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Raccolta di testi in prosa di Abraxas
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Quattro passi nella storia

Anna e i suoi amanti







Anna Bolena fu moglie di Enrico VIII tra il 1533 e il 1536 e regina D'Inghilterra; fu causa dello scisma che portò alla rottura con la Chiesa di Roma e alla nascita della confessione Anglicana. Le fonti storiche non sono concordi sulla data di nascita; di sicuro venne al mondo tra il 1501 e il 1507; convengono, invece, su giorno, mese e anno della morte avvenuta per decapitazione il 19 maggio 1536.

“Almeno così sembrava sino a qualche tempo fa”! esclamò  Giovanni Rana, il conduttore televisivo della nuova trasmissione “ Quattro passi nella storia” in onda ogni giovedì su “ Videofront”; poi fece una pausa, guardò fisso per qualche istante la telecamera che lo inquadrava e continuò il racconto con un tono di voce più sostenuto. “Sino alla pubblicazione di una nuova biografia su Anna Bolena in cui s’ipotizzano scenari di tutt'altro tipo”. “Abbiamo invitato, continuò, l'autore del libro <<Mistero alla corte di Enrico VIII: la vera storia di Anna>> per esporci le sue teorie.

Il regista diede ai cameraman l'ordine d'inquadrare lo scrittore Alan Smith, mentre entrava a passi lenti nello studio e raggiungeva il conduttore tra gli applausi dei figuranti pagati per spellarsi le mani a comando.

Statura media, capelli grigi, un cinquantenne in piena forma: così apparve a tutti lo studioso di storia inglese. Il suo racconto era tradotto in simultanea per i telespettatori da una calda voce femminile.

Alan prese a raccontare fatti già noti: la tresca di Anna col Re prima del matrimonio, l'incoronazione avvenuta tra le risa di scherno del popolo che parteggiava per Caterina, la Regina detronizzata, la nascita della figlia Elisabetta, futura regnante, gli intrighi di corte che ne determinarono la caduta in disgrazia, il processo e la condanna.

“Un manoscritto scoperto in un castello abbandonato e risalente agli anni successivi alla morte di Anna, però disse Alan, mi fa dubitare della verità della ricostruzione storica ufficiale. Nel manoscritto ritrovato si racconta che non fu la Bolena a essere decapitata, ma una sua cameriera. Anna, secondo questa fonte, fu tradotta a Roma in catene e imprigionata nelle carceri vaticane su ordine di Paolo III.

Ho avviato una serie di ricerche tra gli archivi del Vaticano e ho trovato numerosi riscontri a questa tesi. Non solo: queste fonti raccontano della scarcerazione della Bolena e dell’influenza esercitata in quegli anni sulla gerarchia vaticana. Fu amante di numerosi cardinali e una delle ispiratrici del Concilio di Trento. Morì assassinata da mani ignote in un quartiere malfamato di Roma, dove si era recata per appagare certi appetiti sessuali di tipo saffico.

Il pubblico in studio rimase attonito: l’applauso, richiesto a comando dal display in studio, fu di routine.

Lo squillo del telefono fu chiaramente avvertito da tutti: prima di rispondere il conduttore invogliò i telespettatori a chiamare il numero in sovrimpressione, per parlare in trasmissione.

“Sono Enrico VIII e vorrei intervenire per ricostruire in modo corretto i fatti. E’ mia impressione che il vostro studioso si sia fatto trasportare troppo in là dalla fantasia”.

“Ci spieghi come sono andati i fatti” disse il conduttore, mentre mister Alan Smith, prendeva freneticamente appunti sul suo tablet.

“Non ho allacciato alcuna trattativa con la Santa Sede, né graziato Anna Bolena. Mia moglie ha avuto un regolare processo, dove è stata riconosciuta colpevole di adulterio e incesto. Le prove a suo carico erano schiaccianti, come confermano le confessione dei suoi amanti. La sentenza del tribunale è stata eseguita senza indugio e senza trucchi, non solo mia moglie, ma anche i suoni partner sono stati giustiziati. In realtà nel processo non sono state presentate tutte le prove a carico: il numero degli amanti di Anna era ben più alto di quello mostrato nel dibattimento. Condannare tutti i suoi partner sessuali, però, avrebbe decapitato gran parte della nobiltà di corte di quel tempo”.

Enrico VIII aveva appena chiuso la comunicazione che il telefono in studio prese a squillare nuovamente. All’altro capo della cornetta, una donna dichiarò di essere Anna Bolena in persona, tra lo stupore generale. Il conduttore gli diede modo di raccontare la sua ricostruzione dei fatti.

“Tutto falso, nella versione dei fatti di Enrico VIII non c’è un briciolo di verità. Non mi sono mai sognata di tradirlo: se c’è qualcuno che è stato vittima di una macchinazione, sono proprio io. La realtà è che si era stancato di me, esattamente come era successo con Caterina. Voleva che gli dessi un figlio maschio e dopo la prima delusione ha deciso che era giunto il momento di divorziare. Le accuse nei miei confronti sono inventate di sana pianta, le presunte confessioni dei miei amanti sono state estorte o ricompensate con tanto denaro. Sono morta innocente: decapitata! Non sono stata oggetto di trattative con lo Stato Vaticano, né prigioniera a Roma o amante segreta di Cardinali. Chi ha raccontato che sono morta assassinata in un quartiere malfamato di Roma, mentre ero dedita a piaceri saffici, è un bugiardo!”

Il presentatore approfittò di una pausa dell’interlocutrice per lanciare i consigli per gli acquisti.

Al rientro in studio Alan Smith provò a fare il punto della situazione.

“Siamo alla ricerca della verità: la mia ipotesi è avvalorata              dal ritrovo di nuovi documenti, ma smentita dalle ricostruzioni dei protagonisti. Qualcuno mente, dobbiamo capire chi e perché”.

Il telefono in studio riprese a squillare: la ricostruzione dei fatti, poteva avvalersi di un nuovo protagonista, Papa Paolo IIII.

Il conduttore gli lasciò volentieri la parola.

“Non capisco, disse il sommo Pontefice, perché tutti mentano. La trattativa per la traduzione a Roma della Bolena c’è stata e si è conclusa positivamente. Ricordo di aver visitato quella signora in prigione e di averla poi rivista molte volte in compagnia di alti prelati. Non ricordo le circostanze della sua morte: posso confermare, però, che ha vissuto nella città Eterna per molti anni”.

Alan Smith accolse quelle parole con un sorriso compiaciuto: era la prima autorevole conferma della sua tesi. Anche il boia volle dire la sua: prima però di dargli la parola, il conduttore fu costretto a lanciare i consigli per gli acquisti.

“Ma quale decapitazione: quel giorno il diciannove maggio 1936 non fu decapitato nessuno, certo non Anna Bolena e nemmeno la sua cameriera. E’ stata tutta una messa in scena, un trucco da illusionisti. Anna Bolena, a quel che mi risulta non è mai stata decapitata”.

Un nuovo punto a favore della teoria di Alan Smith: inquadrato dalle telecamere rivolse al pubblico il suo sorriso più smagliante. Altre conferme alle sue tesi arrivarono dagli amanti della Regina: nemmeno loro erano finiti tra le grinfie del boia. Scarcerati di nascosto erano morti nel loro letto a molti anni di distanza dei fatti, sotto mentite spoglie.

Le testimonianze cessarono di colpo: il conduttore ne approfittò per presentare il corpo di ballo della trasmissione: “Le nudità danzanti”. Avrebbe deliziato il pubblico presente in studio e i telespettatori a casa con un’esibizione dal titolo “ Se non ci applaudite non ci rinnovano il contratto” sulle note di “Money” dei Pink Floyd, e con le coreografie di Sofia Vassilieva.

Le telecamere al rientro in studio inquadrarono una stanza rischiarata dalla luce delle candele: al centro troneggiava un letto a baldacchino. Un uomo e una donna stavano conversando; il pubblico riconobbe subito le voci che avevano interpretato pochi minuti prima Enrico VIII e Anna Bolena. Gli attori erano in là con gli anni, i telespettatori poterono notare subito i capelli bianchi, i volti solcati da rughe profonde. Il silenzio fu rotto dalla voce del re d’Inghilterra.

“Li abbiamo fregati tutti, che pensata geniale è stata quella di condannarti a morte. Come marito e moglie non saremmo durati molto, la concorrenza a corte, è spietata. Non fai in tempo a castigare una che subito un’altra ti offre le sue grazie, col pieno consenso del marito. Spesso, anzi, è proprio del coniuge l’idea di spedirla nella mia alcova: se l’amante ti chiede un titolo, un appezzamento di terreno, come fai a dire di no? Così almeno ci siamo divertirti a farci beffe di tutti e di tutto".

“Ti ricordi, continuò la Bolena, quando ci facemmo sorprendere apposta da Anna di Cleves? Indossavo una tunica bianca che mi ricopriva dalla testa ai piedi, solo gli occhi erano visibili, attraverso due fori. Sembravo un vero fantasma. Quando la tua moglie di allora entrò nella stanza e ci sorprese, rimanesti impassibile, dichiarando di essere solo nella stanza. Fu allora che mi tolsi di colpo la tunica: tua moglie appena mi vide se la diede a gambe, scambiandomi per un fantasma in carne ed ossa. Il trucco riuscì a tal punto che lo replicammo tante volte: ogni ospite del tuo letto, era costretta a subirlo”.

“Che risate! E quante volte ci siamo presentati insieme ai pranzi di corte! Tutti zitti, nessuno voleva passare per un pazzo visionario: molti paralizzati dalla paura cercavano una scusa qualsiasi, per svignarsela.

“E quando venne il messo del Papa per chiederti la mia estradizione in un carcere di Roma? Ti facesti pagare una cifra per mandare al mio posto una delle dame di corte che aveva solo il torto di assomigliarmi un po’. Credo non si sia mai pentita di avere accettato lo scambio di persona: a quanto ne so a Roma si è divertita parecchio, tra cardinali, suore, amanti ed amazzoni di ogni ordine e grado, dopo il primo periodo trascorso dietro le sbarre”.

“E il boia, ti ricordi la sua fine? chiese Enrico ad Anna. Era l’unico a sapere che non eri stata decapitata, non potevamo permetterci che lo riferisse ad altri. Qualche giorno dopo, mentre affilava la sua ascia, un incidente sul lavoro gli mozzò la lingua e le mani. Una vera e maledetta sfiga!”

“I miei finti amanti, quelli che al processo avevano detto il falso pur di farmi condannare? Li hai graziati, gli hai concesso di morire di vecchiaia sotto mentite spoglie. Hanno dovuto lasciare in garanzia una parte del corpo, ti ricordi quale? E’ vero che alcuni di loro sono entrati a far parte del coro delle voci bianche di Canterbury?

“E’ vero, la conferma mi è arrivata da fonti sicure, due capitani del mio esercito che hanno potuto appurare di persona la situazione. Non so se mi sono spiegato.

“Perfettamente, amore mio” ribatté Anna in uno slancio di passione, prima di soffocarlo di baci.

“Non ti stanchi mai, come fantasma sei troppo su di giri, per i miei gusti, ormai. Forse è il caso di farti decapitare di nuovo.

“Perché non usi la spada o il pugnale? Sei il re, sei la legge. Che bisogno hai di ricorrere al boia? Nemmeno una sentenza di un tribunale, può ordinare l’uccisione di un fantasma. Quindi, se non mi sopporti più, devi sporcarti le mani in prima persona”.

“Niente sangue, poi dove la trovo una che mi fa morire dalle risate come te? Le altre donne saranno pure più brave a letto, ma fuori sono una vera e propria lagna”.

“Più brave di me?”

“Non ti offendere, ormai sei un po’ stagionata. Vuoi paragonarti alle ragazze che fanno la fila per infilarsi nel mio letto?”

“Da quale pulpito viene la predica! Ti sei guardato allo specchio? Hai visto i capelli bianchi, la pelle cadente, l’affare che non ti si rizza? Se qualcuna s’infila nel tuo letto è solo perché vuole qualcosa in cambio”.

“Basta litigare. Abbiamo qualche altro scherzo da organizzare, magari potremmo mettere un po’ di paura addosso alle ragazzine in cerca di un attimo di notorietà e di gloria”

“Sarà fatto”.

Il regista ordinò di accendere le luci in studio e d’inquadrare Alan Smith. Lo studioso inglese guardò nella telecamera:“ Questo a mio parere è stato lo svolgimento dei fatti. Lo abbiamo fatto sceneggiare alla compagnia teatrale “ Pescatori di frodo in abito da sera”, cui va la nostra riconoscenza per la splendida interpretazione oltre al vostro applauso più caloroso”.

Il programma, alla sua prima puntata, incontrò il favore di pubblico e critica, i giornali l’indomani festeggiarono con complimenti ed esclamativi la nascita di un nuovo genere televisivo: il melodramma storico. 














Cesare e le sue concubine





Una standing ovation accolse Alberto Rana, il conduttore della trasmissione quattro passi nella storia” al suo ingresso in studio. Dopo il successo delle prima puntata su Anna Bolena erano attesi tourbillon di emozioni e colpi di scena a gogò.

Alberto presentò ai telespettatori e al pubblico in studio, la sua nuova collaboratrice, una di quelle ragazze che sorridono alle telecamere e non spiccicano una parola in italiano neanche a pagarle a peso d’oro. La bionda Sofia Vassilieva, questo era il nome della nuova valletta, si mostrò in tutta la sua bellezza, prima di raggiungere e accompagnare al centro dello studio Alan Smith, lo studioso di storia inglese che nel corso della settimana aveva avuto più visualizzazioni su youtube. In realtà Sofia non era la solita velina bella e stupida, era coreografa, ballerina, attrice di talento.

La voce di Alberto cambiò registro: le luci abbassate già davano un alone di mistero alle sue parole.

“ Giulio Cesare fu ucciso in una congiura ordita da Caio Cassio e Marco Bruto, alle idi di marzo del 44 a.C. La storia ci tramanda il luogo del delitto (il Senato di Roma), il movente (il tentativo di risollevare le sorti in declino della Repubblica) e il modus operandi (ventitre coltellate).Alan Smith, però, in base ai suoi studi, ha maturato un’idea diversa dell’accaduto e stasera proverà ad illustrarvela”.

Le prime note di "The final Countdown" degli Europe, accompagnarono l'accensione delle luci in studio, mentre la telecamera zummava sul volto di Alan Smith.

