada
Infinita    Finita    Sorprendida
 
Atenta    Desvelada    Vigilante
Cavilosa    Serena    Delirante
Humana    Religiosa    Grave    Impía
 
Enigmática    Franca    Misteriosa
Entrañable    Ligera    Vaporosa
Única    Eterna    Universal    Poesía.
 
 
POESIA
 
Accurata    Precisa    Rigorosa    Strutturata 
Concisa    Vaga    Soave    Commovente
Amorosa    Sensibile    Appassionata
Nuda    Luminosa    Sorgente
 
Solitaria    Profonda    Desolata
Fresca    Primaverile    Inumidita
Tellurica    Celeste    Idealizzata
Infinita    Finita    Stupita
 
Attenta    Svelata    Vigilante
Apprensiva    Serena    Delirante
Umana    Religiosa    Grave    Arpía
 
Enigmatica    Franca    Misteriosa
Accattivante    Leggera    Vaporosa
Unica    Eterna    Universale    Poesia.
   
 
 
 

*

- Poesia

Manuel Valerio - Un tesoro mocano nascosto

Manuel Valerio nacque l’8 settembre del 1918 a Moca in Repubblica Dominicana, e morì nel 1978 a Santo Domingo. Fece parte della corrente poetica della poesia sorprendida, ed è forse uno dei poeti meno conosciuti, anche in patria, tra gli appartenenti a questa generazione. Tuttavia egli rappresenta un grande tesoro nascosto e una delle voci più singolari e potenti di quegli anni.  

La sua vita fu enigmatica e introversa così come lo è la sua poesia. La tirrania trujillista, l’ombra incombente della seconda guerra mondiale, la morte di suo padre assassinato dagli stessi sicari della tirrania, di certo influenzarono il suo atteggiamento già di per sè introverso, taciturno, meditativo. Il carattere intimistico, introspettivo delle sue liriche, seppur conseguenza anche del male esterno, terminò per diventare un fattore positivo, singolare, della sua opera; avvolta continuamente da un’aurea mistica, dove la morte, il fuoco, l’acqua ed altri elementi naturali si trasformano in quei valori simbolici attorno ai quali ruota il suo pensiero poetico.  

Viveva circondato da giovani amanti della poesia; ma egli era differente, non diceva quello che tutti gli altri poeti affermavano in quel momento storico ed artistico: una poesia oscura, metafisica, non certo epica e cantatrice di cose che toccavano il popolo.

Fu un talento poetico naturale, di cui non si conoscono le influenze, ma che conosceva tutti i più grandi poeti della letteratura mondiale. Nel 1944 uscì per la collana El desvelado solitario delle Edizioni La poesia sorprendida, la raccolta Coral de sombras.

 

“Non gli piaceva brillare sugli altri, era una persona semplice, aperta, così naturale, che noi ci riunivamo con lui e a volte nemmeno ci rendevamo conto che stava lì... perchè lui non infastidiva, non aveva manie di protagonismo. Questo era Manolo, un essere umano eccezionale.” (Manuel Mora Serrano, scrittore dominicano) 

 

 

 

COPA DEL ALBA

 

Yo te quise alondra

en la copa del alba, de los amaneceres nuestros,

y quise ser para ti:

un manantial de pétalos

en las constelaciones de mis planetas tuyos,

y solo soy un continente sumergido

en un océano de piedras

y de canteros sin retoñas.

 

 

COPPA DELL’ALBA

 

Io ti ho voluto allodola

nella coppa dell’alba, delle albe nostre,

e ho voluto essere per te:

una fonte di petali

fra le costellazioni dei miei e dei tuoi pianeti,

ma sono solo un continente sommerso

in un oceano di pietre

e di terre infertili.

 

 

 

NOCTURNO

 

Me he perdido

en una serranía de parpados

nocturnos.

 

Cisnes de estrellas

danzan en los lagos

en la noche obscura

como un madrugar

de redes nocturnas

en los senderos blancos de la vida.

 

El sol va tejiendo

aurora de escamas

con hilos de cal

en chapas de plomo.

