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Raccolta di testi in prosa di Alessandro Porri
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

aveva una strana luce negli occhi

E’ un lavoro duro fare il poliziotto, ancora di più quando fai parte dei reparti speciali del RAID francese, non ho mai sentito invece come un problema l’essere una femmina. A noi è richiesta un’immediata operatività, senza sbavature, due parole, un allarme e siamo immediatamente a bordo dell’elicottero che ci porterà velocemente sul punto dell’azione. Prima di poter entrare nei corpi speciali sono stata valutata attentamente, i miei parametri fisici e psicologici dovevano rientrare in dei criteri di giudizio ben precisi. Il termine “paura” non rientra nel nostro particolare vocabolario, il che non vuol dire che siamo pazzi avventati, altrimenti metteremo solamente a rischio la nostra vita e quella di chi ci conduce e segue nell'azione. Siamo invece guardinghi, non stacchiamo gli occhi dal punto sensibile, abbiamo le orecchie sempre dritte e immobili per captare anche il minimo rumore, pronti a eseguire i comandi appena sussurrati, spesso fatti solamente di gesti o di suoni sovracuti emessi da un fischietto non udibile dall'orecchio umano. Forse è giunto il momento che mi presenti, il mio nome è Diesel e sono un cane poliziotto. C’è stranamente molta tensione questi giorni e sono stata operativa già diverse volte; il mio collega guida è estremamente teso ed io, grazie alla mia speciale sensibilità, me ne sono accorta e anche se lui cerca di essere molto affettuoso, so che spetta a me il compito di coccolarlo in questi frangenti. Noi abbiamo un segreto tutto nostro, non dovrei neanche dirlo ma io posso vederlo in volto. Tutti gli altri miei amici cani poliziotto, quattordici per l’esattezza, non hanno mai visto la loro guida in faccia, gli agenti sono sempre coperti con un passamontagna proprio come durante un’azione, dicono che sia giusto così per abituarci e non spaventarci al momento di agire. Il mio collega invece, quando rimaniamo soli, si toglie tutto, mi sorride e mi tratta veramente da parigrado, sa benissimo che le nostre vite dipendono dall’affiatamento che ci lega.

E’ domenica, ma per noi poliziotti non esistono giorni di festa, infatti, ecco che puntuale arriva una chiamata. Sono un po’ stanca ma fortunatamente mi sono rimasti pochi mesi di servizio, la prossima primavera, dopo oltre cinque anni di attività, mi attende l’adorata pensione, già so però che il mio collega guida ha fatto domanda per potermi adottare e tenere con sé, se glielo concedessero, sarebbe veramente fantastico. Si parte direzione Saint-Denis, pochi minuti e saremo sul posto.

Ci sono scontri a fuoco e si sentono scoppi di granate, è una delle situazioni più complesse che abbia ma trovato durante le mie azioni, ma noi siamo addestrati a tutto questo, sappiamo come comportarci. Usando i nostri sensi dobbiamo capire se c'è qualche persona nascosta e poi studiare il sistema migliore per arrivare fino a questa e bloccarla. Ora cosa succede? Improvvisamente c’è una calma apparente, la situazione è anomala. La mia guida si avvicina, mi accarezza e mi dice a bassa voce:

-          Diesel preparati!

Io sono prontissima come sempre e aspetto il comando per entrare in azione. … eccolo, è il gesto del collega guida, incrocio il suo sguardo … ha una strana luce negli occhi, una luce che non avevo mai visto prima.

-          Ti voglio bene … Go!

Tutto attorno sembra scorrere al rallentatore, i rumori hanno una strana eco. Avanzo lentamente, c’è fumo, ancora mi ritorna in mente il suono di quel ti voglio bene, non mi aveva mai detto una cosa così prima d’ora.

Prima stanza, qui non c’è nessuno, andiamo avanti, ho fiutato qualcosa, oh mio Dio … Cos’è questo dolore? Non ero pronta a questo, non ci avevano minimamente preparati durante l’addestramento, vedo tutto appannato, devo trovare l’uscita per avvisare i colleghi del pericolo, vedo la luce là in fondo…

Un’esplosione, ancora un’altra, penso di stare letteralmente trascinando parti di me, devo uscire fuori, i miei colleghi sono in pericolo devo impedirgli di entrare. Eccolo è il mio amico, riesco a mala pena a far uscire un flebile respiro e cado ai suoi piedi.

Cosa ci faccio quassù? Ma quella là in basso sono io, il mio collega è su di me, si agita prova a fare qualcosa, ma io sono oramai morta. Sta piangendo, allora mi voleva proprio bene, anch’io, era il mio migliore amico, gli sarei comunque stata fedele fino alla fine, anche se avessi saputo prima qual era il triste destino che mi stava aspettando. Non dimenticherò mai quella luce nei suoi occhi, lui sapeva che era una missione ad alto rischio, ma è il nostro lavoro, siamo poliziotti noi. Vorrei solo avere la possibilità di dirgli che io sto bene perché ho fortunatamente scoperto che esiste il paradiso degli animali ed è bellissimo. 

*

La storia di Lorenzo e Zampetta (fiaba)

Lorenzo, un bambino di nove anni, dorme tranquillamente nel suo letto. Oggi è domenica, la scuola non c’è, ed è per questo motivo che può lasciarsi coccolare un po’ di più dalla sua soffice coperta. Un filo di luce, filtrando dalle persiane, illumina i suoi giocattoli disposti in perfetto ordine sopra una mensola. Lui però, non è per nulla disturbato da questo riflesso luminoso e continua tranquillamente a sognare. I suoi sogni, sono simili a quelli di tanti bambini della sua età. Due sono quelli più ricorrenti: nuovi giochi per divertirsi insieme ai suoi amici e un piccolo animale tutto per se. Oramai sono le nove e trenta, e anche se la stanza di Lorenzo è ancora avvolta nel silenzio, il resto della casa ha già preso vita. Ad un certo punto, una serie di piccoli colpetti alla finestra fa aprire gli occhi al bambino che, ancora assonnato, non riesce a capire bene da dove provengano. Si guarda un poco attorno e alla fine capisce che c’è qualcuno sul balcone che sta bussando alla sua finestra. Si alza, apre e vede un uccellino che lo osserva dal basso in alto, muovendo la testolina in quel modo buffo che solo lui sa fare.

«Zampetta sei tu? Oggi è domenica, ancora non ho fatto colazione, tra un po’ ti porto da mangiare.» 

Zampetta è il nome che Lorenzo ha dato ad un uccellino a cui tutte le mattine sbriciola un pezzetto di biscotto sul balcone. Quel giorno, si è alzato più tardi, e il suo amico reclama la sua razione di cibo quotidiana. Il bambino allora si dirige barcollante in cucina, prende un biscotto, torna a portarlo al suo amico, e si lascia cadere a peso morto sul letto.

Sono passati appena cinque minuti quando… «Toc, toc…»

            «Zampetta! Ora che ti succede? Mangia e lasciami dormire altri dieci minuti.»

            «Toc, toc…»

A questo punto, il ragazzino, un po’ seccato, decide di alzarsi definitivamente e, avvicinatosi al vetro della sua finestra, vede che l’uccellino non ha neanche toccato il cibo. Zampetta è lì, sopra la ringhiera del balcone che lo guarda dritto negli occhi. Fa strani movimenti con la testa come a dirgli di uscire fuori. Lorenzo, un poco infreddolito esce fuori e subito Zampetta vola per andare a posarsi nel nido dove ha deposto le sue uova. Ora è tutto chiaro, sotto l’albero, con una grande sega a motore, c’è il vicino di casa che sta potando i rami e da lì a poco avrebbe tagliato anche quello che ospitava il suo nido.

Bisogna intervenire con urgenza, Lorenzo ancora in pigiama, si precipita in giardino e dal muretto di confine chiama a gran voce il vicino di casa.

            «Signor Mario, aspetti, non tagli quell’albero, c’è il nido di Zampetta là sopra.»

            «Che cosa dici Lorenzo, Zampetta? Chi è questa Zampetta?»

            «Un uccellino mio amico, guardi, ha il nido su quel ramo e dentro ci sono le sue uova.»

            «Peggio per lui, io lavoro tutta la settimana ed ho solo la domenica per fare qualche lavoro in casa, non posso pensare agli uccellini.»

            «Ma non può fare altre cose? Tra un paio di settimane le uova si schiuderanno, e avrà tutto il tempo che vuole.»

            «Senti ragazzino vai a giocare che io ho da fare qui.»

Lorenzo ora è veramente demoralizzato, il suo piccolo amico è nel suo nido deciso a  proteggere le sue uova ma, una triste fine, sembra essere solamente questione di tempo.

            «Luca, Luca!» Urla Lorenzo. Luca è il figlio del signor Mario ed è anche un suo amico.

            «Lorenzo ciao, dimmi? Che cosa fai in pigiama fuori di casa?»

            «Aiutami, tuo padre sta tagliando i rami dell’albero dove ha fatto il nido Zampetta, così distruggerà tutte le uova.»

Il signor Mario, ascoltato tutto, mette subito a tacere il figlio, «Luca tu pensa a te, non ho tempo da perdere con voi due, chiaro!»

Il padre di Luca è famoso per il suo carattere burbero, è il terrore dei ragazzini di tutta la via, se per sbaglio un pallone finisce nel suo giardino, è la fine, non esita a bucarlo con le sue forbici, Luca non si sarebbe mai messo contro di lui. Lorenzo è disperato non sa cosa fare per aiutare il suo piccolo amico. Decide allora di chiedere aiuto a suo fratello più grande, Marco che ha quattordici anni, va da lui e gli racconta tutto.

            «Povera Zampetta, ma io Lorenzo come posso aiutarti? Senti, lo so che tutti dicono che se si tocca un nido poi la mamma non va più a covare le uova, ma Zampetta non è un uccellino normale, è speciale, ci conosce.»

            «Vorresti spostare il nido?»

            «È l’unica possibilità che abbiamo, ma anche per questo ci occorre un piano. Potremo agire all’ora di pranzo, tanto per quell’ora il signor Mario non sarà ancora arrivato a tagliare i rami vicino al nido.»

Sono le dodici e trenta quando Luca chiama Lorenzo dal giardino: il piano ha inizio.

            «Lorenzo, Marco ci siete?»

            «Eccoci, allora?»

            «Mio padre si sta facendo la doccia, poi è pronto il pranzo, dobbiamo agire ora.»

Marco scavalca dall’altra parte e aiutato da Luca, sposta la scala dalla parte dell’albero dove si trova il nido. Delicatamente prende tra le mani il nido, a quel punto Zampetta vola via e va proprio a posarsi sulla spalla di Lorenzo. Lo guarda negli occhi ed emette un suono forte, che lascia capire la sua sofferenza e la sua richiesta d’aiuto. Un attimo dopo il nido si trova nel giardino dei due fratelli, la scala è tornata al suo posto e Luca è rientrato in casa per evitare sospetti. Il nido passa delicatamente nelle mani di Lorenzo, e Zampetta a questo punto lascia la sua spalla per volarci dolcemente dentro, si fida di lui e per il momento si tranquillizza. A Marco viene in mente un’idea geniale, c’è un albero che allunga dei rami proprio in direzione della finestra della stanza di Lorenzo, sarebbe un posto perfetto per sistemare il nido. I ragazzi felicissimi salgono in casa e si dirigono verso il balcone. Per la prima volta nella sua vita, Zampetta si trova in una casa degli umani, è impaurita ma non avrebbe mai più lasciato sole le sue uova per nulla al mondo.

Una volta sistemato il nido, Zampetta con i suoi gridolini richiama Lorenzo che si avvicina a lei,            

            «Grazie Lorenzo, ti voglio bene!»

            «Ma tu stai parl…?»

            «Ssss, silenzio sarà il nostro segreto.»

È  domenica, sono trascorsi circa due mesi . . .

            «Toc, toc!»

            «Eccoli! Sono arrivati, ma mi fate dormire è domenica!» Dice Lorenzo sorridendo.

La finestra si apre, Zampetta è sulla ringhiera, altri tre piccoli uccellini, alle prime esperienze di volo, sono sul balcone e guardano verso l’alto. Lorenzo è assonnato ma veramente felice, tutto quello che vede davanti ai suoi occhi, è potuto accadere solamente grazie a lui e ai suoi amici.

Tutti dobbiamo imparare a vivere amando e rispettando la natura che ci circonda. Alcuni momenti potrà accadere che la natura stessa sia in difficoltà, noi dobbiamo aiutarla perché sicuramente saprà ricompensarci in un modo estremamente più grande. Aiutando la natura aiutiamo noi stessi.

*

Più demoniaca di Crudelia...

Tutto cominciò durante una bellissima serata di Giugno, giardino, temperatura ideale, cielo trapuntato di stelle e tavola imbandita con cibi targati estate.  Ero intento a gustare un semplice ma gustosissimo piatto di pomodori e mozzarella  con tanto di fogliolina di basilico e filo di olio extravergine, quando l’urlo di mia moglie, entrata in casa per prendere un succulento prosciutto e melone, mi raggiunse:

-         “ Stavolta li compriamo e basta, ho deciso”

Dopo anni di matrimonio avevo ormai imparato che se con il “basta” si avevano un minimo di margini di trattative, con le due paroline magiche “ho deciso”, era praticamente impossibile contrattare, valeva la pena dire subito di sì senza neanche capire di cosa stesse parlando; cosi feci e le risposi da fuori:

-         “Va bene amore lo compriamo sicuramente, ma giusto per curiosità, se proprio non ti reca disturbo di cosa stiamo parlando?”

Come la scena di un film al rallentatore, vidi la sua mano scostare le strisce di plastica che formavano la tenda della cucina che affaccia sul giardino, sembrò passare un’eternità dalla vista del suo braccio alla sua fuoriuscita. Le strisce della tenda volarono in ogni direzione e la plastica gracchiò in un modo sinistro, un incrocio tra una frustata e il rumore di ossa frantumate. Un brivido mi attraversò la schiena perché sapevo bene che più scenografica e convincente era la performance della richiesta, più alta era la cifra da scrivere sul libretto degli assegni. Secondo me, quella era una scena da 5000/6000 euro, mentalmente la collocai appena al di sotto all’enfasi che aveva dimostrato nell’annuncio della sua auto nuova. Uscita fuori si avvicinò, posò il piatto con il melone dinanzi a me e cominciò a massaggiarmi il collo. Gli uomini sanno bene quando un massaggio più che un piacere si tramuta in una ventilata minaccia, quelle dolci manine, fornite di acuminati artigli, dove il rosso dello smalto ricorda da vicino il colore del sangue, potevano imprimere una forza che a noi umani è sconosciuta prima di provarla.

