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Raccolta di articoli di Maria Grazia Ferraris
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Alimentazione

L’Elba e il mare bianco

I luoghi del silenzio. L'Elba e il mare bianco

Mi son sempre chiesta da dove provengano i racconti, le storie, le immagini poetiche o realistiche che vogliamo fissare sulla carta: forse da un paese lontano dove chissà, magari in un’altra vita siamo già stati, e chissà se eravamo proprio noi…, o dai sogni che ci costruiscono un’altra possibilità d’esistere Dentro quelle immagini salvate dall’oblio si avvera la vita che non abbiamo mai vissuto, gli amici che non sono più o lontani, gli affetti irrimediabilmente presenti nella loro evocazione epifanica, gli amori sognati con nostalgia. Le evocazioni, i ricordi, i sogni rendono più significante la vita, il silenzio raccontato attraverso i luoghi fascinosi costruisce intorno un porto sicuro di cui fidarsi. Alcuni luoghi svolgono nel nostro vissuto questa importante funzione, sono
luoghi sospesi, in cui aspettiamo che succeda qualcosa, qualunque cosa. Ci servono, ci consentono di sentire, di metterci in ascolto.
“Silentium” “silere” : tacere,... ma i luoghi del silenzio tendono ad essere sempre più scarsi. All’opposto, nel passato, chiunque poteva trovare rifugi per rimettere ordine nella propria anima turbata… Si impara a comunicare anche tacendo guardando e ascoltando, facendo spazio dentro di noi. Ma scrivere il silenzio è qualcosa che va oltre. È come ricercare nuovi alfabeti, nuove esperienze emotive, nuovi stupori. Tutto sommato un gran lusso.
Una vacanza fuori stagione, lontana dalle presenze massicce dei turisti estivi, un’isola visitata frettolosamente in tempi ormai lontani, di cui poco ricordo. La ricerca un po’ scontata del mio tempo perduto. Questo è il senso del mio viaggio. Scelgo di passare una settimana all’Elba. L’Elba della mia gioventù, i cui richiami storici e paesaggistici mi appassionavano. La casa reggia di Napoleone, il porto ospitale, il mare potente richiamo, le spiaggette solitarie, i resti romani, i monti dell’interno….Ci ritorno. Vuol essere una verifica della mia memoria e dei miei gusti, cambiati nel tempo. Anche una presa di distanza dal passato ingenuo ed infantile.
Mi trovo una sistemazione isolata, sulla scogliera ovest di Capoliveri: devo percorrere quattro chilometri di stradine in salita per raggiungere il paese. Ma è un eden di colori e di silenzio. Un incanto. Una preziosità.
Fiori che iniziano a sbocciare, verde intorno, mare a strisce bianche e blu, onde che giocano sgroppando felici. Un mare infinito davanti agli occhi che al tramonto, dopo aver giocato coi colori dell’arcobaleno diventa tutto bianco. Questo mare bianco che guardo nel silenzio ogni sera, come se fosse un rito di addio, non smette di affascinarmi, inquietante, prima di abbrunare insieme al cielo, dimentico di luci, vivo dei suoi brontolii, solo e autosufficiente nella notte che incombe.
L’indomani si ripresenta eterno e quotidiano come sempre: mare ventoso, assolato, inquieto davanti a me. Giochi di blu e di bianchi, folate di vento, brividi d’acqua. Bellezza che risponde silenziosamente a se stessa.
Tutto verde e inesplorato il versante nord della collina: mi avvio a piedi verso il porto di Mola, scorgo a pochi metri dall’abitato i ruderi di una chiesa diruta eppur splendida: “Pieve di San Michele”, dice il cartello nascosto, timido, vecchio, rugginoso: luogo abbandonato, indifferente ai più, certo ai soliti turisti.
Mi addentro in esplorazione nel prato incolto, tra fichi d’India, olivastri in fiore e fichi selvatici, trifogli e ortiche: un vecchio muro rabberciato, grandi lesene angolari incornicianti, un’abside perfetta, miracolosa, unica, con arcatelle a tutto sesto, lavorata a sfida del tempo. Un’emozione. Silenzio vivo intorno. Sul sentiero due ragazzi, incerti se addentrarsi o meno nella piccola selva incolta, guardano il mare, laggiù, lontano.
Mi informo. Voglio sapere la storia di questo luogo, di questa chiesa appartata.
Fu nei tempi lontani assalita e distrutta dai Turchi, che impazzavano indisturbati nel Mediterraneo, nel Medio evo fu una delle chiese con maggiori rendite dell’isola. Esistono ancora documenti storici conservati, ma poco studiati… Ha una storia importante, coinvolgente.
Un papa vi fece sosta, Gregorio XI, costretto dal fortunale; ritornava finalmente da Avignone a Roma. La tempesta lo fermò, indifferente alla storia e alle speranze dello spirito.
Conosco la storia medioevale. Storia interessante, dimenticata, emozioni afasiche per il turista superficiale distratto dai supermarket e dagli infiniti ristoranti, hotel e pizzerie che promettono serate danzanti e di divertimento.
Un richiamo al passato, a una dimensione estetica e spirituale dell’arte che, frastornati da musiche, grida, sport, turismo di massa, abbiamo perduto. Di certo c’è una voce misteriosa che mi/ci attira, quasi volessi cercare un senso non ancora trovato, un messaggio rassicurante, qualcosa che ancora mi sfugge, che non è solo il richiamo artistico culturale.
Bellezza eterna di un paesaggio verde e blu, spumeggiante, Caput Liberum antica, irride il turista distratto ed i suoi abitanti indifferenti o forse inconsapevoli di tanto passato.
L’erba alta si piega assecondando il respiro del vento. Le pietre squadrate, il famoso granito dell’isola, sono luminose nella luce radente. Il mare, sullo sfondo grigio-blu, mostra le sue onde bianche ballerine che si innalzano e corrono giocose. I due ragazzi sul sentiero,dimentichi di tutto, passato e presente, e perfino di futuro, si guardano e si baciano con gli occhi.