 

Manadas de astros

se descuelgan del cielo

tras las montañas verdes

en lentas caravanas.

 

 

NOTTURNO

 

Mi sono perso

fra montagne di palpebre

notturne.

 

Cigni di stelle

danzano nei laghi

nella notte oscura

come un precipitarsi

di reti nere

nei sentieri bianchi della vita.

 

Il sole tesse

aurora di squame

con fili di calce

in lastre di piombo.

 

Mandrie di astri

si staccano dal cielo

dietro ai monti verdi

in lente carovane.

 

 

 

DOLOR QUE NAVEGA

 

Te siento tan lejos en mi vida cercana,

que aprisiono mis sueños como bolas de humo

enredadas en un dolor que navega.

 

Sigo tus pasos en la sombra olvidada

de sueños que callan mis sueños.

 

He visto luceros henchidos de labios

vagar por las nubes

sin rumbo, a tus ojos.

¡Qué frutos tibios germinan de ellos

al calor de tus labios ausentes!

 

¡Qué cielo surgido de la noche

es tu cuerpo! 

 

 

DOLORE CHE NAVIGA

 

Ti sento così distante nella mia vita vicina,

che imprigiono i miei sogni come palle di fumo

confuse in un dolore che naviga.

 

Seguo i tuoi passi nell’ombra dimenticata

di sogni che zittiscono i miei sogni.

 

Ho visto splendori carichi di labbra

vagare tra le nuvole

senza rotta, verso i tuoi occhi.

Quali frutti tiepidi germinano da essi

al calore delle tua bocca assente!

 

Quale cielo sorto dalla notte

è il tuo corpo!

 

 

 

 

*

- Poesia

La poesia sorprendida

“Siamo per una poesia nazionale nutrita nell’universale, unica forma d’essere se stessa; con il classico di ieri, di oggi e di domani; con la creazione senza limiti, senza frontiere e duratura; con il mondo misterioso dell’uomo, universale, segreto, solitario e intimo, sempre creatore.

Siamo contro tutte le limitazioni dell’uomo, della vita e della poesia; contro tutto il falso insularismo che non nasca se non da una nazionalità universalizzata nell’eterno profondo di tutte le culture; contro il definitivo tradimento nei confronti della poesia e contro i suoi permanenti traditori privi di visione.”  (Baeza Flores, dal primo numero de La Poesia Sorprendida)

 

Al principio degli anni ’40 l’antica città di Santo Domingo cambiò nome: fu denominata Ciudad Trujillo, in onore del dittatore Rafael Leonidas Trujillo. Anche le strade principali e molti parchi furono battezzati di nuovo, onorando i figli e i genitori del Generalisimo. Intanto le coste caraibiche infettate dai sottomarini tedeschi, non permettevano di dimenticare che in un posto non molto lontano del mondo era in atto una lotta sanguinolenta.

La dittatura trujillista era al massimo del suo potere, e il suo governo controllava tutti gli aspetti della vita dominicana. Un clima di terrore e un momento di grande difficoltà che soffocavano l’intellettuale dominicano, il quale non poteva scappare a questo ambiente di oppressione morale e materiale:

 

“Tutto era stato sottomesso dal controllo e dalla macchina socio-economica e politica del Generalisimo Trujillo. Non era facile né resistere né negarsi. Farlo significava mettere in pericolo la propria vita. Come in tutti i sistemi di controllo totale, il margine per un’opposizione – che doveva essere sempre estremamente cauta – era molto ridotto. Rimanevano dei lievi spiragli in alcuni mezzi di informazione collettiva, dove la possibile opposizione doveva essere per lo più allegorica e ricorrere a simboli o a una scrittura tra le righe. Per chiudere definitivamente con la chiave maestra questa tattica di controllo degli elementi culturali, apparvero un giorno i Cuadernos Dominicanos de Cultura, che annunciarono la centralizzazione della cultura.