 

-         “ Sai cosa hanno detto al telegiornale? Questa estate sarà la più calda degli ultimi trenta anni. Ci sarà un’afa insopportabile, ormai non si può più rimandare, dobbiamo assolutamente installare i condizionatori!”.

 Allora ci sono due cose che i telegiornali ormai ripetono tutti gli anni, una che sarà l’inverno più freddo degli ultimi trenta anni, l’altra che la prossima sarà l’estate più calda … sempre degli ultimi trenta anni. Cosa cavolo successe trenta anni fa? Eppure io c’ero e non mi sembra di ricordare ne eschimesi che costruivano igloo in città, tantomeno leoni, giraffe e zebre abbeverarsi nelle fontane dei parchi.                                                               Il televisore, lasciato di proposito a volume esagerato dalla novella Crudelia Demon, rimandava quei soliti consigli che, definire per dementi, è un eufemismo. Si ricordava che gli anziani soffrivano di più il caldo, che era sconsigliabile uscire dall’una alle quattro, che era importante bere molto ma non gli alcolici. Il mio sogno sarebbe sempre stato quello di organizzare una maratona per ultrasettantenni in piena estate con partenza alle due di pomeriggio e soprattutto dove ai punti di ristoro si sarebbe distribuito solo dell’ottimo vino, e a chi mi avesse chiesto se ero pazzo, avrei risposto semplicemente che non avevo il televisore.Tornando alla triste realtà, ora dovevo fronteggiare mia moglie, unica possibilità di limitare la spesa era quella di giocare sulla sua incompetenza per tutto ciò che riguardava la tecnologia. Provai a fingermi esperto raccontandole che miei colleghi avevano appena montato tali strumenti e che quindi mi sarei fatto consigliare un buon installatore. Appena pronunciai questa parola però, mi resi conto dell’errore, avrei dovuto metterla dinanzi al fatto compiuto invece sbagliai.

          -    “ Ma caro, lo chiediamo a Luca”

Dentro di me pensai noooo, Luca noooo…è la fine! Luca è un mezzo parente, e già questo dovrebbe bastare a sconsigliarlo, ma la cosa più grave è che lui è uno di quegli elettricisti super moderni che non si sporca mai le mani. Arriva con camice bianco e PC, rigorosamente Apple, butta giù preventivi che prevedono sempre  un  megasconto  finale. Il  perché  poi  come  mai  se  tu  sei  un  cliente speciale e lui quasi quasi con te ci rimette, alla fine risultino sempre cifre esagerate, questo resta un mistero.  Luca ha svariati operai che fanno il lavoro sporco, lui si presenta solo al momento di fare dei collegamenti elettrici particolari proprio come un grande chirurgo a cui preparano il campo operatorio. La cosa però che più mi spaventa, è quella che questo provetto Einstein è uno di quelli che se devi fare un lavoro, minimo te ne aggancia altri tre, della serie una volta che fai le tracce, ti converrebbe fare anche ….

Questa caratteristica, legata a quella di mia moglie sempre incline a stravaganti novità, rendeva Luca un installatore veramente pericoloso. Decisi di giocare di anticipo, dissi a mia moglie che avrei pensato io a tutto e che lei non si sarebbe dovuta preoccupare di nulla, in più le feci i complimenti dicendole che aveva avuto un’ottima idea. Dal giorno dopo, cominciai a consultare varie ditte specializzate, tra cui non poteva mancare sicuramente quella di Luca anche perché, se non lo avessi fatto, sicuramente mia moglie se ne sarebbe accorta. Avevo in mano cinque preventivi che oscillavano, si fa per dire, dai 3000 ai 6000 euro. Naturalmente c’è bisogno che dica quale fosse il più dispendioso? Quando ci penso, veramente credo che alcune cose per me rimarranno sempre un mistero, il secondo preventivo più alto viaggiava sui 4000 euro, ma cavolo la differenza è davvero tanta! Quando lo feci notare a Luca, lui sembrava non aspettasse altro. Cominciò con una serie di discorsi strampalati sulla sicurezza, sulle qualità della ditta, sul servizio e sulla sua perfezione inavvicinabile per nessun altro.  

-         “ Io ti monto i condizionatori di ultima generazione che credi, quelli classe tripla A + flash, con riciclo dell’aria e dell’acqua al cadmio compresso con valvola di sicurezza europea a doppio rubinetto conico. In più ti predispongo per l’eventuale ampliamento, ti monto un doppio corrugato di riserva, ed uno di soccorso e una volta che fai le tracce ti metto un passante al molibdeno rivestito di teflon che un domani puoi passarci l’impianto satellitare, il dolby surround e la tv via cavo. Sai quanti soldi risparmi quando decidi di fare  queste cose? In più ti do la certificazione,

ISO ISA e ISE e  così  se  dovessi subire un controllo sei apposto!  Gli  altri

tutte queste cose mica te le danno, vengono qua ti sfasciano tutto e via e ti lasciano anche tutto sporco, io invece quando vado via ti lascio tutto pulito”.

Avrei voluto strozzarlo e controbattergli tante cose. Primo avrei risparmiato un domani quando avrei fatto che cosa? … ma chi te lo dice pezzo di cretino che io voglia montare dolby parabola ecc? La certificazione ISE? Ma l’ISE non era qualcosa collegata al reddito ed al pagamento delle tasse? E poi ma chi cavolo dovrebbe venire in casa mia a fare dei controlli? Ma soprattutto mi lasci casa tutta pulita? Ma me la pulisco da solo, con quella cifra ci prendo una ditta di pulizie per un anno! Naturalmente alla mia richiesta di fatturazione mi ha dato la classica risposta che tutti usano in questi casi:

-         “ Be io te la faccio se vuoi, mica ho problemi, è chiaro poi che devi aggiungere l’IVA e quindi mettici altri 1000 euro sopra”.

Luglio era alle porte ed io dovevo assolutamente prendere una decisione, mia moglie cominciava a dare segnali d’impazienza usando un escamotage ormai collaudato. In tutti i modi tentava di aprire per vie traverse la discussione sul punto e cosi partivano frasi sempre più ficcanti del tipo, devo fare il cambio stagione negli armadi che l’estate ormai è arrivata, ho incontrato la moglie di Luca al supermercato, si sta bene solo in auto dove c’è il climatizzatore ecc . Ero ormai rassegnato quando una mattina in fila nel caotico traffico della capitale, gli occhi mi andarono a finire su un cartello pubblicitario di un’agenzia viaggi che recitava così:

-         “SCAPPA DAL CALDO DELLA CITTÀ, VIENE NELLE NOSTRE CASE VACANZA, 50 METRI DALLA SPIAGGIA, PATIO, ARIA CONDIZIONATA, PISCINA, ANIMAZIONE DIURNA E SERALE. ENTRA E CHIEDI INFORMAZIONI.”

Mi fiondai dentro, e come raccomandava il cartello, chiesi informazioni. Vista l’estate ormai prossima, c’era la possibilità di usufruire di un last minute fantastico e alla cifra di 2200 euro avrei avuto una casa comodissima

 dalla seconda settimana di Luglio a quella di ferragosto compresa. Ebbi un’idea fulminante e mi dissi perché no! So benissimo che mia moglie più di una volta, aveva avuto idee che sembravano vitali come l’acqua per i pesci ma che poco tempo dopo invece aveva lasciato cadere per sempre. L’avrei portata in vacanza per quasi due mesi, al ritorno poi le temperature sarebbero state accettabili e non avrebbe più pensato a questa storia dei climatizzatori almeno fino all’anno prossimo. Mi sembrò un piano perfetto. Preparai il tutto con estrema cura e durante una cena misi una bella letterina con dentro il voucher sotto il piatto di mia moglie un po’ stile bambino a Natale. Fu entusiasta mi abbracciò e mi ringraziò, la serata filò via in modo molto piacevole e lasciatemi dire anche la notte fu molto calda e a nessuno dei due vennero però in mente i climatizzatori.

I pochi giorni che ci separavano dalla partenza passarono in completa armonia, non si parlò più di questo suo progetto, e se non ne parlava lei figurarsi se lo facevo io. La vacanza andò benissimo il posto era veramente bello e confortevole poi a quel prezzo era stato veramente un affare. Come avevo previsto le temperature erano tornate nella norma di un’estate tranquilla il rientro a casa quindi si prospettava perfetto, anche se a me questa sua accondiscendenza su tutta la linea risultava un poco strana. Imboccammo la via di casa e comincia a vedere lei che si agitava un poco, vedevo che si sforzava con gli occhi stringendoli come quando si vuol vedere meglio qualcosa da lontano. Più mi avvicinavo più stava materializzandosi il mio incubo, arrivato a 50 m dall’entrata di casa, non ebbi più dubbi:

-         “ Ma, ma cara…che ci fa quella parabola sul balcone di casa nostra? Cara devi forse dirmi qualcosa?”

-         “ Sì amore dammi le tue chiavi per aprire che le mie le avevo lasciate a Luca prima di partire…”

 

*

Rome: 3 metri underground ( parte 7)

 

Capitolo XIX

 

 

 

La mattina seguente, martedì 17 Settembre, il Tenente Passeri si mise in contatto con i colleghi di Domodossola. Come aveva immaginato, la sera precedente c’era stata la conversazione telefonica tra Sinibaldi e Symensth. I carabinieri ora erano pronti ad intervenire, conoscevano luoghi, tempi e modalità degli spostamenti. Passeri pianificò tutto in poche ore, organizzò immediatamente la partenza per il Lago Maggiore con tutti i propri uomini, compreso De Lellis. Durante il viaggio i carabinieri approfittarono per mettere a punto gli ultimi dettagli dell’operazione. La squadra che si sarebbe riformata, sarebbe stata la stessa delle operazioni precedenti. Sulla riva ovest del lago, sarebbero intervenuti il Tenente Passeri, Crescenzi e Banfi, con a supporto un’altra auto di colleghi di Domodossola pronti ad intervenire. Sulla sponda di Luino ci sarebbe stato un altro automezzo con Furlan e Todde, sotto la guida di De Lellis. Inoltre dell’operazione era stata allertata la polizia doganale svizzera che, in caso di eventuale fuga dei malviventi, li avrebbe attesi al confine di P.te Tresa.

«Allora questa volta non sono un fantasma, hai chiesto l’autorizzazione ai miei superiori?» Domando Antonio a Corrado.                                                           «Sì Antonio, questa potrebbe essere un’operazione delicata, e poi mi serviva un uomo fidato al comando dell’altra pattuglia e questa volta, sarebbe stato troppo complicato giustificare la tua presenza.»

«No, tranquillo hai fatto bene, è meglio così. Con chi hai parlato?»

«Con il capitano in persona, quando mi muovo, non scherzo io!»

Si respirava una certa tensione in auto, questa volta si aveva la netta sensazione che la vicenda volgesse al termine. Passeri con tutta la sua squadra, aveva una gran voglia di prendersi una rivincita su coloro che li avevano messi in ridicolo più di una volta. Alle sedici e trenta i carabinieri erano a sud del lago. All’altezza di Somma Lombarda s’incontrarono con un’altra auto venuta a prendere il Maresciallo. Poco dopo, le due auto proseguirono separate, ognuna procedette verso la sponda del lago di competenza.

         Fin dalla mattina Trabaschi riprese la sua opera di pulizia del giardino, i ragazzi da sotto vedevano filtrare un poco più di luce e pensavano che ormai l’uscita fosse questione di ore. Erano veramente stanchi, il cibo scarseggiava, avevano i muscoli rattrappiti, i panni umidi e non dormivano su un letto comodo da ormai tre notti. Sempre più spesso i genitori venivano nei pressi della villetta per poter scambiare qualche parola con loro tramite la radio dei carabinieri. Erano comunicazioni veloci, cercavano di sollevarli ed incoraggiarli. I ragazzi dal canto loro, cercavano di dimostrarsi sempre tranquilli e a loro volta tentavano di rassicurare i genitori. Gianni e Maurizio rimasero un po’ male quando scoprirono che di pattuglia fuori dalla casa non c’erano né Crescenzi, né il signor Antonio impegnati nell’operazione sul lago Maggiore. A volte due chiacchiere con loro gli permettevano di passare meglio le giornate estremamente vuote. All’ora di pranzo il giardino era completamente pulito, tutto il materiale raccolto era stato caricato sul camion ed era pronto per essere portato via. Io e Roberto nel pomeriggio andammo a trovare Luca, volevamo vedere direttamente come fosse la situazione. Suonammo al citofono e come la volta precedente la mamma ci invitò a rimanere a giocare in giardino.

    «Zitto un po’ Maurì, non ti sembra la voce di Marco e Roberto?» Disse Gianni.

    «Sì, sono loro, sono venuti a giocare con Luca.»

    «Ma è chiaro che è una scusa, volevano vedere che aria tirasse sopra di noi.»

Dopo circa un’ora, la mamma di Luca, ci portò la solita merenda abbondante, succo di frutta, panini con la marmellata ed alcune fette di torta fatta in casa. Io approfittai della sua gentilezza e tentai di forzare la mano.

    «Vedo che il giardino è pulito, possiamo giocare a pallavolo un poco?»

    «Be credo che ora non ci siano problemi, comunque ragazzi mio cognato mi ha detto che alle diciotto e trenta circa viene a fare altri lavori, quindi fate in modo che al suo arrivo non vi trovi dall’altra parte, meglio evitare discussioni.»

Io scavalcai subito dall’altra parte e vidi chiaramente l’apertura sul terreno. Senza quel materiale intorno era ben visibile, evidentemente proprio per questo era stata occultata. Non era molto grande, sarà stata quindici/venti centimetri di diametro, diciamo che il pallone non ci sarebbe entrato sicuramente. Più di una volta il pallone finì da quelle parti. Una volta di queste, dando la schiena alla staccionata, chinandomi per raccogliere la palla, feci scivolare nell’apertura due fette di torta ed il mio panino che avevo nascosto nelle tasche.

«Oh Maurizio guarda», disse Gianni.

«Che cos’è? È arrivato babbo natale in anticipo.»