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- Alimentazione

Omaggio a Gianni Rodari

OMAGGIO a Gianni Rodari

Ci sono tanti modi di ricordar Gianni Rodari nel trentacinquesimo anno della sua morte.
E alcuni proprio originali ed inaspettati.
A Samanta Cristofoletti,l’astronauta italiana che suscita tanta simpatia ed ammirazione, partita per la sua missione spaziale, è stato chiesto se avrebbe portato con sé dei libri….e quali.
E lei ha risposto: < Sì,sto portando dei libri con me nello spazio. Non intendo i libri digitali– di quelli posso farmene mandare più di quanto possa leggerne in una vita intera! No,parlo proprio di libri di carta, quelli dove puoi fare l’orecchia alla pagina per tenere il segno….Ho esitato un po’, perché i libri di carta pesano e occupano volume e ho una disponibilità di peso e volume piuttosto limitata nel mio “bagaglio” personale per lo spazio. Ma alla fine, nello spazio non si va tutti i giorni. E l’esperienza di fluttuare nella Cupola e di sfogliare le pagine di un libro mentre davanti (o sotto, o sopra) scorrono maestosamente oceani e continenti val bene la rinuncia a qualche tavoletta di cioccolato extra-fondente o qualche busta di frutta liofilizzata!...>
Bene, brava Samanta! E che ha scelto? Ha scelto …< Due libri parecchio sgualciti, perché li ho letti più volte: Palomar, di Italo Calvino. E Pilote de Guerre, di Antoine de Saint-Exupéry. Questi li avevo messi da parte da tempo.Poi,all’ultimo momento, ho ordinato due libricini per bambini di Gianni Rodari. Uno è “Agente X.99: storie e versi dallo spazio”. L’altro è: “I Viaggi di Giovannino Perdigiorno”…. Splendido!
E qualcuno crede ancora che Rodari sia solo un autore per bambini! Lei ha intuito con gusto infallibile perfino quello che può avvicinare due autori come Calvino e Rodari: l’esattezza e la leggerezza!
Facciamo un cenno esemplificativo. Giovannino Perdigiorno è un viaggiatore curioso che ha voglia di raccontare le sue avventure in paesi straordinari, è un esploratore esigente che non si accontenta delle apparenze e dopo una breve sosta fra "uomini di tabacco", "uomini di sapone" e altre specie originali riparte alla ricerca di un "paese senza errore" dove tutto sia "perfetto" e "bello".
Rodari non ci insegna una geografia immaginaria, ma ci contagia con la sua fantasiosa imprevedibilità e trasferisce nei lettori, piccoli e grandi, la sua voglia di un futuro migliore. È ben intonato allo stato d’animo di un’astronauta come la Cristoforetti, serissima e spiritosa. Apprezzerà i posti incredibili nati dalla fantasia di Rodari mentre esplora l’universo e guarda la Terra lontana, o i posti di ghiaccio o di gomma o di carta o di tabacco, il pianeta di cioccolato, quello fatto di nuvole, quello malinconico e quello fanciullo, quello abitato dagli uomini "più" dove ognuno fa il record in qualche specialità, quello dove comanda il vento, quello dove nessuno va mai a dormire e quello dove tutti invece di dire sì o no, rispondono sempre "ni" e l'ultimo paese visitato è il paese senza errore, dove tutto è perfetto.

Giovannino perdigiorno,/ viaggiando in supersonico
capitò nella capitale/ del pianeta malinconico
…viaggiando in su e in giù,/ capitò nel paese/ degli uomini più.