“Le ricerche condotte su documenti inediti, furono le prima parole dello studioso inglese, mi hanno indotto a ipotizzare un diverso movente per l’omicidio di Cesare e mandanti al di sopra di ogni sospetto. La versione della storia che tutti conoscete servì, in realtà, a tacitare uno scandalo di enormi proporzioni che poteva mettere a rischio l’egemonia di Roma sul mondo allora conosciuto. Ne ho trovato le prove. Tenete a mente questo nome: “Domus Olgiettina”. Negli appunti del contabile di Giulio Cesare, da me casualmente trovati in  una tomba da poco scoperta, erano trascritti accanto al nome di alcune signore delle cifre in sesterzi. Ad esempio  Laetizia settemila sesterzi, Rubia, diecimila sesterzi, Gioia duemila sesterzi, Patrizia (una filantropa?), “ a gratis”. L’elenco delle signore, con ogni probabilità delle mantenute o delle prostitute, era interminabile”. In un libro, passato quasi inosservato, lo storico Marcus Labor, ha ricostruito in dettaglio la vicenda. Fu Cicerone,      secondo il Labor, a scagliarsi contro i facili costumi di     certi potenti e di Cesare in particolare, ad accendere i         riflettori su stili di vita che a suo dire erano del tutto      incompatibili con le responsabilità di governo. Lo scandalo      dilagò: dinanzi alla Domus Olgiettina, una folla vociante ed eccitata chiamava a gran voce i nomi delle inquiline, in attesa di poterle ammirare da vicino. Non andava meglio a Cesare: non poteva uscire da casa o  muoversi per l’Urbe, senza essere assalito da un’orda di giovani fanciulle che le si proponevano con modi espliciti, che gli si spogliavano davanti per esporre la mercanzia. I senatori rumoreggiavano, l’opposizione era in rivolta. Cesare per calmare le acque fu costretto a condividere con i politici più potenti, parte del proprio harem. La magistratura non era inerte: aveva aperto un fascicolo contro ignoti, molti politici erano pedinati a vista, ogni loro vizio veniva annotato. Arrivò il momento del blitz: fu arrestato il contabile di Cesare, accusato di favoreggiamento della prostituzione. Secondo i magistrati avrebbe sfruttato la sua posizione e i denari che il suo datore di lavoro gli aveva affidato, per organizzare un vero e proprio bordello. L’utilizzatore finale era stato identificato: un anziano signore di quasi novanta anni. Fu giustiziato senza processo.L’harem di Cesare non fu smantellato, ma solo trasferito: Marcus Labor ne indica nei suoi scritti nome e luogo. Una dimora nei pressi del mons Saeptorium, l’odierno Montecitorio. Gli scherzi della storia, o i ricorsi, come ci direbbe, Gian Battista Vigo. Il malcontento del Senato montava, Cesare da qualche tempo aveva smesso di condividere il suo harem con i politici più influenti dell’Urbe. Si mormorava già di un certo numero di senatori che stava organizzando una congiura ai danni del capo del governo. Marcus Labor riporta nei suoi scritti le voci su segreti incontri tra Cicerone e Patrizia, una delle storiche concubine di Cesare. Fu preparato un veleno e a Patrizia fu affidato il compito di somministrarlo a Cesare proprio alle idi di Marzo del 44 a.C. Era quello, infatti, il giorno previsto per il loro prossimo incontro. A Cesare sarebbe toccata in sorte la morte più dolce, mentre era intento a cavalcare una splendida bionda in calore. Patrizia avrebbe ottenuto in cambio, oltre agli onori della cronaca, la     concessione edilizia che per anni aveva inutilmente chiesto a quello smemorato di Giulio Cesare”.

Il pubblico applaudì a comando, ma non si spellò le mani, per nulla convinto da questa nuova versione della storia.

Lo squillo del telefono si udì alto e forte: chi stava all’altro capo della cornetta dichiarò di essere Patrizia Daria.

“Non capisco, dichiarò, da dove sia uscito il mio nome. Il volto di Cesare lo conosco solo perché era effigiato sulle monete. E’ stato Marcus Labor a fare il mio nome? Che stronzo, è una vendetta postuma perché l’ho mollato quando ho scoperto che mi tradiva con Rubia, una ragazza minorenne proveniente dall’Africa settentrionale. Credetemi, giuro che non ho avuto nulla a che fare con la congiura che ha determinato la morte di Cesare. Non ho mai conosciuto Cicerone o altri potenti uomini politici del tempo”.

Il colpo di scena lasciò tutti di stucco, ma non fu il solo né l’ultimo. Marcus Labor in persona si fece vivo al telefono.

“Confermo disse quanto raccontato nei miei scritti. Cesare morì avvelenato alle idi di Marzo del 44 a.C. nel suo letto, nel mezzo di un rapporto sessuale con Patrizia Daria. Il mandante dell’omicidio è Marco Tullio Cicerone. Patrizia sostiene che sono stato il suo amante e che mi ha mollato dopo avere scoperto il mio tradimento? Tutto vero. E’ lei, infatti, la fonte della mia storia, la nostra relazione è successiva ai fatti narrati”.

Non poteva mancare l’intervento di Marco Tullio Cicerone: ancora una volta dimostrò che la sua fama di eccelso oratore non era usurpata.

“L’omicidio di Cesare? Non c’entro nulla, non ero presente nemmeno alla seduta del Senato del giorno in cui avvenne, perché bloccato a letto dall’influenza. Non conosco Patrizia Daria, perché dovrei? Era una delle concubine di Cesare? Buon per lei, di certo non sarà morta di stenti. Rubia, Laetizia? Idem, mai sentite nominare. Marcus Labor? In effetti l’ho conosciuto. Ricordo di avergli fatto certe confidenze sui segreti e sui vizi dei potenti dell’epoca. Nulla di più”.

I sospetti dei telespettatori e del pubblico in studio si addensavano tutti su Marco Labor, ma un fatto imprevisto provvide a spazzarli via. Fu Giulio Cesare in persona a scagionarlo. Ecco la sintesi della sua telefonata.

“Nessun avvelenamento: non sono morto tra le braccia di Patrizia Daria, ma a causa delle ventitre coltellate infertemi da Bruto e Cassio. Ho ancora davanti agli occhi la scena: sono stato vittima di un agguato politico, di una vera congiura. Concubine, prostitute, amanti a pagamento? Giuro che non ho la più pallida idee di cosa state parlando. Mai andato a prostitute: pensate che l’uomo più potente del mondo, abbia bisogno di pagare qualcuno per fare sesso?”

Alan Smith perse il sorriso e la sicurezza: al pubblico in studio bastò guardarlo in faccia per sbellicarsi dalle risate.

Sofia Vassilieva annunciò l’ingresso delle “Nudità danzanti”, il corpo di ballo della trasmissione. Avrebbe proposto una rilettura del “Lago dei Cigni” dal titolo “ Lo stagno delle papere”. Ne aveva curato in prima persona la coreografia.

La parte della trasmissione dedicata allo spettacolo leggero e all’intrattenimento fu completata dall’esibizione di un paio di abili professionisti del playback musicale e dalla lettura di un racconto di Alan Smith che rievocava i tempi felici dell’università. Una decina di spettatori in catalessi furono trasportati d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale più vicino.

Una stanza da letto in penombra: è ciò che videro i telespettatori dopo l’interruzione per i consigli per gli acquisti. A letto chiacchieravano un uomo anziano e una splendida bionda. Il pubblico in sala e a casa riconobbe subito le voci degli attori della compagnia “Pescatori da frodo in abito da sera” che avevano interpretato Cicerone e Patrizia.

“ Sei stata al funerale di Cesare? No? Peccato, nessuno più di te ne aveva il diritto, visto che sei l’ultima che l’ha visto in vita. Il piano era perfetto. Che idea geniale quella di cercare un sosia, di addestrarlo a dovere e di farlo accoltellare da Bruto e Cassio! In realtà sei stata tu a vedergli esalare l’ultimo respiro, appena dopo la fine dell’amplesso. E’ morto con l’onore delle armi almeno. Roma non può permettersi certi scandali: cosa sarebbe successo se la sua promiscua vita sessuale fosse venuta a conoscenza non solo del nostro popolo, ma anche di quelli assoggettati con le armi? Il regicidio, a volte, è necessario, per salvare le sorti di un Paese. Bruto e Cassio avranno gli onori della cronaca, mi dispiace per te, ma il tuo nome non dovrà mai comparire sui libri storia”.

“ Nessun problema amore mio, era Patrizia a parlare, ho avuto ciò di cui avevo bisogno. Non solo le concessioni edilizie che ho chiesto, ma anche il tuo affetto. Per te sono pronta a tutto, sempre. Giulio non era male come amante, ma non ha tua classe: dove lo trovo un altro che mi reciti un’orazione durante un amplesso? Ti amo, lo sai, come non ho amato nessuno, in vita mia”.

“ Dobbiamo separarci per un po’: non posso rischiare che qualcuno scopra che ho una relazione con una concubina di Cesare. Per me sei importante, ma non posso permettermi uno scandalo proprio ora. Ti prometto che ci rivedremo, appena le acque si saranno calmate.

“ Ti capisco, agli occhi di tutti sei un moralizzatore. Forse però, anche uno come te può innamorarsi di una come me. E’ successo altre volte, può darsi che la pubblica opinione sia pronta a capirlo. Mi gira la testa, non mi sento bene, forse ho bevuto troppo, stasera. E’ meglio che vada.

“ Si è meglio che vada, Giulio Cesare ti aspetta, ma non credo che ti accoglierà a braccia aperte. Scusami, ma non potevo più correre rischi. Domani, per ripicca o per denaro, avresti potuto tradire la mia fiducia e i patti stipulati. Addio, amore mio, è stato bello conoscerti”.

Le telecamere inquadrarono Alan Smith.

“ Patrizia è morta come Cesare, avvelenata in un’alcova. Come avete potuto notare non ha rivelato nemmeno dopo la morte, il suo segreto. Marco Tullio Cicerone, evidentemente non ha capito con chi aveva a che fare. Questa a mio parere è la corretta narrazione degli avvenimenti, fateci sapere cosa ne pensate”.

Il pubblico in sala reagì con una standing ovation alle ultime parole dello studioso inglese, ancora commosso per l’ultimo colpo di scena della trasmissione. I giornali del giorno approvarono, dichiarando la nascita di un nuovo genere televisivo: le comiche melodrammatiche della Storia.




Un fiasco in diretta



Alberto Rana, il conduttore del programma "Quattro passi nella storia" guardò diritto nella telecamera, dopo che le "Nudità danzanti", il corpo di ballo della trasmissione, avevano dato inizio alla nuova puntata con un balletto dal titolo " Ci spogliamo per campare".

Con voce seria e grave comunicò agli spettatori l'argomento della trasmissione: la strage del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano.

“E’ uno dei misteri della storia d’Italia, un caso ancora irrisolto a più di quaranta anni dagli eventi. I tanti processi che si sono susseguiti nel tempo, non hanno avuto esito: non è stata emessa nessuna condanna definitiva. L’unica certezza è che la bomba che uccise diciassette innocenti fu piazzata dalle mani ignote di alcuni individui che militavano nei gruppi di estrema destra dell’epoca. Con la collaborazione di Alan Smith, cercheremo di fare un po’ di luce nel fitto mistero che ancora avvolge questa drammatica pagina di storia”.

Le telecamere inquadrarono il profilo ancora agile dello studioso inglese, mentre già gli altoparlanti dello studio diffondevano le note di "The final Countdown" degli Europe. Il volto di Alan Smith trasmetteva una certa agitazione, uno strano fremito ne scuoteva il corpo.

“Il dodici dicembre del 1969 un ordigno ad alto potenziale ha devastato i locali della “Banca dell’Agricoltura” di Piazza Fontana a Milano. L’esplosione ha mietuto ben diciassette vittime, ha causato parecchie decine di feriti. A quel giorno si fa risalire l’avvio della strategia della tensione, della stagione delle stragi e del terrorismo, che per più di un decennio avrebbe insanguinato l’Italia. Le prime indagini furono indirizzate verso la pista anarchica: furono fermati Valpreda e Pinelli, perquisite centinaia di abitazioni di militanti di sinistra. Giuseppe Pinelli ebbe ufficialmente un malore, mentre veniva interrogato in un ufficio al quarto piano della questura. Giuseppe Calabresi accusato da gruppi estremisti di averlo suicidato, scaraventandolo nel vuoto, morì in un attentato per il quale fu condannato in via definitiva anche Adriano Sofri, leader di Lotta Continua, un gruppo d’estrema sinistra dell’epoca. La pista anarchica si rivelò errata, le indagini allora si concentrarono sull'azione di alcuni gruppi neofascisti veneti. Freda e Ventura, accusati della strage furono assolti in via definitiva negli anni ottanta. Furono però dimostrati dalle indagini della magistratura i legami, tra la parte deviata dei servizi segreti dell'epoca e i gruppi neofascisti. Altri estremisti di destra come Delfo Zorzi furono assolti nel 2005 in via definitiva. La strage a tutt'oggi, è impunita. Ho potuto visionare documenti catalogati come top secret dai servizi d'intelligence di Sua Maestà, in Inghilterra; ciò mi consente di avanzare una mia teoria sull'andamento dei fatti. In questi documenti viene ipotizzato un collegamento tra la setta massonica P2,  gli ambienti neofascisti veneti e  i circoli anarchici milanesi. Pinelli secondo i servizi segreti britannici era un massone agli ordini di Licio Gelli: non cadde accidentalmente dalla finestra al quarto piano della questura, né fu gettato nel vuoto, ma si suicidò per evitare che venissero scoperti i collegamenti con la massoneria. Gli stessi Freda, Ventura, Zorzi erano al soldo di Licio Gelli, già allora deus ex machina di cospirazioni contro le istituzioni della Repubblica. I neofascisti avrebbero procurato il materiale esplosivo, gli anarchici avrebbero fisicamente deposto l'ordigno alla Banca dell'Agricoltura, i servizi di spionaggio italiani avrebbero provveduto al trasporto della bomba  e al collegamento tra i due gruppi: è questo, in estrema sintesi, il punto di vista dell’intelligence inglese ed anche il mio. La parte più interessante della documentazione, però, è l'analisi dell'organizzazione della Loggia massonica P2. Licio Gelli, secondo questi report, non era il vero capo della setta. Lo scettro del comando era affidato a un misterioso medium in contatto con Giuseppe Mazzini”.

Il mormorio del pubblico non era dettato solo dallo stupore, ma anche dalla scarsa attendibilità della ricostruzione: a molti sembrava evidente che lo studioso inglese stava arrampicandosi sugli specchi, nell’esporre la sua teoria. Occorreva molta fantasia, ma anche un notevole spirito ironico nell’immaginare Giuseppe Mazzini, come il “grande vecchio”, il burattinaio dei misteri d’Italia. Sorpreso dalla freddezza degli spettatori, Alan Smith, ebbe un mancamento e si afflosciò sul pavimento come un sacco vuoto. Sofia Vassilieva, la nuova co-conduttrice del programma fu lesta nel prestargli soccorso. Gli si gettò addosso per praticargli la respirazione bocca a bocca, tra lo stupore e l’invidia del pubblico maschile.

Il regista chiese senza successo al corpo di ballo di anticipare l’esecuzione del pezzo provato in mattinata dal titolo “ Non ce la facciamo ad arrivare a fine mese”. Il corpo di ballo non ballò perchè nessuna delle danzatrici aveva ancora indossato i costumi di scena.

Alan e Sofia ci avevano preso gusto: la respirazione bocca a bocca fu solo l’antipasto dello spettacolo che consegnarono alle telecamere e ai loro fan su youtube. I consigli degli acquisti riuscirono a liberare tutti dall’imbarazzo.

Al rientro in studio un Alan Smith euforico e in perfetta salute completò l’esposizione delle sue tesi.

“E’ Pinelli l’esecutore materiale della strage di Piazza Fontana e Giuseppe Mazzini ne è il mandante”.

Toccò a Sofia Vassilieva rispondere alla prima telefonata in studio. Qualcuno che si spacciava per Ali Babà rivendicò le stragi delle Torri Gemelle, un altro buon tampone, fingendosi Churchill, si autoccusò dell’organizzazione dell’incidente a Diana Spencer.



La telefonata di Giuseppe Pinelli, invece, ebbe ben altro impatto.

“ Non ho mai avuto contatti con Licio Gelli, attivisti di destra e funzionari dei servizi segreti. Posso rivelarvi, invece, ciò che successe in quella stanza della questura. Calabresi non ha alcuna colpa nella mia morte. Tra noi s’era creato anzi un bel rapporto: per questo decidemmo di giocare uno scherzo al questore Guida che sostava in cortile proprio sotto la nostra finestra. Volevamo tiragli un portacenere di plastica, così per vedere l’effetto che faceva: mi sono sporto troppo per verificare l’esatta posizione del questore e mi sono sfracellato sul pavimento del cortile della questura. Lo scherzo non ha funzionato: è l’unica cosa di cui mi pento”.

Seguì la telefonata di Licio Gelli: a porre le domande stavolta fu Alberto Rana.

“ Non ho avuto nessun compito nell’organizzazione dell’attentato a Piazza Fontana. Non nego che mi sarebbe piaciuto, ma verità vuole che mi dichiari del tutto estraneo a quella strage. Ho sentito parlare di Mazzini come mandante della strategia della tensione: mi permetto di dissentire. Per quello che mi risulta, il “ grande vecchio” che sta dietro alle stragi di quegli anni, è un altro Giuseppe, è Garibaldi!”

Dagli spettatori in sala partì qualche fischio: se era già difficile credere che Mazzini potesse avere a che fare con una strage di quel tipo, era impossibile pensare a Garibaldi come a un terrorista. La telefonata successiva fu quella di Cossiga: cosa c’entrava con la strage di Piazza Fontana? Nulla, ma ciò non gli impedì di prendere la parola per spiegare alcuni misteri di cui era a conoscenza.