«Deve essere Marco, ci ha mandato giù la sua merenda, vedi che sono venuti per noi! Si è un poco sbriciolata, però ci voleva proprio un dolcetto.»

«Sì meno male, però mi sono proprio stancato, voglio uscire», rispose Maurizio.

Maurizio era proprio arrivato al limite, non ne poteva più, per fortuna da lì a poco l’evolversi degli eventi avrebbe anticipato questo suo desiderio. Alle diciotto Luca mi ricordò che lo zio stava per tornare e sarebbe stato meglio che io fossi rientrato nella sua parte di giardino. Io naturalmente lo accontentai subito anche perché, non avevo assolutamente voglia di trovarmi faccia a faccia con Agostino Trabaschi. Dopo un’altra mezz’ora di giochi, decidemmo di tornare. Chiuso il cancello della casa di Luca alle nostre spalle, stavamo percorrendo il tragitto che ci avrebbe portati alla fermata del trenino. Avevamo camminato già per dieci minuti quando lo sbuffo di un camion betoniera richiamò la nostra attenzione.

    «Marco, ma non era Trabaschi quello alla guida?»

«Mi sembra di sì, ma non l’ho visto proprio bene, ma tu sei sicuro?» Chiesi a Roberto.

«Sì è lui. Ma non avrà mica l’intenzione di gettare il cemento ora?»

«Vieni torniamo indietro bisogna avvisare il carabiniere di guardia, andiamo subito.»

Corremmo a perdifiato, ma giunti sul posto non trovammo nessuna auto con una persona dentro che potesse essere quella dei carabinieri, evidentemente si era assentato per qualche motivo. Cercammo anche nelle due vie limitrofe ma niente. Il terrore ci prese quando vedemmo chiaramente che il Trabaschi stava estendendo una specie di scivolo dove sarebbe dovuto passare il cemento e si apprestava ad indirizzarlo verso l’apertura nel terreno. A quel punto bisognava intervenire.

    «Roberto tu vai da Don Gino, telefona subito ai carabinieri vai vola, io provo a fare qualcosa qui per ritardare.»

Entrai di nascosto ed osservai le operazioni che compiva lo zio di Luca. Indirizzò lo scivolo verso l’apertura nel terreno. Il camion presentava una serie di pulsanti, luci e comandi vari. Ad un certo punto il cassone cominciò a girare e l’uscita del cemento si avviò. Prima che questo potesse fare l’intero percorso, io uscii dal mio nascondiglio spinsi tutti i pulsanti ed abbassai tutte le leve che vidi dinanzi a me. Il cemento fermò la sua avanzata, subito tornai a nascondermi. Il Trabaschi, scese dal camion e non pensando assolutamente che qualcuno avesse potuto toccare quelle leve, indirizzò la sua attenzione al motore della betoniera. Aprì il cofano e controllò l’interno. Questa decisione fu quella che fece guadagnare il tempo necessario a permettere l’arrivo dei carabinieri. Dopo circa venti minuti, Trabaschi chiuse il cofano e tornò a controllare la pulsantiera. Vide tutte le leve abbassate e non riuscì a capire come mai. Alzò lo sguardo e si guardò intorno, forse pensava ad uno scherzo del nipote, comunque aveva un aspetto tutt’altro che amichevole. Io dal mio nascondiglio mi sentii gelare il sangue, ma questo non m’impedì di ripetere da lì a poco tempo, il gesto che avevo fatto in precedenza. Il cassone riprese a girare, io di nuovo scattai fuori e feci le stesse operazioni di prima. Questa volta al fermarsi del cemento il mio sguardo incrociò quello del Trabaschi che mi osservava dallo specchietto retrovisore del camion.

    «Chi sei? Che cavolo vuoi qui, esci fuori da casa mia», mi urlò contro Trabaschi.

    «Fermo, ho visto entrare un gatto in quel buco così lo ammazzi», risposi io con la prima cosa stupida che mi venne in mente mantenendomi comunque a distanza di sicurezza da lui. Cercavo in ogni modo di guadagnare del tempo prezioso. Uscii fuori dal giardino ma rimasi lì davanti. Le leve ripresero il loro posto, il cemento riprese il suo cammino ed iniziò a tracimare nel sottosuolo.

    «Aiuto che succede, aiuto carabinieri», urlò Maurizio subito seguito da Gianni.

    «Fermatevi, fermatevi subito, ci sono persone qui sotto, fermi», continuò Gianni.

Noi da fuori con il frastuono del camion non riuscivamo a sentire le grida, io comunque sapevo che era questione di pochi minuti e che sarebbe stato troppo tardi attendere oltre. Entrai nel giardino di Luca, avanzai abbassato lungo il confine e scavalcai la staccionata all’altezza del camion. Spostai il getto di cemento che cominciò a finire nel giardino. Passarono un paio di minuti prima che Trabaschi se ne accorse. Spense il camion, scese e mi vide. Questa volta corse verso di me per prendermi. Io rimasi fermo paralizzato, con le spalle verso la palizzata. Fortunatamente, per arrivare dove ero io, dovette passare nella pozza di cemento che era fuoriuscita. Tutto avvenne in un attimo, la sirena dei carabinieri squarciò l’aria, il Trabaschi girò lo sguardo verso la strada e distraendosi scivolò finendo, a faccia avanti nel cemento fresco. Io cominciai a ridere, una risata che per molti aspetti era isterica. I carabinieri entrarono di corsa, la squadra era guidata da Franceschilli con l’aiuto di altri tre colleghi.

    «Maurizio, Gianni vi tiriamo fuori subito», urlai abbassandomi verso il foro nel terreno. Nel frattempo Luca la madre ed il padre uscirono fuori attirati dal frastuono.

    «Ma che dice Marco? Maurizio e Gianni sono sottoterra?» Chiese Luca sia a me sia ai genitori.

    «Sì Luca, tuo zio non è quello che credi tu, e neanche tuo padre.»

I fratelli Trabaschi vennero ammanettati davanti a tutto il vicinato. Luca rimase immobile, seguiva con lo sguardo silenzioso quello che stava accadendo intorno a lui, andò ad abbracciare forte la madre, la fissava negli occhi come se aspettasse una spiegazione, avrebbe accettato qualsiasi spiegazione.

«Mamma, ma cosa sta succedendo?»

«Amore te lo giuro non lo so, non ne so niente», e strinse suo figlio con tutta la forza che aveva.

Io mi pentii un secondo dopo di avergli detto quella frase, era un ragazzino come noi, con tutte le sue fragilità e questa brutta esperienza avrebbe potuto segnarlo per sempre. Ai ragazzi imprigionati furono subito passati dei viveri e dell’acqua. Dopo circa un’ora, con l’aiuto dei pompieri, furono tirati fuori. La zona rimase sotto sequestro per molti giorni e dopo il lavoro dei carabinieri, cominciò quello di ricercatori ed archeologi che riportarono alla luce un’ulteriore stanza con tantissimi reperti.

Bisognava mantenere il totale silenzio sull’arresto almeno fino alla mattina seguente, non si poteva rischiare che la notizia arrivasse a Luino e facesse saltare in qualche modo l’operazione. Nessuna notizia dell’accaduto ai mezzi d’informazione dell’epoca. Pensandoci bene, le uniche informazioni che Sinibaldi avrebbe potuto avere da Roma, erano quelle che la sera gli forniva Trabaschi ma oggi, il Sinibaldi aveva impegni più importanti che telefonare al suo amico a Roma. Messo al corrente dell’accaduto il Tenente, questi decise comunque che, per sicurezza, Franceschilli alle ventuno avrebbe passato un’ora nel famoso bar del quartiere Centocelle, e in caso fosse arrivata una chiamata particolare, lui avrebbe saputo come cavarsela.

         Alle ore sedici, lo sguardo sognante di Sinibaldi era impegnato a cercare in un parco in riva al lago, la donna che improvvisamente gli aveva fatto battere il cuore come non accadeva da molto tempo. Dopo qualche minuto la vide. Era seduta sopra una panchina proprio vicino all’acqua. Si fermò ad osservarla, le scarpe erano ben composte come stessero sedute di fianco a lei. Di tanto in tanto un piede lasciava il piccolo scoglio dove era poggiato e come ad accarezzare il lago, scendeva bagnandosi un poco. Aveva una piccola cartellina dove poggiava dei fogli bianchi che riempiva con tutto ciò che questo spettacolo della natura gli suggeriva. Era talmente bella in quella cornice che era quasi un peccato disturbarla. Rimase a guardarla per alcuni minuti fino a quando lei percepì la sua presenza e si girò verso di lui regalandogli un dolce sorriso.

«Ciao Michele, ma da quanto sei qui?»

«Solo da alcuni minuti, però sufficienti ad apprezzare la tua bellezza.»

«Grazie, ti piace questo posto? La mattina presto poi è veramente un paradiso, i rumori e gli odori sono ancora più intensi.»

«È veramente magico, ora capisco perché ti rifugi qui per scrivere. Se non ti disturba domani mattina, vengo a salutarti qui, nel tuo regno prima di partire.»

«No, passa pure tranquillamente. Quindi sei di partenza?»

«Devo andare per lavoro in Svizzera, ma starò massimo due giorni. Dopo tornerò qui, e se tu vorrai, non ti libererai più di me.»

«Non esagerare Michele, però devo proprio confessarti che anche tu sei entrato in maniera prepotente nel mio cuore. Sai, pensavo che anch’io, uno di questi giorni devo recarmi a Lugano. Devo consegnare l’ultimo mio lavoro al mio editore, potresti accompagnarmi se ti fa piacere. Sarebbe un’occasione per stare un poco insieme.»

«Certamente. Io non ti chiedo di accompagnarmi perché i miei viaggi di lavoro sono tutto tranne che piacevoli. Facciamo una passeggiata?

«Eccomi», disse Olga e così facendo le diede il braccio che, solo poche decine di metri dopo, divenne la mano. Il pomeriggio trascorse talmente bene che Michele era veramente dispiaciuto che la sera non avrebbe potuto vederla. Il lavoro di quella sera però, poteva veramente essere la svolta della sua vita. Ad affare concluso, avrebbe potuto decidere di trasferirsi in quelle zone veramente incantevoli, magari con al fianco una donna affascinante come Olga.

         I carabinieri oramai erano pronti ad agire. Erano le ore ventidue, un’auto d’appoggio era lungo la via che portava al supermercato pronta ad intervenire, l’altra con a bordo Passeri, Crescenzi e Banfi era a poche decine di metri dall’entrata del supermercato a fari spenti. Alle ore ventitré, un furgone bianco entrò con calma nel vialetto del supermercato e si diresse verso il retro nella zona parcheggi, spense il motore e si mise in attesa. Intanto, sull’altro versante del lago, l’altra auto era in una posizione tranquilla che permetteva di controllare a vista l’entrata dell’albergo dove alloggiava Sinibaldi. Verso le ore ventidue e trenta Sinibaldi uscì a piedi e si diresse verso il lungolago. Furlan per evitare di perderlo di vista, cominciò a seguirlo a piedi mentre pochi secondi dopo la pattuglia, sotto il comando di De Lellis, si mosse rimanendo ad una certa distanza. Passando lentamente davanti all’albergo, De Lellis istintivamente girò lo sguardo, i suoi occhi incrociarono per alcuni secondi quelli di Olga che fino ad un attimo prima era occupata a seguire il suo amico allontanarsi. La macchina che procedeva lentamente permise ai due di scambiarsi un fugace sorriso. Il signor Michele svoltò su una piccola via laterale, che dal lago riportava verso il centro storico, fece un altro paio di cambi di direzione fino ad arrivare ad una strettoia che immetteva in un’isola pedonale, dove si poteva proseguire solamente a piedi.

    «Maresciallo, attento, qui non può passare con l’auto deve fare tutto il giro del paese e attendere dall’altra parte altrimenti lo perdiamo», comunicò Furlan a De Lellis.

    «Dai, dai, Todde gira quest’auto, ci sta fregando ancora una volta.»

Nonostante la velocità della manovra, Sinibaldi l’aveva pensata proprio bene anche questa volta. Pochi secondi dopo riprese una via aperta al traffico, montò sopra ad un furgone parcheggiato e fece perdere le sue tracce. Ripreso a bordo Furlan, De Lellis informò Passeri dell’accaduto.

    «Certo che è veramente un bastardo», commentò Passeri.

    «Io comunque non credo che sospetti qualcosa, penso che abbia messo in atto questo stratagemma solo per precauzione», rispose De Lellis.

    «Spero sia come dici tu Antonio, comunque lo sapremo a breve e speriamo di non dover fare di nuovo la spesa nel furgone di Symensth.»

    «Non voglio neanche pensarlo. Comunque abbiamo la descrizione e la targa del furgone, se noi non arrivassimo in tempo e voi dalla barca non riuscite a bloccarlo, non potrà andare troppo lontano.»

    «Quando stiamo per arrivare dalla vostra parte, vedo se dalla barca si riescono a scorgere dei punti di riferimento per poterveli comunicare immediatamente.»

    «Ok Corrado ci sentiamo dopo, tienici informati, in bocca al lupo ed attenzione.»

 

 

 

Capitolo XX

 

 

 

Ore ventitré e quaranta, dal lago si vede avvicinare una barca, un colpo di sirena e due flash con i fari. Il furgone nel parcheggio del supermercato risponde con i fari.

«Ragazzi ci siamo, concentrazione», intimò Passeri.

«Come procediamo Tenente?» Chiese Crescenzi.

«Aspettiamo che la barca ancori. Al mio via, tu Crescenzi arrivi con l’auto e blocchi il furgone da dietro, io e Banfi arriviamo a piedi, intanto arriverà nel parcheggio anche l’altra auto a coprire l’eventuale fuga di qualcuno. Tutto chiaro ragazzi?»

«Sì!» Risposero i due

Dopo venti minuti la barca aveva ormeggiato, Symensth ed il suo uomo aprirono il furgone e cominciarono a dare indicazioni su come caricare la merce ai due marinai.

    «Ragazzi ci siamo, Cecchini pronti ad intervenire tra un minuto.»  

«Tenente noi siamo pronti.» rispose il responsabile della seconda auto.

Crescenzi arrivò di gran carriera nel parcheggio, dai lati giunsero Passeri e Banfi, tutti rimasero sorpresi.

    «Fermi, carabinieri, alzate le mani, evitiamo di fare stupidaggini.»