L’agente X.99, potrà davvero divertirla. È l’esploratore spaziale, guardiano del radiofaro sull’asteroide X.99 che ci immerge in situazioni che ricordano i racconti calviniani. A cominciare dall’incipit:“ Se è vero che durante una delle mie esplorazioni spaziali, capitato su un pianeta selvaggio, mi sono fatto passare per il Dio del fuoco? No, signor giornalista, non è vero. Non mi piace ingannare la gente…Sulle mie avventure corrono molte esagerazioni. Non ho mai sposato la Donna Ragno, per la semplice ragione che non l’ho mai incontrata e credo che non esista neppure.
Non sono mai stato il Re del popolo dei Canguri: tra l’altro non l’avrebbero tollerato, perché erano e sono lassù, ferventi repubblicani….”
Gli alberi non sono assassini, i Ragni del cosmo, i ricordini di Osiride, ambientati nei pianeti Parco, Aberdan2, Osiride, e soprattutto Segnali nella notte, dove il nostro esploratore, sbarcato su Kama, rischia di morire nella gelida notte che dura lassù cinquanta ore delle nostre e sarà salvato dalle api che danzano intorno a lui disegnando figure geometriche, alla ricerca di un nuovo linguaggio comunicativo comune, trasformandosi poi in una freccia luminosa che lo condurrà alla porta di un bunker, il quale con ospitalità generosa, lo riscalderà e rifocillerà, mettendolo poi in comunicazione radio coi suoi soccorritori… sono davvero racconti affascinanti e solo apparentemente, nella loro serissima giocondità, scritti per bambini.
Quell’avventura su Kama era stato in verità un fortunato incontro,inaspettato e imprevisto, con un’altra civiltà, quella arborea,che apre a nuove visioni,nuove prospettive, nuovi linguaggi.
Non per niente il nostro Agente X.99 dovrà farsi spiegare lo strano linguaggio degli alberi parlanti dall’entusiasta linguista prof. De Mauro, che stenderà un vocabolario completo della lingua vegetale, scoprendone la disponibilità alla pace,al rispetto e all’amicizia tra gli esseri viventi.
“Succede, a volte, di vivere tra meraviglie di cui nessuno si accorge”conclude Rodari.
Ed è una conclusione che anche la nostra astronauta condivide con felicità. Tanto da ricordare a termine della sua intervista, alcuni versi dell’ Ulysses del poeta A. Tennyson:
I am a part of all that I have met;…..

Io son parte di tutto ciò ch’incontrai;
Eppure ancor tutta l’esperienza è un arco attraverso cui
Brilla quel mondo inesplorato i cui confini sbiadiscono
Per sempre e per sempre quando mi muovo….
Com’è sciocco fermarsi, finire,
Arrugginire non lucidati, non brillare nell’uso!
Come se respirare fosse vivere! Vita ammucchiata su vita
Sarebbero tutte troppo poco, e di una sola a me
Poco rimane: ma ogni ora è salva…
E questo grigio spirito bramare nel desiderio
Di seguire la conoscenza come una stella cadente,
Oltre il limite più estremo dell’umano pensiero.

M.Grazia Ferraris

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- Letteratura

Vittorio Sereni (1913-1983):il lago e Luino,il paese natale.

Vittorio Sereni (1913-1983) : il lago ed il paese natale, Luino .

In un ricordo commosso, legato alla morte di Vittorio Sereni, lo scrittore Piero Chiara, che gli fu amico fin dall’infanzia comune, a Luino, ha scritto:
“Sereni è stato sepolto a Luino, suo e mio dolce luogo nativo..: una giornata di quelle nelle quali può culminare la vita di un poeta. Il nostro paese gli aveva preparato uno scenario di lago azzurro, di nubi argentate, di nevi bianchissime sui monti, chiuso in un cristallo di gelo……” Luino è il punto comune di partenza: dalla nostalgia potevano trarre le radici della loro amicizia, la diversa malinconia e forse anche della solitudine che pur li accomunava.
Infatti l’ultimo scritto di Sereni per la Rotonda,la rivista luinese cui collaborò attivamente, del 1984, dice: “ Per un certo periodo l’inverno entrò nelle metafore che andavo tentando….Dev’essere stato tra la fine del ’36 e l’inizio dell’anno successivo, in occasione di un mio ritorno dalle nostre parti dopo molti anni di assenza.
Smettila di corteggiarmi- disse al viaggiatore il paesaggio innevato su tutta la sua estensione- smettila di starmi attorno con parole. Sopraffatto dallo sfavillio della giornata di sole sopraggiunta all’intero arco montuoso fulgido di neve, vivevo uno di quei momenti di completezza, di piena fusione tra sé e il mondo sensibile, grazie e di fronte ai quali lo spirito desiderante si appaga di se stesso, rifiuta i contorni, sdegna ogni soccorso specie di parole- dissuaso com’è dal cimentarsi nella sfida che lo sguardo gli propone. …. Non diversamente il mio modo odierno di guardare a Luino vede o crede di vedere in trasparenza una storia nascosta, continua nel tempo, che vi si svolge; una rete di gesti e di sguardi, un sottinteso. Figure che si sfiorano appena movendo nel paese e nella sua aria, in un battito di ciglia, in un sorriso si riconoscono abitatori di un paese segreto che gli sta dietro, sempre sul punto di sconfinare nella patria notturna variegata e proteiforme dei sogni, dove si scompongono e ricompongono gli accadimenti diurni… spesso appaiono a loro volta nella parte di testimoni piuttosto che di protagonisti. Ai margini del paese visibile. …”

Sereni ha scritto ripetutamente in prosa e in poesia sul paese di lago, il luogo della sua infanzia, Luino: “…Mai il paesaggio è così struggente come quando gli è imminente una nube o un’ombra di mestizia o di strazio: il positivo e il negativo e viceversa, il canto e il controcanto, l’accendersi e lo scolorare, la vampa e la sua cenere,…” Scrive pensando ai suoi luoghi:

“Improvvisa ci coglie la sera./ Più non sai / dove il lago finisca;
un murmure soltanto/ sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza…

Emerge un’ansia interiore e una condizione esistenziale dolorosa, esperita storicamente.
Quasi programmaticamente si ripresenta nella sua poesia il paese coi temi dell’amato e riconoscibile Montale, i correlativi oggettivi, metafore della vita e della morte:

“Già l’olea fragrante nei giardini / d’amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia/ d’aride cose,
di remi infranti, di reti strappate…”

C’è lo scolorare dell’esistenza nei colori sfumati della fine e della perdita, vista con occhi asciutti e fermezza esemplare .Il luogo topico diventa rispecchiamento della vita. La malinconia e l’incertezza sono nondimeno mitigate dal tempo, dal conforto del noto, delle stagioni che si rinnovellano rassicuranti, come ben dice nella poesia davvero magistrale, nelle antitesi di felicità e tremore, del dicembre ’40, inviata all’amico G. Vigorelli:

Presto la vela freschissima di maggio/ ritornerà sulle acque
dove infinita trema Luino/ e il canto spunterà remoto…

L’inizio della riflessione poetica di V. Sereni,che ha consacrato alla fama nazionale il luogo da cui è partito,con la prima raccolta –Frontiera-, muove in toto dal luogo natale, rappresentato soprattutto negli elementi del paesaggio lacustre, la cui natura potenzialmente idillica, non vive nella pura descrittività, bensì viene rappresentata come turbata da minacciose presenze, che insinuano il disagio negli uomini e nelle cose.
Ne sia un esempio anche l’inedito in cui Sereni scrive di una traversata del lago:
“..era ormai tardi e bisognava tornare, se l’ultimo battello della sera lasciava Cannero e salpava verso il suo riposo. Gli passarono davanti le luci verdi e bianche del Lombardia e solo allora sentì che era stata una stravaganza fuori posto quella traversata del lago fatta nel pomeriggio e che lo obbligava ora a una lunga remata nel buio e con un tempo incerto. ... Rivedeva se stesso nel più meraviglioso e libero pomeriggio del mondo nuotare lì intorno fra quelle isole minute, …fra quei grandi sassi emergenti nel lago calmissimo e celeste: e gli amici, e la barca legata a una pietra… Non pioveva più. Ma subentrava un’altra zona, si annunciava con rumori e scosse minute sulle fiancate. Il lago cominciava a turbarsi.”
Il paesaggio assume valore per il ricordo di cui è carico, diventa significativo per l’organizzazione mentale allusiva che gli si attribuisce. Il lago è entrato con Sereni nella grande poesia, con le aride cose di lago- come le reti strappate, i remi infranti,- correlativi oggettivi, indici di una condizione esistenziale universale.

“Ci desteremo sul lago a un’infinita / navigazione. Ma ora
nell’estate impaziente/ s’allontana la morte…

Il tema del lago-specchio- attonito-, lacuna del cuore, ricompare esplicitamente in una rielaborazione di alcuni versi giovanili, poi comparsi definitivamente in quartina, col titolo Un ritorno:

“Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema
ma pari più non gli era il respiro/ e non era più lago ma attonito
specchio di me una lacuna del cuore.”

E’ questo l’approdo, pura emozione intellettuale, in zona metafisica , del “vedere paesaggistico” di Sereni, che viene disegnato con segnali minimi: il calare della sera che sottrae familiari e rassicuranti punti di riferimento, la sensazione di sospensione nel vuoto che dà una terrazza pensile o il ritirarsi del lago che lascia affiorare poveri, quotidiani oggetti infranti, il cui significato viene potenziato e dilatato dal poeta, in preda talvolta a una visione catastrofica.

…..Siamo tutti sospesi/ a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera/ che ci scruta poi gira se ne va.

Con insistenza reiterata, sia nelle prose che nelle poesie, il poeta appartiene a quel lago, il suo lago: fino all’ultima raccolta: Stella variabile. In rapporto a questo luogo topico che è nello stesso tempo geografia, mito, infanzia, figure dell' esistenza c’è, e soprattutto negli epistolari, la nudità, la verità, il riconoscimento, talvolta faticoso e doloroso, della propria irrinunciabile voce.

Alla svolta del vento/ per valli soleggiate o profonde
stavo giusto chiedendomi se fosse/ argento di nuvole o innevata sierra
cose di cui tuttora sfolgora l’inverno…
dei luoghi folti dei nomi rupestri/ di suono a volte dolce
di radice aspra/ Valtravaglia Runo Demenza Agra

Commenta Chiara che ben lo conobbe e frequentò: “Come ogni cosa da lui nominata, il paese, il paesaggio, un colore,un qualsiasi strumento umano, diventa parte viva dell’esistenza di tutti, della vita universale.Per questo elementare prodigio che è concesso solo ai veri poeti, il suo ricordo così strettamente legato ai suoi versi, non è un labile rito commemorativo, ma un segno profondo dell’essere, un continuo e allarmato messaggio.”
Il lago, rappresentato in tutte le stagioni, ma preferibilmente in inverno, ricorre come una potente metafora sotterranea di calma e di sottili ansie, di amore e dolore.

