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Raccolta di articoli di Giuliano Brenna
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Letteratura

La ricerca

A la Recherche du temps perdu (Alla ricerca del tempo perduto) di Proust è un’opera quasi enciclopedica nel suo contenuto multiforme, vi sono infatti in essa numerosi studi e citazioni, dalla psicologia, all’arte, alla musica, ma essa è sostanzialmente una grande ricerca. La ricerca essenziale è, come palesemente suggerisce il nome, del tempo, perduto, in quanto passato e non più ritrovabile, non perduto in quanto sprecato. Ma è solo alla luce di quanto esposto nella parte finale, Il tempo ritrovato, che questa ricerca assume un significato, diventa possibile quando la memoria involontaria fa si che il tempo passato appaia al Narratore ancora completamente presente in lui, gli fa aprire gli occhi con uno sguardo interiore che svela la potenza del tempo passato e gli dà la grandezza dell’opera d’arte. La grande cattedrale che il Narratore costruisce come struttura e come, oserei dire, decorazione, con personaggi, opere musicali, quadri e altro diventa pienamente visibile a lui nell’interezza e magnificenza di particolari, quando la memoria involontaria, che già affiora in vari momenti dell’opera, diventa pienamente comprensibile e, come un faro, getta la sua luce dentro i ricordi e la vita del Narratore.
Ma l’aspetto che voglio esaminare ora è quello della ricerca totale di Proust all’interno della sua opera, prima che la stessa diventi “del tempo perduto”. Già dalle prime pagine di Combray, vi è una costante ricerca, essendo riferibile ai primi anni di vita dello scrittore, vi è un gusto nel cercare i colori, i sapori e le persone del mondo al quale si affaccia; non a caso le persone e i luoghi sono cercati attraverso il loro nome, comincia a gustarne l’aspetto esterno, cercando via via con gli anni di dare una tridimensionalità a questi nomi riempiendoli degli aspetti reali che la vita gli porterà. Nel dipanarsi delle vicende della vita del Narratore vi sono ricerche artistiche, pittori, musicisti, scrittori, cattedrali gotiche, miti e via dicendo vengono esaminati con la lente del ricercatore per trovare in quale dei loro aspetti vi sia la Verità, quale sia l’ingrediente magico che fa di alcune opere opere d’arte. La psicologia è un altro terreno in cui si muove il nostro esploratore della vita: gli aristocratici vengono impietosamente esaminati e spesso sbeffeggiati dai risultati di un incessante esame che porta a scoprire che spesso dietro una maschera di altezzosità, buone maniere e affettazione si nasconde un preoccupante vuoto. E così via, Proust, come un alieno in visita in un mondo sconosciuto studia ed osserva, sotto la sua lente passano tutti gli aspetti della vita pubblica e privata delle persone con cui si relaziona; la politica, in particolar modo l’affare Dreyfuss, con tutti i risvolti che ebbe soprattutto a causa del ritorno prepotente dell’antisemitismo.
Vi è poi una grande ricerca dell’amore, svolta meticolosamente soprattutto all’interno di se stesso, per capirne i meccanismi, per ritrovare anche l’amore della madre, è spesso ricerca del dolore e della colpa che porta con sé spesso un’altra ricerca quella dell’espiazione.
Tutte queste ricerche portano giorno dopo giorno alla costruzione del grande capolavoro, il capolavoro assoluto che è un’esistenza che diventa opera d’arte proprio perché fatta di sforzi per comprendere il mondo circostante, e facendo tesoro di ciò che si trova, delle esperienze della vita.

Ed è in questa ottica che abbiamo chiamato il sito La Recherche, la ricerca costante di quanto ci circonda, la vita vissuta con gli occhi aperti ci porta a raccogliere intorno a noi tesori che vanno ad abbellire, a rendere ricca l’esistenza. Una vita passata a chiedersi se effettivamente c’è qualcosa di più, qualcosa di meglio ci porta a scoprire tesori molto spesso nascosti o, peggio, non considerati tali dalle mode correnti, assume l’aspetto di una vita passata a costruire un’opera d’arte.
E’ per questo che invitiamo tutti a dirci qualcosa: perché siamo curiosi, non di una curiosità fine a se stessa od oziosa ma perché siamo sempre alla ricerca.