“ Sono il mandante delle stragi fasciste, oltre che il capo della Loggia massonica coperta, nota col nome di P2. Licio Gelli è solo un prestanome, uno che esegue alla lettera i miei ordini. So tutto della strage di Piazza Fontana, come di ogni mistero della Prima Repubblica. Mazzini, Garibaldi? Vi siete bevuti il cervello, come potete pensare che ci sia qualcuno che muova dall’aldilà i fili della storia? In realtà la strategia della tensione è stata una guerra per bande tra servizi d’intelligence di opposto orientamento politico. Volete le prove della mia colpevolezza? Avete mai visto qualcuno che non distrugga le prove del proprio reato? No, ovvio. Perché allora mi fate domande tanto idiote?”



Fu l’ultima telefonata della puntata: a Sofia a questo punto, non restò che lanciare la pubblicità.

Le “ Nudità danzanti” al rientro in trasmissione deliziarono gli spettatori con una prova d’autore dal titolo “ Preferiamo un’offerta in denaro agli applausi”. Un gruppo rap, invece, eseguì una canzone che ripeteva all’infinito questa strofa: “ A metà mese non ho più una lira, ecco perchè scippo la pensione alle vecchie signore ingioiellate e dietro compenso mi trombo le casalinghe arrapate di sesso”. Un cantante melodico napoletano, invece, chiuse la parte della trasmissione riservata all’intrattenimento leggero con pezzo composto dietro le sbarre e intitolato “ Scippo di quà e di là, ma in gattabuia non mi va di restà..”

Le telecamere inquadrarono una stanza in penombra, seduti su un divano, due uomini conversavano in modo animato. Gli spettatori riconobbero la voce dell’attore della compagnia “ Pescatori di frodo in abito da sera” che aveva impersonato Pinelli nella telefonata di qualche minuto prima. L’altro personaggio, invece, era sconosciuto al pubblico.

“ Pietro, sono stato sul punto di vuotare il sacco, di rivelare tutta la verità sulla strage alla Banca dell’Agricoltura. Non so cosa mi abbia trattenuto, forse il timore d’infangare l’immagine di uomo innocente che ancora mi porto dietro”.

“E a me non hai pensato? Cosa avrebbero detto i miei parenti se avessero saputo che c’entravo qualcosa con quella strage, che avevo accettato di piazzare la bomba a Piazza Fontana, per soldi?”

“ Ti ricordi, Valpreda, la trattativa con Gelli? Durò pochi minuti: qualunque cosa avessimo chiesto, ce l’avrebbe data. Come due coglioni, invece, cosa abbiamo domandato? Un bonifico di pochi milioni di lire, un’auto usata di media cilindrata, un assegno mensile da quattro soldi per comprare un po’ di fumo”.

“ Non sapevamo delle trattative in corso col gruppo dei fascisti: quelli alzarono troppo il prezzo e toccò a noi il compito di piazzare le bombe”.

“ Non avevo mai visto uno 007, quello che ci portò sino a casa gli ordigni, però, sembrava un tranquillo padre di famiglia in gita domenicale. Una vera delusione! Però il mestiere lo conosceva, il piano d’azione era preciso in ogni dettaglio. Peccato che certi imprevisti lo mandarono a monte”.

“Caro Giuseppe, ti ricordi cosa andò storto? L’auto ci lasciò a piedi, a duecento metri dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Il timer dell’ordigno era già in funzione, ma noi eravamo fermi in mezzo al traffico, con l’auto in panne. Ci soccorse un vigile, ci aiutò a spostare la macchina in un punto in cui non intralciava la circolazione”.

“ Certo che gli tirammo un vero tiro mancino. Gli demmo in mano la bomba confezionata come un pacco dono e lo pregammo di nasconderla sotto il tavolo al centro del salone dell’istituto di Credito: lo convincemmo che era un regalo dei dipendenti al direttore, per il Natale imminente. Deve essere stato anche mezzo sordo: quel pacco era più rumoroso della mia sveglia dell’anteguerra.

“Lo hai mai rivisto? Io sono stato arrestato quasi subito, ma tu hai provato a cercarlo?”

“ Si, caro Pinelli, l’ho cercato, ma si è come volatilizzato. Forse, una volta appreso l’accaduto, ha dato subito le dimissioni, per evitare guai peggiori. In fondo non siamo stati noi a piazzare la bomba in Banca, ma un ignaro vigile, un umile dipendente comunale. Non abbiamo la coscienza immacolata, ma poteva andar peggio”.

Le telecamere inquadrarono Alan Smith.

“Questa è la mia ipotesi sull’andamento degli eventi di quel dodici dicembre 1969. Fateci sapere se è anche la vostra”.

Un’ondata di fischi assordanti partì dagli spalti. Furono contestati tutti i protagonisti della puntata, esclusa Sofia Vassilieva. Non si erano mai visti forse in uno studio televisivo tanti collassi: Sofia, paziente, fu costretta a praticare più respirazioni bocca a bocca, di quante è costretto a farne, un medico del reparto rianimazione, in un intero anno. Non aveva pregiudizi: uomini o donne, per lei, pari erano.

Il fiasco non passò inosservato: giornali e siti on line stroncarono con durezza l’indomani la trasmissione e lo staff che l’aveva condotta. Qualcuno, sentenziarono deve pagare, per l’affronto arrecato alla verità.




Romeo & Juliet tra tragedia e farsa





Sofia Vassilieva e Alan Smith mano nella mano attraversarono lo studio televisivo accompagnati dalle note di “Vattene Amore” di Amedeo Minghi e Mietta.

La produzione aveva deciso di affidare ad entrambi la conduzione della trasmissione “ Quattro passi nella storia” dopo che Alberto Rana era stato designato per la presentazione di “Intimo notte” la trasmissione culturale quotidiana più prestigiosa dell’emittente “Videofront” in onda alle due del mattino.

Il video che ritraeva Sofia ed Alan impegnati in una respirazione bocca a bocca da guinness dei primati era ormai un cult della televisione. Tra loro secondo i settimanali rosa usciti in settimana era scoppiata impetuosa la passione.

Fu Sofia a prendere per prima la parola, nel suo stentato italiano con spiccato accento russo, non appena furono abbassate le luci in studio.

“ La trasmissione da questa puntata ha una nuova veste. Non ci occuperemo più di storia o di politica, ma di letteratura. Vi proporremo opere che hanno fatto la storia dell’arte, in una versione insolita, in base alle ricerche condotte sul campo dal nostro Alan Smith. Cercheremo di dare un tono più leggero alle ore trascorse insieme, ampliando la parte dedicata allo spettacolo e all’intrattenimento. Prima di dare inizio alla puntata, però, permettetemi di ringraziare Alberto Rana e di augurargli tutto il successo possibile con la sua nuova avventura”.

Spettò alle “Nudità danzanti” il compito di aprire la puntata con un balletto dal titolo “ A noi chi ci paga, se in cassa non c’è più una lira?” su coreografie di Sofia Vassilieva.

Alan Smith guardò Sofia negli occhi e le spedì un bacio con la mano, prima d’introdurre il tema della nuova puntata.

“ La storia che voglio raccontarvi stasera la conoscete tutti, eppure sono convinto che riuscirò a sorprendervi ugualmente, grazie alla mia recente scoperta di un manoscritto inedito. Sto parlando del tragico amore tra Romeo e Giuletta, reso immortale dalla sublime penna di William Shakespeare”.

Sofia scoppiò in singhiozzi, subito consolata da Alan, che continuò la sua illustrazione dell’opera.

“ Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti erano i giovani rampolli di famiglie che si odiavano da tempo immemorabile. La ragazza era promessa sposa di Paride, il cuore di Romeo, invece, batteva all’impazzata quando incrociava lo sguardo di Rosalina. La scintilla della passione, come tutti sapete, scattò alla festa dei Capuleti: qualche giorno dopo, Romeo e Giulietta furono sposati in segreto da Padre Lorenzo. Il fato era avverso: Romeo fu condannato all’esilio da Verona per aver ucciso in duello Tebaldo e spedito a Mantova. Il piano di Padre Lorenzo per evitare le nozze di Giulietta con Paride non andò a buon fine: Giulietta, seguendo gli ordini del frate, con un veleno si procurò una morte apparente. Romeo, tornato in incognito a Verona, ignaro del piano, alla vista dell’amante morta, si tolse la vita, un attimo prima che la Capuleti si risvegliasse. Fece lo stesso Giulietta, quando si rese conto della morte dell’amato. Questa è la trama che tutti conoscete, ma come vi ho già anticipato, ho avuto la fortuna di trovare un manoscritto di Shakespeare, di età successiva, che racconta tutta un’altra storia. Ho chiesto alla compagnia “ Pescatori di frodo in abito da sera” d’illustrarcela a modo loro”.

Un uomo e una donna passeggiavano tenendosi per mano. Il pubblico in studio ebbe difficoltà a capire di chi si trattasse.

“ Rosalina amore mio, finalmente possiamo parlare del nostro amore alla luce del sole. I tragici fatti che abbiamo visto accadere sotto i nostri occhi, ci aiutano a restare uniti, rendono più forte il nostro legame. E’ stata dura, ma per chi come noi ha la coscienza immacolata, è più facile accettare ciò che è accaduto.

“ Paride, mio amato, la mia coscienza tanto immacolata non è. Agli occhi degli altri, posso essere sembrata sin troppo fredda, cinica, attaccata al denaro. Cosa avrei dovuto fare, però, sommare sangue a sangue? Mi fossi tolta anch’io la vita, qualcuno avrebbe avuto giustizia? Non credo. Ecco perché penso di avere fatto la cosa giusta”.

“ Giulietta mi era stata promessa in sposa, ma se non divenne mia moglie, come tu sai, fu perché Capuleti e Montecchi decisero di mettere fine alla loro faida secolare, combinando il matrimonio tra Giulietta e Romeo. Fu di Padre Lorenzo l’idea di quell’unione e fu lui in persona ad informarmi della rottura della precedente promessa di matrimonio. Non la presi per nulla bene: Giulietta la conoscevo appena, ma non potevo accettare che qualcuno me la portasse via così. Lei mi amava, era perdutamente innamorata di me. Forse fu questo a spingermi a non piegarmi alla volontà dei suoi genitori. E’ stata la prima donna della mia vita: una notte dopo averle dichiarato il mio amore sotto il balcone della sua abitazione, l’ho raggiunta in camera e siamo stati insieme sino al cantar del gallo del giorno dopo”.

“ Romeo non aveva che occhi per me. Quando gli dissero che doveva sposare Giuletta, andò fuori di testa. Ricordo il suo primo dolcissimo bacio, non ci fermammo a quello però, ma ci amammo con impeto ogni volta che potevamo incontrarci. Padre Lorenzo è stata la nostra rovina, come quella di te e Giulietta. Ci ha tradito e ingannato. Ricordi lo stratagemma utilizzato per sposare Romeo e Giulietta?”

“ Ci fede credere che intendeva sposare in segreto me e Giulietta e te con Romeo, ma ci convocò in un orario successivo a quello dei nostri partner; ci fece attendere per più di due ore, per poi rispedirci a casa dicendoci che non si erano presentati all’appuntamento.

“ Intanto, Romeo e Giulietta, erano già marito e moglie: Padre Lorenzo aveva tirato anche a loro lo stesso tiro mancino, convocandoli entrambi in un orario diverso rispetto a noi. Poi, però, invece di mandarli a casa, gli aveva fatto un discorso di questo tipo: “ I vostri genitori vogliono che voi vi sposiate, Paride e Rosalina non vi amano abbastanza da diventare i vostri coniugi, in caso contrario non avrebbero mancato all’appuntamento. Allora perché non accontentare papà e mamma? Per amore? Cari figlioli, l’amore verrà col tempo, non siete i primi né gli ultimi che salgono sull’altare senza amarsi!”

“ Romeo e Giulietta per stanchezza o per chissà quale altra ragione alla fine cedettero e si sposarono seduta stante, noi aspettammo un mese per convolare a giuste nozze”.

I consigli per gli acquisti interruppero il dialogo tra Rosalina e Paride. Prima di poter seguire la parte conclusiva dell’esibizione degli attori della compagnia “ Pescatori di frodo in abito da sera”, gli spettatori in studio e a casa, dovettero sorbirsi una performance delle “ Nudità danzanti” dal titolo “ Adottate una ballerina a distanza” e lo sketch letargico tra Sofia Vassilieva ed Alan Smith, con sottotitoli in italiano, “La zarina e il baronetto”, ravvivato appena da un lungo bacio alla francese e da approcci softcore dei due amanti.

Due nuovi attori discutevano al centro dello studio: erano Giulietta e Romeo.

“ Maledetto il giorno in cui ti ho sposato, Romeo. Tu non hai colpe, non mi amavi, come non ti amavo io, mi hai tradito con Rosalina alla prima occasione, è vero, ma ho fatto la stessa cosa con Paride. Funziona così, quando non ci si sposa per amore. Il denaro non dà la felicità: lo sapevo, lo sapevamo, forse era meglio accettare di essere diseredati dai nostri genitori che fare la brutta fine che tutti conoscono”.

“ E’ vero, ma in cuor mio pensavo di poter avere tutto: il denaro, le proprietà, l’amore di Rosalina. Cosa mi ha tradito? Non sono riuscito a sopportare che tutti sapessero che mi tradivi con Paride. L’onore, almeno per noi maschi, è importante. Sono stato egoista, volevo avere tutto, ma non sono riuscito ad accettare che lo avessi anche tu. E’ ciò di cui mi pento.

“ Chi mi ha tradita? Ora puoi dirmi chi ti ha passato la notizia del mio appuntamento con Paride nella cripta di famiglia, a mezzanotte in punto. Non lo sapevano nemmeno le mie ancelle”.

“ Vuoi saperlo davvero? E’ stata Rosalina a dirmelo, dopo averlo appreso da Paride, che se l’era lasciato sfuggire durante un litigio. Forse non aveva calcolato che ci sarebbe potuto andare di mezzo anche lui  o forse, era proprio quello che voleva. Ammazzando anche Paride, l’ho resa una giovane, bella e ricca vedova. Prima di uccidermi l’ho vista: sul suo volto c’era dipinto il sorriso di chi aveva centrato l’obiettivo. E’ l’unica ad aver vissuto a lungo e tra gli agi”.

“ Che Giuda! Nemmeno tu, però, ci hai fatto una gran figura, cosa t’importava alla fine se io e Paride ci godevamo la vita, se io non t’impedivo di fare lo stesso con Rosalina? Perché ti sei ucciso poi? Certo non avresti finito i tuoi giorni in galera, anzi avresti fatto la figura dell’eroe agli occhi dei tuoi concittadini”.

“ Mi sono ucciso, perché proprio nel momento in cui ti davo la morte, ho capito che ero te che amavo e non Rosalina. Abbiamo vissuto insieme per pochi mesi, ma evidentemente è stato sufficiente ad innamorarmi di te, anche se non l’ho capito in tempo”.

“ Non ci credo, non può essere. Ti amavo anch’io: se solo per un attimo avessi pensato che anche tu provavi lo stesso per me, non avrei mai dato quell’appuntamento a Paride. Siamo vittime, amore mio: il vero colpevole è Padre Lorenzo. Se non ci avesse ingannato, forse avremmo capito prima, che potevamo essere felici insieme. Sono colpevoli i nostri genitori, che ci usarono per i loro affari, riuscendovi. La loro guerra ebbe fine, dopo la nostra morte: ci furono altri Montecchi e Capuleti, uniti in matrimonio dopo di noi. Rosalina? Una donna calcolatrice, ma a suo modo pietosa: i suoi fiori sulla nostra tomba ci sono sempre stati, come le sue preghiere a differenza di quelli dei nostri genitori. In fondo, nonostante gli agi, il rimorso non le ha dato pace”.