…ma se ti volgi e guardi/ nubi nel grigio
esprimono le fonti dietro te,/ le montagne nel ghiaccio s’inazzurrano…
Armoniosi aspetti sorgono/ in fissità, nel gelo: ed hai
un gesto vago/ Come di fronte a chi ti sorridesse
di sotto un lago di calma,/ mentre ulula il tuo battello lontano
laggiù, dove s’addensano le nebbie.

E poi per contrasto,l’estate, esatto corrispettivo dell’ansia turbata dell’inverno.

Lunga furente estate./ La solca ora un brivido sottile
Alle foci del Tresa/ Sì che alcuno ne trema
Nei volti ridenti….

Amore di lungo tempo.All’amico Vigorelli scriveva:“Eravamo alla metà di luglio del ’37. Luino fino a quel momento era stata una delusione….Noi intanto avevamo formato una compagnia abbastanza numerosa ….Intanto erano cominciati i balli all’albergo principale del paese…e di sera, prima della guerra, chi guardava da Cannero riconosceva Luino proprio dalla gran luce dei finestroni della sala..”
Il primo degli epistolari,in cui il tema Luino compare con insistenza,ricco di notizie, eppur smilzo, è quello con Piero Chiara. Fu la loro frequentazione, come testimonia l’esiguo epistolario, un’amicizia “senza calore”, fondata sulla confidenza, conoscenza reciproca, avvenuta nell’infanzia a Luino e sulla solidarietà. Chiara deve infatti a Sereni la decisione di scrivere i suoi racconti sulla vita a Luino e di pubblicare poi Il piatto piange, quindi l’avvio della sua carriera letteraria.
Sereni scriveva “Caro Piero.. forse perché ne sono così lontano di fatto, Luino continua a crescere in me con un significato forse più ricco, seppure più severo, vorrei, non so come, dimostrartelo un giorno. Anche per questo ti prego ti scongiuro di mandarmi quelle dodici pagine che hai nel cassetto (sarà Il piatto piange, del ‘62)…”
Luino ritorna anche in altre lettere agli amici, in particolare in quelle indirizzate a Parronchi:
“ …E un giorno mi piacerebbe portarti a Luino e farti conoscere quella fonte ( esausta?) di commozioni…Ho un grande desiderio di stare con te e di leggere qualcosa insieme…..”
A lui risponde interessato ed attento l’amico Parronchi: “…il tuo invito tu non sai quanto mi sia gradito …la cosa a cui non rinunzio è un soggiorno con te a Luino e una volta o l’altra avverrà.”
Più tardi, dubbioso: “…poi temo che a Luino io ci possa andare soltanto da solo. Ammesso che non sia tardi e che io non debba ricavare rattristanti conclusioni su tutto ciò che è mutato in me e fuori di me…”. L’amico Parrochi capisce bene la natura del legame di Sereni col paese nativo, gli viene incontro proponendo un incontro nel suo “paese del cuore” in Toscana, con identici sentimenti:
“ C’est ma source à moi, ci sono stato fin da piccolo, ultimamente ci ho passato la guerra. Quasi tutti i miei amici la conoscono, ed è destinato che ci venga anche tu.”
La conversazione epistolare riprende nel ’48. Luino ritorna nel suo conversare affettuoso:
“….Nemmeno quest’anno so bene dove andrò a finire: tenterò ancora una volta Luino ma temo ancora inutilmente....”Luino rimane nondimeno un polo di attrazione costante, e ricompare di nuovo nella poesia della maturità quasi con pudore inconfessabile:

Ogni volta che quasi/ Di soppiatto ripasso da Luino
Sulla piazza del lago/ Schizzato fuori da un negozio corre
Un tale ad abbracciarmi/ Farfugliando il nome di mia madre.
Faceva lo stesso anni fa/ Un suo fratello più grande ….

Una esplicita riconferma.“Arrivavo a Luino per via stradale una certa volta dopo molti anni che ne mancavo. Adesso so bene a partire da che punto, non il presentimento, ma la presenza fisica di Luino comincia a rivelarsi nella sua identità concreta….Ma il tuffo al cuore non si produce sempre allo stesso modo: a volte è rimprovero,a volte rassegnazione, altre volte impeto di irruzione in un paesaggio come se fosse nuovo.Fatti miei?Eh, sì, purtroppo, fatti miei; idoli,che qualcuno potrà anche chiamare feticci. Diciamo: idoli della memoria.”
I luoghi sereniani sono diventati oramai tutt’uno col ricordo:Ma mai dimenticati, come ci dice nel 1982, a un anno dalla morte:
“ A Luino, dove sono nato, mi lega un affetto naturale e istintivo...Il rapporto col mio paese è reso vitale dai ricordi e da una continua interrogazione che porta a scavare più a fondo la realtà dell’ origine che affonda radici in questo angolo di Lombardia, passato a suo tempo sotto il nome di Frontiera…”