Uno dei marinai stava cercando la fuga quando ecco arrivare l’altra auto nel parcheggio a bloccargli la strada. Tempo pochi minuti e tutti e quattro furono ammanettati. Passeri era pienamente soddisfatto ma ancora non gioiva a pieno. Si diresse con estrema calma verso il furgone, si avvicinò ad una delle casse e con terrore l’aprì. Avvolto in uno strato di paglia un piatto antico, poi una brocca. In un’altra cassa una statuetta ed ancora un pezzo di mosaico e tanto altro ancora.

    «Sì cavolo, questa volta abbiamo fatto centro, bravi ragazzi. Portate via questi farabutti e adesso facciamoci questa gita sul lago ed andiamo a prendere Sinibaldi. Tu che mi sembri il più intelligente, cerca di collaborare che magari ne teniamo conto in fase processuale. Mettiti alla guida della barca e dirigiti dove era previsto l’appuntamento.»

Immediatamente Passeri volle dividere la gioia con De Lellis.

    «Antonio sono Corrado, abbiamo fatto centro, abbiamo recuperata tutta la refurtiva penso abbia un valore inestimabile, ci sono tantissimi reperti

    «Bravi, l’operazione è andata bene? Tutti illesi

    «Sì Antonio, è stato più facile del previsto, nessuno si è fatto male. Tra poco partiamo, abbiamo un marinaio che manovra la barca e siamo quattro di noi sopra, per Sinibaldi dovrebbe bastare non credi ah ah.»

    «Credo di sì, ma non ridere troppo presto

    «No, no ormai ho imparato la lezione, però, abbiamo già ottenuto risultati importanti, l’arresto dei due inglesi, il recupero della refurtiva. Ora com’era previsto dobbiamo traversare il lago molto lentamente, proprio come se avessimo i reperti a bordo, ci vorranno almeno due oreo anche di più, dovremo essere da voi intorno alle tre, tre e mezzo».

«Prendetevi il tempo che ci sarebbe voluto, non dobbiamo insospettire il nostro amico, noi intanto proviamo a fare un giro sulla cost,a magari questa volta la fortuna gira dalla nostra parte e ci imbattiamo in lui per caso.»

Sinibaldi aveva parcheggiato il furgone in una piccola via senza uscita che terminava proprio sul lago. Era circa tre chilometri a sud di Luino. Aveva studiato bene la situazione e quella via, da un lato così perfetta per il suo essere così isolata, dall’altro poteva trasformarsi in una trappola senza via di fuga nel caso fosse arrivato qualcuno alle spalle del furgone. Si era quindi premunito per un’eventuale fuga. Aveva fin dalla mattina ancorato un piccolo ma potente motoscafo in quel preciso punto che gli avrebbe permesso una comoda fuga via lago. Erano le tre e venti quando il Tenente Passeri contattò De Lellis.

    «Antonio mi senti, passo.»

    «Forte e chiaro Corrado dimmi.»

    «Siamo a trecento metri dalla costa, davanti a me è estremamente buio saremo circa a tre chilometri a sud di Luino. Unico riferimento che posso darti è la presenza di quella che sembra una serra, ha delle grandi superfici in vetro che riflettono la luce della luna e il nostro faro. Guarda se queste notizie possono bastarti.»

«Adesso vado in zona e vedo se incontro un qualcosa di simile, a dopo.»

«Forza bello avvicinati alla costa nel punto dove siamo attesi», disse Passeri al marinaio.

    «Ma non posso andare alla cieca, qui il fondale è basso e scoglioso, c’è vegetazione che potrebbe imprigionare l’elica ci dovrebbe essere un lampeggiante che ci dovrebbe indicare il punto preciso di attracco.»

«Cosa intendi per lampeggiante?»

«La persona che ci avrebbe dovuto aspettare qui, doveva metterlo in funzione, sarebbero bastati anche i fari di un’auto, ma non c’è nulla è completamente buio.»

«Aspettiamo, forse il nostro amico non è ancora arrivato.»

La barca rimase quasi un’ora ferma nel lago, la tensione saliva qualcosa stava andando storto. Sinibaldi aveva fiutato che c’era qualcosa che non andava. Per sicurezza aveva sciolto la cima che ancorava il motoscafo e si era messo alla guida dello stesso. Non succedeva nulla quando Passeri rivolse una domanda al marinaio.

«Ma tu così esperto non riesci ad attraccare nonostante i fari accesi della barca?»

«Io veramente ho sempre fatto l’aiuto marinaio.»

«Ma allora chi doveva pilotare la barca?»

«L’altro marinaio, quello che avete portato via.»

«Ma allora perché cavolo hai accettato di pilotare la barca?»

«Be lei mi aveva proposto uno sconto di pena ed io ho accettato, la barca comunque la so portare.»

«Ma chi aveva preso contatti per questa corsa?»

«Io no sicuramente, penso il capo e l’altro collega.»

«Crescenzi contatta la caserma e fatti passare l’altro marinaio immediatamente.»

Poco dopo, «Tenente eccolo, è in linea.»

«Senti che tipo di accordi avevi all’arrivo sull’altra sponda del lago? C’era da fare qualche segno convenzionale.»

«Avrei dovuto spegnere tutte le luci, poi lampeggiare una volta e riaccendere tutto. Dalla riva avrebbero lampeggiato indicandomi il canale di attracco.»

«Cavolo ecco perché Sinibaldi non si muoveva.»

«Forza imbecille fai come ha detto il tuo collega alla radio, chissà se è vero che non eri al corrente di nulla, altro che sconto.»

Tutte le operazioni furono fatte come da programma. Sinibaldi era estremamente sospettoso ma non poteva far altro che fidarsi. Accese i fari sul furgone, lasciò una freccia lampeggiante accesa ma subito si riposizionò dentro il motoscafo e si staccò di qualche metro dal bordo del lago. Studiò bene la rotta fatta dalla barca per avvicinarsi, in caso di fuga l’avrebbe percorsa al ritroso per raggiungere il largo. La barca con a bordo i carabinieri toccò la riva nel momento esatto in cui l’auto di De Lellis entrava nel vicolo bloccando la fuga del furgone. I carabinieri scesero dall’auto, circondarono il furgone ma dentro non c’era niente e nessuno. Andarono sulla riva e Furlan raccolse la cima lanciata da Banfi e la assicurò ad un grosso tronco secco arenato sulla piccola spiaggia. Tutto intorno silenzio, l’unico rumore quello del motore della barca ancora accesa.

«Dov’è finito», domandò Passeri, «Doveva essere qui fino ad un minuto fa, ha acceso i fari del furgone proprio adesso.»

«Dal viottolo siamo arrivati noi e lo avremmo visto se fosse fuggito da lì», rispose Todde.

«Spegni questo motore che non capisco niente», urlò Passeri al marinaio.

«L’ho appena fatto», rispose questo.

«Mi prendi in giro?» E dicendo questo diresse lo sguardo verso il retro della barca da dove effettivamente non si vedeva più uscire nessuna schiuma segno dell’acqua mossa dall’elica.

«Gira quel faro dietro veloce forza.» Dalla riva l’intera squadra vide allontanarsi pian piano con il motore al minimo un motoscafo che appena illuminato accelerò all’istante. Sopra si stagliava la figura di Sinibaldi che con una mano alzata salutava la compagnia.

    «Che gran figlio di put…» disse Passeri, questa volta quasi sorridendo.

    «Tranquillo Corrado, non penso finisca qui, ormai di prove a suo carico ne abbiamo sin troppe è solo questione di tempo vedrai.»

Erano ormai passate le cinque, il motoscafo di Sinibaldi volava sull’acqua diretto verso nord. I carabinieri stanchi e comunque soddisfatti, raccolsero le loro cose ed andarono a godersi un meritato riposo. Ancora un’ora di buio dava a Sinibaldi un vantaggio veramente incolmabile, avrebbe potuto dirigere il suo mezzo in talmente tanti posti che, organizzare dei posti di blocco, sarebbe stato impossibile. Sarebbe potuto andare verso sud, verso nord e addirittura direttamente in Svizzera via lago. Sinibaldi invece si diresse verso il suo nuovo amore. Alle sei e trenta ormeggiò nei pressi del parco così amato dalla sua Olga. Sedette proprio sulla panchina dove lui il giorno prima l’aveva contemplata tanto e decise di attendere il suo arrivo proprio lì, in quel luogo così speciale. In quel momento Olga sembrava essere l’unica cosa che contasse veramente per lui.

         Ormai era mercoledì da circa otto ore. Con un passo che diffondeva una docile eleganza, Olga raggiunse il suo giardino di delizie e trovò Michele ad aspettarla.

    «Michele, ma che ci fai qui?»

    «Ti aspettavo.»

    «Lo vedo, ma come mai a quest’ora?»

«Te l’avevo detto che sarei passato presto per salutarti non ricordi? Ho un appuntamento a Lugano per le dieci e volevo stare qualche minuto con te prima di lasciarti al tuo lavoro.»

«Sì, ricordo, ma non pensavo così presto. Ti sei lasciato trasportare da questi profumi?»

«Hai proprio ragione, la mattina presto qui è ancora più coinvolgente.»

«Peccato che man mano che i giorni passano inizi a fare sempre più freddo. Pensavo di terminare il mio libro qualche giorno prima e non ho portato delle maglie pesanti, una sera di queste dovrò uscire a comprare qualcosa.»

«Se vuoi, nella mia camera in albergo, ho dei capi che potrebbero servirti in attesa che compri qualcosa. Mi farebbe davvero piacere se li indossassi tu. Certo saranno un poco grandi ma almeno non prenderesti freddo. Se lo desideri, potrei lasciare detto alla reception che hai il mio permesso per entrare nella stanza.»

«Va bene con piacere, a me poi le maglie comode piacciono molto, danno un senso di protezione. Pensi di tenere occupata la stanza anche in tua assenza?»

    «Sì, spero di tornare presto, in un paio di giorni massimo vorrei cercare di essere qui. Tu invece quando pensi di andare per consegnare le tue bozze?»

«Penso di terminare in un paio di giorni, comunque sabato ventuno ho un appuntamento inderogabile per consegnare il tutto.»

«Facciamo una cosa Olga, se dovessi tardare per qualche motivo, ti telefono e ci vediamo su a Lugano in occasione della tua consegna, non vorrei rischiare di tornare e di non trovarti. Naturalmente sempre se tu sei d’accordo.»

«Va bene Michele, c’è un piccolo locale molto romantico, un poco fuori dal porto, sulla strada che porta al golf club. Ci si arriva con una stradina stretta si chiama “Il piccolo faro”, in caso ci potremmo vedere lì.»

«Da come me lo descrivi mi sembra perfetto.»

«Dai, ora andiamo a prendere un caffè, così poi ti metti in viaggio ed io continuo a fissare i miei pensieri.» Così dicendo lo prese frontalmente per le mani, salì sulla punta dei piedi e le diede un dolce bacio.

Michele aveva deciso che per un periodo lungo, non sarebbe più rientrato in Italia. La stanza era già stata pagata anticipatamente per ulteriori tre giorni ma lui non aveva nessuna intenzione di metterci più piede, sicuramente qualcuno in divisa lo stava aspettando nei paraggi. Dopo un paio di giorni avrebbe chiamato Olga da un telefono pubblico il più lontano possibile da Lugano, l’avrebbe incontrata, e se le cose avessero funzionato tra di loro, si sarebbero fermati a vivere in qualche luogo della Svizzera o del centro Europa. Con il tempo poi le avrebbe raccontato qualcosa. Il minimo necessario a farle capire che per la loro tranquillità, sarebbe stato meglio che lui avesse cambiato identità. Di conoscenze, che avrebbero potuto aiutarlo in questo, Sinibaldi ne aveva molte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Rome: 3 metri underground (parte 6 )

Capitolo XVII

 

 

 

Domenica 15 Settembre. Alle prime ore dell’alba, il posto di blocco in direzione Locarno, è stato rimosso senza alcun esito positivo. A Roma, l’automobile guidata da Crescenzi è giunta a destinazione, mentre, nelle villette dei fratelli Trabaschi, tutti ancora dormono. Tre metri sottoterra, anche i ragazzi, veramente esausti, si sono lasciati andare tra le braccia di Morfeo.

«Pensate sia opportuno coinvolgere ancora i ragazzi?» Chiese De Lellis a Passeri.

«Credo di no, però è pur vero che le indicazioni che potrebbero darci, su come sono disposte le case e la cantina, sarebbero veramente preziose. Non so davvero cosa fare.»

«Si potrebbe fare un sopralluogo esterno insieme a loro a bordo di un’auto, e poi prima del vero e proprio intervento farli allontanare, che ne dici Corrado?»

«Penso sia la decisione migliore. Come prima cosa questa volta dobbiamo coinvolgere i genitori, andiamo a parlare con queste famiglie, non penso che ci accolgano in modo troppo amichevole, ma per fortuna la fretta farà in modo che le decisioni vadano prese subito.»

Tutti i genitori interessati furono buttati giù dal letto poco dopo le sette. Ci ritrovammo tutti insieme nel salone della casa della signora Rosa. Tutti gli sguardi furenti erano diretti verso me e Roberto. Una serie di frasi del tipo “siete pazzi, incoscienti, appena finisce questa storia … giù una serie di conseguenze nefaste per noi”. Naturalmente i genitori dei due ragazzi rimasti sotto ci chiedevano informazioni sui loro figli.

«Signori, signori calma, la situazione è complessa ma non è pericolosa, state tranquilli. Ora andiamo sul posto, saremo tre carabinieri ed i due ragazzi che ci daranno tutte le informazioni utili per effettuare il bliz. State calmi che i due ragazzi non corrono assolutamente nessun pericolo», disse con voce tranquillizzante il Tenente.

«Io voglio essere presente e non accetto discussioni, visto anche che come avete detto non c’è nessun pericolo», disse in tono perentorio il padre di Gianni.

«Facciamo una cosa allora, voi sarete lì vicino in zona, appena arrestati i fratelli Trabaschi vi chiameremo per assistere al recupero dei vostri figli, di più non si può fare», rispose Passeri.

Dopo un veloce conciliabolo tutti furono convinti che questa fosse l’unica soluzione percorribile e l’operazione partì.