Le luci si accesero di colpo in studio. Alan Smith guardò fisso la telecamera. Questo più o meno è ciò che racconta il manoscritto da me ritrovato e che le mie conoscenze mi spingono ad attribuire a Shakespeare. Non è romantico quanto quello che voi conoscete, ma anche qui, l’amore trionfa.

L’Auditel l’indomani decretò il trionfo della trasmissione, giornali e siti on line scrissero molto sull’argomento, ma con pareri contrapposti. La puntata aveva centrato l’obiettivo: la smitizzazione dell’amore, però, era solo all’inizio!




Questione di naso





Le nudità danzanti aprirono sotto gli applausi scroscianti del pubblico la quinta puntata di “Quattro passi nella storia”, la trasmissione più seguita nella settimana precedente dell’emittente televisiva “Videofront”. Si esibirono in un balletto dal titolo “ Se c’invitate a cena almeno pagateci il conto”. La coreografia era firmata dall’eclettica conduttrice della trasmissione Sofia Vassilieva.

In abito lungo, nero e con profondo spacco inguinale, Sofia, alla conclusione del balletto, entrò in studio mano nella mano con Alan Smith in smoking bianco e papillon nero. Le telecamere si soffermarono a lungo sulle lunghe gambe della conduttrice, inquadrando il nuovo tatuaggio che raffigurava una coccinella, che faceva bella mostra di sé proprio in prossimità del pube.

Col suo pronunciato accento russo introdusse l’argomento della puntata prima di lasciare la parola all’amato Alan.

“Che provetto spadaccino, che rude guerriero, ma anche che istrionico poeta, è stato Cyrano del Bergerac!”, furono le prime parole dello studioso inglese. Come tutti, però, aveva un tallone d’Achille, il lungo naso che lo rendeva brutto agli occhi del gentil sesso. Il suo cuore batteva per la cugina Rossana, bella e sensibile, amante della poesia e d’ogni forma d’arte. Le sue imprese leggendarie non bastarono a conquistare il cuore della sua amata e nemmeno la professione di scrittore di versi.

Un giorno però Rossana gli domandò un appuntamento: non per rivelargli il suo amore, ma per chiedergli di avere un occhio di riguardo verso Cristiano, uno dei cadetti da poco entrati nella scuola per moschettieri, in cui Cyrano aveva un ruolo da istruttore. Bergerac trattenne la delusione, ma non seppe negare alla sua amata, l’aiuto che le chiedeva. Andare contro i propri interessi! Anche a questo può costringere l’amore!

Cyrano lo protesse come un figlio: Cristiano era un giovane leale e generoso, amava sinceramente Rossana, ma non poteva darle ciò che le chiedeva: la passione romantica, l’amore che trascina l’animo verso l’elevazione artistica, la poesia! Cyrano le provò tutte, per insegnare a Cristiano come parlare al cuore dell’amata, ma senza risultati.

Fu costretto ad agire in prima persona, sostituendosi all’allievo quando c’era da scrivere una lettera o da recitare dei versi mentre Rossana era affacciata al balcone di casa. A Rossana sembrava di aver trovato il paradiso: un uomo dal fisico prestante e dall’animo gentile, capace di parlare al suo cuore con i toni dell’artista ispirato, del poeta innamorato. Rossana, però, preferiva l’artista, il poeta al rude guerriero: arrivò a dire che avrebbe potuto amare Cristiano anche se fosse stato brutto. Davvero, si chiese Cyrano, se scoprisse che è lui e non Cristiano l’autore dei versi che tanto le fanno battere il cuore, non fuggirebbe a gambe levate, gridando al lupo, al mostro, al solo pensiero di fare l’amore anche col suo naso?

Il destino crudele è in agguato: i percorsi dell’amore non sono solo strani, ma anche imprevedibili!

Cristiano trovò la morte in battaglia, Cyrano non trovò la forza di tradire il suo amico, dichiarando il suo amore a Rossana, rivelandole di essere il vero autore delle poesie che Cristiano le aveva dedicato, delle lettere piene di passione che le aveva scritto dal fronte.

Rossana stravolta dal dolore si richiuse in convento, Cyrano l’andava a trovare ogni settimana, pago solo di poter guardare in volto e di parlare d’arte e di poesia, con l’amata cugina. Ferito in un agguato, si riparò in convento per sfuggire ai suoi nemici: in punto di morte si tradì, ripetendo a memoria una lettera che Cristiano aveva scritto a Rossana e che lui non avrebbe potuto conoscere, se non ne fosse stato l’autore.

Spirò tra le braccia di Rossana. Non seppe mai, però, se la cugina avrebbe potuto amarlo per ciò che era: un prode guerriero, un poeta sensibile, un uomo vero, tutto e niente”.

Sofia aveva le lacrime agli occhi, ma accese il sorriso per annunciare i consigli per gli acquisti.

Dopo la pausa pubblicitaria tornarono ad esibirsi le “ Nudità danzanti” con un balletto dal titolo “Boh, non ci siamo ancora messe d’accordo sul nome da dare al nostro ultimo capolavoro”.

Alan, invece, declamò dei versi scritti apposta per Sofia intitolati “Ma quanto mi piace la coccinella!”.

Alan riprese il racconto. “ Conoscete tutti il capolavoro di Rostrand, disse, ciò che non potete immaginare è che ho scoperto in una vecchia soffitta di Parigi, un copione teatrale dello stesso autore d’età successiva a quello che vi ho poco fa raccontato. Ho chiesto alla compagnia teatrale “Pescatori di frodo in abito da sera” di farvene un resoconto.

Due donne che parlavano fitto sedute accanto su un divano: è ciò che videro i telespettatori. Non era ciò, che colpì tutti, ma il naso enorme di una delle due attrici: confuso e stupito il pubblico raddoppiò l’attenzione. Non era Cyrano, era la domanda che frullava nella mente di tutti, ad essere famoso per il naso enorme?.

“ Rossana, qualcuno ha già notato il tuo naso, succede sempre così, gli uomini non guardano l’animo di una donna, ma solo il corpo. Tu, però, non scoraggiarti, Cyrano, il tuo amato prima o poi si accorgerà di tutta la tua bellezza e non potrà fare a meno di amarti con tutta la passione di cui è capace.

“Mia cara Cristina, è l’amicizia che ti lega a me a farti parlare così. Non li vedi, ovunque vada, i risolini di compatimento, di cui sono oggetto, nel migliore dei casi? Ai ragazzi che incontro per strada, spesso scappa la battuta di scherno sul mio naso, disse Rossana. Cyrano mi parla, come ad una cugina, ad una compagna di giochi d’infanzia, a qualcuno cui si vuol bene, non certo come all’amore di tutta una vita. E’ te che ama, me lo ha confidato, chiedendomi di aiutarlo nel conquistare il tuo cuore. Ne abbiamo già parlato, se anche tu lo ami, non avere alcun rimorso nel ricambiare il suo amore. Hai la mia benedizione”

“ Mai, non farò mai alcun passo per averlo, non voglio vederti soffrire, amica mia, il mio cuore non potrebbe reggere il tuo dolore. Puoi dire a Cyrano che mi hai parlato del suo amore, ma che il mio cuore non si è infiammato, che la mia mente ha ben altri progetti. Chi è Cyrano? Un giovane e prestante spadaccino, tutto muscoli e fascino, ma dopo averci fatto l’amore, di cosa parliamo? Non sa nulla di letteratura, arte, di politica”.

“ Cristina, non te lo ancora detto, ma Cyrano vuole parlarti, ti chiede un appuntamento, per dichiararti il suo amore. Cosa devo rispondergli? Credo che tu debba almeno ascoltarlo”.

“ Forse dovrei, ma temo di non riuscire ad opporgli un rifiuto. Non voglio nemmeno rischiare di ferirti, come sai, non mi è indifferente” Potrei scrivergli, in una lettera forse è più facile mentire. Perché non mi aiuti a scriverla?”

“ Credo che sia una buona idea, mettiamoci all’opera”

Una nuova serie di consigli per gli acquisti, interruppe il dialogo tra Cristina e Rossana. Al rientro in studio le telecamere tornarono ad inquadrare le due amiche. Entrambe erano vestite di nero. Rossana era in lacrime, l’amica cercava di consolarla.

“ Oggi è un anno che Cyrano è morto da eroe in battaglia. E’ stato il fato a decidere, visto che noi non riuscivamo a farlo. Non ti penti, amore mio, di aver rifiutato il suo amore? Avresti potuto addolcire i suoi ultimi giorni, regalargli attimi di felicità prima della morte, disse Rossana, abbracciando forte Cristina.”

“ Sento la sua mancanza, sono stravolta dal dolore, ma non quanto te. E’ consolante poterlo piangere insieme, disse Cristina, accarezzando Rossana, prima di darle un tenero bacio sulle labbra. Ciò che è successo ci ha unite di più, possiamo piangere insieme Cyrano, amore mio, come due vedove dello stesso uomo. Nel mio cuore c’è posto solo per lui e per te”

“ Non so Cristina, se ciò che provo per te è amore, non è, almeno, come ciò che provavo e ancora provo per Cyrano. E’ bello, però, avere qualcuno da abbracciare, di cui occuparsi, con cui condividere le tante pene e le poche gioie di questi giorni difficili. Questo naso mi ha negato i piaceri d’alcova con gli uomini, ma non con te. Non mi vergogno di ciò che c’è tra noi, mi rendo conto, però, che stiamo camminando sull’orlo di un burrone e di quanto poco possa bastare per cadere nel precipizio”

“ Non temere, Rossana, non sei mai stata la mia carta di riserva, se ho rinunciato a Cyrano, era perché amavo te e non lui. Il tuo naso? Prova a riflettere: se sei una donna così sensibile, colta e intelligente, non è forse per quello che tu ti ostini a ritenere un difetto? Se il tuo naso fosse stato perfetto, non saresti stata più superficiale, leggera, incline a farti corteggiare dagli uomini, una tra tante? Guardati: sei una scrittrice, le tue poesie, le tue commedie, commuovono e fanno sorridere, il tuo non è il nome di una sconosciuta. Ringrazialo il tuo naso, perché ti rende unica”.

“ Preferirei essere bella. Questo naso mi rende unica? E’ vero, ma mi allontana da ciò che voglio: un po’ di normalità, una famiglia, dei figli, l’amore di un uomo, dell’unico uomo che ho amato e che non potrà più essere mio. Ciascuno desidera forse solo ciò che non ha: a me potrebbe bastare essere una tra tante”.

La fine della commedia fu accolta dal silenzio del pubblico: nessuno applaudì, Sofia sbiancò in volto. Per gli spettatori in studio e a casa un uomo brutto ma geniale muove a commozione, una donna poco attraente suscita solo ilarità. Alan Smith s'infuriò minacciando le dimissioni, per calmarlo, Sofia Vassilieva fu costretta a mostrarle la coccinella.



I giornali del giorno dopo lodarono la saggezza degli spettatori, ma stroncarono il programma: la farfallina, scrissero, è meglio della coccinella. 



L’amore al tempo dello zar





In un lungo e morbido abito da sera nero, con la coccinella in bella vista per insinuare pensieri impuri nella mente degli spettatori di entrambi i sessi, grazie a profondi e sensuali spacchi, la bionda Sofia Vassilieva, entrò ancheggiando nello studio tenendosi per mano con Alan Smith, con cui condivideva la conduzione della trasmissione “ Quattro passi nella storia” e molto altro. Ebbe inizio così l’ultima puntata del programma. 



Annunciate dalla viva voce di Alan “Le nudità danzanti”, il corpo di ballo di punta del momento, si esibirono, su coreografia di Sofia, in un balletto dal titolo “ Dopo veniamo da voi per un’offerta, siate generosi!” Toccò alla Vassilieva comunicare l’opera letteraria su cui s’incentrava la trasmissione: " Anna Karenina" di Lev Tolstoj. 



Alan Smith riassunse per sommi capi la trama del romanzo per i telespettatori che ancora non la conoscevano. 

Anna, moglie del conte Karenin, conobbe alla stazione di Mosca, in circostanze rese drammatiche dalla morte accidentale di un operaio finito sotto a un treno, l’ufficiale dell’esercito Aleksej Wronskij, lo stesso che la sorella Kitty sognava di sposare. Lusingata dal corteggiamento dell’ufficiale Anna si abbandonò a una relazione appassionata: presto incinta di Wronskij, chiese al marito il divorzio, ottenendone un netto rifiuto.

Karenin le impedì di vedere il figlio, accrescendone le frustrazioni: quando le complicazioni per il parto misero la vita di Anna in pericolo, però, il marito sembrò ravvedersi, Wronskij, disperato, tentò il suicidio. Karenin, influenzato dalla contessa Ivanovna, ritornò  sulla sua decisione, dopo che la moglie si fu rimessa  in salute e si oppose nuovamente al divorzio: la relazione tra Anna e Wronskij, intanto cominciò a scricchiolare, per le ostilità ambientali e per la gelosia sempre più insistente di lei. Confusa e disperata, Anna  si tolse la vita alla stazione di Mosca, gettandosi sotto un treno: l’amore tra lei e Wronskij, sbocciato in circostanze simili nello stesso luogo, finì nel modo più drammatico.

Sofia scossa dai singhiozzi cominciò a recitare inginocchiata la scena del suicidio in russo: nella sua patria, si era laureata col massimo dei voti in Letteratura e aveva scritto la tesi, proprio su Anna Karenina.

La regia inquadrò subito la coccinella: così per alleggerire la tensione, poi, fu Alan a sbrogliare la matassa traducendo dal russo all’italiano il testo recitato.

Il pubblico trattenne il fiato, Sofia non resse alla tensione e abbracciò lo studioso britannico declamando in russo “ Aleksej ya tybyà luyblyu”. Poi lo baciò.

Dal pubblico partì una standing ovation, il lungo applauso, però, fu interrotto dalla regia per lanciare i consigli per gli acquisti.

La trasmissione riprese con una nuova esibizione delle "Nudità danzanti" dal titolo “Non applauditeci soltanto, ma invitateci a cena, inviate un bonifico al conto corrente che sta scorrendo sul vostro teleschermo”. Un nuovo rapper deliziò subito dopo i telespettatori col brano “Se mangio la scheda elettorale è per fame, non per protesta”, un cantante neomelodico intenerì il pubblico con la canzone “Concetta, ma quando me la dai?”. 

Sofia Vassilieva, ritornata in sé, nel suo italiano balbettante, parlò al pubblico dell’amore per la letteratura della sua terra, della scoperta fatta, quando stava scrivendo la tesi di laurea, di un manoscritto di Tolstoj successivo alla data di pubblicazione del romanzo che presentava una diversa lettura della storia di Anna Karenina. Insieme ad Alan, proseguì, abbiamo chiesto alla compagnia teatrale “  Pescatori di frodo in abito da sera" di farne un sunto per voi, dopo i consigli per gli acquisti.

Gli spettatori in studio riconobbero subito Anna e il conte Wronskij che seduti su un divano conversavano in modo animato.

" Non ne posso più dei tuoi tradimenti, disse Anna, ogni giorno hai addosso un profumo diverso, quello di un'altra amante o di una delle prostitute pagate da tua madre. Perchè sei qui? Per dovere? Certo non mi ami, non mi hai amato".

" Sono io a non poterne più della tua gelosia, ormai non ti accontenti di una scenata al giorno, la tua è diventata un'ossessione. Sei l'unica donna della mia vita, lo sai. Le prostitute? Non sono io ad andarci. È vero che mia madre me ne manda a casa almeno una al giorno, ma le cedo ai miei amici. C'è sempre qualcuno disposto a sostituirmi, in questa incombenza. Te lo ripeto, sei l'unica donna con cui faccio l'amore e se tu la smettessi di cambiare profumo tutti i giorni, forse, non avresti dubbi su ciò che dico".

" Perchè vuoi farmi passare per pazza? Posso farti un elenco di tutte le tue amanti, prostitute escluse. Eccolo! Ne ho trascritto i nomi, vuoi dargli un'occhiata? Forse è incompleto, magari me n'è sfuggita qualcuna".