Fu allora che ci riunimmo in cinque per preparare un’opposizione aperta al mondo, alla creazione, e più libera e aperta alle nuove generazioni. Stabilimmo quindi alcuni punti del nostro programma (...).” (Baeza Flores, La poesia dominicana del siglo XX, dal secondo numero de La Poesia Sorprendida)

 

Quando la rivista La Poesia Sorprendida (1943-1947) iniziò ad essere pubblicata, il mondo si dibatteva nell’ecatombe della Seconda Guerra Mondiale, e la Repubblica Dominicana soffriva da tredici anni sotto il peso del regime di uno dei peggiori despoti mai apparsi.

Nonostante ciò, i primi anni del decennio si caratterizzarono per un’incessante produzione letteraria. Il mondo dominicano iniziò a ricevere lo stimolo da una colonia di repubblicani spagnoli esiliati a causa della guerra civile, tra questi vari intellettuali che si integrarono nella vita culturale del paese. Anche grazie ad essi, si rafforzò in questo periodo da parte dei sorprendidos l’interesse ad avvicinarsi alle radici ispaniche della propria cultura.

Tra gli intellettuali esiliati che più si identificarono con la rivista ci furono Enrique Casal Chapi, Eugenio Fernandez Granell e Vicente Llorens (sull’emigrazione spagnola a Santo Domingo, v. di Vicente Llorens, Memorias de una emigracion. Santo Domingo, 1939-1945, Barcelona, Editorial Ariel, 1975).

Nel 1843 Baeza Flores, poeta, scrittore e giornalista cileno, arrivò nell’antica capitale coloniale come aggregato alla Delegazione del suo paese. Portò con sè un grande entusiasmo e una collezione di riviste e manifesti surrealisti che era ansioso di divulgare. Egli assistette a una delle conferenze dell’associazione letteraria Alfa y Omega e riuscì a fare amicizia con un giovane poeta e studente di medicina, Mariano Lebrón Saviñón, poeta negrista. Baeza rimase profondamente impressionato dalla sua gioventù e dalla qualità dei suoi versi, e si avvicinò a lui. A partire da questo istante, spinti da un profondo interesse per la diffusione della poesia, decisero di fornire una nuova interpretazione poetica all’interno dell’associazione Alfa y Omega:

 

“Non sappiamo se la poesía ci sorprende con il suo abbagliante destino, o se siamo noi a sorprenderla nella sua silenziosa e autentica bellezza.” (Baeza Flores, dal primo numero de La Poesia Sorprendida)

 

Alberto Baeza Flores, Mariano Lebron Saviñon, Franklin Mieses Burgos, Freddy Gatón Arce e il poeta e pittore spagnolo Eugenio Fernández Granell, furono i cinque che sedendosi insieme quali padri cofondatori della rivista decisero di costituire il gruppo. Anche se prima di questa riunione ebbe un ruolo importante il poeta Domingo Moreno Jiménez, in seguito escluso.

Da questo momento la poesia dominicana attraverso tale generazione nascente incominciò ad aprire le sue porte alle letterature europee, in un contesto comunque dove non erano pochi coloro che conoscevano la poesia della Generazione del ’27 spagnola, che leggevano in francese e in inglese, che includevano nelle proprie personali biblioteche i maestri francesi del simbolismo e del surrealismo.

La poesia sorprendida, intesa come corrente poetica, venne percepita come prodotto di preoccupazioni interne ed individuali; dove l’essenza poetica tendeva a scappare dalla parola che molte volte doveva rimanere muta per poter essere colta. A questi poeti non interessava fotografare la realtà, ma interpretarla.

Gli scrittori affiliati che durante poco più di quattro anni pubblicarono sulla rivista si erano amalgamati in un’aspirazione di superamento intellettuale e umana, per scappare dal miasma dell’ergastolo nazionale, ed anche internazionale. Stufi del marcio e superficiale patriottismo di carattere politico e culturale, cercarono di evitare pure il lirismo evidente, per andare in cerca di modalità letterarie di maggior ermetismo e profondità, spesso vicine al surrealismo, e apertamente in contrasto con l’estetica del postumismo, la precedente corrente poetica.