Ore otto e trenta. Due automobili con i genitori dei ragazzi sostavano un isolato distante dalle villette, un’auto priva d’iscrizioni con a bordo carabinieri e ragazzi era di fronte le case. Io e Roberto spiegammo come era la disposizione della cantina, dove erano rimasti bloccati i nostri amici. Poi Roberto ebbe un’intuizione che alla lunga si rivelò fondamentale.

«Marco, ma loro hanno la trasmittente!»

«Cosa?» Disse il signor Antonio.

«Sì, hanno la ricetrasmittente, non come le vostre certo, quelle giocattolo però funzionano.»

«Bravi, ora proviamo a contattarli con la nostra, tempo di modificare la frequenza, ecco proviamo. Dai Marco prova a parlare tu.»

«Qui Marco, ci sono anche i carabinieri, mi sentite? Gianni, Maurizio, mi sentite passo

«Pronto Marco, ti sentiamo passo», rispose Gianni.

«Evviva, ci sentono, ciao ragazzi siamo arrivati ci sono il Tenente, il Maresciallo, un altro carabiniere e Roberto, come state? Tra poco vi tiriamo fuori

«Stiamo bene, abbiamo notizie importanti, fammi parlare con il Maresciallo

«Ciao ragazzi, eccomi sono il Maresciallo, ditemi pure

«Ieri sera abbiamo ascoltato i due fratelli che parlavano qui in giardino, sappiamo perfettamente come sono andate le cose. Anche il fratello sa tutto, ma lui non c’entra quasi niente

Gianni continuò il suo racconto e i carabinieri rimasero ad ascoltare con estrema attenzione. La cosa che più li aveva interessati e che poteva permettere una nuova svolta nelle indagini, era la modalità del contatto tramite il telefono del bar.

«Certo Antonio che se riuscissimo a mettere sottocontrollo quel telefono per un paio di giorni.»

«Lo so Corrado ma se andiamo a prendere Antico, la linea telefonica è bruciata, se non ci fossero quei ragazzi là sotto, potremmo anche aspettare un paio di giorni.»

«Non si può aspettare oltre dobbiamo andare a prenderli.»

La radio era nelle mie mani, inavvertitamente dovevo averla messa in modalità attiva, sta di fatto che i ragazzi avevano ascoltato la conversazione.

«Signor Antonio, mi sente

«Sì Gianni dimmi pure

«Abbiamo ascoltato quello che stavate dicendo, Maurizio ed io siamo d’accordo che se serve siamo disposti a restare un altro giorno qui sotto

«Ragazzi non scherzate, è pericoloso

«Ma ormai ci siamo abituati, dal foro passa anche un poco di luce, l’aria c’è, il soffitto è stabile in questo punto, abbiamo solamente un poco di fame ma un giorno si può resistere

I carabinieri si guardarono, non sapevano che decisione prendere. Comunque era una scelta che andava condivisa con i genitori.

    «Ragazzi restate in ascolto vi faremo sapere a breve

La macchina dei carabinieri andò nel piazzale dove erano parcheggiate le automobili dei genitori in attesa. La situazione fu esposta con estrema chiarezza dal Tenente.

    «Ma siete pazzi, andate subito a tirare fuori i nostri ragazzi», commentò con tono inquieto il padre di Gianni rivolto al Tenente.

    «Vi ripeto che la richiesta non è assolutamente venuta fuori da noi, sono stati i vostri figli a proporcela. Facciamo una cosa venga lei e lei.» indicando il padre di Gianni e di Maurizio, «Venite, vi facciamo parlare con i vostri figli»

Poco dopo i carabinieri con i due papà, sono di nuovo davanti le due case dei fratelli Trabaschi.

    «Gianni, mi senti sono papà, come stai

    «Papà ciao che ci fai qui? Sto bene tranquillo

    «Ma cos’è questa storia che volete rimanere un altro giorno qui? Ma vi siete impazziti

    «Papà, qui sotto non c’è alcun pericolo, noi vorremmo essere il più utile possibile alle indagini

    «Ma che utili ed utili, siete ragazzini, uscite fuori e pensate a giocare

    «Papà io e Maurizio siamo d’accordo così; se ci pensi bene, anche se arrestano questi del piano sopra, i complici sono liberi. Loro sanno che noi sappiamo, e quindi non saremo mai tranquilli, vogliamo risolvere questa questione una volta per tutte.» 

A quest’ultima osservazione, il padre di Gianni non ebbe più alcun argomento per controbattere il figlio e rimase in silenzio. Anche Maurizio parlò con il padre, ribadendo comunque le stesse motivazioni alla loro decisione.

    «Tenente, e specialmente lei signor Antonio, noi ci conosciamo meglio, cosa ne pensate? Cosa ci consigliate?» Domandò il padre di Maurizio.

«La decisione spetta a voi. Obiettivamente dove sono i ragazzi non c’è pericolo, se si dovesse decidere che restano, posso garantirvi che metterò un’auto fissa qui davanti, abbiamo anche la fortuna di poterli continuamente sentire con la radio e nel caso ci sia bisogno, si può intervenire immediatamente.»

Alla fine la decisione fu presa, i ragazzi restarono.

Erano le dieci passate quando gli abitanti dei piani alti si alzarono più o meno contemporaneamente. Ai ragazzi sotto iniziava ad arrivare un certo languorino.

I due fratelli s’incontrarono casualmente in giardino, entrambi alle prese con la prima sigaretta della giornata.

    «Buongiorno, saranno le dieci passate ma ormai la mattina inizia a fare un po’ fresco eh», disse Agostino al fratello.

    «E sì, ma tu che fai, non dovevi togliere un poco di questa robaccia?»

    «Ma ormai è tardi, penso che vengo anch’io a pranzo da mamma, forse mi ci metto domani sera.»

    «Non avevo dubbi, ma se oggi non pulisci domani non puoi cementare.»

    «E tanto che fa, giorno più giorno meno, cosa vuoi che cambi.»

    «Io lo dico per te, comunque fai come vuoi. Mi vado a fare una doccia ci vediamo da mamma allora, ciao.»

    «Ciao.»

Intanto sotto i ragazzi avevano ascoltato tutto dalla loro posizione privilegiata.

    «Hai sentito Gianni?»

    «Sì Maurì, ho sentito, sicuramente questo oggi non si mette a pulire e domani non potrà riempire tutto con il cemento. Noi a questo punto, potremo anche restare domani notte, così i carabinieri avranno più tempo per intercettare le telefonate al bar.»

    «Ho capito, ma noi qui sotto come facciamo, non abbiamo niente da mangiare e da bere e poi tra poco le batterie delle trasmittenti si esauriranno.»

    «Aspetta, proviamo a sentire se c’è qualcuno qui fuori», disse allora Gianni, impugnando la trasmittente.

    «Pronto qui casa sotterranea, agenti Gianni e Maurizio chiedono colloquio urgente, c’è nessuno passo?»

    «Ragazzi, eccomi, sono Crescenzi, vedo che siete entrati proprio nella parte, ditemi pure.»

    «Abbiamo ascoltato un’altra conversazione proprio un attimo fa, sembra proprio che domani non ci sia nessuna autobetoniera in azione, quindi avevamo pensato di poter rimanere un’altra notte in più, così avete più possibilità di intercettare qualche telefonata.»

    «Ragazzi devo sentire il Tenente ed i vostri genitori, ma poi voi come fate altri due giorni, siete sicuri di poter resistere senza niente da mangiare?»

    «Ecco a proposito di questo», disse Maurizio strappando dalle mani la ricetrasmittente all’amico, «Sappiamo che oggi sono tutti a pranzo dalla madre di Trabaschi, quindi se qualcuno ci fa calare dal buco qualcosa non sarebbe male, ed anche delle batterie di riserva per le radioline.»

    «Calma ragazzi, vi ho già detto che devo consultare gli altri, comunque se si decidesse per il sì,  state tranquilli che qualcosa faremo.»

«Va bene allora noi aspettiamo notizie passo e chiudo

Appena finita la conversazione con i ragazzi, il Brigadiere si mise in contatto con il Tenente e gli espose le ultime novità.

    «Certo che un giorno in più ci farebbe proprio comodo, avremmo più possibilità di intercettare qualcosa, a proposito il telefono del bar sarà sottocontrollo già dal pomeriggio, abbiamo ottenuto un procedimento urgente», disse il Tenente.

«Ma come intende procedere?» Chiese Crescenzi.

«Bisogna sentire assolutamente i genitori. Sai cosa facciamo? Li portiamo lì davanti con la scusa di sentire i figli e glielo facciamo chiedere da loro. Fai una cosa avverti i ragazzi che faremo così, magari se loro li tranquillizzano, ci danno il permesso. Ora dimenticavo la cosa più importante, come stanno, li hai sentiti tranquilli?»

«Sembra di sì, sono entrati nella parte, sembrano dei piccoli agenti.»

«Sono veramente tutti in gamba, sarebbe il caso di pensare a una ricompensa quando tutto sarà terminato.»

«Ha proprio ragione, intanto io allora li avverto.»

«Ok Crescenzi, ma tu come stai? Sarai stanchissimo immagino, dopo pranzo ti organizzo un cambio e ti vai a riposare, a più tardi

 

Era l’ora di pranzo quando due automobili parcheggiarono davanti alle due case di Villaggio Breda che conosciamo bene. Ormai dentro non c’era più nessuno, mentre sotto i ragazzi attendevano notizie.

«Gianni, sono papà, come va?»

«Papi ciao, tutto bene.»

«C’è anche mamma qui che ti vuole salutare.»

«Ciao tesoro, stai bene? Hai fame? Fa freddo lì sotto?»

«Tranquilla mammì, non fa freddo, sto bene e un poco di fame ce l’ho ma resisto bene. Volevo dirvi che ci sono novità. Abbiamo la sicurezza che per due giorni non succederà niente e quindi…»

La conversazione proseguì, i ragazzi spiegarono quali fossero le loro intenzioni. I genitori non erano molto d’accordo, ma i loro figli erano talmente decisi che niente riuscì a dissuaderli dalle loro intenzioni. Ora bisognava solamente escogitare un modo per far arrivare qualcosa ai ragazzi. Il signor Antonio pensò di utilizzare a tale scopo noi ragazzi rimasti fuori. Io e Roberto ci ritrovammo a giocare sul marciapiede davanti casa Trabaschi. Casualmente Roberto mandò il pallone nel giardino.

«Francesco  stai  attento! E adesso bisogna scavalcare», dissi io a Roberto.

Avevamo scelto di proposito dei nomi falsi in caso ci avesse visto o sentito qualcuno.

    «Alessandro, stai tranquillo ci vado io», rispose Roberto. Il mio amico scavalcò la recinzione ed andò verso il pallone che lui stesso aveva mandato verso l’apertura. Aveva un piccolo zaino sulle spalle dove aveva riposto alcune cose. Una volta chinato fu al riparo da sguardi indiscreti, sgusciò non senza difficoltà tra gli oggetti ammucchiati in giardino ed arrivò nei pressi del foro d’apertura.

    «Ragazzi, ciao sono Roberto.»

Maurizio e Gianni guardarono subito verso l’alto, sorpresi e contenti allo stesso tempo.

    «Roberto? Ciao, che ci fai qui?»

    «È arrivato il pranzo a domicilio», rispose Roberto sorridendo.

    «Che bello, grazie Robé», rispose Maurizio che era il più affamato.

    «Allora prima vi calo due bottiglie d’acqua, venite qui sotto che si rompono attenti.  Vi ho portato poi un triangolo di latte un pacco di Bel Bon ed alcuni Buondì Motta per la colazione e la merenda. Sei ciriole, due con il prosciutto due con il formaggino e due con il salame. Vi tiro giù anche delle batterie per la trasmittente.»

    «Grazie, ma non ti hanno visto? Come mai non ci avete avvisato che arrivava il pranzo?» Chiese Gianni.

    «Volevamo fare una sorpresa e poi se non ci fossimo riusciti, ci sareste rimasti troppo male. Avete preso tutto?»

«Sì sì, grazie ancora.»

«Ciao, vado via subito che è meglio.»

Immediatamente tutte le auto, tranne quella fissa di pattuglia, andarono via.

La domenica passò senza troppe novità. Neanche da nord arrivarono buone nuove, Symensth sembrava aver fatto completamente perdere le sue tracce. Gli sforzi erano ormai concentrati sul bar del quartiere Centocelle, dove ogni sera Trabaschi, verso le ventuno, si recava per ricevere delle eventuali telefonate da parte di Antico. I carabinieri erano fuori, dentro un furgone. Oltre a mettere sottocontrollo il telefono, erano riusciti a posizionare una cimice direttamente nell’apparecchio in modo da poter ascoltare, in tempo reale, tutti i dialoghi degli avventori che lo avessero usato. Alle ore venti e cinquanta Agostino arrivò, prese il suo solito aperitivo e si mise a sedere in attesa. Dopo un paio di telefonate di fidanzati spasimanti, ne arrivò finalmente una veramente interessante.

«Bar Mirti, buonasera, chi parla?» Disse un dipendente del bar.

«Sì buonasera, potrei cortesemente parlare con il signor Trabaschi? Dovrebbe essere lì.»

«C’è il signor Trabaschi in sala?»

«Sì eccomi, grazie.»

«Hodie», esclamò Sinibaldi.

«Piu i locu», rispose Trabaschi, poi aggiunse «heri.»

«Piiu ic locu», rispose Sinibaldi.

«Ciao Michele come va?», chiese Trabaschi a Sinibaldi.

«Ciao Agostì, tutto bene. Che si dice in giro?»

«O sono molto bravi a nascondere le cose, o veramente ormai hanno rinunciato.»

«Anche qui sembra tutto tranquillo. I nostri amici hanno evitato un posto di blocco sulla strada per Locarno, adesso se ne stanno tranquilli un paio di giorni a Cannobio.»

«E dove sarebbe questo posto?»

«Sul lago Maggiore.»

«E tu dove stai?»

«Io ho passato il lago e sono a Luino, mi sto facendo una bella vacanza, scherzo. Ho lasciato la mia auto di là e ne ho presa un’altra a nolo. Li sto precedendo per vedere se delle volte ci fossero intoppi lungo la strada.

«Ma per la merce come fate?»

«Sto cercando di contattare qualcuno che faccia poche domande e che con una barca mi permetta di trasportare la merce da quest’altra parte, meglio evitare i trasporti pubblici. Una volta di qua, cambieranno anche loro mezzo e passeranno il confine dirigendosi verso Lugano.»

«Ma tra di voi come vi contattate?»