" Tutto falso. Non nego che qualcuna di queste donne sia stata mia amante, ma prima di conoscerti. Le prove? Quali prove hai a sostegno delle tue tesi? I pettegolezzi dei salotti? Le confidenze delle amiche? O quelle di tua sorella? Dimmi quali sono le tue fonti?"

" Non posso rivelare le mie fonti, ma mi fido di chi mi ha fatto queste confidenze. Perché non parliamo di tua madre e del suo odio nei miei confronti? Le ha provate tutte per separarci, ha fatto tutto ciò che poteva per impedire il divorzio dal conte Karenin. E tu che hai fatto, non dico per impedirglielo, ma almeno per farle pagare le malefatte nei miei confronti? Nulla. Non sei nemmeno capace di sbattere fuori di casa, le prostitute che, pagate da lei, ogni giorno suonano alla tua porta. Le cedi agli amici? Tutte? Non ti credo".

" È sempre mia madre e senza il suo denaro non posso mantenere un certo tenore di vita. Devo sopportare le sue malefatte cercando di limitare i danni. Sinora ci sono riuscito ed è quello che conta".

" Ho capito, toccherà a me risolvere il problema una volta per tutte, sino a quando lei s'intrometterà nelle nostre vite non avremo pace".

Gli spot pubblicitari misero fine al dialogo tra Anna e il Conte Wronskij, alla ripresa della trasmissione toccò a Sofia presentare l'ultima fatica delle " Nudità danzanti": un balletto dal titolo

" È ufficiale: da domani saremo disoccupate". I versi declamati da Alan Smith fecero venire i lucciconi agli occhi alla bella conduttrice: " Coccinella mi porti fortuna/ quando ti guardo mi sento sulla luna/ coccinella sono ubriaco dei tuoi baci in camerino/ le tue parole mi accendono come un cerino. Coccinella, ma quanto sei bella"!

Il conte Wroskij e Anna Karenina erano seduti di fronte, divisi da delle sbarre, quello del parlatorio di una prigione. La conversazione era meno animata della precedente, gli spettatori stentavano a capire la situazione. Aleksej era in divisa militare, Anna, invece, indossava gli abiti di una prigioniera.



" Stai bene?" Aleksej fu il primo a rompere il silenzio. 

" Si, me la cavo" fu la risposta di Anna. 

" Hai parlato con Kitty, tua sorella?"

" Si, so tutto, sono contento che la sposi e che sia lei a crescere nostro figlio, visto che dovrò restare a vita, dietro queste sbarre"



" Perché non hai avuto fiducia in me? Mia madre, tramava contro di te, ma prima o poi si sarebbe dovuta arrendere. Così hai rovinato tutto".



" Lo so, quando ho accettato d’incontrarla non avevo certo intenzione di ucciderla. Volevo solo chiederle di lasciarci in pace, di non mettersi di traverso sulla strada del nostro amore. Quando mi ha riso in faccia dicendomi che lo avrebbe fatto solo il giorno in cui sarei scomparsa definitivamente dalla tua vita, non ci ho visto più. Era stata tua madre, in partenza per chissà dove, a darmi appuntamento al primo binario della stazione: diciamo che ha avuto il torto di schernirmi al momento sbagliato, quando era in arrivo il treno. E' stato il raptus di un attimo: non si sarà accorta nemmeno di ciò che stava accadendo, la mia spinta l'ha

fatta finire sotto le rotaie del treno. Non mi pento di ciò che ho fatto, mi dispiace soltanto per le conseguenze del mio gesto".



" Ricordi amore mio? Ci siamo conosciuti proprio alla stazione, al primo binario, a causa della morte accidentale di un operaio, finito sotto a un treno. A volte il destino è proprio strano: in quel luogo, il nostro amore è iniziato e finito. Le proverò tutte per farti uscire di prigione, appena possibile chiederò la grazia allo zar, non mi arrenderò mai. Cerca di resistere, non fare colpi di testa, non voglio perdere dopo mia madre anche te".



"Aspetterò, Aleksej, se tu vieni a trovarmi, se posso continuare a vederti, resisterò ad ogni umiliazione. La prigione è dura, ma puoi rendermela sopportabile. Il mio destino è nelle tue mani. Ricordo il primo nostro incontro e gli altri che sono seguiti. Pensarmi tra le tue braccia mi aiuta a vivere, anche in una minuscola e maleodorante cella di prigione. Fare di nuovo l'amore con te, è ciò che maggiormente desidero e tra le poche cose che ancora mi tiene in vita".



“ Ora devo andare, concluse Aleksej, tornerò a trovarti presto, ogni volta che potrò. Ricorda che ti amo, che sei la sola donna che conta davvero per me”.



“ Ti amo anch’io” furono le ultime parola di Anna, prima di avviarsi verso la sua cella.



Sofia e Alan tornarono in studio mano nella mano, tra le ovazioni del pubblico ancora commosso per la tragedia di Anna e Aleksej.

“ Baciò, bacio” scandiva il pubblico in piedi. Lo accontentarono volentieri dopo i ringraziamenti di rito ai telespettatori e allo staff della trasmissione. Annunciarono una nuova serie del programma per l’anno successivo, prima di congedarsi.



Giornali e siti on line approvarono: “ Quattro passi nella storia”, scrissero, ha chiuso col botto. Ci mancherà.









 

*

Il caro estinto è ancora in vita



-E ora che facciamo?- dissi guardando in faccia Rosario e Concetta i miei due fratelli. La domanda sembrò restare sospesa in quella stanza da letto dove appena pochi minuti prima avevamo trovato il corpo esanime di nostro padre. Il dolore c’impediva di fare il punto della situazione, eppure dovevamo liberarci da ogni scoria emotiva, per capire il da farsi. Ci volle qualche istante per ottenere una risposta alla domanda; Rosario replicò con un’altra interrogazione. -E se non ne denunciassimo la morte all’INPS? Potremmo continuare a riscuotere la pensione, la nostra unica fonte di reddito, per qualche mese, giusto il tempo di trovare un lavoro.-

-Non credo sia una buona idea, una volta scoperti dovremmo restituire l’intero importo riscosso e ci troveremmo sul capo un’accusa di truffa. Ormai i database dei comuni sono incrociati con quelli dell’Inps, non c’è alcuna possibilità di farla franca.-

-Forse, insistette Rosario, potremmo non denunciare la morte di papà-
-E dove lo teniamo, replicò Concetta, sotto il letto o lo sotterriamo in cortile?-
-Lo portiamo di notte al cimitero, disse Rosario, la lapide c’è già, il posto è assegnato, papà ha finito di pagarlo da poco. Basta acquistare una bara e interrarvelo, quando non c’è nessuno-.
-Come facciamo ad entrare? Non possiamo mica scavalcare i cancelli con una bara al seguito?- mi limitai ad osservare.
-Che ci vuole ad aprire un catenaccio? Non è che il cimitero sia all’avanguardia per dispositivi antifurto. Credo che non ci sia più nemmeno il custode, ma solo una ronda che controlla dall’esterno ogni due ore se tutto sia a posto.- ci rassicurò Rosario.
-Organizziamoci: domani vado a comprare la bara, la meno costosa, ovviamente, tanto non la deve vedere nessuno. Tu Rosario, invece, informati sulla ronda: quante volte passa e a che ora. Concetta, invece, tu devi solo tenere la bocca chiuse con le amiche, è solo quello che ti chiediamo. Ora è tardi, andiamo a letto e proviamo a dormire, domani dobbiamo essere in forma.

“L’oasi dell’eterno riposo” era l’unica impresa di pompe funebri di Carlentini, un paese di circa diciottomila anime in provincia di Siracusa. Negli ampi locali del negozio c’era un notevole assortimento d’articoli: feretri di tutte le misure e i colori, ma rigorosamente in legno. Mi toccò deludere il commesso: -Non mi è morto alcun parente, dissi, ma il mio anziano padre vuole lo stesso acquistare subito la sua bara, ne avete in pronta consegna?-
-Deve solo scegliere, rispose il mio interlocutore, se lo desidera la nostra agenzia può consegnarvela entro un paio d’ore, direttamente a casa-
-Non si preoccupi, provvederò io stesso a trasportarla a casa. Se mio padre non mi vede tornare con il feretro, non mi fa nemmeno entrare.-

Scelsi come previsto la bara più economica, la caricai nel bagagliaio della macchina e cercando di non dare nell’occhio, la portai a casa.

Tutto filò liscio quella notte: mettemmo a papà il vestito migliore, prima d’adagiarlo nella bara e di caricarlo in macchina. Sulla strada verso il cimitero non incontrammo anima viva, alle due di notte, del resto, da queste parti, stanno tutti a dormire. Rosario dimostrò doti da scassinatore provetto: aprì in un attimo il lucchetto del cancello. Entrammo nel cimitero con l’auto: la bara, però, restò nel bagagliaio sino a quando non finimmo di scavare nel terreno la buca che doveva contenerla. Mancava solo l’iscrizione e la foto: tutto il resto era a posto.

Sei mesi dopo, in una calda serata d’estate, un caro amico d’infanzia venne a trovarci, accompagnato dalla bellissima moglie, una bionda da svenimento. Li invitammo a prendere la granita sul terrazzo di casa, l’aria condizionata era un lusso che non potevamo permetterci. Non era cambiato molto da quella notte d’inverno in cui avevamo tumulato di nascosto le spoglie mortali di nostro padre: non avevamo trovato un lavoro, la pensione del caro estinto era ancora la nostra unica fonte di sopravvivenza.

-Gaetano, ho qualcosa di delicato da chiederti, non c’è un posto dove possiamo parlare a quattrocchi? Lasciamo che mia moglie e Concetta proseguano nelle loro confidenze da donne.-
-Certo,Roberto, andiamo a parlare in salotto- risposi tutto di un fiato.

-Mia madre è morta qualche ora fa- sussurrò Roberto con un filo di voce.
-Condoglianze vivissime, amico mio, come posso esserti utile?-
-Ecco, è una faccenda delicata. Non vorrei che si sapesse in giro che è passata ad altra vita, mi capisci, per ragioni economiche. Ha lasciato tutti i suoi averi alla Chiesa, compresa la casa dove abitiamo, se aprono il testamento, siamo rovinati. So che tu puoi capirmi meglio di chiunque- disse strizzandomi l’occhio.
-Ma Concetta non riesce proprio a tenere la bocca chiusa? Scommetto che è stata lei a informarvi di ciò che è successo alcuni mesi fa a nostro padre.
-Non prendertela, il vostro segreto è in buone mani. Ora però ho bisogno del tuo aiuto. Ovviamente sono disposto a pagarlo per ciò che merita.
-Devo parlarne con Rosario. Tra qualche ora ti faccio sapere cosa abbiamo deciso.

Non avevamo scelta: l’indomani ci toccò replicare la visita notturna al cimitero con tanto di feretro, vanga e cuore in gola, per paura di essere scoperti.

Concetta doveva aver sparso la voce, perché ogni decina di giorni circa c’era chi bussava alla porta, per chiedere il nostro aiuto: ormai stava quasi diventando un lavoro ben retribuito. A Carlentini, ormai, morivano solo giovani: i pensionati, avevano scoperto l’acqua dell’eterna giovinezza o almeno erano i loro parenti a trarne profitto. Le sorprese, però, non erano finite.

Un giorno di fine autunno suonò alla porta il comandante della stazione dei Carabinieri: pensai subito che avesse scoperto tutto, che stesse per arrestarmi. Invece, con mia somma sorpresa, chiese solo di parlarmi: non ci crederete, aveva avuto anch’egli un lutto recente e non voleva denunciarlo. Per ragioni personali, si giustificò: in paese giravano strane voci sulle nostre abitudini, mi disse, non voleva essere costretto ad approfondirle con un’indagine.

-Cosa dice comandante, un accordo tra gentiluomini, si trova sempre: in fondo che stiamo facendo di male? Segua le mie istruzioni e tutto filerà liscio come l’olio.-

Fu la prima volta che entrammo al cimitero con la scorta: due carabinieri ebbero dal loro comandante l’ordine di tenere d’occhio i cancelli. Non ce ne sarebbe stato bisogno, ma quello fu il primo caso che durante la cerimonia… d’interramento, il cuore non mi batteva all’impazzata.

La nostra carriera di becchini in incognito, però, non era ancora arrivata al culmine: forse è il bisogno a renderci furbi, o forse è questo il dna del nostro paese. Fatto sta che qualche mese dopo ricevetti la visita del consiglio comunale quasi al completo. Mancava solo il Sindaco, solo perché doveva essere tumulato in incognito.

I consiglieri di maggioranza e di opposizione provarono a spiegare le ragioni della loro richiesta: con la morte del sindaco il nostro comune sarebbe stato commissariato sino alle elezioni, certe magagne commesse dalle precedenti amministrazioni sarebbero state scoperte. Questa soluzione non conveniva a nessuno: meglio rivelare che il sindaco è malato, che si sta curando in un Ospedale del nord. In questo caso il vice sindaco può sostituirlo in tutto: basta tenere segreta la notizia per otto mesi, poi con le prossime elezioni, si può mettere tutto a posto.

Il disturbo, mi proposero, sarebbe stato ricompensato con un contratto di lavoro a tempo indeterminato come custode del cimitero, ruolo ancora vacante nella pianta organica del comune, oltre che con un compenso di duemila euro. Una stretta di mano sigillò l’accordo: stavolta per la tumulazione in incognito del caro Sindaco, c’era l’intera giunta comunale al completo, compresa la Banda del paese.

Mancava la sorpresa più grande, ma sarebbe giunta da lì a poco. Non tutti erano contenti di quell’andazzo di cose: l’agenzia di pompe funebri non aveva avuto un calo del fatturato. C’erano meno morti dichiarati, ma la vendita di bare non aveva avuto alcuna riduzione. Diverso era invece il caso dei parroci: loro avevano dovuto rinunciare a buona parte dei loro introiti e decisero di passare al contrattacco.

Vennero a trovarmi sul posto di lavoro: era il luogo giusto per discutere di feretri, cari estinti, funerali, mancati introiti. Come tutti sapevano ciò che era successo, ma non accettavano che fossero loro a pagare il conto per tutti. Mi presentarono le loro richieste: chiedevano cento euro ai parenti dei defunti tumulati in incognito, in caso contrario avrebbero denunciato tutto all’autorità giudiziaria. Furono i consiglieri comunali ad incaricarsi della trattativa: l’accordo fu trovato in fretta, per ogni mancato funerale, ai parroci sarebbe spettato un rimborso di settantacinque euro.

Provate a immaginare la scena: un funerale in pompa magna a mezzanotte, con il parroco che dice messa, il vice sindaco con la fascia tricolore, la banda del paese che suona, una lunga processione di parenti. Tutto in incognito: il caro estinto è vivo, ma solo per l’anagrafe, per l’Inps, per tutte le forme di assistenza e sicurezza sociale previste per gli anziani e gli indigenti.

*

Caro amico mi scrivo


La firma in calce a questa lettera è la tua, o quella che sarà la tua tra cinquant’anni. Ti scrivo dal futuro: non è uno scherzo, ma la realtà. La data di questa mail è due ottobre 2064, ho da poco compiuto settantaquattro anni, è indirizzata a me stesso quando avevo, appena vent’anni. Posso scrivermi dal futuro grazie ad una recente scoperta scientifica che ci consente, almeno per la trasmissione di documenti elettronici, di abbattere le barriere del tempo. Credo che in molti, in questo istante, stanno facendo il mio stesso tentativo: spiegare il futuro per vedere se è possibile cambiarlo.

La popolazione mondiale sta per raggiungere ormai gli undici miliardi, le risorse del pianeta non bastano per tutti; è un fatto che incide sulla vita quotidiana. L’energia è razionata: possiamo utilizzarne la metà di quanto ne avevamo a disposizione all’inizio del secolo. Possiamo usare l’auto solo a giorni alterni, abbiamo dei tetti per l’acquisto di generi alimentari: non possiamo comprare più pane, pasta, carne, di quanto previsto dalla nostra card dietetica giornaliera. Abbiamo delle tessere elettroniche che controllano tutto, anche la vita privata, è sottoposta a verifiche invasive. Per motivi fiscali, ma non solo.

