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Raccolta di articoli di Paola Donnarumma (MI)
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Religione

Lourdes, la freschezza di una primavera

C’è un gruppo, non organizzato, trasversale a tutti gli altri, non so quanto numeroso, di persone di ogni condizione sociale sparse per il mondo. E’ il gruppo di quelli che nella loro vita sono andati una volta alla Grotta dei Pirenei e da allora non riescono più a farne a meno. Ne faccio parte anch’io.
Se chiedete a qualcuno dei “Lourdisti” (li chiamo così) perché da cinque, dieci o vent’anni decide ogni volta di fare quel pellegrinaggio, non aspettatevi una risposta precisa; probabilmente vi dirà che “sente” di doverci tornare. Forse perché Lourdes è la prova tangibile che ciò che è debolezza e stoltezza di Dio - come dice San Paolo - è più forte e più sapiente della forza e della sapienza degli uomini. Forse perché, tolto tutto il resto (souvenir, negozi, alberghi), Lourdes è la Grotta, quella Grotta davanti alla quale si respira - d’estate e d’inverno - aria di primavera.

Dopo diversi anni di viaggi estivi autorganizzati, questa volta ci sono voluta ritornare per la Festa dell’11 febbraio, con i Padri Domenicani, particolarmente legati alla Madonna e al Rosario, e anche ad alcuni luoghi e vicende della mia vita.
Quando si parte, si pensa ad un certo corso del viaggio, ma poi le cose vanno diversamente. Perché in quelle poche centinaia di metri in cui si svolge la vita del pellegrino, dalla Grotta all’esplanade, puoi fare gli incontri più inaspettati: trovare gente che conosci, scoprire storie di speranza e di Provvidenza, ritrovare persone che avevi dimenticato o creduto di non incontrare mai più.
A me quest’anno è capitato di riscoprire, grazie ad una compagna di viaggio, Pier Giorgio Frassati. Era un giovane torinese, uno di quelli che hanno tutto, ma “si complicano” la vita con i poveri, la giustizia sociale, la carità e altre cose del genere. Aveva anche sofferto, molto, ma fino alla fine aveva conservato quella gioia di vivere e quel suo sorriso luminoso che gli venivano dalla fede.

Era di lui, di questo giovane solare, che avrei voluto parlare ad un altro giovane, in fila accanto a me la mattina del 12 febbraio, in attesa di entrare nella Grotta. Vedevo il suo dolore, e forse ne avevo anche intuito la causa, ma mi mancavano le parole per dargli coraggio. Temevo di essere inopportuna, o forse mi stavo solo adeguando anch’io allo stile di questa società, in cui il dolore è un fatto tutto personale, da vivere in silenzio, “con dignità”, ognuno per conto proprio, nella propria solitudine. Sicuramente è più comodo - pensavo -, perché se inizi a conoscere, ad interessarti al dolore degli altri, poi è difficile non fare niente, e magari finisci come Pier Giorgio col complicarti la vita. Intanto eravamo quasi arrivati alla Grotta, non c’era più tempo per parlargli. Mi guardavo intorno: non vedevo i malati, come d’estate; a Maria portavamo altri tipi di sofferenze. Entriamo. Sostiamo un attimo davanti alla Sorgente sgorgata sotto le dita di Bernadette, continuiamo insieme fino alla statua della Madonna. Lui si ferma e piange. Poco prima, meditando sulla terza caduta di Gesù nella Via Crucis, il padre domenicano aveva detto che dobbiamo imparare ad accettare la nostra debolezza. Mi sono ricordata di San Paolo: chiedeva al Signore di essere liberato dalla sua sofferenza. La risposta era stata secca, ma rassicurante: «Ti basta la mia grazia. La mia potenza si manifesta pienamente proprio nella debolezza». Queste parole, molte volte, avevano allontanato da me ogni paura. In quella fresca Grotta, quel sabato, speravo lo stesso per lui.

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- Arte

Filippo Neri e Antoni Gaudí

L’amore per l’arte che avvicina a Dio.
Filippo Neri: un santo artista fu la vera «musa» dell’architetto.

Il genio catalano si recava ogni giorno a pregare nell’oratorio dedicato al beato romano: che amava la musica e il bello.

Una graziosa piazzetta nascosta nel cuore del Barrio Gotico. A chi va a Barcellona per la prima volta può capitare di arrivarci subito, magari mentre è diretto alla cattedrale, o di girarci intorno per giorni senza vederla, perdendosi tra vie e viuzze. Ma una volta scoperta, è difficile dimenticare la sensazione di gioiosa tranquillità che quello spazio, con la bella chiesa di San Filippo Neri, trasmette a chi vi entra.
Forse anche Antoni Gaudí - il grande architetto catalano - doveva provare qualcosa di simile quando ogni pomeriggio, dopo aver attraversato a piedi mezza Barcellona, raggiungeva dal cantiere della Sagrada Familia la piazzetta dedicata al santo fiorentino per fare la sua visita all’oratorio e «dire qualche parola a Maria».
«Ho corso nella via dei tuoi precetti appena dilatasti il mio cuore», si legge sulla facciata della chiesa, tutt’intorno alla statua del santo, che vi è rappresentato con le mani sul cuore. Allo stesso modo, con le mani su quel cuore che nella notte di Pentecoste del 1544 gli si dilatò nel petto per il «gran fuoco d’amore», san Filippo è raffigurato nel Tempio della Sagrada Familia. Lo stesso Gaudí indicò nel progetto il punto in cui la sua scultura si sarebbe dovuta collocare, tra i fondatori di ordini religiosi lungo la facciata di levante.

