chiudi | stampa

Raccolta di articoli di Marco Tealdo
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

- Società

3 settembre e oltre

Il 3 settembre è una di quelle date rimaste aggrappate al bordo di un cratere. E’ un buco senza fine connaturale al genere umano. E’ il luogo all’interno del quale terminano la loro corsa sogni e avvenimenti – personali e collettivi - per poi trasformarsi inesorabilmente in ricordi. Sempre più sfocati. Sempre più lontani.
Questa data non è mai riuscita a farsi risucchiare. Non ha raggiunto quella zona d’ombra, presente in ognuno di noi, dove i fatti della vita sono macinati, dimenticati e svuotati della loro importanza.

Non l’ha fatto, forse, perché, i numeri ed i codici che sottendono quella data, richiamano un fatto lontano ma sempre vivo, sempre presente: socialmente, geograficamente, culturalmente. Un fatto che ha radici nel passato ma rimanda ad eventi futuri.
La data è quella del 3 settembre 1982. Il luogo è via Isidoro Carini a Palermo. Il fatto è il brutale assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente di scorta.
Ciò che popola questo episodio di intensità emotiva è, l’ormai nota, scritta trovata su un muro della stessa via nei giorni successivi all’assassinio: “qui è morta la speranza dei palermitani onesti”.

Spesso ho pensato che quelle parole fossero un epilogo drammatico della maratona della speranza: un fine corsa inatteso ma troppo evidente per non essere tenuto in considerazione.
Una sorta di Waterloo della continua battaglia tra lo stato e la mafia; una Caporetto della giustizia o, ancora, l’atto pubblico della resa incondizionata al cancro del poter criminale.
Poi la vita prosegue, prende pieghe inattese e bellissime e ti accorgi che non è vero che l’avanzare dell’età spegne sogni e appassisce ideali.
Ti accorgi anche che gli eventi che “colorano” il mondo (la crisi, il lavoro che manca, il vuoto di progettualità, la corruzione della classe politica, la pace sempre da riconquistare …) non sono altro che una cornice, reale e fosca –certamente-, ma non la vera sostanza. Non il capolavoro della vita!

E ti accorgi anche che tu non sei semplicemente lo spettatore di un brutto spettacolo da osservare con passività. Ma puoi incidere su quel copione che non ti piace. E addirittura puoi provare a cambiarlo. Puoi modellare il mondo secondo i tuoi sogni. Incredibile!

Solo circa due anni fa ho avuto la fortuna di imbattermi in un meraviglioso uomo che risponde al nome di Danilo Dolci.
Lui, in una sua poesia, tra le altre cose, sosteneva che

“ … C'è pure chi educa, senza nascondere
l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d'essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato” (D. Dolci)

Tutto ciò mi ha aiutato a comprendere che, nonostante ciò che ci raccontano sia vero e drammaticamente pericoloso, è anche vero che la battaglia non è completamente persa. Che, nonostante sia vero che i destini del mondo siano condizionati dai giochi di potere dei narcotrafficanti e dei criminali di varia entità, da politici traditori e funzionari corrotti, è altresì vero che esistono valori non in vendita nella coscienza di ciascuno ai quali appellarsi di continuo per non cedere.
Di tale certezza dobbiamo sentire la responsabilità di diffusione; essa va proposta a chi verrà dopo di noi per evitare una resa di massa incondizionata.
Questo è il momento della resistenza. Fatta ed organizzata da coloro che, nonostante un ventennio di narcotizzazione cerebrale e culturale, continuano a pensare, a progettare e sognare un mondo diverso; da coloro che, nonostante l’infinita crisi della cultura, che ha impoverito l’animo prima del conto in banca, continuano a credere a valori intramontabili; da coloro che, nonostante la diffusione della cultura del “si salvi chi può”, progettano e pensano un futuro migliore per gli altri.
È il tempo della resistenza. E’ il tempo di non rinunciare a far governare le relazioni dalla sincerità e dalla lealtà.
È il tempo di fare questo sforzo per chi nasce ora; per poter loro consegnare un mondo che non ha rinunciato alla speranza del cambiamento.

Forse solo così su quel 3 settembre di tanti anni fa continuerà a non calare il sipario e la tragicità di quegli eventi non avvallerà più rese incondizionate al male.

Si coglie un fermento di cambiamento. Basta ascoltarlo e seguirlo.

*

- Società

3 settembre e oltre

Il 3 settembre è una di quelle date rimaste aggrappate al bordo di un cratere. E’ un buco senza fine connaturale al genere umano. E’ il luogo all’interno del quale terminano la loro corsa sogni e avvenimenti – personali e collettivi - per poi trasformarsi inesorabilmente in ricordi. Sempre più sfocati. Sempre più lontani.
Questa data non è mai riuscita a farsi risucchiare. Non ha raggiunto quella zona d’ombra, presente in ognuno di noi, dove i fatti della vita sono macinati, dimenticati e svuotati della loro importanza.