La Poesia Sorprendida pubblicò il suo primo numero nell’ottobre del 1943. Fin dalla sua nascita la rivista dichiarò l’intenzione di aprire le porte della letteratura dominicana alla tradizione letteraria mondiale. Essa durò quasi cinque anni nei quali vennero pubblicati ventuno numeri, cosa di un certo merito dentro un panorama culturale ispanoamericano dove poche riviste avevano ottenuto tale longevità.   

Il primo numero, intitolato Apasionado destino e firmato da Alberto Baeza Flores, poteva essere considerato un vero manifesto intellettuale, a partire dalla copertina, dove già veniva annunciata la poesia sorprendida. Manifesto intellettuale e non politico, perchè politico non poteva esserlo, ma senza dubbio in opposizione al regime di Trujillo, in quanto impegnato al riscatto dei veri valori letterari e nazionali, macchiati dalla tirannia imperante.  

Pedro Salinas e Andrés Bretón giunti nell’isola, rispettivamente nel 1944 e nel 1946, rimasero entusiasti per il lavoro di questi giovani amanti delle lettere che lottavano per mantenere il loro spirito. Salinas suggerì il titolo di una sezione della rivista a partire dal numero dieci, chiamata Pasado del Presente, e dedicata alla divulgazione del meglio della poesía spagnola del passato.

Los sorprendidos pubblicarono il Tercer cantico di Jorge Guillen nella collana El desvelado Solitario nel settembre del 1944, all’interno del numero dodici de La Poesia Sorprendida. Ricevettero inoltre delle lettere da Juan Ramon Jimenez, nelle quali il poeta spagnolo manifestò il suo interesse per il lavoro di questi autori, e sollecitò che gli venissero recapitati i numeri pubblicati fino ad allora.

Oltre a posizionare la letteratura dominicana nella mappa letteraria del momento, los sorprendidos lavorarono per fomentare l’interesse e la diffusione nel paese non solo della letteratura dominicana ma anche di quella universale, mediante inoltre serate e letture poetiche.

Il mondo letterario esterno incominciò a manifestarsi dal primo numero con traduzioni principalmente di poeti francesi, anche se più tardi comparvero poeti inglesi, statunitensi, catalani, ed egiziani. Presto si affiliarono artisti e scrittori spagnoli e latinoamericani, tra i quali anche autori haitiani; finchè non ebbe inizio la sezione Pasado del Presente, che tese a privilegiare i poeti spagnoli. In seguito venne dato spazio alla poesia turca e cinese, infine molto spazio ai poeti del centro e sudamerica.

Nell’ultimo numero della rivista, spiccò un articolo di protesta dal titolo Poeta y soledad, dove venne spiegato chiaramente come di fronte al predominio degli “adoratori della forza” e all’indifferenza circostante, la salvezza dell’intellettuale – come fu in passato per molti poeti del Decadentismo europeo – si trovava nella solitudine, nella chiusura, nell’ermetismo. L’intellettuale così diventava una presenza accusatoria e allo stesso tempo indistruttibile:  

 

“(...) Viviamo, tragicamente, senza speranze, in una società senza risposte. La voce dell’artista, purtroppo, grida. Grida nel deserto, ma grida. Nessuno può, anche impegnandosi, cancellarne la presenza.” (Antonio Fernandez Spencer, dal numero ventuno de La Poesia Sorprendida)

 

In tal modo, mentre inseguivano una rinnovazione letteraria nella nutrita fonte delle radici culturali e delle letterature internazionali, questi autori condannarono dall’esterno quella tirannia che non si poteva condannare apertamente nel paese; esaltando la libertà creatrice, così come l’intellettuale incorruttibile. E tutto questo con le armi del lavoro letterario e dell’allusione.

I poeti della poesia sorprendida dominicana furono Rafael Américo Henríquez, Manuel Llanes, Franklin Mieses Burgos, Aída Cartagena Portalatín, Manuel Valerio, Freddy Gatón Arce, Manuel Rueda, Mariano Lebrón Saviñón, Antonio Fernández Spencer, José Glass Mejía e Gilberto Hernandez Ortega.