VITTORIO SERENI nacque a Luino nel 1913, si laureò in lettere a Milano. La prima raccolta Frontiere, uscì nel ’41. Inviato in Grecia nel ’42, rimpatriato, fu inviato alla difesa della costa siciliana, a Trapani, dove nel ’43 fu fatto prigioniero e rinchiuso nei campi di concentramento di Algeria e Marocco francese. Tornato in Italia nel ’45 si stabilì a Milano. Nel ’52 iniziò la sua collaborazione con l’Ufficio stampa Pirelli. Nel ’47 pubblica Diario d’Algeria. Nel ’58 entrò in Mondadori come direttore editoriale. Pubblica Gli immediati dintorni, cui fece seguito volumi di traduzioni e la quarta raccolta di poesia Stella variabile, un anno prima della morte avvenuta nel 1983

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- Letteratura

Guido Morselli (1912-1973)

Guido Morselli. (Bologna 1912- Varese 1973)


Guido Morselli, che fu al di fuori dei percorsi più battuti della letteratura italiana contemporanea,rappresenta uno dei più singolari "casi"letterari del 900, difficile da definire:un grande autore,ignorato in vita, suicida,e successivamente "riscoperto".Era altero e isolato, sdegnoso nei confronti della società culturale che lo circondava e conscio del valore estremo della scrittura,tanto da farne l'unica ragione di vita:ebbe sensibilità verso temi culturale e soprattutto sociali,anticipatrice rispetto a molte correnti letterarie dei decenni successivi,cosa che lo condannò all’insuccesso editoriale e a un'angoscia esistenziale cui non ebbe la forza di resistere.
Nella solitudine di Santa Trìnita,sulla collina gaviratese compose la maggior parte della sua produzione consistente in saggi,racconti,romanzi, commedie. Scrisse anche articoli collaborando con periodici locali e con Il Tempo di Milano,La Prealpina di Varese,Il Mondo, La Cultura,Questo e altro.
In sella alla cavalla Zeffirino,regalatagli dal padre,amava cavalcare per i monti e le campagne del Varesotto, ma anche percorrere le strade di Gavirate.
Nell’agosto del 1943,uscì presso Garzanti,con la prefazione di Antonio Banfi, il suo primo libro: Proust o del sentimento, un trattato sull’opera più nota dello scrittore francese, La Recherche.
Nel 1947 venne pubblicata presso Fratelli Bocca un altro saggio: Realismo e fantasia, il secondo e l’ultimo libro a vedere la luce durante l’esistenza del suo autore.
Tutto quello che ha scritto posteriormente è stato pubblicato dopo la morte da Adelphi.
Libro di grande interesse, Realismo e fantasia, filosofico, di cui Morselli dice, scrivendo nel ’49 a Guido Calogero: “Il libro che Le invio…è veramente il prodotto di una specie di germinazione avvenuta in me stesso: il personaggio che si chiama Sereno, è quella parte di me che non si è peritata di gettarsi allo sbaraglio nell’avventura filosofica; l’altro interlocutore è quella parte di me che resiste al tentativo, che gli oppone la sua ironia che non è incline a tornare alle “viete” formule del realismo e del “sistema”.
Sempre nel ’43 inizia la stesura del suo primo romanzo Uomini e amori, al quale tornerà nel 1958 portando qualche modifica. Nel 1947-48 scrive il romanzo breve Incontro col comunista (edito da Adelphi nel 1980)
A Santa Trìnita Morselli scrive fra il 1961 e 1962 Un dramma borghese,tra il 1964 e 1965 Il comunista,(Adelphi 1976), Brave borghesi nel 1966,Roma senza papa tra 1966 e 1967, (Adelphi 1967), Contro-passato prossimo: un’ipotesi retrospettiva tra il 1969 e il 1970, Divertimento 1889 tra il 1970 e il 1971(Adelphi, 1975), Dissipatio H.G.,tra il 1972 e il 1973, l’anno della sua morte( Adelphi,1977).
La sua narrativa è coinvolgente e,insieme, disturbante nella sua asprezza e nel suo rigore filosofico. L'altro aspetto, coesistente,è quello scherzoso,grottesco e umorale, fondamentalmente ironico, che appare in Contro-passato prossimo,Divertimento 1889,Roma senza papa e nelle novelle... Nel 1987 è apparso, a cura di G. Pontiggia, a completare la sua lettura, il Diario.
Morselli fu indubbiamente un solitario,una vocazione che espresse molto chiaramente a più riprese nelle sue opere:“ A livelli sia pure superiori al mio,il pensiero è sempre stato solitario, fine a se stesso, asociale... secreto da monadi senza finestra, o che non si curavano di mettersi alla finestra. L’idolatria della comunicazione è un vizio recente. E la società, dopotutto,è semplicemente una cattiva abitudine” ed ancora riflettendo sul vissuto e sui rapporti interpersonali aggiunge: ”io in realtà non so uscire dal mio solitario atteggiamento passivo,non prendo iniziative e forse non ne favorisco,capire e comunicare domandano applicazione,simpatia intellettuale, attenzione non epidermica….Non amo la gente espansiva…”
Spesso l’autore offre al lettore presentazioni autobiografiche diverse di se stesso: nei diari,intime, introspettive, nelle lettere, per esempio a Italo Calvino, nel febbraio del 1963,a Mario Pannunzio direttore del Mondo,nel maggio 1863,anni in cui si dedicava ai romanzi,in cui i ritratti autobiografici indiretti appaiono più oggettivi,riposati, comunicativi.Fa da ponte tra i due ambiti la riflessione su se stesso esposta in una lettera a Maria Galli,che amò, non riamata,lo scrittore.