Non l’ha fatto, forse, perché, i numeri ed i codici che sottendono quella data, richiamano un fatto lontano ma sempre vivo, sempre presente: socialmente, geograficamente, culturalmente. Un fatto che ha radici nel passato ma rimanda ad eventi futuri.
La data è quella del 3 settembre 1982. Il luogo è via Isidoro Carini a Palermo. Il fatto è il brutale assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente di scorta.
Ciò che popola questo episodio di intensità emotiva è, l’ormai nota, scritta trovata su un muro della stessa via nei giorni successivi all’assassinio: “qui è morta la speranza dei palermitani onesti”.

Spesso ho pensato che quelle parole fossero un epilogo drammatico della maratona della speranza: un fine corsa inatteso ma troppo evidente per non essere tenuto in considerazione.
Una sorta di Waterloo della continua battaglia tra lo stato e la mafia; una Caporetto della giustizia o, ancora, l’atto pubblico della resa incondizionata al cancro del poter criminale.
Poi la vita prosegue, prende pieghe inattese e bellissime e ti accorgi che non è vero che l’avanzare dell’età spegne sogni e appassisce ideali.
Ti accorgi anche che gli eventi che “colorano” il mondo (la crisi, il lavoro che manca, il vuoto di progettualità, la corruzione della classe politica, la pace sempre da riconquistare …) non sono altro che una cornice, reale e fosca –certamente-, ma non la vera sostanza. Non il capolavoro della vita!

E ti accorgi anche che tu non sei semplicemente lo spettatore di un brutto spettacolo da osservare con passività. Ma puoi incidere su quel copione che non ti piace. E addirittura puoi provare a cambiarlo. Puoi modellare il mondo secondo i tuoi sogni. Incredibile!

Solo circa due anni fa ho avuto la fortuna di imbattermi in un meraviglioso uomo che risponde al nome di Danilo Dolci.
Lui, in una sua poesia, tra le altre cose, sosteneva che

“ … C'è pure chi educa, senza nascondere
l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d'essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato” (D. Dolci)

Tutto ciò mi ha aiutato a comprendere che, nonostante ciò che ci raccontano sia vero e drammaticamente pericoloso, è anche vero che la battaglia non è completamente persa. Che, nonostante sia vero che i destini del mondo siano condizionati dai giochi di potere dei narcotrafficanti e dei criminali di varia entità, da politici traditori e funzionari corrotti, è altresì vero che esistono valori non in vendita nella coscienza di ciascuno ai quali appellarsi di continuo per non cedere.
Di tale certezza dobbiamo sentire la responsabilità di diffusione; essa va proposta a chi verrà dopo di noi per evitare una resa di massa incondizionata.
Questo è il momento della resistenza. Fatta ed organizzata da coloro che, nonostante un ventennio di narcotizzazione cerebrale e culturale, continuano a pensare, a progettare e sognare un mondo diverso; da coloro che, nonostante l’infinita crisi della cultura, che ha impoverito l’animo prima del conto in banca, continuano a credere a valori intramontabili; da coloro che, nonostante la diffusione della cultura del “si salvi chi può”, progettano e pensano un futuro migliore per gli altri.
È il tempo della resistenza. E’ il tempo di non rinunciare a far governare le relazioni dalla sincerità e dalla lealtà.
È il tempo di fare questo sforzo per chi nasce ora; per poter loro consegnare un mondo che non ha rinunciato alla speranza del cambiamento.

Forse solo così su quel 3 settembre di tanti anni fa continuerà a non calare il sipario e la tragicità di quegli eventi non avvallerà più rese incondizionate al male.

Si coglie un fermento di cambiamento. Basta ascoltarlo e seguirlo.

*

- Società

San Luca, Scampia, Boateng: 3 episodi per pensare

Primo episodio
Alcuni mesi fa è stato mandato in onda, ad orari ragionevoli, un servizio la cui protagonista era una preside di San Luca – un comune vicino Locri – che non si arrende alla logica mafiosa che ruba il futuro ai ragazzi della “sua” scuola.
La locride è una terra interessante. Ho avuto modo di conoscerla da vicino e ne sono onorato. Molti, moltissimi abitanti di quella terra, giovani, ragazzi, amici sono motivati da un intenso senso civico, capaci di mobilitare istituzioni e raccogliere numeri importanti attorno all’idea di un valore.
Eppure il tentativo di quella preside s’è spento nel nulla. E’ stato risucchiato e fatto a pezzi dalla macchina mediatica. A livello nazionale è rimasto poco o nulla di un’esperienza che, invece, avrebbe meritato sostegno ed incoraggiamento da parte dello Stato. Non si hanno avuto più informazioni al cospetto della professoressa che, con estremo coraggio, prova a dare un avvenire a bambini destinati ad ereditare la cultura del malaffare e dell’illegalità.