 

 

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- Poesia

Fintantochè il fuoco continuerà ad ardere

Per molti anni ho trascorso le giornate in compagnia della purezza di Ungaretti, perchè l’incontro con il poeta d’Alessandria d’Egitto fu una folgore che si piantò nel suolo fertile della mia giovinezza quando ancora frequentavo l’Università. Scrivevo ma non pensavo che la poesia potesse essere tanto simile al mio modo di pensarla, e di farla, al modo in cui questa scorreva quando mi fuoriusciva – erano soltanto le prime gocce – dalle vene. In seguito scoprii che non serviva aver acclarato con me stesso di essere un poeta, se non mi era ancora chiaro che guardare la luna dalla terra poteva essere un'esperienza molto affascinante, ma mai quanto camminarvici sopra; e percepito, non solo di poter respirare quell’aria: anche di non riuscire a farne a meno.

Mi preparavo alla follia di Rimbaud, al suo genio ribelle, alla sua ribellione geniale, alla sua ricerca poetica e di un nuovo linguaggio che come Icaro lo portò a salire e salire, proprio verso il Sole, fino a bruciare le ali, rinunciando a fabbricarne di nuove; avrebbe posato ali e penna, usato gli occhi e le gambe, una volta ingurgitato da quel suo stesso linguaggio poetico.  

Mi preparavo all’intenso vivere delle notti con Verlaine, figlio dell’assenzio ma con un grande talento, e mi ritrovai a dover confessare il mio amore in particolare per Baudelaire; non perchè amavo meramente il lato oscuro delle cose, ma al contrario per la divina luminosità poetica dei suoi comandamenti, legati a radici profonde, sotto il peso di una terra feconda e solidi rami che giungevano, seguendoli fino in fondo, dritti alla punta del mio naso. Mi preparavo quindi ad acquietarmi fra le ali di Poe, padre di tutti: genio, costruttore, ma con un’anima ed un’aurea ancor più grandi, forse, di quanto lui stesso considerasse; ed ancora a consolarmi tra i versi del principe, oro del mio Regno, Lorca; allo stesso modo mi preparavo alle cime fosche ed imperscrutabili di Mallarmè e Quasimodo, ed all'approdo infine a Huidobro e Diego: maestro e discepolo, fari luminosissimi della mia navigazione. 

Così ho conosciuto quella veggenza, che poi si traduce con le parole ‘ricerca in direzione della Luce’ per il poeta, e forse in qualcos’altro – o forse non si traduce – per chi il poeta invece giudica. Avevo già scoperto la possessione, il potere infiammante dell’ispirazione, il caos incontrollabile della Poesia, e compreso che si poteva domare, come un lupo che ti scalda quando hai freddo, ma che rimarrà sempre il primogenito della Natura primordiale e più selvaggia.

Lasciati da parte i versicoli lapidari privi di punteggiatura continuai, quindi, un percorso sempre più a stretto contatto con la poesia pura, l’ermetismo, il simbolismo; già indagatore del sentimento poetico e dell’umana natura, tentai di andare maggiormente a fondo nella ricerca di una poesia che attraverso se stessa fosse in grado di risolvere nuove ed antiche domande non solo riguardo la propria origine ed essenza, ma anche il proprio fine, manifestando durante questo cammino un certo voluto distacco e disinteresse per la contemporaneità poetica.

Non posso nemmeno pensare di aprire gli occhi e scrivere versi senza avere ben chiaro che la realtà che verrà da me dipinta sarà quella del poeta. ‘Vita e la realtà divengon giunte con l’umana porta’, citando l’Ermete di una mia lirica del passato. Simbolismo, antirealismo, ricerca dell’ignoto attraverso le forme, la lingua, propria di quel destino che mi compete. Ma propria anche di un uomo che la realtà osserva, vive, e da essa trae ispirazione; lasciandole alle volte la parola sotto la sembianza di una visibile cornice, o di un loquace dipinto. Nessun disordine dei sensi mel mio caso – tuttavia alle volte il disordine crea ordine nei sensi – ma la poetica indagine di un esclusivo dono. Riguardo al realismo dunque, millantato da alcuni come fondamento obbligatorio della poesia contemporanea (e del suo linguaggio), basterebbe per esempio qualche mia poesia de ‘I Fiori di Ermete’ per infrangerne la corrente; oppure, si badi bene, per confonderla e intorpidirla d’inchiostro. Vivo con la consapevolezza che non sarò mai solo in questa Traversata, ma insieme ai miei poeti. E con te Lettore, con il quale ora mi confido.