Qualche anno fa è andato in pensione l’ultimo lavoratore con un contratto a tempo indeterminato; è stato sulle pagine di tutti i quotidiani, il governo ha indetto una giornata di festa nazionale per l’occasione. Il contratto di lavoro più lungo è trimestrale: c’è un’agenzia statale, però, che monitora le necessità delle imprese e si occupa di farci trovare subito un’altra occupazione.
Assorbe ormai il dieci per cento della forza lavoro e ha costi spaventosi, ma la disoccupazione non esiste più.

Si va in pensione a settantacinque anni, dato che l’aspettativa di vita ormai ha superato i cento anni. C’è un tetto di venticinque anni anche per il pagamento dell’assegno pensionistico: chi supera il secolo di vita, se non ha un altro reddito, o una famiglia in grado di mantenerlo sino alla fine dei propri giorni, può scegliere di ricorrere all’eutanasia assistita. Neppure la Chiesa ormai si oppone a questa pratica molto comune.

La giornata lavorativa è di dieci ore o più esattamente di otto più due: otto di lavoro e due di studio. Cosa studiamo? Ci aggiorniamo sulle novità tecnologiche, apprendiamo nuovi mestieri per essere pronti, alla scadenza del contratto, ad essere subito produttivi, in un’altra azienda. Il tempo libero è un lusso che non possiamo permetterci: è razionato anche quello.

C’è una card anche per l’amore: in essa sono memorizzati gli appuntamenti scelti dall’agenzia governativa specializzata per farci conoscere l’anima gemella. Funziona così: chi è single è obbligato a compilare un questionario con l’indicazione delle proprie preferenze. Sesso, età, caratteristiche fisiche e caratteriali della persona cercata: un algoritmo provvede a trovare le affinità elettive, i desideri incrociati, le persone le cui preferenze combaciano alla perfezione. C’è l’obbligo d’incontrarsi e di tenersi in contatto almeno per un mese e di fare sesso: se dopo questo periodo la scintilla non scatta, il grande fratello, si metterà alla ricerca di un nuovo partner ideale.

Il matrimonio è stato abolito, sostituito da contratti di cinque anni: alla scadenza si può decidere di rinnovarlo o di separarsi. La Chiesa come l’ha presa? Ha strepitato per un po’ ma poi ha fiutato l’affare e ha concesso il proprio benestare. Da quando ha avuto l’esclusiva delle unioni temporanee, attraverso un’asta pubblica, nuota nell’oro.

La pressione fiscale è arrivata al settanta per cento: il restante trenta per cento, però, grazie alle restrizioni sull’acquisto di generi alimentari, di carburante, di vestiti, basta a sbarcare con dignità il lunario. La moneta è elettronica, il contante è stato abolito già da una ventina d’anni. Il risparmio è razionato: non può superare, per legge il dieci per cento del reddito. Il surplus o è reinvestito o viene trasformato in titoli del debito pubblico a lunga scadenza.

Il Grande fratello controlla tutto: ci sono telecamere in ogni angolo di strada, in tutte le abitazioni. Gli unici luoghi dove è concesso di tenerle spente sono la camera da letto ed i bagni. La privacy è inesistente: ogni discussione è intercettata dai potenti algoritmi dei servizi d’intelligence, la posta elettronica è sotto sorveglianza. Forse il prezzo pagato per sconfiggere la criminalità, per ridurre al minimo i reati è troppo elevato. Le pene per chi spegne le telecamere o i microfoni sono severissime e immediate. Le prigioni non sono piene di ladri e assassini, ma di fanatici della privacy.

Ribellarsi è impossibile: la democrazia rappresentativa non esiste più. Niente elezioni, parlamento, partiti: spazzati via dagli eccessi di corruzione e dall’avvento della società tecnologica. Le decisioni sono prese a maggioranza con referendum on line: chiunque può avanzare una proposta, ed esporla nella bacheca delle leggi da approvare. C’è un mese di tempo per leggerle, discuterle e metterle ai voti. Sono talmente tante, però, che fatalmente non possono essere approfondite dalla maggioranza della popolazione. Spesso vengono votate al buio, senza avere alcun’idea di che cosa significhino: le leggi in vigore, però, non possono essere abrogate prima di due anni di attuazione.

Assemblee e riunioni sono consentite solo attraverso il web, per evitare disturbi alla quiete pubblica: in realtà, ormai, sono una rarità anche in questa forma. La democrazia è diventata un votificio, almeno un’ora della giornata è dedicata all’approvazione o meno delle proposte di legge: non c’è tempo per discussioni di altro tipo.

Niente democrazia, energia e cibo razionati, pensione a scadenza fissa, dieci ore al giorno da dedicare al lavoro e allo studio, vita privata invasa dallo Stato, matrimoni a tempo determinato, relazioni sentimentali obbligatorie almeno per un certo periodo, la galera in caso di ribellione: è questo il futuro che immaginavamo da giovani, quando il web era solo un’occasione di conoscenza, di socializzazione, di svago?

Non credo, a cambiare rotta si è ancora in tempo: sono ancora in tempo nel 2013, se do retta all’esperienza dei miei prossimi cinquant’anni.

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I nuovi mestieri: il commentatore

Mi presento: sono un commentatore. Non è un refuso, di mestiere faccio proprio il commentatore. Non il recensore di un romanzo, di un opera teatrale, di un disco, ma semplicemente incenso o stronco a richiesta una poesia, un racconto, qualunque cosa pubblicata in un sito per aspiranti autori. Che ci guadagno, come campo? Siete proprio degli ingenui, non sapete nulla di come va il mondo nell'era del web 2.0. Vi spiego come funziona: m'iscrivo a un sito web e pubblico un testo. Pensate che sono anch'io un autore in cerca di gloria? Nulla di tutto questo: ciò che pubblico non è farina del mio sacco. Qualche tempo fa ho comprato all'ingrosso da un autore che aveva intenzione di appendere la penna al chiodo, un po' di materiale, un tanto al chilo, senza andare troppo per il sottile. Poesie, commedie, racconti osceni, storie di vampiri e troie arrapate; insomma il genere che va di moda. Dunque m'iscrivo e pubblico qualcosa: ci sono siti in cui per commentare, basta l'iscrizione, altri in cui bisogna raggiungere un certo numero di pubblicazioni. Monitoro la situazione per qualche giorno; leggo tutto, verifico il numero di letture e commenti raggiunti da ogni autore. Scelgo i più scarsi, quelli che hanno bisogno di un incoraggiamento, che scrivono come cinesi al momento dell'arrivo nel nostro paese: in caratteri ideografici. Scelta la preda la contatto con un messaggio privato e avanzo la mia proposta: mezzo euro per tre commenti e una ventina di letture in più. In realtà in ogni sito ho una decina di nickname fantasiosi, anche quelli acquistati all'ingrosso e a rate dagli eredi di un commentatore defunto: potrei vendere più commenti ed assicurare un maggior numero di letture, ma se poi l'autore, una volta raggiunto la testa della classifica, pensa che sia tutto merito suo e mi licenzia, che faccio? Meglio lasciarlo a bagnomaria, nella terra di mezzo della gloria letteraria. Il lavoro non mi manca, anzi a dire il vero ne ho sin sopra i capelli: quello che mi distrugge è l'ansia di certi autori! Pretendono il commento in tempo reale e non badano a spese: per i commenti postati oltre la mezzanotte ho dovuto alzare la tariffa del 50% per scoraggiarli, ma senza grandi risultati. Se la redazione di un sito pubblica un mio cliente di notte, mi tocca alzarmi e intervenire d'urgenza! Come faccio a saperlo? Semplice è l'autore in persona ad informarmi con tre squilli al cellulare. Ci sono notti in cui per dormire un po' in pace sono costretto a spegnerlo e ad inventare, il giorno dopo, ogni genere di scuse, per essere pagato. Mi fanno imbestialire quelli che hanno la vena creativa dopo essere tornati dalla discoteca o che per avere uno straccio d'idea hanno bisogno di un rapporto sadomaso: dico io, visto la qualità dei loro lavori cosa cambia, se pubblicano alle dieci del mattino? Qualcuno deve avere sparso la voce, perché a volte mi contattano anche degli autori di valore per avere un piccolo aiutino, per qualche lettura e commento in più della concorrenza. Chiedono uno sconto e in genere li accontento, anche se a volte per commentarli sono costretto a consultare il dizionario, in cerca di termini più raffinati e incomprensibili. Non sopporto i dilettanti: guadagnerei molto di più senza tutti quei commenti interessati, quegli scambi di "amorosi sensi" tra autori. Io ti commento se lo fai anche tu: che bisogno c'è? Basto io per tutti, in cambio di un compenso da...caffè ristretto! La pacchia però è finita: siamo sempre di più a fare questo lavoro e le tariffe sono in calo. Ci sono extracomunitari che per venti centesimi assicurano cinque commenti e una cinquantina di letture. Alcuni propongono tariffe dimezzate, da dieci centesimi per commenti in lingua originale: se vi capita, in un sito letterario di vedere una poesia napoletana commentata in bulgaro, già sapete che è un commento comprato. Sta diventando una moda: certi autori pretendono commenti in tre lingue diverse, per dimostrare la loro internazionalità. Tra breve mi toccherà appaltare il lavoro agli extracomunitari per accontentarli. Vi racconto la mia ultima trovata, per incrementare gli affari. Scelgo nickname di autori famosi, ad esempio Montale, Neruda, la Dickinson, Dylan Tomas e commento le poesie dei miei clienti con i loro versi. Fa sempre un certo effetto leggere il proprio nome accostato a dei veri maestri! Scelgo i versi a caso: tanto ormai si è sparsa la voce e leggono solo i commenti. L'autore non lo degnano di uno sguardo. Ecco come mi difendo dalla crisi e amplio la mia clientela. In realtà mi piacerebbe avere anche qualche piccolo attestato. L'altro ieri ho spedito una mail a tutti i siti di scrittura dove commento: ho presentato il mio lavoro e chiesto l'indizione di un concorso per commentatori. Forse è troppo, ma magari una giuria può scegliere il commentatore del giorno, della settimana o del mese. Anch'io, come gli autori miei clienti, ho diritto ogni tanto a una vetrina: una foto in prima pagina è un'emozione che non mi dispiacerebbe provare. Il lavoro rende: devo, però, anche pensare al futuro. Non posso fare il commentatore a vita, devo trovare qualcosa che mi assicuri una vecchiaia serena, una pensione dignitosa. Sono andato alla C.G.I.L. per raccontare del mio lavoro: ho fatto la figura dell'extraterrestre, non pensavano che ci fosse qualcuno al mondo che campa così. Hanno preso la cosa sul serio e svolto un'indagine segreta: in tutto il paese, ci sono solo un centinaio di persone che fanno questo lavoro. Troppo poche per aprire una vertenza nazionale per la tutela dei lavoratori del commento! Non ho altra scelta per ora, almeno sin quando non mi viene in mente qualche idea migliore, mi spettano altre notte insonni al servizio di autori ispirati da rospi, rane, principesse, politici e commendatori. Con la "D", almeno per questa volta!

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Maghi, sensitivi, cartomanti: il futuro è in linea

Vagavo per la città senza una meta: il colore uggioso del cielo era anche quello del mio umore. Non avevo più un lavoro già da qualche giorno: la ditta cui avevo dedicato molti anni della mia vita aveva chiuso i battenti, spazzata via dai venti di crisi che ancora spirano su questa parte del vecchio continente. Con lo sguardo basso e il morale sotto i tacchi non mi accorsi nemmeno di lei: la urtai per sbaglio. La guardai e le chiesi di scusarmi. Era una zingara giovane e bella: forse è per questo o solo per rafforzare le mie scuse, che accettai la proposta di farmi leggere la mano. Le mostrai la sinistra: dopo averla guardata con attenzione per qualche minuto, scosse la testa. "La linea di Saturno mormorò, la linea di Saturno è spezzata. Puoi scordarti il successo, la Dea bendata non ti degna di uno sguardo". Le chiesi delle probabilità di trovare un lavoro, di pagare regolarmente l'affitto della abitazione dove mi ero trasferito dopo la separazione. Le risposte non furono favorevoli. "Ti aspetta una vita grama e dura" mi disse guardandomi diritto negli occhi. Le diedi una moneta da un euro ed affrettai il passo, deciso a tornare a casa, il prima possibile. La prima cosa che feci appena varcato l'uscio della mia abitazione fu accendere il portatile. Il colloquio con la zingara aveva accresciuto il bisogno di conoscere il futuro; mi misi a cercare tra siti di cartomanti, divinatori e sensitivi, chi poteva darmi qualche speranza. Una stanza in penombra, il profumo d'incenso nell'aria, un'atmosfera intrisa di magia e mistero; la "Maga dei sogni realizzati" mi accolse con un largo sorriso, dopo aver contato i soldi pattuiti per l'onorario, al momento dell'appuntamento. Mi lasciò parlare. Aveva un sorriso rassicurante, il volto materno di una donna che dedicava il tempo libero alla cura dei nipotini. Le raccontai del lavoro perso, della separazione da mia moglie, di quanto mi mancassero i miei figli. Mi sorrise senza battere ciglio; mischiò le carte e mi chiese di alzarle con la mano sinistra. La prima ad uscire fu Il Carro al rovescio, seguita in successione dall'Appeso e dalla Torre. Il responso delle carte era chiaro: il futuro si prospettava difficile. Provò ad utilizzare tecniche differenti per addolcire almeno un po' la pillola, ma con scarsi risultati. La salutai, prima di abbandonare la stanza col morale a terra. Non mi rassegnai: forse un astrologo poteva darmi risposte migliori. Presi appuntamento con un'autorità del campo: la parcella richiesta era da idraulico al lavoro nel giorno di Ferragosto. Uno sproposito! Prima di confermare l'appuntamento per la settimana successiva, mi furono chiesti i dati natali, per stendere il tema radix e preparare i calcoli dei transiti, delle direzioni simboliche e delle rivoluzioni solari necessarie a una seria divinazione del futuro. Rimasi sbalordito: non immaginavo che dietro la stesura di un oroscopo potesse starci tanto lavoro! Attesi con ansia, quindi, il giorno dell'appuntamento.
Il responso degli astri non si discostò molto da quello delle carte; sembrava proprio che Saturno m'avesse preso di mira! Alla nascita dominava l'ascendente; opposto a Venere, era responsabile dei miei problemi affettivi, in aspetto teso col Sole complicava la ricerca di un lavoro sicuro. Meno male che non si è ancora scontrato con Marte: quando succederà, prima o poi, anche la salute potrà risentirne. Nessuna speranza, pur piccola, l'avvenire è tetro, almeno a sentire gli astri. Il disordine del mio appartamento da single non era il massimo per tirarsi su di morale: bastò qualche telefonata, però, per trovare un'amica disposta ad allietare la mia serata, in cambio di un piccolo incentivo...in denaro.
Ripresi a cercare un'occupazione: spedii curriculum ovunque, presi un'infinità d'appuntamenti, feci decine di colloqui di lavoro. Con Saturno contro, però, c'era poco da fare. L'ozio, dice un proverbio, è il padre dei vizi: posso giurare che è vero, dato che spendevo il sussidio di disoccupazione in fumo, alcool e puttane. Un pomeriggio che ero già brillo e vagavo per le strade in cerca di compagnia, mi ritrovai di fronte alla zingara che mi aveva già letto la mano. Mi riconobbe e sorridente mi chiese del lavoro e del resto col suo forte accento dell'Est: le bastò la mia alzata di spalle per capire che le cose non erano cambiate. Fu l'alcol, forse, a rendermi audace o il bisogno di placare la solitudine: fatto sta che l'invitai a cena per quella sera. Fui stupito dal suo assenso immediato: le diedi l'indirizzo del ristorante e le chiesi quello di casa, per passare a prenderla all'ora convenuta. Mi rispose che non era necessario, conosceva dove era situato il locale e non aveva difficoltà a raggiungerlo. Arrivò alle ventuno in punto, mentre ero già seduto al tavolo del ristorante prescelto; non la riconobbi subito. In abito lungo nero firmato Valentino, con i capelli biondi sciolti, il trucco leggero, non assomigliava per nulla alla zingara che leggeva la mano per strada. In realtà, mi rivelò durante la cena, non era una zingara, ma una laureata in lingue disoccupata. L'idea di quello strano lavoro le era venuta dopo l'ennesimo mancato rinnovo di un contratto: grazie a questa trovata, guadagnava parecchio, poteva permettersi un certo tenore di vita e in fondo non faceva nulla d'illegale. Tirai un sospiro di sollievo. Allora, le dissi, la linea di Saturno non c'entra niente, era tutto un trucco! Ho letto qualche libro, disse, ma non sono un'esperta: mi dispiace se le mie parole ti hanno preoccupato. Non fu la nostra unica cena: altre ne seguirono. M'invitò a casa sua qualche sera dopo e facemmo l'amore: qualche mese dopo mi vi trasferii in pianta stabile. La mattina mi alzavo presto con lei: che piacere era guardarla mentre svestiva morbide vesti di seta, per indossare poveri abiti consunti e sgualciti, dalla pioggia e dalle intemperie del tempo. L'accompagnavo al lavoro e ne curavo gli interessi: investivo i suoi risparmi, da manager esperto di trading sapevo come farli fruttare. Ci guadagnavo qualcosa anch'io: forse cartomanti e astrologi avevano sbagliato i conti. Il successo non dipende dalle stelle, ma dal talento, da ciò che si è appreso o si sa fare. La felicità non fu duratura, non bastò essere innamorati, andare d'amore e d'accordo per deviare il corso del fato o del caso, fate voi. Un giorno, un manipolo di naziskin, delle teste rasate del cazzo, la scambiò per una zingara vera: fu picchiata a morte ed infine accoltellata, tra l'indifferenza dei passanti. La ribellione dei benpensanti ci fu, ma solo dopo la scoperta della vera identità: quella di una laureata costretta a fingere di essere una zingara per sopravvivere. Non era il mio Saturno ad essere contro, ma il suo: o almeno il suo a detta degli astrologi consultati era più contro del mio! Qualcosa di lei mi è rimasto: non solo il ricordo di giorni e mesi felici, ma anche il lavoro. Ho letto i libri che aveva a casa, ho appreso l'arte della lettura della mano: la mattina mi travesto da zingara anch'io, un po' per non dimenticarla, un po' perché i soldi ormai scarseggiano. Leggo le mani ai passanti: se qualcuno m'invita a cena però non accetto! È un racconto, non un film o il set di "A qualcuno piace caldo", anche se anche qui, nessuno è perfetto!