Secondo episodio
Dall’aprile 2011 a Scampia e Secondigliano è scoppiata una nuova guerra di camorra. Di questa guerra lascia perplesso il fatto che, oltre agli oltre venti morti che si sono potuti finora contare tra le fila dei clan in lotta per il potere, da circa un mese questa guerra non lascia in pace neppure i bambini.
Il 6 dicembre viene giustiziato un uomo all’interno di una scuola materna e solo alcuni giorni dopo esplodono due bombe a Scampia che feriscono dei ragazzini. Per conoscere tali episodi è necessario consultare siti e volere necessariamente coltivare un senso civico; i Tg nazionali si interessano poco di Scampia. Se ne parla poco se non per raccontare di un boss arrestato che presto verrà rimpiazzato da qualcun altro che proseguirà la stessa battaglia.

Terzo episodio
3 Gennaio 2013. Partita di calcio amichevole a Busto Arsizio tra la squadra locale ed il Milan: è l’occasione per fare festa ai campioni rossoneri ed infatti, all’evento, prendono parte molte famiglie con bambini. Peccato che alcuni individui impieghino soltanto ventisei minuti a rovinare tutto intonando cori razzisti al cospetto di alcuni giocatori del Milan. Uno di questi, Boateng, si spazientisce e scaglia il pallone in direzione dei tifosi e poi decide di lasciare il campo. Pochi istanti e i suoi compagni lo seguono; la partita viene interrotta e si coglie, giustamente, l’occasione per lanciare un messaggio di valore: il calcio non può più accettare il razzismo!
La notizia della presa di posizione del Milan fa in fretta il giro del mondo; suscita dibattiti, se ne parla su Twitter, si abbozzano posizioni istituzionali, si promettono cambiamenti.
“Strano” – mi son detto – “in fondo è lo stesso sistema calcio che tollera e incoraggia un vomitevole gossip diseducativo, che non ripudia, allo stesso modo, atteggiamenti altrettanto barbari (come quelli messi in atto dai facinorosi varesotti) compiuti e perpetrati dagli stessi campioni o da loro stretti colleghi, che, però, in questa occasione si sono scandalizzati e hanno rifiutato ciò che –davvero- non si può più accettare.
A parte il fatto che sono convinto che, scendere in campo con facce dipinte di nero oppure sfoggiare eleganti magliette che inneggiano a tolleranza e integrazione, siano provvedimenti superficiali e di corto respiro se il cambiamento non parte dalla coscienza reale e sincera di ognuno, ciò che mi ha colpito di questa “infelice” notizia è stato la conseguenza mediatica che l’ha accompagnata. Eccessiva, esagerata, a tratti pacchiana. A meno che essa non condensasse in sé retrogusti politici e interessi di parte che, con il calcio e coi valori sani, nulla hanno a che vedere.

Mi fa riflettere la diversità di peso che i media hanno fornito alle tre notizie. Senza nulla togliere all’impeto civico di Boateng, mi sembra che porti più giovamento al paese fare conoscere ciò che sta accadendo di bello e di brutto in territori di frontiera che appartengono ad ognuno di noi!
Parlare di Scampia o di San Luca fa male, non affascina quanto quel pallone scagliato in tribuna dal campione milanista, non aiuta a raccogliere consensi ma costruisce futuro, senso civico, speranza. Soprattutto infonde desiderio di impegno.
Parlare dei reali problemi del paese ne sostiene il colpo di reni; aiutando la massa a dissociarsi dalla sotto cultura del gossip e delle copertine patinate e vuote di rotocalchi antieducativi, significa aiutare il paese ad avere possibilità di futuro e, allo stesso tempo, ci mette in guardia impedendoci di riporre fiducia in politici “riciclati” e fondatori dell’ennesima lista della salvezza; parlare di disabili, di rom, di aziende che chiudono, di famiglie che “non ce la fanno” significa abituare a pensare; significa aiutarci a capire che la verità va cercata “più dentro”, un po’ al di là della presentazione o dell’effetto luccicante dei talk show che abbagliano, seducono e abbandonano.
Parlare di mafie, dei rom, dei disabili ci fa comprendere meglio che il mondo che emerge ed ammaglia, quello che ci mostrano in prima serata è solo una porzione insignificante e non rappresentativa del vero e del reale. Raccontare di verità scomode come ad esempio che mafia, h’ndrangheta e camorra sono presenti, con sfumature diverse ma uguale potenza, in Lombardia e Piemonte almeno quanto in Calabria, Sicilia e Campania ci aiuta a capire che la stagione in cui è necessario credere alle favole termina molto presto.
Avere il coraggio di non credere ai proclami patetici di calciatori che vanno in carcere a parlare di speranza, valori e futuro per poi scappare in fretta a bordo di automobili luccicanti e costose o avere la forza di respingere al mittente le emozioni che derivano da questo mondo finto, infingardo e falso e invece occuparsi di problemi scomodi e sporchi di cui nessuno parla, significa non essersi arresi ad una delle notti più buie del nostro paese e non avere riposto, per sempre, il desiderio e la speranza di un futuro migliore.

*

- Società

San Luca, Scampia, Boateng: tre episodi per pensar

Microsoft JScript runtime error '800a003e'

Input past end of file

/testi_raccolta.asp, line 83