 

‘Fintantochè il fuoco continuerà ad ardere, sento che la mia poesia non smetterà di evolversi’.

 

M. P.

 

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- Poesia

Uno sguardo sulla poesia pura

UNO SGUARDO SULLA POESIA PURA[1]

(a cura di Manuel Paolino)

 

Charles Baudelaire (1821-1867), e prima di lui il suo ispiratore Edgar Allan Poe[2] (1809-1849), possono essere considerati gli anticipatori di quel grande movimento letterario e artistico europeo che è stato il Decadentismo.

È proprio qui, tra questi due autori, che va cercata l’origine primordiale della poesia pura. Certo per Baudelaire, poeta e pensatore, dentro la sua arte di rottura col mondo precedente e con la realtà[3], per questo motivo innovatrice ed ispiratrice, la poesia ed il poeta si inseriscono in una concezione individuale e solitaria, estrema. Dove – a stretto contatto col sogno, la visione, l’incoscio, il poeta è un veggente – il linguaggio poetico, magico[4] e fortemente evocativo, si trasforma in qualcosa di concluso, un valore in sé[5]. La poesia diviene allora, secondo il poeta francese, e come ci spiega Valeria Capelli[6]:

 

«Afferma Baudelaire sulla linea di Poe:Nella poesia, nel verbo c’è qualcosa di sacro che ci proibisce di farne un gioco d’azzardo. Maneggiare sapientemente una lingua significa esercitare una specie di magia evocatrice.”»

 

Inizia a farsi strada il concetto di poesia pura, il quale si diffonde in Inghilterra con le teorie del critico letterario e saggista inglese Cecil Bradley (1851-1935) nel 1901[7], e successivamente ancora in Francia con lo storico e critico letterario francese l’abate Henry Bremond (1865-1933) nel 1926[8].

Sulla scia di Baudelaire e di queste nuove teorie, con i simbolisti francesi, la poesia acquista un nuovo linguaggio, nuovi contenuti e nuove idee. Mallarmé, Verlaine, Rimbaud[9], Valéry, nell’ambito del Decadentismo europeo, danno vita ad un movimento che influenzerà la letteratura in maniera vasta. E il pensiero di questi poeti seguirà di pari passo la loro opera.

La poesia pura comincia a delinearsi quindi sempre più come un linguaggio raffinato e allo stesso tempo semplice che cerca di attingere al fondo misterioso della vita mediante un’acuta attenzione formale, giungendo ad uno stile incisivo, che suscita immagini attraverso una sintassi allusiva e musicale. Nel quale la sensazione contrastante di una semplicità stilistica è invece frutto di una forte vitalità affettiva e di un complesso lavorio di sintesi e di scelte.

Da questa base nel trentennio tra le due guerre la poesia pura raggiunge il suo apice. Essa compare in Italia, e non solo, come un’estetica letteraria proveniente dal cammino artistico dei grandi poeti francesi del simbolismo: mi riferisco all’ermetismo italiano, alla Generazione del ’27, alla poesia pura ispanoamericana e alla poesia pura antilliana.

In particolare Paul Valéry (1871-1945) può esserne considerato una delle figure centrali. Egli elabora questa estetica letteraria e sarà lui una delle principali influenze di Juan Ramón Jiménez (1881-1958) in Spagna, oltre che di una prima fase dei poeti iberici della Generazione del ’27, con Jorge Guillén in testa, Pedro Salinas, Vicente Aleixandre, Dámaso Alonso, Garcia Lorca, Gerardo Diego e altri.