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Anna e i suoi amanti

Anna Bolena fu moglie di Enrico VIII tra il 1533 e il 1536 e regina D'Inghilterra; fu causa dello scisma che portò alla rottura con la Chiesa di Roma e alla nascita della confessione Anglicana. Le fonti storiche non sono concordi sulla data di nascita; di sicuro venne al mondo tra il 1501 e il 1507; convengono, invece, su giorno, mese e anno della morte avvenuta per decapitazione il 19 maggio 1536. “Almeno così sembrava sino a qualche tempo fa!” esclamò il conduttore televisivo di una trasmissione di successo; poi fece una pausa, guardò fisso per qualche istante la telecamera che lo inquadrava e continuò il racconto con un tono di voce più sostenuto. “Sino alla pubblicazione di una nuova biografia su Anna Bolena in cui s’ipotizzano scenari di tutt'altro tipo”. “Abbiamo invitato, continuò, l'autore del libro "Mistero alla corte di Enrico VIII: la vera storia di Anna" per esporci le sue teorie. Il regista diede ai cameraman l'ordine d'inquadrare lo scrittore Alan Smith, mentre entrava a passi lenti nello studio e raggiungeva il conduttore tra gli applausi dei figuranti pagati per spellarsi le mani a comando. Statura media, capelli grigi, un cinquantenne in piena forma: così apparve a tutti lo studioso di storia inglese. Il suo racconto era tradotto in simultanea per i telespettatori da una calda voce femminile. Alan prese a raccontare fatti già noti: la tresca di Anna col Re prima del matrimonio, l'incoronazione avvenuta tra le risa di scherno del popolo che parteggiava per Caterina, la Regina detronizzata, la nascita della figlia Elisabetta, futura regnante, gli intrighi di corte che ne determinarono la caduta in disgrazia, il processo e la condanna. A domanda del conduttore, lo studioso rivelò che ad essere decapitata non fu Anna, ma una delle sue cameriere: un carteggio da lui rinvenuto in un vecchio castello abbandonato dimostrava che Anna fu tradotta in catene a Roma e imprigionata nelle carceri Vaticane su ordine di Papa Paolo III. Fonti segrete rintracciate casualmente negli archivi Vaticani dimostravano che non aveva chiuso la sua vita in prigione: era divenuta l'amante di cardinali potenti, l'occulta ispiratrice dei lavori del Concilio di Trento. Non morì di morte naturale ma assassinata da mani ignote in un quartiere malfamato di Roma, dove travestita da uomo, soleva recarsi per soddisfare certi appetiti saffici. Il format della trasmissione prevedeva l'intervento telefonico di persone a conoscenza dei fatti narrati. Nessuno si sorprese dunque quando lo squillo di un telefono interruppe il racconto di Mister Smith. Destò stupore, invece, la declinazione delle generalità dell'ospite telefonico: una voce maschile dichiarò di essere Enrico VIII. Il presentatore eccitato dall'idea di uno scoop clamoroso, di una salita vertiginosa dell'audience, prese a interrogarlo. L'uomo negò vigorosamente ogni carteggio con il Pontefice, qualunque accordo segreto con Roma: Anna, fu la sua conclusione aveva pagato con la morte il suo insaziabile appetito sessuale, rivelò che gli amanti condannati a morte con lei erano solo una piccola parte di quelli effettivi. Condannarli tutti avrebbe significato la certa scomparsa della corte dell'epoca. Si udì il trillo di un altro telefono, il pubblico non pagante ammutolì quando una nuova interlocutrice dichiarò di essere Anna Bolena in persona. Alle domande del conduttore, rispose con tono algido, smentendo punto per punto la ricostruzione del marito e quella dello studioso inglese: era stata decapitata dopo un processo farsa, era morta da innocente, non aveva mai tradito il marito, non era ninfomane, né lesbica. Il format della trasmissione prevedeva che i telespettatori interagissero con il conduttore e gli ospiti, via sms, messaggi sul canale Twitter e Facebook del programma. La rete era in subbuglio, erano già stati battuti tutti i record d'audience della trasmissione. Il ritmo della contesa accelerò quando intervenne il Sommo Pontefice Paolo III per confermare l'accordo con Enrico VIII e la carcerazione a Roma di Anna. Il mistero s'infittì quando la testimonianza del boia rivelò che la decapitazione era stata un trucco da illusionisti, che anche la cameriera di Anna, era sopravvissuta a quel 19 maggio del 1536. Mister Alan Smith appuntava ogni cosa sul suo smartphone, cercando di raccapezzarsi in quel caso che aveva ormai le caratteristiche dell'intrigo internazionale. Tutti smentivano tutto: i cinque condannati alla decapitazione insieme alla Regina, con l'accusa di esserne gli amanti, rivelarono di essere stati scarcerati di nascosto e di aver concluso sotto mentite spoglie la loro esistenza molti anni dopo. A quel tempo non era stata ancora inventata la fotografia, non esistevano telecamere, cellulari e altre diavolerie che potessero consentire l’identificazione certa di una persona. L'interruzione pubblicitaria capitò a fagiolo: in un concitato colloquio tra lo staff della trasmissione fu deciso di chiedere ai telespettatori la soluzione del giallo. Alla ripresa della puntata dopo l'immancabile esibizione di nudità danzanti, il conduttore lesse gli indirizzi di posta elettronica dove i telespettatori potevano inviare la loro soluzione del caso. Una giuria avrebbe premiato la spiegazione più ingegnosa con un televisore in 3d da sessanta pollici. La trasmissione si chiuse con un nulla di fatto: mister Alan Smith fu costretto a rottamare il suo smartphone, usurato dal frenetico utilizzo di quella sera. L'incertezza regnò sino al giovedì successivo, giorno della nuova puntata: la giuria riunita per l'occasione, aveva scelto la migliore spiegazione del mistero tra quelle pervenute. Era stata invitata una compagnia teatrale per sceneggiare il caso, con lo scopo di tenere gli spettatori incollati allo schermo tra un'interruzione pubblicitaria e l'altra. Il racconto iniziava con la lettura della condanna a morte per cospirazione, adulterio e incesto della Regina e dei suoi cinque amanti rei confessi. Nella scena successiva Enrico VIII dopo aver ricevuto l'ambasciatore del Papa, gli consegnava per incarcerarla nelle prigioni papali, la cameriera di Anna travestita da Regina. Gli amanti veri o presunti della sovrana, intanto venivano scarcerati di nascosto, al loro posto furono giustiziati dei contadini scelti tra coloro in ritardo col pagamento delle tasse. Anna diventò l'amante segreta del marito, dopo che sposò in terze nozze Jane Seymour. Ebbe l'onore di cornificare nel corso della restante vita anche le tre mogli successive del sovrano d'Inghilterra. Prima dei titoli di coda arrivarono in contemporanea le conferme dei due amanti: il loro segreto aveva finalmente una vera spiegazione. Alan Smith provvide ad aggiornare il titolo della sua opera: "Anna ed Enrico...storia di una beffa secolare". Lasciò soddisfatto la trasmissione: in fondo i documenti pubblicati sul libro erano veritieri e la sua opera era servita a fare luce sul caso. I giornali, l'indomani, si profusero in elogi sperticati: scrissero della nascita di un nuovo genere. Il melodramma storico.

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Una vincita al lotto

Il dolore si era già placato, quando cominciasti ad abitare i miei sogni: in punta di piedi, con parole carezzevoli, con gli sguardi rassicuranti e delicati che avevano accompagnato tante mie giornate. La tua scomparsa non era recente: l’uscita di strada, causata dall’asfalto bagnato, lo schianto improvviso contro il guardrail in una uggiosa e fredda serata d’inverno. Mi restano impressi nella memoria i rituali che non hai potuto vedere: i rilievi della polizia stradale, quelli del medico legale, la veglia di menti e anime straziate, le parole commoventi del tuo confessore durante la celebrazione dei funerali, il corteo silenzioso che ti accompagna verso l’ultima dimora. Poi giorni, mesi, anni di vuoto, di stanze disabitate dal tuo canto, di letti disfatti e mai riordinati. Il tempo che sfoca i ricordi ha quasi compiuto il miracolo, prima del tuo riapparire in sogno: al risveglio, per prima cosa apro il tablet, per appuntare i ricordi, per annotare i numeri che proprio tu mi hai chiesto di giocare. Il conto in banca è quasi a secco, liquefatto da investimenti sbagliati, spese folli, giustificate solo dal bisogno di rimarginare le ferite dell’anima. Non ho molta dimestichezza con scommesse, lotterie, giochi d’azzardo: chiedo all’addetto della ricevitoria più vicina, di consigliarmi sul modo più conveniente di effettuare la giocata al lotto. Ho l’animo agitato dall’ansia prima dell’estrazione, ma sensazioni positive: se mi hai espressamente chiesto di giocare dei numeri, ci sarà pure una ragione. Non ho vinto, anzi: nessun dei numeri giocati, è stato estratto. Protesto, inveisco contro il tuo inganno, quando mi ricompari in sogno: col sorriso mi racconti una strana storia di raccomandazioni nell’aldilà, di parenti col coltello tra i denti, in lotta per scoprire la prossima combinazione del superenalotto, di angeli che come veri agenti segreti, cercano di depistare, confondere tracce, mandare segnali di fumo. Ti sei fidata di una promessa, sei caduta nel tranello teso alle tue spalle da altre anime. Mi chiedi di giocare di nuovo: i numeri, questa volta sono sicuri, vengono direttamente da una fonte autorevole del paradiso. La delusione è ancora più cocente: un’altra estrazione andata a vuoto. Il tuo imbarazzo è palpabile: nel visitarmi di notte, non riesci nemmeno ad alzare gli occhi per guardarmi. T’arrampichi sugli specchi, parli di corrotti e corruttori, di faide tra beati, d’inganni perpetrati ad arte contro i più sciocchi. Questa volta, pero' sostieni di aver fatto le cose per bene, di aver nascosto le tue mosse, di avere unto i giusti ingranaggi per arrivare ai numeri vincenti. Al risveglio decido di darti fiducia, per l'ultima volta: solita ricevitoria e altrettanto abituale ansia per l'estrazione. Un urlo di gioia: stavolta mi hai dato i numeri giusti! Una cinquina secca sulla ruota di Napoli, per una vincita milionaria che può rendere sereni i miei restanti anni di vita. Mi metto in moto per riscuotere la somma vinta, meno di un mese dopo c'è già sul mio conto il bonifico tanto atteso. Mi riappari in sogno solo dopo l'incasso: occhi bassi, toni sommessi, come per chiedere scusa di un errore, di un ennesimo fallimento. Mi detti due codici IBAN, pregandomi di versare su quei conti la meta' della somma incassata: mi spieghi che e' la tangente pattuita con gli avi dei destinatari del versamento. Mi riveli che funziona così anche nell'aldilà, che per ottenere qualcosa bisogna oliare gli ingranaggi giusti, fare favori a destra e a manca: l'unica differenza, rispetto alla realtà terrena e' che ai defunti, agli angeli e ai beati, non interessa il sesso. Eseguo gli ordini, dispongo i bonifici sui conti correnti segnalati, ma senza fretta: so anch'io che il tempo e' denaro. Mi sveglio di soprassalto poco prima delle sei di un mattino di primavera: dal cortile arriva un suono assordante di sirene, di ordini urlati, di forte agitazione; c'e in corso una vasta operazione di polizia, a giudicare dal numero di volanti e di uomini in azione. Non faccio in tempo a vestirmi che suonano alla porta: pochi minuti dopo sono costretto a seguirli in manette, con un ordine di arresto spiccato dal magistrato per corruzione. Non mi raccapezzo, non capisco l'origine dell'accusa: non frequento politici, funzionari del comune o dello Stato, ho sempre pagato le tasse sino all'ultimo centesimo, anche se di mestiere faccio l'imprenditore edile. Devo aspettare il giorno dopo per l'interrogatorio davanti al magistrato: sono accusato di avere versato una ricca tangente all'assessore all'edilizia del mio comune attraverso un bonifico bancario. Riconosco il bollettino di versamento: come faccio a spiegare che quella era si' una tangente, ma concordata nell'aldilà a mia insaputa? Decido di avvalermi della facoltà di non rispondere, per avere il tempo di riordinare le idee, di consultare il mio avvocato, di scegliere la linea difensiva più giusta. Dinanzi alle mie spiegazioni il difensore mi consiglia di ricorrere al patteggiamento: qualche anno di galera e' preferibile a un ricovero a tempo indeterminato in una struttura psichiatrica. Processo e condanna sono stati rapidi: da innocente a reo confesso, con quattro anni di carcere da scontare sulle spalle. Non mi hai lasciato solo: notte dopo notte mi hai raccontato dei tentativi fatti per muovere a pietà, le alte sfere dell'aldilà, per un innocente condannato alla prigione. Ho capito come funziona: anche in cielo, non siamo tutti uguali; vale la legge del più forte o del più furbo o di chi, non ha sposato mentre era in vita, la più ingenua delle donne in circolazione.