Diamo perciò spazio alle lettere. Ad I. Calvino:
“Sono emiliano, autodidatta, vivo solo su un piccolo pezzo di terra dove faccio un poco di tutto, anche il muratore; politicamente sono in crisi, con quasi nessuna speranza di uscirne.
Non sono un filosofo. Sono un agricoltore: vivo della campagna e in campagna…(tutt’al più mi spingo a Varese, a bordo della mia vecchia Ardea: una quattro-marce, che però va ancora benissimo..). Il vino di mia produzione ha riscosso gli elogi della scuola enologica di Alba.
…Qui da me, a S. Trinita,non ho né aspirapolvere né frigorifero.Non ho nemmeno la TV! In cambio ho un discreto cavallo da sella, col quale esploro la montagna che incombe subito dietro la mia casetta.Ho potato quest’autunno certi rosseggianti pini di Scozia,i cui rami, ricchi di materie resinose dall’aroma profumato, ho messo da parte da bruciare al caminetto nelle grandi occasioni. Lei mi venga a trovare… Si persuaderà che, se l’alienazione marxiana è l’amaro frutto insopprimibile dell’industrialismo, c’è un genere di alienazione... contro la quale l’attaccamento alla terra “dat medicamena”.
E a Mario Pannunzio, nel maggio del 1963:
“ Io sono scapolo, vivo solo, non ho molto da offrire,ma alberi, prati, silenzio, un’ampia veduta sui laghi e le Alpi,questi sì,lo posso offrire ai miei amici,e un’assoluta libertà, si fermino tre ore o tre giorni..”
A Maria Galli, 8 agosto 1943, alla quale dava del <voi>:
“..Per coltivare ideali bisogna, mi pare,credere nell’umanità o quanto meno riconoscerle un’esistenza autonoma, bisogna credere nella storia e vedervi una legge, o quanto meno ammettere che esista una storia diversa dalla nostra propria. Ve l’immaginate voi che razza d’ideali possa avere un egocentrico? Per conto mio, a voler essere proprio sincero, dovrei confessare, per esempio,che ciò che mi tiene qui non è molto diverso da un superficiale point d’honneur.”

Nei diari si autoanalizza: “Soffro, dunque sono”, scriveva nel suo diario.
“Sono stato, in vita mia, teologo e maestro d’equitazione; so,per averlo fatto con le mie mani, come si scombicchera il soggetto di un film cinematografico, e come s’impianta una coltivazione d’asparagi. Sono stato,per anni, soldato, filosofo,insegnante di lingua e segretario di società anonima.
Le mie chiacchere sono state immeritatamente pubblicate da due editori, cinque giornali, un ente radiofonico; ho i titoli legali per diventare pretore e chauffeur professionista; sono stato ufficiato a fare il precettore nella casa di un barone calabrese, e il commissario prefettizio di un comune.
Bon à tout faire, bon à rien faire? Può darsi; ma intanto,se la sorte mi riservasse di finire lattaio o regista di un teatro d’avanguardia- ciò non mi stupirebbe né mi rincrescerebbe.” (1 marzo 1955- diario). Ed ancora:
“ Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato; ho oziato,la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, ma non ho ottenuto nulla.Sono stato egoista fino a dimenticarmi dell’esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho amato, sino a dimenticarmi di me stesso; nulla è cambiato in me né intorno a me.Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato;ho fatto del male, non sono stato punito. – Tutto è ugualmente inutile.”( 6 nov. 1959, Diario)
“Unici responsabili, al mio tribunale,i condizionamenti ambientali e i cromosomi.Sono essi che fanno e proseguono la Storia”( Dissipaio H.G)