Negli anni ’30 nella poesia ispanoamericana e caraibica, infine, si possono riscontrare dei parallellismi con il ’27 spagnolo, come l’ammirazione per Gongora[10], e la forte influenza di Jiménez, e della sua poesia pura

Se dovessi continuare approfondendo la mia analisi prenderei in considerazione soprattutto tre autori con la parte maggiormente significativa delle loro opere: Giuseppe Ungaretti in Italia, Juan Ramón Jiménez in Spagna, Mariano Brull a Cuba.

Senza trascurare naturalmente altri poeti di grande importanza, come Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo in Italia; Jorge Guillén, Pedro Salinas, Vicente Aleixandre, Dámaso Alonso, Garcia Lorca e Gerardo Diego in Spagna; Emilio Ballagas, Nicolas Guillen, Eugenio Florit, Dulce Maria Loynaz a Cuba, Vincente Huidobro in Cile. E i poeti della Poesia Sorprendida[11] in Repubblica Dominicana, oltre ad altri eventuali autori, come Luis Cernuda e tutti gli altri appartenenti al Gruppo del '27; e ancora Alfonso Gatto e quindi ogni poeta nominato nella presente analisi, ad esempio Novalis e Gongora. 

Non soltanto poesia pura, direi alla fine, ma qualunque poetico segnale puro, dunque, che rientri nelle correnti letterarie del simbolismo, dell'ermetismo, del creazionismo, del surrealismo, del neopopularismo e della poesia negrista, e non solo.

 

 


[1] In questa mia analisi sulla poesia pura mi riferisco soltanto a poeti francesi, italiani, spagnoli e antilliani, escluso Poe.

[2] Scrisse The Poetic Principle, saggio pubblicato nel 1850, dopo la sua morte quindi, sulla rivista americana Home Journal. Si tratta di un lavoro di critica nel quale l’autore presenta la sua teoria letteraria, soffermandosi sulla poesia; si basa su una serie di conferenze fatte da Poe negli ultimi anni della sua vita.   

[3] Il Decadentismo porta in seno un nuovo modo di pensare, inteso come diversità ed estraneità rispetto alla società contemporanea di fine Ottocento, in preda a una crisi dei valori sconvolti dall’avvento del positivismo, dalla rivoluzione industriale e da un progressivo scatenarsi degli imperialismi. In questo periodo l’uomo si sente in contrasto con la società che lo circonda. Le borghesie europee, che nel corso dell'Ottocento avevano combattuto per il trionfo degli ideali nati dalla Rivoluzione Francese, voltano le spalle alle masse popolari. L’intellettuale, portavoce della crisi popolare, si chiude così in se stesso, ricercando l’individualismo per allontanarsi da una realtà negativa. 

[4] Baudelaire approfondisce il discorso sui poteri creativi della poesia rifacendosi alle intuizioni di Novalis sul simbolo e sulla magia del linguaggio. Novalis (1772-1801), pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, poeta, teologo, filosofo e scrittore tedesco, fu uno dei più importanti rappresentanti del romanticismo teutonico prima della fine del Settecento. 

[5] Su questi pensieri si fonda la moderna teoria poetica che più tardi si focalizzerà sull’idea di poesia pura

[6] CAPELLI V., Ottocento e Novecento. Un percorso di Letteratura, Milano, Jaca Book SpA, 1998. 

[7] Il 5 giugno del 1901 venne pubblicato Poetry for Poetry’s Sake, saggio sulla poesia tratto da una lezione tenuta da Cecil Bradley all’Università di Oxford. 

[8] Pubblica La Poésie pure, libro che provoca tra i letterati dell’epoca un dibattito attorno a le mystère (il mistero, il segreto) della poesia. 

