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Raccolta di articoli di Marco Biffani
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I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Archeologia

Le navi di Caligola nel lago di Nemi

LE NAVI DI CALIGOLA NEL LAGO DI NEMI

 

Erano due.

Enormi per l’epoca.

In particolari condizioni di luce, si potevano intravedere nell’acqua trasparente del lago, ad una ventina di metri di profondità. Le hanno potute osservare per quasi venti secoli quelle imbarcazioni volute da Caligola tra il 37 ed il 41 d.c. suscitando i desideri di molti. Erano affondate per una tempesta o, forse, a seguito della “damnatio memoriae” subita, post mortem, da quell’imperatore. Sognando che fossero ricche di tesori hanno cercato più volte di razziarle, con ramponi, draghe e campane ad aria inadatte. Fra gli altri, Leon Battista Alberti fu incaricato dal Cardinale Prospero Colonna nel 1446, poi nel 1535 l’architetto bolognese Francesco De Marchi con una approssimativa strumentazione subacquea. Nel 1827 il Cavalier Annesio Fusconi, con una campana Halley ne asporta mosaici, suppellettili ed altri reperti. Nel 1895 Eliseo Borghi ne mette in luce elementi, parti del fasciame, bronzi, ringhiere, erme in bronzo e particolari vari, che ora si possono ammirare presso il Museo Nazionale Romano a Piazza dei Cinquecento, in Roma. Ma le avevano danneggiate, per fortuna, solamente in piccola parte. L’unica possibilità di recuperarle integre dal lago di Nemi, era prosciugarlo, quanto necessario, sui circa 34 metri della profondità massima di quel cratere vulcanico. C’è voluta la disponibilità dell’Ingegner Guido Ucelli, amministratore delegato della Costruzioni Meccaniche Riva di Milano, che produceva anche potenti idrovore, per eseguirlo materialmente (e documentarlo). Molti furono gli sponsor del progetto. E fu Mussolini a dare il via nel 1927 a quella iniziativa epica. Cui fecero seguito la successiva bonifica Pontina iniziata nel 1933 ed il recupero dell’Ara Pacis nel 1938. Tutte operazioni ingegneristicamente molto avanzate per l’epoca, caratterizzate da un elevatissimo tasso tecnico-scientifico.

Il progetto fu studiato dal T.Colonnello del Genio Navale Vittorio Malfatti, affiancato dallo storico dell’arte Corrado Ricci. Venne appositamente riattivato l’antico emissario romano del lago lungo oltre 1500 metri, nato per mantenere costante il livello dell’acqua in funzione della discontinua piovosità, che allagava le costruzioni romane intorno al lago; e vi furono indirizzati i flussi delle potenti pompe. Nel giro di 6 mesi, dall’ottobre del 1928 al marzo del 1929 si abbassa sensibilmente il livello dell’acqua, e affiora la prima nave che, nel settembre risulta completamente emersa. Lunga 71,30 metri e larga 20 con l’opera viva (la parte immersa dello scafo), alta circa 2 metri. Alla fine del 1930, raggiunti gli oltre 20 metri di dislivello,  affiora la seconda nave lunga 73 metri, larga 24 ed alta 2,50. Grandiose, sottili, eleganti, superbe. Scarse di suppellettili, ma ricche di elementi funzionali, strumenti, attrezzi, tubazioni in piombo (fistulae con impresso il marchio dell’imperatore), pompe e componenti navali, come carene, timoni ed ancore, ma quasi del tutto prive dei tesori tanto auspicati. Ricoverate prima in un hangar per dirigibili in riva al lago, vengono successivamente traslate all’interno del Museo delle Navi Romane, progettato e costruito appositamente da Vittorio Ballio Morpurgo nel 1935. Lo stesso architetto che progettò e realizzò anche l’involucro dell’Ara Pacis (purtroppo, o per fortuna, demolito da chi scrive, per lasciar spazio al vituperato progetto dell’americano Richard Meier!). Le due imbarcazioni vennero trascinate dentro il fabbricato costruito per questa funzione, con una operazione tecnicamente ardita, su binari ferroviari e lastre metalliche sottostanti; successivamente, nel 1936, fu completata e chiusa la parete anteriore dell’edificio. Uno dei pochi musei nato per quella funzione specifica. Con l’opera viva di entrambe, in legno di quercia ed altre essenze locali, molto ben conservata, anche perché immersa in acqua dolce priva di organismi xilofagi. Se ne possono apprezzare, in particolare, le lunghe doghe e le centine della intera armatura lignea, intelligentemente protette ed il calafataggio interno, ottenuto mediante uno strato di lana impregnato di pece, deposto sul legno trattato con minio di ferro, il tutto coperto da lamine metalliche di fissaggio. Entrambe sono un capolavoro di storia, mitologia, competenza e ricercatezza anche se poco è stato restituito delle sovrastrutture. Le colonne rimaste, i residui di decorazioni di pavimenti in opus sectile e pareti anche in mosaici di pasta vitrea, danno una pallida idea di come dovessero presentarsi. Stupisce, per l’epoca, la tecnica avanzata (con piattaforme rotanti, su rulli e sfere metalliche, due tipi di pompe di sentina e rubinetti molto progrediti). Il poterle toccare con mano e studiarle, ha rivoluzionato le conoscenze della perizia navale romana. Soprattutto le ancore sono esemplari unici, completi, che modificarono persino la primogenitura di un modello inglese del 1851, in ferro e legno, (detta ancora dell’ammiragliato) rivendicata, dopo quella scoperta, come: ancora romana.

Purtroppo un incendio (ancora non si sa a chi attribuirlo), il 31 maggio del 1944 le distrusse entrambe, completamente. Ed ora sono visibili due copie ad 1/5 delle dimensioni originali, che, viste dall’alto, danno – pur se modeste -  l’idea di come dovessero essere quelle enormi e splendide imbarcazioni, costruite (sembra) come templi dedicati a Diana. Ma c’è chi le ha considerate come sfarzosi e raffinati ambienti galleggianti (anche riscaldati) utilizzati da Caligola, per ricevere gli ospiti che lo omaggiavano nella villa costruita sulle rive del lago, che viene attribuita all’imperatore,.

Esiste una delibera della Regione Lazio, datata 2003, per la costituzione nel Comune di Nemi, della Fondazione “Navis Nemorensis”, con il compito della ricostruzione di quei capolavori della marineria. Fu fatta, da questa Fondazione - insieme con altri autorevoli nominativi – anche la richiesta all’UNESCO di concedere al museo ed ai numerosi reperti archeologici della zona, dedicati a Diana Aricina o Nemorense, la attribuzione di Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Lancio un’idea.

Ora che il Ministro Franceschini sollecita la ricerca di Sponsor per conservare le nostre eccellenze archeologiche, perché non proporre alla FINCANTIERI, risolta la querelle con la STX e Novel Group francesi, e divenuti il gruppo mondiale più importante al mondo nella costruzione delle più grandi navi civili (e militari), di festeggiare il ritrovato accordo - se e quando avverrà -  sponsorizzando la ricostruzione delle due imbarcazioni di Caligola. Sarebbe come averle recuperate nuovamente, e rese visibili nella loro completezza, dando loro l’importanza che ricoprono nella tecnica navale di duemila anni or sono, con un guadagno di immagine di valore internazionale.

Rilievi, disegni, piante, filmati, strumenti, bronzi e particolari originali ci sono tutti e sarebbe possibile ed auspicabile realizzare questo progetto

 

Marco Biffani