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- Alimentazione

La merenda dei bimbi (e degli adulti)

Cari mamme e papà, i vostri pargoli (e anche voi, perché no?) per merenda si meritano sicuramente qualcosa di meglio che quelle insulse merendine prefabbricate e super-pubblicizzate (cioè quando le comprate pagate anche gli spot pubblicitari), per cui seguite questo bel consiglio:
fate bollire un litro di acqua con un chilo di zucchero, mezza arancia, un baccello di vaniglia, un pezzetto di cannella e un paio di chiodi (di garofano, ovviamente!!), e se l’avete qualche lampone. Nel frattempo sbucciate, tagliate a metà e detorsolate sei o sette mele, tipo golden (melinda, giusto per non fare nomi). Quando lo sciroppo ha densità sciroppo, mettetevi a cuocere le mele, facendo bollire dolcemente, le mele dovranno diventare appena morbide, quindi le togliete dallo sciroppo con la schiumarola (o come chiamate quell’arnese bucherellato) e le ponete su di un piatto. Lo sciroppo lo potete usare molte altre volte e per vari usi!! … Quindi non buttatelo via!!
Prendete una tortiera, se possibile di quelle col bordo rimovibile, imburratela bene e cospargetela di pangrattato. Quindi tagliate a fette da circa un centimetro le mele cotte, disponetele su di un vassoietto e cospargetele con una miscela di zucchero e cannella 5:1 (c’est à dire 5 cucchiai di zucchero e uno di cannella), coprite bene le mele con lo zucchero e disponetele bene bene sul fondo della tortiera.
Ora fate sciogliere 170 gr. di burro con 75 ml. di panna liquida e altrettanto di latte, la miscela dovrà essere sciolta ma fredda.
Mischiate a 227 gr. di farina tipo “0” (mi raccomando, non la 00, è importante!!), 12 gr di lievito per dolci, un cucchiaino da te di cannella in polvere, la stessa misura di cardamomo in polvere e altrettanto di sale, mischiate e setacciate, mettete da parte.
Ora montate ben bene 3 uova intere con 227 gr. di zucchero e una bustina di vanillina; a questo punto, con una spatola e molto dolcemente incorporate la farina tutta in una volta. Girate bene, senza sbattere, dal fondo verso l’alto, quando sarà amalgamata bene, unite il burro fuso, sempre molto molto – molto – dolcemente, finche sarà tutto ben omogeneo, ma non esagerate a mischiare altrimenti si fa un mattone o “impazzisce”.
Versate il composto ottenuto nella tortiera con le mele e infornate nel forno già caldo a 175° e lasciate 45 minuti; trascorso il tempo, lasciate la torta a raffreddare nel forno (contrariamente a quanto si dice di solito), quando la togliete dovrete conservarla con le mele verso il basso.
Si conserva avvolta nel domopack alcuni giorni, ma se la tenete in frigo è meglio scaldarla leggermente prima di mangiarla.
L’altro giorno l’ho fatta e mi sono dimenticato il lievito ed è venuta bene lo stesso…. Però se ve lo ricordate è molto meglio; a chi farà la torta meglio dirò la vera ed autentica ricetta per realizzare una perfetta Sacher!