[9] Tra questi Arthur Rimbaud (1854-1891) è l’autore che con più prepotente originalità si riallaccia alla nuova poesia di Baudelaire. L’ignoto, inteso come profondità del reale, bagliore, paradiso perduto che solo il poeta può raggiungere per mezzo dei suoi versi, diviene il centro focale, la meta da scoprire e comprendere, mediante l’esperienza poetica, in una possessione nella quale la sola ispirazione della musa non è tuttavia sufficiente: il corpo e la mente, infatti, devono essere trasportati dentro un’esperienza sensibile alterata, finalizzata alla creazione. Ricerca dell’ignoto che per Rimbaud, verrà sostituita poi dall’ostinato e motivato silenzio artistico che caratterizzerà la sua vita prima e durante il suo soggiorno in Africa, fino alla morte. Al contrario, un desiderio ed un istinto d’esplorare nuovi luoghi si manifesterà in maniera incessante.

[10] Luis de Góngora y Argote (1561-1627) è stato un religioso, poeta e drammaturgo spagnolo del Secolo d'Oro (Siglo de Oro). Importante figura della cultura iberica, massimo esponente della corrente letteraria conosciuta come culteranesimo o gongorismo, che più tardi altri artisti imiteranno. Molto attento alla sonorità del verso, che curava come un autentico musicista della parola. Dámaso Alonso fu uno dei suoi principali studiosi. 

[11] Fu un gruppo letterario apparso a Santo Domingo nel 1943, il quale diede vita nello stesso anno all’omonima rivista. Questi poeti possono essere considerati rappresentanti della corrente della poesia puraI poeti della poesia sorprendida dominicana furono Rafael Américo Henríquez, Manuel Llanes, Franklin Mieses Burgos, Aída Cartagena Portalatín, Manuel Valerio, Freddy Gatón Arce, Manuel Rueda, Mariano Lebrón Saviñón, Antonio Fernández Spencer, José Glass Mejía e Gilberto Hernandez Ortega.

   

 

 

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- Poesia

Al lettore

Se in tutti questi anni ho trascorso le giornate in compagnia della purezza di Ungaretti, e perchè mi preparavo alla follia del crepuscolo di Rimbaud, all’intenso vivere delle notti con Baudelaire e Verlaine, al brillio delle albe insieme a Pascoli e Leopardi, all’acquietarmi fra le ali di Poe, a divertirmi con l’irrequietezza di Catullo, a consolarmi tra i versi di Salinas e Lorca. Quello che io cerco è la veggenza, non lo nego. Ho scoperto la possessione, il potere infiammante dell’ispirazione, il caos incontrollabile della Poesia, e poi ho capito che si può anche domare, come un lupo che ti scalda quando hai freddo, ma che rimarrà sempre il primogenito della Natura primordiale e più selvaggia. E visto che siamo in vena di confessioni, io confesso il mio amore in particolare per Baudelaire; non perchè ami meramente il lato oscuro delle cose, ma al contrario per la divina luminosità poetica dei suoi comandamenti, legati a radici profonde, sotto il peso di una terra feconda e solidi rami che giungono, seguendoli fino in fondo, dritti alla punta del mio naso. Non posso nemmeno pensare di aprire gli occhi e scrivere versi senza avere ben chiaro che la realtà che verrà da me dipinta sarà quella del poeta. « Vita e la realtà divengon giunte con l’umana porta », citando l’Ermete di una mia lirica. Simbolismo, antirealismo, ricerca dell’ignoto attraverso le forme, la lingua, propria di quel destino che mi compete. Ma propria anche di un uomo che la realtà osserva, vive, e da essa trae ispirazione; lasciandole alle volte la parola sotto la sembianza di una visibile cornice, o di un loquace dipinto. Nessun disordine dei sensi mel mio caso, ma la poetica indagine di un esclusivo dono. Riguardo al realismo dunque, millantato da alcuni come fondamento obbligatorio della poesia contemporanea (e del suo linguaggio), basterebbe qualche mia poesia de « Il sentimento del veggente » per infrangerne la corrente, oppure, si badi bene, per confonderla e intorpidirla d’inchiostro. Vivo con la consapevolezza che non sarò mai solo in questa Traversata; ma insieme ai miei poeti. E con te lettore, con il quale ora mi confido.