A dispetto della grande distanza di tempo che li separa, c’è tra i due un profondo legame, un’amicizia e una somiglianza per certi aspetti anche fisica. Non è un caso che il pittore Joan Llimona, contemporaneo e collaboratore di Gaudí, abbia deciso di dare al Neri il volto dell’architetto catalano nelle due tele dipinte per la chiesa di san Filippo Neri a Barcellona: il santo vi è raffigurato in estasi mentre celebra l’Eucarestia, e tra i fanciulli, sul Gianicolo, in occasione di una di quelle «passeggiate spirituali» da lui stesso organizzate, tra la bellezza della natura e dell’arte. Sì, perché è proprio questo il principale tratto comune ai due: il valore dell’arte come mezzo per avvicinare gli uomini a Dio. Antoni Gaudí, laico, ne ha fatto il programma di tutta un’esistenza, coniugando fede e vita. Ogni pietra della Sagrada Familia, ogni simbolo della Pedrera, ogni croce posta a coronamento della coloratissima casa Batlló o delle singolari costruzioni del Parc Güell parla di Dio.

Filippo Neri, sacerdote, ha visto nella bellezza della musica, della letteratura, dell’architettura un mezzo per elevare lo spirito degli uomini del suo tempo. Con lui le chiese, le ville e i giardini più belli di Roma diventano luogo di formazione e ricreazione spirituale, dove ai «devoti intrattenimenti» si affiancava lo svago; con lui nasce un nuovo genere musicale, l’Oratorio. Forse il tratto più caratteristico di questo santo è la sua libertà di spirito, che lo faceva essere bambino coi bambini, ma anche consigliere di Papi e amico di potenti famiglie romane senza accettare nessuna dignità ecclesiastica e nessun privilegio.

Così Gaudí. Anche lui un innovatore, anche lui un uomo libero: libero dal giudizio di chi non capiva né apprezzava la sua arte, libero dai lacci della ricchezza, a cui preferì la povertà. Come scrive Ferran Colás Peiró della congregazione dell’Oratorio di Gracia, quartiere dove Gaudí abitò per vent’anni, i padri filippini furono testimoni della trasformazione fisica e spirituale dell’architetto, vedendolo passare dall’eleganza e raffinatezza dei primi anni alla progressiva rinuncia ai beni terreni, per dedicarsi alla sua opera. In lui, come in san Filippo, l’amore per l’arte si lega con un ideale di vita cristiana in cui la vera gioia è frutto del disprezzo delle vanità esteriori: «La povertà - diceva - porta all’eleganza e alla bellezza; la ricchezza porta all’opulenza e alla complicazione, che non possono essere belle».

A 31 anni, ricevuto l’incarico della direzione dei lavori, Gaudí si rivolse ai padri di san Filippo Neri in cerca di orientamento, «per trovare l’anima di un tempio». All’oratorio del Barrio Gotico alimentava la sua fede e l’amore per la liturgia, convinto che tutto il suo progetto dovesse essere concepito intorno a questa funzione principale. Là coltivava il suo amore per la musica, a cui attribuiva un ruolo importantissimo.

Un rapporto, quello tra Gaudí e san Filippo, durato fino agli ultimi momenti della vita dell’architetto, investito da un tram proprio mentre si recava all’oratorio. Un rapporto che continua nell’architettura, a Barcellona come a Roma: dove la chiesa di Santa Maria in Vallicella, in cui Filippo visse e morì, è vicina alla chiesa spagnola di Santa Maria di Montserrat, il santuario catalano legato alla storia della Sagrada Familia. E da Roma tornava a Barcellona il devoto libraio Bocabella, quando nella Basilica di Loreto ebbe l’ispirazione di far costruire un tempio dedicato alla Famiglia di Nazareth. Ed è a Roma, presso la Congregazione delle Cause dei Santi, che è arrivata la storia dell’architetto, per il quale è in corso il processo di beatificazione.

Lo chiamarono subito, dopo la sua morte, l’«Architetto di Dio», per la fama di santità. Così lo chiamano anche oggi per la sua arte illuminata dalla fede, particolarmente vicina alla sensibilità dei bambini e dei poeti. Proprio un poeta, il catalano Joan Maragall, ci ha lasciato questa appassionata descrizione della facciata della Natività: «Il Tempio mi apparve, come sempre, come a tanti, simile a una grande rovina (...) E mi piace, perché, sapendo che quella rovina è una nascita, mi salva dalla tristezza di tutte le altre rovine».

(da "Avvenire" 03.06.2007)