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Me ne lavo le mani

Il tam tam in arrivo dal web si era fatto assordante. Da Twitter, da Facebook, gruppi sempre più numerosi di fans di Barabba ne chiedevano l'immediata scarcerazione. L'argomento era all'ordine del giorno persino al Senato di Roma: forse un'amnistia avrebbe potuto risolvere il caso in maniera indolore, senza che l'eventuale rilascio potesse sembrare una resa alla malavita locale. Non era più solo un problema d’ordine pubblico: “l'affaire” aveva ormai tutti i connotati del caso politico. Ladri, truffatori e papponi avevano imparato a memoria la lezione, appena colti in flagrante, quando erano beccati con le mani nel sacco o nella marmellata, si dichiaravano subito prigionieri politici, iniziavano a fare lo sciopero della fame. Erano diventati eroi, gli stessi cittadini derubati ne invocavano la liberazione. I potentati locali, invece, non li vedevano di buon occhio: in cuor loro preferivano che marcissero in prigione, speravano che il Senato di Roma bocciasse la proposta d’amnistia. Le mail in arrivo dall'Italia erano sibilline: i senatori, impegnati a gozzovigliare, a darsi ai bagordi con schiave e liberti, non avevano ancora un'opinione precisa sul da farsi. Su questo rifletteva Pilato, quando un dispaccio d'agenzia annunciò l'arresto di Jesus di Nazareth, il primo nella lista dei cento ricercati più pericolosi di Palestina. La notizia passò quasi inosservata sui siti on line e sui social network, eppure solo pochi giorni prima Jesus era stato accolto quasi trionfalmente al suo arrivo a Gerusalemme. Pensò subito ad un intervento in grande stile del Mossad per silenziare la notizia. Era curioso di conoscerlo e d'interrogarlo: i dispacci d'intelligence di Roma lo descrivevano come un tipo strambo, che s'accompagnava con un corteo di pescatori, muratori, contadini, donne di malaffare, per fare del bene al prossimo. Trasformava l'acqua in vino, anche se a ridosso del deserto del Sinai, sarebbe stato più utile cambiare il vino in acqua. Moltiplicava pane e pesci, ma non i sesterzi, guariva i malati e resuscitava i morti, ma tutti rigorosamente nullatenenti. Non aveva difetti, a parte i capelli lunghi e il look trasandato. Lo condussero al suo cospetto con le catene ai polsi: un plotone di legionari con telecamere al seguito restò in attesa nella sala del governatore, per la traduzione in carcere del prigioniero. Pilato fu sorpreso dal suo arrivo proprio ad ora di pranzo: seduto in un angolo del suo ampio studio stava assaporando l'amatriciana preparata dalla madre che l'aveva seguito sino in Palestina. Fece cenno a Jesus di avvicinarsi, intenerito dalla sua magrezza gli offrì parte dell'abbacchio che faceva bella mostra sul tavolo. Jesus sorrise cortese, ma rifiutò. Pilato lo guardò diritto negli occhi: quel prigioniero non sembrava avere alcun tipo di parentela con i criminali del luogo. Rimase colpito dalla voce calda, dal parlare colto, ma semplice, dal fascino che il volto emanava. Rilesse i capi d'accusa: cospirazione contro l'impero e blasfemia. Si riteneva il Re dei Giudei, non riconosceva l'autorità di Roma: al suo cospetto Jesus negò le accuse, sia pure con delle perifrasi. Non c'erano prove della sua cospirazione: i suoi discepoli andavano in giro disarmati, non teneva comizi, non andava in televisione ad arringare le folle. Blasfemia? Cosa ne poteva capire lui che aveva decine di dei da servire, di cosa significasse quella parola? Convocò i consiglieri più fidati per trovare una soluzione di compromesso: l'idea migliore venne al regista del TG. Un reality in prima serata per chiedere chi tra Jesus e Barabba era meritevole di scarcerazione. La
proposta piacque subito a tutti. Pilato si alzò di scatto per stringere le mani al regista: accortosi che erano ancora unte del sugo d’abbacchio, si avvicinò al lavabo per pulirle. I flash dei fotografi immortalarono la scena, le telecamere ripresero tutto, i giornali on line strillarono a tutto schermo: " Pilato se ne lava le mani, a voi la scelta. Volete libero Jesus o Barabba?" I disegnatori satirici, i fumettisti si scatenarono con battute fulminanti e vignette esilaranti: gli spazi pubblicitari del reality arrivarono a costare un occhio della testa. Pilato pretese i diritti d'autore: le mani forse erano pulite, ma le tasche dovevano essere piene. I telespettatori potevano votare con un sms dal costo di due sesterzi: il ricavato sarebbe andato in beneficenza all'associazione no-profit "Una reggia per Ponzio". Gli istituti di sondaggio sfornarono i loro responsi: il pubblico in netta maggioranza era orientato a votare per Jesus. Il corpo da ballo aprì la trasmissione con la danza dei sette veli: a metà della performance dei veli non c'era più traccia. Su Ebay c'era già chi li vendeva a mille sesterzi. Barabba aveva giocato bene le sue carte: in un video pubblicato su youtube,
aveva cercato di guadagnarsi le simpatie del pubblico femminile mostrando la plasticità dei pettorali. In un altro video postato su youporn aveva mostrato il resto. Jesus scelse di non fare campagna elettorale: solo Pietro di sua iniziativa editò sul suo profilo Facebook, uno strano filmato dove si vedeva un gallo cantare tre volte. La conduzione del programma fu affidata a Maria Maddalena: una show girl appena approdata al successo dopo un avvio di carriera molto chiacchierato. La prima prova in programma tra i candidati era una gara di lotta: Barabba la vinse per forfait dell'avversario. La gara di quiz, invece, rimise tutto in parità: la risposta esatta di Jesus precedeva la stessa domanda della conduttrice. La regia visionò più volte i filmati, sospettando un accordo segreto tra Maria Maddalena e il concorrente. La conduttrice fu scagionata, quando Jesus con lo sguardo rivolto alle telecamere, pronunciò una delle frasi rimaste famose nella storia della televisione: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra". La prova decisiva fu preceduta da un numero di cabaret che ritraeva Pilato in procinto di lavarsi i piedi prima di decidere da quale lato del letto dormire. Recitare una poesia di loro invenzione: era la terza e decisiva prova cui erano chiamati i contendenti. Jesus scelse uno dei pezzi pregiati del suo repertorio, un classico del genere. Lesse davanti alla platea il Pater Noster. Un silenzio tombale accolse il suo ultimo verso: nessuno osò applaudire. Barabba si avvicinò baldanzoso al microfono gridando in lacrime “ Mamma ti amo” tra la standing ovation del pubblico pagante. La fine della storia è nota: a Maria Maddalena toccò leggere l’esito della votazione. A Jesus erano andati solo trecento voti, contro i trecentomila di Barabba. Jesus finì crocifisso, Barabba tornò a rubare, persino alla mamma. Pilato si godette ancora per poco il bottino, fu presto sostituito da un nuovo governatore più gradito a Roma e meno incline alla pulizia.

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Dracula, l’utilizzatore finale e Mariastella

Sono stella, in declino, ma ancor lucente: persino nel partito c’è chi ancor a mi fa l’inchino, il baciamano e chi il ruffiano. Col capo ci ho provato, ma con questo fisico è dura: ho una mia dignità, non potevo certo mettermi a cercagli “accompagnatrici” solo per fare carriera. Non mi lamento, ho avuto il mio tempo di celebrità: ricordo ancora tutti quei ragazzi in strada con le mie foto, il mio nome sulla loro bocca ogni giorno. Le avrei baciate tutte quelle bocche giovani: che eccitazione è stata armarsi di parrucca, inforcare gli occhiali, per infiltrarsi nei loro cortei in incognito. Ho corso i miei rischi: una volta, un poliziotto della celere mi ha preso per i capelli e mi ha sbattuto con forza per terra: poi dopo aver visto il mio tailleur bleu firmato Valentino, le scarpe by Prada, non ha infierito. Che peccato! Pensate se accidentalmente mi toglieva la parrucca: mi avrebbero riconosciuta tutti, chissà che festa mi avrebbero fatto! Sapeste quante belle letterine ho ricevuto, tanti inviti a andare di qui e di là: la maggior parte però arrivavano da un comune chiamato ”Quelpaese”. Evidentemente, in quella località, sono proprio popolare, un giorno di questi mi decido e ci vado! Non c’è stata ministra più amata di me! Eppure non ho mai pianto davanti alla telecamere, anzi, ho tirato su il morale a tutti. Pensate a quando mi sono inventata il tunnel che collega Ginevra col Gran Sasso: avete creduto davvero che non sapessi che non esisteva? Mi ero messo d’accordo con Crozza; io facevo da spalla per le sue battute. Che risate ragazzi! Come quando si discuteva in Parlamento della mia riforma; giuro che non capivo una sola parola di ciò che leggevo, di commi e codicilli non ho mai compreso nulla. Dite che mi sono laureata in giurisprudenza? Davvero? Come Ghedini? Quanto mi piace Ghedini! Insieme siamo perfetti per interpretare un film dell’orrore. Non pensate che con un titolo tipo “Dracula, l’utilizzatore finale e Mariastella la Vergine” non sbancheremmo il botteghino? Ghedini mi fa scompisciare dalle risate, a sentir lui il capo è un santo, le ragazze che frequenta sono delle collegiali in gita premio per buona condotta. Il bello è che ci crede: una volta, ricordo, è stato invitato dal capo a una delle feste per ragazze di buona famiglia in trasferta. Dovevate vedere il suo volto paonazzo, quando una delle partecipanti iniziò a sfilarsi la biancheria che indossava sulle note di “You can leave your hat on” di Joe Cocker. Certo, quel signore lì è proprio un genio, cominciò a spogliarsi anche lui, occhieggiando al capo, forse aveva bevuto qualche bicchierino di troppo, forse si era inventato all’istante una nuova strategia difensiva. Come mi sono eccitata a vederlo nudo! Quando ho cominciato a togliermi il tailleur grigio firmato Versace, però, qualcuno ha pensato di far suonare le note di “Sono una donna non sono una santa” solo per smontarmi e farmi desistere dall’impresa. Tutta invidia! Pazienza, sarà per un’altra volta mi sono detta.  Un altro del mio partito che mi sta simpatico è Bersani: senza di noi Crozza, forse sarebbe già disoccupato. Non lo crederete, ma anche noi contribuiamo, in qualche misura a difendere i posti di lavoro di questo paese. Non è del nostro partito? Dite davvero che Pier Luigi, è il capo dell’opposizione? E da quando? Ha sempre militato a sinistra? Che stupida che sono! Su Facebook, in chat privata, gli ho sempre raccontato i retroscena del consiglio dei ministri, i disegni e i decreti legge che avevamo intenzione di licenziare. Una volta gli ho chiesto persino un appuntamento, una cena a lume di candela in un piccolo ristorante fuori mano, ma ha rifiutato. Mi ha detto di essere felicemente sposato: sono rimasta sorpresa, non sapevo che ci fosse ancora qualcuno che poteva essere felice stando sempre con la stessa donna. Il capo ieri mi ha convocata: con le lacrime agli occhi ha ricordato i tempi belli del nostro governo, le leggi ad personam inventate da Ghedini, la riforma della scuola che porta il mio nome, le risate ogni volta che Bossi si alzava a parlare e Maroni era costretto a tradurlo dal lumbard all’italiano. Si è scusato con me: “ Non posso candidarti per le prossime elezioni, ho tante brave ragazze da sistemare e non so dove piazzarle. Devi capirmi, ora sono fidanzato e devo rendere conto a Francesca". Ci sono rimasta un po' male, ma poi ho pensato, che c'è sempre Pier Luigi che mi aspetta a braccia aperte. Gli ho spedito un messaggio in chat su Facebook: solo dopo mi sono accorta che mi ha depennato dall'elenco delle amicizie. Che delusione la politica! E' il regno dell'ipocrisia e del tornaconto! Quasi quasi m'iscrivo alle magistrali: così posso sfilare in corteo senza parrucca e occhiali scuri e gridare slogan contro la riforma di Mariastella, me medesima al tempo della gloria che fu!

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L’isola dei dannati

Paolo e Francesca in nomination! Il nuovo reality "L'isola dei dannati" stava entrando nel vivo. La conduttrice, Beatrice P. aveva appena annunciato l'esito delle votazioni della terza settimana. Già il Conte Ugolino e Bonifacio VIII avevano dovuto abbandonare gli studi televisivi costruiti per l'occasione in una sperduta isola delle Antille nelle precedenti puntate serali dello show. L'applauso scrosciante del pubblico in sala seguì, le parole della conduttrice: tra gli ospiti spiccava il profilo dei concorrenti eliminati. Erano state prese tutte le precauzioni del caso: in un angolo della sala, troneggiava il ricco buffet a disposizione degli ospiti, spettatori e presentatrice erano dotati d'elmo d'ordinanza e di libri di preghiere in latino. L'aria era già elettrica, la suspense altissima, stava per essere letto il nome del secondo concorrente in nomination. Furono abbassate le luci, Beatrice sexy nel corto abito rosso che indossava, aprì la busta fattale pervenire dal notaio: "Ulisse in nomination", l'annuncio bastò a scatenare l'entusiasmo del pubblico. Dalla regia, Virgilio ordinò di zummare sui concorrenti nominati: Paolo e Francesca furono sorpresi, tablet alla mano nella visita a un sito per scambisti; Ulisse, invece, fu trovato, mentre tentava di proteggere le orecchie con appositi tappi dalla musica rap diffusa a tutto volume dagli altoparlanti. L'inviato speciale chiese la linea: con voce accaldata, Dante A. prese a raccontare gli ultimi avvenimenti della giornata, non prima di avere sussurrato il suo tvb a Beatrice e al suo décoltè. Giuda aveva denunciato il furto del portafoglio con trenta euro, sospettando di Ulisse, lo aveva inserito tra le sue nomination. Achille, invece, si era procurato un infortunio al tallone nel tentativo fallito di precedere Bolt in una sfida sui cento metri. Fu Tiresia l'indovino arrabbiato per la sconfitta di Achille, su cui aveva scommesso mille euro, a colpirlo col bastone al tallone, provocando la rottura del tendine. Voci di corridoio e spifferi di malelingue parlavano di una rottura tra Didone ed Enea e di un flirt in atto tra la bella regina e Ulisse. Le riprese della camera da letto e delle docce, subito visionate, al momento non confermavano la notizia. Ottime news arrivarono dal fronte degli ascolti: il reality concorrente "Un angelo per amico" era stato sospeso dopo il flop della prima puntata. Microfono in mano, l'inviato speciale dell'isola dei dannati, chiese ad Ulisse se temeva per la sua permanenza nel gioco. Sono a cavallo, rispose il re di Itaca: voteranno per me tutti i furbi d'Italia, per i miei avversari, gli innamorati, a giudicare da ciò che si vede in giro non dovrebbe esserci partita. Occhi bassi, morale a terra, voce sommessa: l'intervista di Paolo e Francesca era appena udibile. Fecero appello agli amanti, a coloro che quotidianamente dovevano inventare scuse per depistare il coniuge, ai cuori palpitanti che erano costretti a trascrivere nella rubrica del cellulare il nome dell'amato come idraulico, falegname, baby sitter, giardiniera. Commossi, Dante e Beatrice si scambiarono languide occhiate, si lasciarono sfuggire una lacrima furtiva. Le cronache del giorno dopo parlarono di un'impennata degli ascolti, di un boom dell'auditel. Sono più i furbi o i traditori? Siti e giornali on line sondarono gli umori del pubblico: lo scontro, incerto sino all'ultimo voto, fu vinto dai traditori. Tiresia, l'indovino, arrabbiato per aver perso 5000 mila euro puntando sui furbi, accecò Ulisse ad un occhio: così vendicò anche l'amico Polifemo.
Il pubblico in sala si divise, i telefoni diventarono bollenti, durante l'interruzione pubblicitaria Didone ed Enea proposero a Paolo e Francesca uno scambio di coppia, Ulisse presentò domanda d'invalidità all'INPS, il conte Ugolino afferrò Tiresia per la testa, tra le urla d'incitamento del pubblico con l'elmetto in testa. Il verdetto arrivò a mezzanotte in punto: Paolo e Francesca erano salvi. Nella notte, alla luce delle telecamere, Enea e Francesca, Didone e Paolo, poterono abbandonarsi al sesso più sfrenato. A Ulisse bastò l'occhio superstite per vincere i soliti trenta euro a Giuda, con la benedizione di Papa Bonifacio in persona. Dante diventò un attore di successo dopo aver accettato di fare pubblicità per una nota marca di carta igienica, Beatrice, invece, fu nominata consigliera in una regione della Padania.