«Li chiamo io da questo telefono pubblico al loro albergo.»

«Ma non è rischioso? I carabinieri potrebbero fare dei controlli sugli elenchi delle persone che alloggiano negli alberghi della zona?»

«Impossibile caro, prima cosa ormai siamo ben lontani dalla zona, secondo ci sono centinaia di alberghi qui sul lago e terzo con chi pensi di avere a che fare? Hanno dato generalità e documenti falsi.»

«Scusa tanto se mi preoccupo.»

«Tranquillo devi stare tranquillo, tra pochi giorni sarà veramente tutto finito e a breve avrai la tua parte di soldi. Senti ora vado che devo parlare con un tizio al porto per quella cosa che ti ho detto, ciao.»

«Ciao.»

I carabinieri avevano ascoltato e registrato sul posto ogni parola.

         «Caro Antonio questa volta abbiamo veramente un gran numero di notizie importanti, possiamo prenderli se ci muoviamo in fretta e con attenzione», disse il tenete Passeri a De Lellis.

         «Questa frase mi sembra di averla ascoltata più di qualche volta, o sbaglio?»

«E già non sbagli proprio, bisogna subito mettersi al lavoro. Prima cosa bisogna cercare di capire il meccanismo di quella parola d’ordine che usano quei due. I ragazzi hanno detto che hanno sentito i fratelli Trabaschi dire che utilizzano la frase latina presente sul muro in cantina, però chissà con quale meccanismo.»

«Cosa intendi fare una volta capito il funzionamento?»

«Voglio sostituirmi a Trabaschi o a Sinibaldi e vedere se riesco ad indirizzare la conversazione verso ciò che più ci interessa, ma non posso rischiare di sbagliare la parola d’ordine altrimenti bruciamo anche questo vantaggio che abbiamo. Dobbiamo riuscire a trovare il nesso tra frase e parola d’ordine.»

«Fai avere tutti i dati anche su a Todde, quel ragazzo è sveglio magari ci trova la soluzione», disse il Maresciallo De Lellis.

«Provvedo subito a contattarlo, gli devo anche dire di spostare il raggio d’azione verso i luoghi del lago Maggiore che abbiamo sentito prima nella telefonata.»

«Corrado, rintracciamo subito anche il telefono pubblico da cui Sinibaldi chiama Trabaschi e mettiamolo sotto controllo, se veramente è lo stesso con cui chiama Symensth, possiamo individuare in quale albergo alloggia.»

«Bravo Antonio hai ragione. Veramente questa volta mi sembra …»

«Non dire niente», lo azzittì subito il signor Antonio.

 

 

 Capitolo XVIII

 

 

 

Lunedì 16 Settembre, ore dieci. Todde, Furlan e Banfi sono in viaggio da Domodossola verso Cannobio. Alla guida c’è Banfi, di fianco al guidatore c’è Todde con la mente completamente immersa nei fogli che ha davanti agli occhi arrivati pochi minuti prima da Roma.

«Eppure ci deve essere un nesso, HOSPITIUM HIC LOCATUR è la frase che è sul muro della casa romana.»

«Ma cosa significa?» Domandò Furlan a Todde che grazie ai suoi studi aveva una certa conoscenza del latino, anche se, doveva sforzarsi non poco per togliere la polvere dal cassetto dei ricordi.

«Dovrebbe significare, qui si affitta, o una cosa simile. La vecchia casa doveva essere una locanda. Ora bisogna capire il botta e risposta tra i due da cosa è derivato.»

«Uno ha detto hodie che ha determinato una risposta, l’altro heri che ne ha prodotta una simile ma diversa», disse Furlan.

«Infatti, basta poco per sbagliare e loro fanno proprio affidamento su questo. Allora ad hodie che vuol dire oggi Trabaschi ha risposto piu i locu, a heri che vuol dire ieri Sinibaldi ha risposto piiu ic locu. Questo vuol dire che è un codice mutante.»

«Ossia», chiese Banfi.

«Vuol dire che in base al giorno cambia qualcosa.»

«Mi sa che questo codice è ancora peggio perché il giorno lo sceglie chi è al telefono, è l’interlocutore che dice oggi o ieri, magari in altre chiamate dirà anche domani, dopodomani ecc.» 

I tre continuarono a spremere le loro meningi, alcuni passi avanti li avevano fatti ma ancora non erano giunti ad una soluzione. Era chiaro che la frase di risposta non aveva nessun senso in latino ma era solamente la famosa scritta sul muro cui venivano tolte delle lettere. Todde aveva riempito decine di fogli per fare dei tentativi ma ancora senza esito. Aveva provato a scrivere HOSPITIUM HIC LOCATUR e confrontarlo con una delle due risposte                         PIIU IC LOCU.

«Se dalla prima scritta cancelliamo l’altra, possiamo vedere le lettere che sono state eliminate e sono H O S T M H A T R. Se eliminiamo le lettere H che per praticità spesso vengono escluse nei codici, rimangono O S T M A T R. Vuol dire che una parola formata da queste lettere, è stata sottratta dalla scritta sul muro, ed ha dato vita alla frase di risposta.»

«Potrebbe essere vediamo mastrot, sottomarino, no no sono troppe. Ma è davvero un rompicapo», disse Banfi.

    «Aspetta però, mi hai fatto venire in mente una cosa, potrebbero anche mancare delle lettere per formare la parola.»

    «Come come? Che stai dicendo?»

«Intendevo dire che la parola che cerchiamo non è detto che debba avere tutte le lettere che la formano presenti nella scritta. Mi spiego meglio, se la parola fosse COCA COLA, io da  HOSPITIUM HICLOCATUR vado a togliere solo quelle che trovo e le h, in questo caso posso cancellare solo due C anche se coca cola ne ha tre. Diventerebbe quindi SPITIUM I TUR, è chiaro cosa intendo?» Chiese Todde ai colleghi.

«Ad essere chiaro è chiaro quale potrebbe essere il meccanismo, ma da ciò a capire la soluzione del mistero ce ne passa», rispose Banfi.

«Ci si può provare, mi sta anche venendo in mente una cosa. Allora abbiamo detto in un caso sono state eliminate le lettere O S T M A T R nell’altro caso con risposta  PIU I LOCU sono state sottratte le lettere O S T M I C A T R.» Sugli appunti di Todde c’era evidenziato questo schema.

 

 

 

HOSPITIUM HIC LOCATUR HERI-H-PIIU IC LOCU = O S T M A T R

HOSPITIUM HIC LOCATURHODIE-H-PIU I LOCU = O S T M I C A T R

 

 

 

 

Ad un certo punto, mentre lo fissava, un fulmine le attraversò la mente, fu tutto chiaro in un attimo ed esclamò:

    «Forse ci sono!»

    «Davvero», esclamò Banfi guardando il collega con occhi increduli.

    «Mi servirebbe però, almeno un altro esempio di codice e ci dovrei essere davvero, con due solamente, c’è una possibilità di errore.»

«E come funziona?» Chiesero quasi all’unisono Furlan e Banfi.

«Ve lo dico stasera se ci sono novità da Roma, non voglio illudere nessuno.»

Giunti a Cannobio Todde chiamò il Tenente in ufficio per darle gli ultimi aggiornamenti.

«Pronto chi parla?» Chiese Passeri

«Sono Todde Tenente.»

«Buongiorno Todde, dimmi pure.»

«Non vorrei illudere nessuno, però forse ci sono.»

«Dove sei?»

«No, no intendevo dire che ci sono con la soluzione della parola d’ordine tra Trabaschi e Sinibaldi.»

«Non mi dire, anzi dimmi, dimmi tutto.»

Todde raccontò la sua idea al Tenente a cui però ribadì anche l’importanza che avrebbe avuto un’ulteriore intercettazione per essere estremamente sicuri.

«A questo ci penso io, ed ho anche in mente come fare, tu stai tranquillo, appena ho nuove informazioni ti chiamo al numero che mi hai dato e speriamo che ti sia utile»

«Ok Tenente ci sentiamo stasera e speriamo che Sinibaldi chiami ancora.»

Intanto a centinaia di chilometri di distanza e qualche metro sottoterra . . .

«Gianni c’è rimasto qualcosa da mangiare?»

«A Maurì, ma come fai ad essere così magro, mangi come un bufalo.»

«Bo, è che qui non c’è nulla da fare mi annoio anche. Chissà fuori che succede.»

«Sentiamo chi c’è fuori», disse Gianni

«Pronto qui agenti Maurizio e Gianni passo, chi è di guardia? Passo

«Buongiorno ragazzi, sono il signor Antonio

«Come mai lei Maresciallo?» Chiese Gianni.

«Bisogna dare una mano tutti, poi gli altri colleghi sono dovuti andare per un furto in un negozio a Torre Maura, Crescenzi lo abbiamo mandato a riposare un poco che stanotte è di guardia lui. Credo che domani vi tiriamo fuori, massimo mercoledì mattina, il tempo di intercettare un altro paio di telefonate al bar. Come state

«Un po’ stanchi e un po’ affamati, specialmente Maurizio, speriamo di uscire domani

A quel punto il Maresciallo ebbe una trovata geniale per tirare su il morale ai due poveri ragazzi.

«C’è una strana calma in giro, mi sembra che oggi ricominciavano le scuole ma non sono sicuro

«Le scuole, di già?» Disse Maurizio.

«Comunque tranquillo Maresciallo, noi resistiamo, tranquillo», aggiunse Gianni immediatamente. Lo spaventava più l’inizio della scuola che lo stare tre metri sottoterra. Mentre se per Maurizio era chiara la volontà del padre di indirizzarlo verso una carriera lavorativa, per Gianni c’erano ancora forti dubbi, e l’ipotesi di una giornata che prevedesse scuola la mattina e lavoro il pomeriggio non era così peregrina.

I ragazzi nel loro “bunker” erano in silenzio e quasi appisolati, quando verso le diciassette e trenta, iniziarono a sentire dei gran rumori provenire da fuori. Agostino Trabaschi aveva iniziato a togliere delle cose da sopra la loro testa. Per le cose più distanti usava una piccola ruspa, per le cose più vicine all’imboccatura del passaggio, usava le sole mani, evidentemente aveva paura che il peso della ruspa avrebbe potuto generare ulteriori crolli. Il Maresciallo che assisteva alle operazioni da lontano, si mise in contatto immediatamente con i ragazzi.

«Ragazzi, tutto bene? »

«Sì, per ora sì, ma che succede lì fuori?» Domandò Gianni.

«Tranquilli, Trabaschi sta togliendo quella montagna di rifiuti che avete sulla testa. Non ci dovrebbero essere problemi perché sopra di voi sta usando le mani nude, ma se sentite strani scricchiolii, se vedete della terra venire giù avvisate immediatamente che blocchiamo tutto e vi tiro fuori subito

«Va bene, qui sotto sembra tutto ok per ora, passo», rispose Gianni.

Il Maresciallo chiamò immediatamente Passeri per metterlo al corrente della situazione.

    «Corrado, bisogna fare in fretta, là potrebbe crollare tutto, ed in più, se Trabaschi oggi ha deciso di pulire, domani sicuramente riempirà tutto di cemento per eliminare le prove una volta per tutte

    «Sì hai ragione, credo proprio che ci dobbiamo far bastare le informazioni che riusciremo ad avere questa sera e al massimo domani mattina liberiamo i due ragazzi. Ci aggiorniamo più tardi, se vuoi venire con me stasera al bar ti passiamo a prendere così ci dai una mano

    «Va bene io qui finisco alle diciannove, dovrebbe venire Crescenzi a darmi il cambio

«No Crescenzi serve a noi, viene un altro collega. Senti facciamo una cosa, il cambio lo accompagniamo noi così ti prendiamo ed andiamo a Centocelle al volo

«Va bene a tra poco

Alle ore venti, quattro carabinieri erano nel retrobottega del bar a parlare con il proprietario e con il barista. Il quarto carabiniere era Franceschilli, un Brigadiere che, anche se aveva studiato tutto il caso, non vi aveva mai partecipato in prima persona e quindi Trabaschi non avrebbe potuto riconoscere. Alle venti e cinquanta, puntuale come il solito, Trabaschi era seduto con il suo aperitivo e attendeva la solita chiamata. Il telefono suonò.

         «Pronto Bar Mirti, chi parla?»

         «Cercavo il signor Trabaschi per cortesia», disse Sinibaldi.

Il barista coprì il ricevitore con una mano e disse a voce non troppo alta.

«C’è il signor Altieri?»

«Sì eccomi», rispose Franceschilli e appena prese la cornetta aggiunse, «Heri.»

«Piu i locu», rispose Sinibaldi.

«Pronto, pronto Michele non ti sento bene, la linea è disturbata riprova tra due minuti», e attaccò. Intanto fuori dal furgone dove gli altri carabinieri ascoltavano tutto.

«Bravo Franceschilli. Crescenzi chiama subito Todde e riportagli il dialogo che abbiamo appena ascoltato», ordinò Passeri.

«Todde ciao, Crescenzi, allora all’esclamare heri ha risposto piu i locu.»

«E certo perché è passato un giorno, è la stessa frase che ieri aveva dato come risposta alla parola hodie», rispose Todde.

«E quindi che ci dici Todde?» Pressò il Tenente.

«Un attimo un attimo. Ieri era domenica, se togliamo oltre alle H le lettere che formano la parola domenica da HOSPITIUMHIC LOCATUR rimangono SPTIU I LOCTUR. Se ha risposto piu i locu, proviamo a togliere queste parole da SPTIUILOCTUR rimane STTR. Quindi ieri era una domenica STTR, sì ecco ci sono settembre, ieri era una domenica di settembre. Torna tutto, così torna.»

 

 

HOS P IT IU M  H I C LOC AT U R= - H - domenica - settembre= piu i locu

 

 

  

 

            «Bravo Todde, ed ora secondo te cosa ci dobbiamo aspettare?» Chiese il Tenente.

«Credo che se richiamerà userà hodie o chissà potrebbe anche usare cras ossia domani. Vi preparo tutte e due le eventuali risposte

«Ti richiamo tra dieci minuti, sperando che non richiami proprio adesso

Improvvisamente De Lellis aprì il portellone del furgone tra gli occhi stupiti dei colleghi e affiancò un gruppetto di tre ragazzini che passavano. Dopo un breve conciliabolo, questi andarono via, entrarono nel bar e ne riuscirono quasi immediatamente con un gelato a testa. Passeri non ebbe neanche il tempo di chiedere spiegazioni a De Lellis quando il telefono nel bar squillò, nuovamente. Il barista rispose, non sapeva bene cosa fare ma con uno sguardo Franceschilli si fece capire.