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- Letteratura

Il Fratello di Marcel Proust

Ad una prima lettura ‘A la recherche du temps perdu’ (di seguito Recherche), potrebbe apparire come una autobiografia, infatti il narratore parla sempre in prima persona e in due occasioni si “lascia sfuggire” un nome: Marcel, ma quasi a voler giocare a rimpiattino fra se e il narratore, si affretta ad aggiungere un “poniamo che il narratore abbia lo stesso nome dell’autore”. Quindi Proust nega l’aspetto autobiografico dell’opera, ma se diamo una veloce occhiata ad una qualunque sua biografia notiamo che molti fatti, luoghi o persone della narrazione ricalcano abbastanza fedelmente la vita dell’autore. Questo è vero sia per l’opera giovanile ed incompiuta Jean Santeuil, sia nella maturità della Recherche, potremmo quindi affermare – sottovoce, beninteso – che queste opere siano “quasi-biografie”. Lasciando per ora perdere i luoghi e il succedersi degli eventi storici che fanno da sfondo e cornice alla Recherche vorrei dare una occhiata a come le persone reali entrano a far parte della narrazione. Il metodo più utilizzato da Proust è quello di prendere alcuni tratti caratteristici o singolari di alcune persone, in genere due, e dotare di questi un personaggio della Recherche, per esempio sotto l’aspetto altero ed elegante della duchessa di Guermates si intravedono i tratti di alcune nobildonne frequentate da Proust nella sua vita reale, tant’è che appena venne pubblicato ‘Dalla parte di Swann’ ci fu un grande mormorio di persone che si riconoscevano nei vari personaggi, descritti in modo più o meno lusinghiero. A questa regola non sfuggirono nemmeno i familiari di Proust, con alcune varianti: il padre Adrien è rimasto tale e quale era nella vita, con la sua professione reale e le sue piccole manie, come, per esempio, la meteorologia. La madre, presenza molto significativa nella vita di Marcel, anziché accogliere in se i tratti di più persone o essere descritta in modo molto prossimo alla realtà, come dicevo per il babbo, addirittura – forse per questo ruolo “ingombrante” – si sdoppia e presta la propria personalità sia alla madre del narratore che alla adorata Nonna. Infatti la descrizione della morte della Nonna è quella precisa della madre; le letture, i modi di fare, e, soprattutto, i sensi di colpa che Proust aveva nei confronti della madre vengono riversati sul personaggio della Nonna. Invece la madre del narratore ha il grande affetto misto ad apprensione per la vita del figlio che erano tipici della signora Jeanne, (noto di sfuggita anche la sospetta similitudine che Proust fa con il nome della madre e quello del narratore della sua opera considerata l’embrione della Recherche: “Jean” Santeuil e Jeanne) e soprattutto è la madre a negare dapprima il bacio della buonanotte a Illier nel famoso episodio che apre Combray.
Sembrerebbe che la Nonna abbia preso i tratti più dolcemente buoni, di amore incondizionato che furono della madre, mentre alla madre del narratore siano stati dati i lati, reali, della signora Proust, quando il famoso conflitto di amore-odio proustiano si faceva sentire con maggior veemenza. Infatti dopo la morte della Nonna anche il personaggio della madre del narratore via via sfuma sullo sfondo, sino ad assentarsi a lungo durante i fatti della Prigioniera.
Quindi il doppio sembra essere una costante dei personaggi proustiani in quel gioco degli specchi che sembra apparire la recherche: i caratteri di due (o più) persone formano il carattere di un personaggio, la madre si sdoppia, e comunque ogni fatto, importante, o semplice vezzo, presente nella narrazione ha un doppio nella realtà. Inoltre, praticamente tutta la cerchia domestica della famiglia Proust, domestici compresi (capeggiati dall’inossidabile Françoise) appare nella narrazione; ma ci sono due casi in cui questa regola apparentemente viene meno: un caso è, come ho detto, il Padre, ma comunque il padre della recherche ha il suo doppio nella vita reale. L’unico tassello mancante di questa famiglia trasformata in personaggi da romanzo è il fratello di Marcel: Robert. mi sono a lungo interrogato su questa clamorosa assenza dal momento che ci sono tutti. Un’ipotesi potrebbe essere la gelosia del fratello arrivato dopo a prendersi un pezzo dell’affetto della madre che era così spasmodicamente essenziale per Marcel; o gelosia nel voler difendere, proteggere, dagli sguardi di tutti questo piccolo Proust.
Ma volendo riconsiderare il fatto che comunque tutti hanno, in modo più o meno significativo, contribuito a tratteggiare i vari personaggi facendo si che ogni piccolo dettaglio apparentemente inventato sia reale, preso da situazioni reali ed esistenti; in poche parole Proust per creare la sua opera – e mi riferisco soprattutto alla Recherche – ha usato materiale vero, non ha inventato, ha elaborato, per ammissione dell’autore medesimo. Quando descrive se stesso come intento a costruire una cattedrale ci dice che prende materiale esistente e lo plasma per costruire la sua opera cosi come fanno gli scultori.
In vari punti, Proust descrive il narratore come incapace di scrivere, mentre sfogliando la sua biografia si sa che già al liceo scriveva per piccole riviste, e ha sempre scritto articoli, poesie, saggi, oltre ad aver tradotto annotato e pubblicato due libri di Ruskin prima di dedicarsi interamente alla stesura della Recherche. L’autore descrive il protagonista come incapace di apprezzare le opere d’arte, come quando va a vedere la Berma e resta profondamente deluso, cosa che si stenta molto a credere raffrontando biografia e romanzo. Indubbiamente questa mancanza di qualità del narratore è funzionale all’opera, per portare al disvelamento del Tempo Ritrovato.
A questo punto se è vero che tutti i personaggi hanno tratti reali, alcuni di quelli del narratore paiono invece inventati, cosa che mi pare poco plausibile, o forse potrebbero essere (un po’ malignamente, devo aggiungere) presi dal fratello Robert; forse è proprio una parte della personalità di quest’ultimo a plasmare quella del narratore da giovane. Forse era lui a non aver avuto alcun talento artistico: il protagonista del libro, quando non sa cosa scrivere e si sente intimorito dal foglio bianco, non fa altro che descrivere un aspetto del fratello, che sappiamo poco incline alla scrittura e al mondo della fantasia (il fatto che divenne medico potrebbe avvalorare questa riluttanza all’arte e alla fantasia per qualcosa di più tangibile). Quindi Proust quando diventa il narratore ha tutta la sua personalità e dentro di se anche qualcosa di quel fratello che sembra scomparire dagli scritti; così come in più occasioni nella Recherche vengono menzionati casi di fratelli siamesi, così ritengo che Proust sentisse il fratello parte di se tanto da non disgiungerlo dal Narratore.