Il paesaggio gaviratese è un tema fondamentale in Morselli, a risalire fin ai primi romanzi:
“ Saverio soffriva soprattutto di nostalgia.Il desiderio pungente, continuo, a volte smanioso, dei luoghi che aveva lasciato….Gli antichi vedevano in ogni viaggiatore un esule,e lo trattavano come si trattano i poveri. Non vi pare che avessero ragione?...
La privazione di quei luoghi continuava ad essergli indicibilmente dolorosa…
La mia “sofferenza”, egli confidava nel suo diario, è quella che deve provare in ogni fibra una pianta che l’uomo trapianti in altro terreno, in altro clima. Quaggiù io sono, materialmente ed idealmente un “déraciné” ….,scrive durante gli anni di forzato soggiorno in Calabria nel ’43 e il sentimento di nostalgia per la sua piccola patria di Varese viene attribuita al protagonista di Uomini e amori
Col paesaggio gaviratese stabilì un rapporto stretto, durato circa quindici anni,e così lo dipinge in Realismo e fantasia:
“Il poggio di Santa Trinita si spicca dalla falda di una montagna,di buon’altezza, densa di castagni e faggi e aguzza di abetine al sommo;forastica tanto, da non offrire al riguardante segno di dimora umana…lo sguardo dal poggio si fa più volentieri a mirare la sottoposta conca del lago, che è di breve giro ma vario di ombre e di riflessi,i colli che vi si affacciano, e un lento ondular di campagne sino al limite incerto della grande pianura…Dallo stradone il viottolo sale erto al poggio per un montar di terrazzi ricavati nel calcare bianco( “i gironi”) ma dove in poca terra, abbarbicata alla pietra la vite cresce gagliarda e a suo tempo onusta di gonfi grappoli d’oro…Una radura erbosa corona il poggio,limitata per gran parte dal bosco, e a levante dalla dimora….Quadrata,ros(s)a di intonaco, genuinamente rustica e insieme di schiette proporzioni, …bellamente si accorda alle cose intorno,all’erba, agli alberi, al cielo.Le stanze a terreno danno agevolmente sul prato per la soglia appena rilevata, su cui si ferma spesso qualche lucertola a curiosare…Lo scrittoio si apre in vista del lago. In quella piccola stanza ( un caminetto, un tavolino, una specchiera, pochi libri..) io mi riducevo la sera innanzi di coricarmi, ..a lavorare al mio diario…Oltre il tocco mite della vecchia pendola,entro e fuori la casa non era voce,e dalla finestra giungeva sulle mie carte il sentore umido del prato notturno.”. La casa fu realmente costruita come è descritta nel 1952.

“ Da quella parte, in ogni stagione e pur nel pieno meriggio,temperandosi la luce per certo vaporar di nebbia su dai prati pingui, le tinte paion quasi ad arte men vive, quei verdi volti al celeste e al grigio, con uno strano attenuarsi all’occhio delle distanze, si che l’insieme sembra trapunto sopra un vecchio arazzo squisitamente sbiadito; e si pensa alla mano di un pittore più sollecito della sua vena elegiaca che della prospettiva. Da ponente,la veduta non meno estesa ha tutto il su naturale rilievo: la contrada degrada alle sponde di un altro lago, più vasto, di là dal quale si assiepano monti in successive catene…
Io vorrei una volta celebrare la soavità di un esordio settembrino a Santa Trinita,tra le selve e il vigneto,in vista di quel lago e di quei monti.Quivi l’autunno principia presto; appena, come quell’anno, dopo il culminar dell’agosto: palese in una più lieve tempra dell’aria, in una chiara e trepida trasparenza delle tinte, in un lene posar delle cose….”
E ribadisce nelle pagine del Diario:
S. TRINITA DI GAVIRATE- ( 14 ottobre 1945):“ Ieri ho trascorso solo nel sole di S. Trinita due ore deliziosissime.Tinte da vincere ogni pittorica fantasia, una luce carezzante, calda “corposa” come oro fluido, un silenzio sospeso.Io,in tenuta succinta,e la muccherella Pedrina ci siam tenuti placida e tacita compagnia sul gran prato che corona il poggio. I monti dell’Oberland bernese all’orizzonte chiari e pur tenui come un ricordo.L’atmosfera era quella di un idillio del Gessner,in una verde Arcadia settentrionale,certo più verde e amena che non dovesse essere quella mediterranea”
….A proposito di certo prato tra due alture boscose, percorso da un sentiero, che mi apparve di sfuggita durante una passeggiata, a Varese, e mi è rimasto stranamente impresso nel ricordo.Il valore essenziale che acquistano per noi soprattutto nel ricordo certi aspetti del paesaggio rimane affatto inesplicabile se non ammettiamo che veramente la natura è soltanto una prospettiva fatta esteriore e sensibile dalla nostra interna vita sentimentale.Quel tratto di paesaggio quegli alberi quel cielo sono in un certo istante,e si mantengono di poi,la vivente allegoria di uno stato d’animo nostro. Direi di più, che qualche volta in un aspetto della natura si esteriorizza tutto un capitolo della nostra storia .
Diario, 24 nov. 1943.“ Lasciate che altri decanti le calde, virenti primavere mediterranee e quelle timide e sognanti che indugiano sulle colline del Kent; gli autunni languidi di Roma, quelli rosseggianti e sontuosi delle piane del Maine e della Nuova Inghilterra: io vorrei una volta celebrare la soavità di un esordio settembrino a Santa Trinita, la selva e il vigneto,in vista di quel lago e di quei monti.”
E soffrendo per la decisione di lasciare il suo buon ritiro scrive in Sacro e profano , scrive:”Le nostre dolci e silvestri,taciturne colline. Fra i castagneti, s’intravede il grande lago lontano, e più a ponente i monti,profilati sul cielo verde, nell’immoto crepuscolo di gennaio.Seguiamo il viottolo e ci sentiamo legati a un patto di silenzio. Forse nella dell’amico Claudio si sta svegliando il ricordo della lettera che Stendhal scrisse all’amica dopo aver percorso, a cavallo, questi luoghi. <L’un des authentiques chemins du Paradis, on ne peut que se taire, ici, mèditer, se pâmer d’admiration, rêver ses amours>….
Pubblicato sul n.30 di Menta e Rosmarino, del giugno 2013