«Signor Altieri, ancora per lei.»

«Grazie arrivo; heri», esclamò Franceschilli.

«Piu i locu,» rispose Sinibaldi che subito aggiunse «Cras»

Il gelo attraversò l’intero furgone tranne il signor Antonio che quasi se la rideva soddisfatto.

         «Opiu ic locu», rispose Franceschilli leggendo un foglietto stropicciato che poco prima gli aveva consegnato un ragazzino.

         «Ciao Agostino, ma cosa è successo prima?»

         «Oggi la linea è un poco disturbata ti sento molto lontano», rispose Franceschilli parlando di proposito lontano dalla cornetta.

         «A Roma tutto bene?»

         «Sì, qui sì, nessuno sospetta di niente. Da te come va?»

         «Bene, ho appena preso accordi con un piccolo armatore di Maccagno che gestisce la “Navismaggiore”. La ditta ha alcuni mezzi che offrono un servizio di tipo pubblico, con delle corse ad orario fisso e poi piccole barche che noleggia, con o senza skipper, per gite sul lago. Su richiesta, fa anche corse notturne molto romantiche. Siamo d’accordo che domani sera, una volta calata la notte, dovrà salpare per andare a caricare la nostra merce appena fuori dal porto di  Cannobio.

«Ma tu sarai con lui?»

«No io preferisco aspettare a Luino e vedere che tutto sia in ordine dove abbiamo deciso di ormeggiare la barca.»

«I due inglesi viaggeranno insieme alla merce, sulla barca?»

«Sì, loro sì, e quando la perdono di vista. Il tutto avverrà prima che faccia giorno, io sarò ad attenderli sulla riva già con il furgone preso a nolo per il trasporto.»

«A Michè, ma non stai rischiando troppo, sono affari loro no?»

«Agostino caro, se quelli non si sbrigano a far sparire la roba, noi siamo sempre a rischio e poi, se non piazzano la merce, neanche noi vediamo una lira.»

«Anche questo è vero, ok allora adesso ti lascio; ora che fai?»

«Mi vado a fare una cenetta romantica con una bella donna che ho conosciuto qui in albergo, alloggia sola, è una scrittrice, una niente male sai.»

«Anche un latin lover mi sei diventato, e come si chiamerebbe questa nuova fiamma?»

«Olga, viene spesso da queste parti, dice che il lago la ispira, e ti dirò di più, mi è anche stata utile per alcuni contatti qui in zona. Comunque, prima devo chiamare Symensth per spiegargli tutto quello che ti ho detto. Ciao a domani.»

«Ciao.»

Una volta finita la chiamata, Franceschilli uscì dal bar e si diresse verso il furgone, Trabaschi aspettò per più di un’ora, poi andò via. Quella sera chi lo aveva cercato aveva incontrato un altro interlocutore e non aveva sospettato di nulla.

         «Ma chi sei? Alberto Lupo?» Chiese il Tenente a Franceschilli appena salito sul furgone.

         «Come sono andato? L’ho fatto parlare abbastanza mi sembra.»

         «Sei stato proprio in gamba, abbiamo tantissime informazioni», aggiunse Crescenzi.

«Ma la cosa più importante, come diavolo hai fatto per la parola d’ordine?» Chiese Passeri.

         «Ma non me l’avete mandata voi?»

         «Noi? E come, con un piccione viaggiatore?» Rispose Crescenzi.

         «No, con un ragazzino, me l’ha portata su un foglietto di carta.»

Passeri e Crescenzi allora capirono e rivolsero lo sguardo verso il Maresciallo

         «Tu, quando sei sceso a parlare con i ragazzini?» Domandò Passeri rivolto a De Lellis.

         «Già io, mi vuoi infliggere una punizione per questo? Ti ricordo che non sono in servizio ufficialmente, sono un fantasma, mi vedi ma non ci sono.»

         «Signori vi presento il Carabiniere dell’anno, prontezza, intuito e intelligenza concentrati in un'unica persona. Sei stato eccezionale Antonio. E poi una cosa, mi spieghi la soluzione dell’enigma? Mi secca dirlo ma per queste cose io…»

         «Signori è tardi, Trabaschi se n’è andato, possiamo andare a cenare tutti quanti. Caro Corrado se vuoi capire bene ti tocca pagare una cena», rispose il Maresciallo.

«Va bene, scegli dove vuoi ed andiamo.»

«E tu pensi di cavartela con così poco? Offri a tutti e tre, mi sembra che ce la siamo meritata tutti.»

         «Hai ragione, anche Todde, peccato che non c’è, anzi fammelo chiamare che gli faccio i complimenti e lo aggiorno.»

Durante la cena si parlò naturalmente anche delle indagini e dei prossimi passi da fare. Sicuramente a breve avrebbero saputo dove alloggiava Symensth, Sinibaldi infatti lo avrebbe contattato per comunicare gli ultimi particolari e così facendo, avrebbe permesso ai carabinieri di risalire all’albergo dove alloggiava ed alla nuova identità assunta per l’occasione. Se si voleva però cogliere in flagrante anche Antico, bisognava collegarlo alla merce trafficata. Catturare immediatamente Symensth, avrebbe alleggerito di gran lunga la posizione di Sinibaldi.

 «Hotel Golfo buonasera.»

«Buonasera, sono il signor Verardelli, potrei parlare gentilmente con il professor Omans?» Chiese Sinibaldi alla reception.

«Un momento vedo se è in camera.» Dopo pochi secondi.

«Pronto? Con chi parla?»

«Buonasera Alex sono Sinibaldi, volevo riferirti gli ultimi dettagli. Domani sera, verso le ventitré e trenta, dovrete farvi trovare con la merce circa un chilometro a sud di Cannobio. C’è un supermercato un po’ isolato, con un parcheggio alle spalle che da’ direttamente sul lago. Arriverà una barca a prendervi, suonerà una volta e lampeggerà due volte, voi dovrete rispondere con due lampeggi dei fari.»

    «E dopo cosi fare? Ma tu sei on the boat?»

    «Ci saranno due persone che vi aiuteranno a caricare la merce. Io vi attenderò sull’altra sponda del lago, in una zona tranquilla nei pressi di Luino, pronto con un furgone. In un attimo poi raggiungerete il confine svizzero.»

    «Ok, Michele very good. Una volta venduta merce, puoi contatarmi my negozio in Londra and pagherò my debito.»

    «Tranquillo, tra noi non ci sono mai stati problemi; allora siamo d’accordo così, ci vediamo domani notte, ciao.»

    «Bye.»

I due inglesi andarono a dormire, mentre Sinibaldi era atteso da una serata romantica. L’appuntamento era in albergo per poi andare a mangiare in un ristorantino sul lago. Tornato in albergo, Michele vide la signora Olga che lo attendeva nella hall, dedita alla lettura di un libro avvolta in un abito molto elegante.

    «Buonasera Olga, scusami se sono in leggero ritardo, alcuni impegni di lavoro mi hanno tenuto occupato fino ad ora.»

    «Non preoccuparti Michele, grazie delle rose che mi hai mandato e del biglietto che le accompagnava, è valsa la pena attendere qualche minuto.» 

    «Troppo gentile, se sei pronta potremo andare.»

    «Sì, con piacere, dove mi porti di bello?»

«Un bel posto sul lago, tra poco vedrai.»

Sinibaldi porse il soprabito a Olga ed uscirono dall’albergo. La serata andò avanti in modo estremamente piacevole, il locale era molto romantico, cena a lume di candela e cibi raffinati. I due parlarono dei loro rispettivi interessi ed Olga si dimostrò essere una donna molto affascinante, capace di spaziare con estrema disinvoltura su qualsiasi argomento cadesse la discussione. Un buon vino rosso inoltre, aveva reso i pensieri, e il loro manifestarsi, molto più libero e senza troppe sovrastrutture. Finita la serata i due tornarono in albergo, Sinibaldi accompagnò Olga sino davanti alla porta della sua stanza. Prima che potesse dire qualcosa Olga lo anticipò.

    «È stata una bellissima serata, grazie Michele, però finisce qui, almeno per questa sera.» Dicendo questo, le donò un dolce bacio sulle labbra.

    «Grazie Olga, sono stato benissimo anche io, possiamo vederci ed uscire ancora questi giorni se vuoi.»

    «Certamente, mi sono trovata molto bene con te, ma non amo correre, ho avuto troppe delusioni nella mia vita ed ora sono estremamente cauta. Anche domani sera se vuoi.»

    «Va bene, anzi no, perdona ho già una cena di lavoro. Potremo vederci a colazione se vuoi.

«Meglio di no Michele, io la mattina amo scrivere, e alle sette sono già davanti al mio caffè.»

    «E come mai così presto?»

    «Di solito, dopo colazione, mi sposto qualche chilometro verso Colmegna, c’è un piccolo parco, un angolo di paradiso sul lago, un’aria pungente che con il passare delle ore, s’intiepidisce e scalda l’anima. In quella quiete trovo tutta l’ispirazione per scrivere le mie storie. Posso tranquillamente saltare il pranzo e non rendermene conto.»

«Ho un’idea, facciamo di pomeriggio, verso le sedici vengo a cercarti io, sarà una caccia ad un dolce tesoro, si può prendere un gelato e fare una passeggiata sul lago. Cosa ne pensi?»

    «Certo, perché no. Mi sembra perfetto, allora a domani pomeriggio»

    «Va bene Olga allora a domani, buona notte.»

    «Buona notte caro», rispose Olga, mandando dolcemente un bacio a Michele. Sinibaldi era veramente preso dal fascino di questa donna, dal suo esserlo in ogni sfaccettatura. Andò a dormire, e per la prima volta, il suo ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi, non fu rivolto ai reperti antichi ma alle morbide labbra di una donna.

 

 

 

 

 

 

 

*

Rome: 3 metri underground (parte 5)

Capitolo XV

 

 

 

Sabato mattina 14 Settembre.

«Mamma, la madre di Roberto mi ha invitato a cena questa sera. Il padre ieri ha pescato tanto pesce, sa che mi piace molto, posso andare vero?» Domandai io a mia madre.

         «Questa sera Marco mi ha invitato a cena, vengono alcuni cugini da fuori così giochiamo tutti insieme, posso andare mamma?» Domandò Roberto.

         «Papà questo pomeriggio devo andare a vedere la vespa del fratello di Maurizio, e così la signora Antonietta mi ha invitato a cena per ringraziarmi posso restare?» Chiese Gianni.

         «Mamma, la madre di Roberto mi ha detto se voglio mangiare da loro questa sera. Il papà ha pescato tantissimo pesce ieri e gli farebbe piacere se andassi, viene anche Marco», domandò Maurizio. La sua impresa era la più ardua perché sapeva che la madre era un po’ contraria a queste cose.

         «Ora sento la Signora Maria se lei ci manda Marco, magari mando anche  te, ma mi raccomando comportatevi bene.»

         «Sì sì mamma, non si accorgeranno neanche che siamo là, mi comporterò benissimo.»

Ore undici il piano aveva funzionato, tutti avevano il permesso per rimanere fuori almeno fino alle ventidue.

 

         Ad altre latitudini Banfi si era appena messo alla guida della stessa auto che Symensth aveva riportato indietro. Aveva avvisato i colleghi che stava per mettersi in marcia.

    «Tenente, stiamo per partire, iniziate ad avvicinarvi anche voi

    «Ok Banfi ci spostiamo ci troverai lì davanti

Poco dopo

 «Allora la accompagno direttamente dal signor Ferri come le ha già spiegato il signor Balselli, ci metteremo meno di mezz’ora.»

         «Gazie mile.»

         «Se la cava bene con l’italiano, come mai le capita spesso di venire qui in Italia?»

         «Io organizzato molte esposizioni d’arte in vostro paese. Italiani amano very much gli belli oggetti d’arte.»

         «E sì, questo è un bel paese che ama le cose belle.»

Dopo circa mezza ora, Banfi con il suo prezioso carico, arriva all’autorimessa Ferri. Nel piazzale esterno trovano alloggio vari mezzi da carico, mentre all’interno, ci sono le automobili. Subito parcheggiate fuori, Banfi riconosce due auto con i suoi colleghi dentro, pronti a seguire il furgoncino guidato da Symensth.

         «Allora signor Symensth la saluto e buon viaggio.»

         «Grazie mile buona gionata.»

Dopo quindici minuti, il mezzo guidato dal commerciante d’arte, esce e si dirige verso nord, sulla via che porta al Sempione. Le due auto che lo seguono si alternano in modo da non destare sospetti. Ad un certo punto il furgone devia per una strada sterrata sulla destra, percorre poche decine di metri ed entra dentro un cortile di una casa di campagna. Una delle auto continua per poche centinaia di metri e si prepara ad allestire un posto di blocco. L’altra rimane ad una certa distanza dalla casa. Su quest’ultimo mezzo c’è Passeri, De Lellis e Crescenzi alla guida. Il Tenente, con il suo binocolo, tiene d’occhio la situazione.

         «Eccolo, sta entrando da una porta in legno grande, tondeggiante, in quello che sembra essere un magazzino per i mezzi agricoli.» Passeri fa una sorta di radiocronaca agli altri due colleghi.

         «Certo grandi mezzi eh, un altro binocolo era chiedere troppo!» Commenta il Maresciallo.

         «Non vedo nessun’altra persona, peccato speravo di beccare qui anche gli altri due, ma evidentemente non hanno voluto rischiare oltre.»

Dopo circa quaranta minuti, il furgone si rimette in moto, esce e percorre con un’andatura molto più prudente il tratto di sterrato per evitare scossoni, si avvicina verso la strada principale.

         «Ragazzi ci siamo, preparatevi a fermarlo, tra pochi secondi ci passerà di fianco e, dopo pochissimo, sarà alla vostra portata. Attenzione massima, noi arriviamo subito dietro

         «Ok Tenente siamo pronti, questa volta ridiamo noi

Il furgone riprende la strada asfaltata, viaggia a una velocità tranquilla, sugli ottanta l’ora, percorre circa due chilometri quando una paletta delle forze dell’ordine gli intima di fermarsi. L’autista rispetto a qualche minuto prima, ha un cappello con una visiera che gli cela un poco il volto, lo sguardo basso, quasi rassegnato, sembra un atteggiamento di chi ormai ha capito tutto. Todde gli si affianca proprio mentre da dietro sopraggiunge l’automobile del Tenente.