Quello che mi sembra probabile, rifiutandomi di credere che Proust abbia semplicemente omesso la presenza del fratello, è che per tutti gli anni della giovinezza il narratore assume in se i tratti peculiari di Marcel con l’aggiunta di quelli del fratello, la crescita e soprattutto lo sviluppo artistico e mondano hanno poi segnato il bivio tra i fratelli equindi nel procedere del racconto nel narratore non vi è più traccia di Robert.
Sempre continuando a seguire la traccia di queste due anomalie di casa Proust, il fratello non scompare anche se si stacca dal fratello, ma rimane nella narrazione migrando nella figura del padre di cui aveva seguito le orme professionali, rendendo il dottor Proust più longevo nella Recherche che nella vita reale, Adrien Proust era infatti morto prima della moglie. Si potrebbe pensare che Proust abbia usato la figura del fratello per descrivere la linea di condotta della famiglia paterna, poca considerazione per l’arte e molta di più per una professione certa per l’avvenire, è questo infatti il rimprovero più frequente del padre al narratore quando egli invece dice di voler diventare scrittore. Un pezzo di anima del narratore esce e migra dentro il padre sottolineando così che una metà del fratello siamese ha seguito le orme e soprattutto i consigli paterni ma così facendo è diventato talmente simile al padre, quasi invisibile, da non riuscire più a distinguere le due figure. I due fratelli sono uniti all’inizio della narrazione, Robert è il lato meno artistico della personalità del narratore e volendo seguire le orme del padre anziché continuare a condividere la vita del fratello, ne viene esiliato e sovrapposto al padre, quasi come una nota di rimprovero per non aver voluto diventare unico come era Marcel ma aver voluto uniformarsi alle idee della famiglia. Probabilmente è per questo che Robert si aggira come un’ombra nella Recherche: Proust gli fa notare che ha sprecato la possibilità di scegliere la via giusta, vivere una vita unica, come la sua, (sotto l’egida della madre) ma, uniformandosi ai desideri dell’altro lato – come due sono le strade delle famose passeggiate - della famiglia, il Padre, è diventato semplicemente invisibile, presente, spesso nella Recherche, ma impalpabile.

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- Musica

Concerto di Ligeti

L’altra sera all’Auditorium, in compagnia del sempre più catarroso e tossicchiante turno B di Santa Cecilia, ho assistito al concerto per violino ed orchestra di Ligeti. Orchestra, o mezza orchestra: gli archi erano ridotti, tre violini, di cui uno, il primo, scordato; due viole di cui una scordata, un contrabbasso, fiati e percussioni – tante – tra cui xilofono, vibrafono, marimbas, glockenspiel e quattro ocarine, semplici strumenti popolari che, con la loro umiltà, si sono affacciate tra la ieratica compagine degli strumenti più nobili. Una composizione, quella di Ligeti, che si può definire straziante per come ha completamente messo a nudo i dolori del nostro tempo, strappando il velo delle convenzioni armoniche, l’autore ci ha mostrato i palpiti della natura rinchiusa nel grigio delle città moderne attraverso brividi di archi troncati dalle percussioni; il violino solista con dei pizzicati virtuosistici ci ha fatto sentire come le ali dell’umanità, già ferite dalle atrocità della Grande Guerra, non riescono più a librarsi, lo xilofono e le campane chiudevano la via ad ogni tentativo di volo, come chiodi conficcati.
Si sono sentiti uragani neri e lontani avvicinarsi con la loro sferzante pioggia di lacrime, irrisi dai flauti a coulisse, come a rappresentare lo scherno dell’umanità di fronte a nature troppo sensibili. Il violino solista mai richiamato dall’orchestra, o l’orchestra stessa che non rispondeva al violino: quanto dolore nel non essere ascoltati; ma anche sospiri fragorosi di timpani e grancassa spinti verso l’alto dai fiati finché nuove lacerazioni spostavano, frenandola la direzione dell’anima.
In questo ribollire di fuoco e sangue, passione e dannazione, le quattro ocarine hanno alzato al cielo il loro canto, ma la natura beffarda del loro essere strumenti corti, con poco fiato e risonanza le ha tenute rinchiuse nella creatura di suoni, vibrazioni e silenzi di Ligeti. La speranza è giunta nel controfinale a fiati, come uno strappo di vento azzurro prima dell’ultimo lamento del violino, al termine, quando ormai tutti gli strumenti erano silenti una vibrazione ha continuato a percorrere la sala sino a spegnersi lontano, nel luogo dove si infrangono i sogni.
In questo tessuto elastico e lacerato un grande Pappano teneva ben saldi nelle sue mani i fili di questi moti interiori con una forza quasi diabolica, sia nei movimenti ma soprattutto con una specie di ipnosi con cui conduceva, senza altra possibilità che la sua volontà, gli orchestrali.