    «Buongiorno, favorisca la patente cortesemente», disse Todde.

L’uomo ancora con il volto abbassato, allunga la mano con il documento ben in vista. Proprio in quel momento Passeri arriva alle spalle di Todde con una mano pronta sulla pistola.

«Eccola», alzando ora il volto con sopra dipinto uno sguardo beffardo, «Ma la conosce già! L‘ha vista due tre, giorni fa!»

In quel preciso momento una smorfia trasfigura il volto di Passeri. Alla guida del furgone c’è Michele Sinibaldi!

    «Tenente, buon giorno era un po’ di tempo che non la vedevo, mi stavo preoccupando.»

    «Faccia poco lo spiritoso ed apra dietro.»

    «Faccia pure è aperto.»

«Todde tu rimani qui, Crescenzi andiamo a vedere cosa trasporta il nostro amico.»

All’apertura del portellone posteriore, i carabinieri riconoscono delle casse molto simili a quelle in cui si erano imbattuti qualche giorno prima, patate, mele, uva, prugne ecc. Da una parte c’è anche una cassa con due strisce rosse che stavolta il Tenente si rifiuta di aprire. Arriva anche De Lellis.

    «Allora?» Chiese il Maresciallo.

    «Niente di niente, vai, vai a vedere chi c’è alla guida.»

Il Maresciallo fece tre passi ed incrociò lo sguardo di Sinibaldi.

    «Professò, non c’ha lezione oggi? Ah ah ah.»

    «Corrado via, via gira quest’auto, torniamo indietro nella casa dove eravamo fermi tre minuti fa, dai, dai, era lì lo scambio.»

Nello stesso istante, un furgone identico a quello fermo al posto di blocco poco più avanti, imbocca la strada principale carico di importanti reperti storici. Si dirige in direzione opposta da dove tra pochi secondi arriverà l’auto con sopra i nostri investigatori. Alla guida un uomo già noto alle cronache recenti, con al fianco un famoso commerciante d’arte, Alex Symensth. Al furgone in questione sono state cambiate le targhe e sono stati applicati degli adesivi colorati che occultano il logo della ditta di noleggio.

         «Go my friend, go go. Ah ah!»

Arrivati dopo pochi minuti i carabinieri non trovano più niente e nessuno nella casa di campagna che vista ora da vicino, sembra essere abbandonata e disabitata da molto tempo. Osservando il cortile polveroso, si distinguono i segni di pneumatici di due furgoni, ambedue le tracce sono recentissime.

«Torniamo, da Sinibaldi, tanto qui non troveremo assolutamente niente d’interessante», disse a questo punto il Tenente inferocito.

Pochi minuti dopo erano di nuovo tutti al posto di blocco.

         «Come mai signor Sinibaldi lei è alla guida di un furgone che aveva noleggiato il signor Symensth?» Chiese Passeri.

         «Dite? Ma siete sicuri di questo, forse sarà lo stesso modello. Le dico questo perché io ho una ricevuta che prova esattamente il contrario, questo furgone l’ho noleggiato questa mattina all’apertura di un autonoleggio a  Domodossola per la precisione la ditta Ferri. Ma quando dite Symensth, vi riferite al famoso curatore di aste e mostre d’arte?»

«Esattamente.»

«Non crederete che una personalità come lui abbia contatti con un piccolo antiquario come me? Lui è una vera leggenda nel nostro settore.»

         «E cosa si è fermato a fare in quella casa di campagna ad un paio di chilometri da qui?»

         «Be ho visto che era abbandonata e sa, una necessità fisiologica, capita, da ieri sera che mangio prugne, devono aver fatto un certo effetto.»

    «Naturalmente lei non ha visto arrivare nessun altro furgone mentre era lì ad espletare le sue necessità fisiologiche.»

    «Of course, naturalmente.»

    «Se ne vada davanti ai miei occhi, ma fossi in lei non dormirei sogni tranquilli.»

    «Eh eh Tenente, si ricordi che queste sono minacce gratuite, arrivederci buona giornata», disse queste ultime parole dal finestrino aperto mentre abbandonava il ciglio della strada alzando un polverone che investì i militari.

«Bastardo!» Esclamò il Tenente Passeri.

«Grande bastardo direi», aggiunse il Maresciallo, «Questi sono professionisti, non commettono errori banali, bisogna escogitare dell’altro.»

«Questa volta Antonio, pensavo di aver fatto centro, eravamo proprio vicini. Forza ragazzi organizziamo alcuni posti di blocco, ma tanto avranno già sostituito il mezzo.»

Mezz’ora dopo, venti chilometri più avanti, nel sicuro di un campo lontano dalle vie di passaggio, un furgone è completamente vuoto, le targhe sono tornate quelle di una volta, il logo della ditta Ferri è nuovamente tornato a dare bella vista di se. Il serbatoio della benzina è stato completamente svuotato.

         Sono le ore sedici di sabato 14 Settembre, una telefonata arriva all’autorimessa Ferri.

    «Signor Ferri buoni sera sono il Dottor Symensth, mi è succesa una cosa incresciosa.»

    «Mi dica pure.»

«Purtroppo è rimasto senza benzina, fortunately mi seguiva my colega, we dovevamo andare ad asta insieme. Era ora  pranzo i benzinai erano closed. Ho dovuto lasciare automezzo nei pressi di Baceno, mi scusi tanto ma ero troppo in fretta per impegni very importanti stasera a Interlaken ho proseguito con mio colega. Ho lasciato chiavi a bar sport in principale square. Barman sapere dove essere rimasto van. Qualsiasi spesa mandi pure mio indirizzo in Londra. Scusi tanto.»

    «E va bene, non è una procedura normale, comunque ormai è andata in questo modo, non si preoccupi. Buona giornata.»

Pochi minuti dopo, «Pronto carabinieri? Potrei parlare con il Tenente Passeri sono il signor Ferri è una cosa urgente.»

«Sì buonasera Ferri, mi dica pure, ha delle novità?»

«Mi ha appena telefonato il signor Symensth, ha lasciato il furgone a Baceno, dice di essere rimasto senza benzina mentre era diretto a Interlaken. Io sto per mandare un mio autista a recuperarlo, se volete andare con lui.»

«Sì va bene, le mando uno dei miei, grazie mille per la collaborazione.»

«Come vedi Antonio la nostra visita di ieri sera a Ferri ha sortito degli effetti, almeno una piccola collaborazione.»

«Cosa pensi Antonio?»

   «Cosa vuoi che ti dica, secondo me Symensth ha fornito troppi particolari, anche non richiesti, forse sta mettendo in moto un altro depistaggio.»

«O magari questa volta ha commesso un errore. Voi ragazzi che ne pensate?»

«C’è una cosa che non mi torna. Ha lasciato l’auto a Baceno che non è sulla strada del Sempione che sarebbe quella più logica per Interlaken. Una delle due è una svista, ma quanto questa inesattezza è voluta?» Rispose Banfi che conosce bene le strade della zona.

«Magari vuole dividere le nostre forze», commentò De Lellis.

«Io non credo a nessuna delle due ipotesi», aggiunse Todde.

«Dimmi un poco quale è il tuo pensiero.»    

«Non siamo mai riusciti a prenderli ragionando logicamente, loro sanno ormai qual è il nostro modo di pensare, sanno che siamo risaliti a Ferri e magari hanno detto di proposito quello che volevano farci arrivare.»

«E quindi in pratica?»

«Tra i due litiganti il terzo gode. Per me stanno passando da una terza strada, diversa dalle due ipotizzate. Quale può essere Banfi?»

«Sai che hai ragione, potrebbero aver preso la strada per Locarno, d'altronde bastava una deviazione di una ventina di minuti, e con tutto il vantaggio di tempo che avevano, non sarebbe stato sicuramente un problema.»

    «Certo che non sapendo che mezzo stanno usando, è come cercare un ago in un pagliaio.»

«E lo so Antonio ma questo pagliaio dobbiamo provare a passarlo al setaccio. Va bene, comunque facciamolo un tentativo, allestiamo dei posti di blocco sulla strada per Locarno, hai visto mai che questa volta abbiamo un colpo di fortuna.»

 

 

 

 

 Capitolo XVI

 

 

 

Roma ore diciannove. I ragazzi si dirigono verso casa di Luca ma, soprattutto, verso quella dello zio Agostino. Si fermano a una decina di metri per osservare. Effettivamente sembra che non ci sia nessuno dentro le due villette, la festa della zia di Luca deve essere cominciata.

    «Facciamo una prova per sicurezza, suoniamo il citofono e ci nascondiamo dietro la siepe», proposi io.

Nessuno rispose, il campo d’azione era libero l’operazione “ricerca delle prove” poteva cominciare. Gianni aveva portato una borsa di cuoio con gli attrezzi più disparati. Ognuno di noi era fornito di torce, corde, e radiolina woki toki, era quella giocattolo ma per questo tipo di lavoro andava più che bene. Prima operazione, apertura cancelletto recinzione signor Trabaschi.

«Serratura elettrica a scatto, una vera stupidaggine . . .”clik“ fatto, appena la strada è libera si entra. Ecco preparatevi appena la signora volta l’angolo … via dentro ora, tutti stesi a terra dietro la porta della cantina.» Gianni dirigeva le operazioni.

«Adesso la porta della cantina, vediamo, semplice lucchetto. Marco passami tenaglie e cacciavitino piccolo piatto.» Gianni sembrava un chirurgo provetto io un fidato ferrista. Appena aperta la porta della cantina, scendemmo tutti giù, finalmente eravamo al riparo da sguardi indiscreti. Iniziò la ricerca tra gli scaffali facendo molta attenzione.

«Ma che stiamo cercando?» Domandò Maurizio. Questa volta la domanda non era tanto peregrina perché in realtà non sapevamo neanche noi cosa cercare. Qualche oggetto antico? Un passaggio segreto che portasse chissà dove? Non lo sapevamo, comunque cercavamo.

Io notai come da una parte fossero accatastate delle piccole casse in legno con dentro un materiale spugnoso.

«Qui dentro ragazzi sicuramente sono stati trasportati oggetti molto preziosi e delicati.»

Eravamo tutti eccitati, ci sentivamo tutti un poco esploratori ed un poco investigatori. Ad un certo punto Roberto si fermò a curiosare in un angolo dove c’erano attrezzi da pesca.

    «Che bella questa canna, guardate, ma se me la prendo che succede?»

    «Ecco sì bravo, così passiamo da investigatori a ladri, smettila lasciala là, dove era, non dobbiamo rischiare che lo zio di Luca si accorga che qualcuno è stato qui sotto.» Appena terminato di dire questa frase, notai uno strano particolare, il muro dietro quello scaffale era diverso.

    «Maurizio, Gianni venite qua, illuminate tutti da questa parte.»

    «Ma se accendiamo la luce?» Disse Maurizio.

    «Ecco bravo, magari accendiamo anche la radio», rispose Roberto.

    «Guarda che non ci sono finestre, basta chiudere la porta in cima alle scale, da fuori non si vede nulla.»

    «Stavolta mi sa che Maurizio ha ragione», risposi.

Svuotammo lo scaffale e lo spostammo cercando di non fare rumore. La parete in quel punto non era composta dai normali blocchetti in tufo come il resto della cantina. C’erano piccoli mattoncini, dall’aspetto molto antico che proseguivano anche dietro gli altri scaffali almeno per quattro metri. All’interno del muro stesso, ogni tanto, si alternavano quelli che sembravano essere pezzi di vasi di terracotta e alcuni piccoli pezzi di travertino. Si vedeva poi chiaramente la forma di un arco che, in un secondo tempo, doveva essere stato richiuso sempre con lo stesso tipo di mattoncini. Sotto quest’arco c’era una scritta antica “Hospitium hic locatur”. Nella parte più bassa della parete era stata ricavata un’apertura di circa un metro per un metro richiusa con mattoni moderni.

         «Cavolo esclamai, «Questo è un muro antico, è lo stesso tipo di quello che ci hanno spiegato durante una gita al centro storico. Roberto, segnati quella scritta, poi andiamo da don Erminio e ce la facciamo tradurre dovrebbe essere latino.»

         «Avete visto qui, dove ci sono i blocchetti? Di sicuro hanno sfondato il vecchio muro e sono entrati dentro, qui dietro ci sarà sicuramente una casa antica.»

         «Anche secondo me è come dice Gianni, chissà quante cose di valore c’erano dentro.» I ragazzi furono presi dalla curiosità e smantellarono un altro pezzo di scaffalatura. Io stranamente sentivo un vento freddo arrivare dal basso, eppure era tutto chiuso.

    «Guarda un po’ Maurì mi sa che si è riaperta la porta.»

«Non mi sembra, aspetta che guardo meglio», fece i pochi ripidi scalini e dalla sommità della scala disse: «Qui tutto ok capitano, la porta ancora chiusa, passo e chiudo», si era messo a parlare con le radioline.

«Ma che ti strilli, se noi ce le abbiamo spente a cosa ti serve, risparmia le batterie.»

Spostato l’ultimo scaffale, notammo che proprio all’angolo del muro, alla base della scalinata, c’era un piccolissimo passaggio. Sembrava originale. La base del foro era rivestita di travertino. Si vedeva ben chiaro il segno lasciato da qualche liquido che nel tempo aveva consumato la lastra, abbassandone lo spessore nella parte centrale.

    «Secondo me, questo era una sorta di scarico o della pioggia o dell’acqua sporca», disse Roberto.

    «Sicuramente il gatto è passato di qui, non ci sono altre aperture», aggiunsi io. Quella fessura doveva essere collegata ad un condotto assai lungo per permettere al gatto di uscire dove noi avevamo visto. Puntammo le torce per vedere se fosse possibile scorgere cosa ci fosse dall’altra parte. Non si vedeva molto perché il muro aveva un grande spessore e di là era veramente buio.

    «Fermi tutti, capitan coraggio ce la può fare!»

    «Che stai dicendo Maurì?» Domando Roberto.

    «Io sono il più magro ci passo. Mi date una mano, una spintarella e via sono dall’altra parte.»

    «Non giocare come il solito, è pericoloso puoi rimanere incastrato», dissi io un poco a muso duro.

    «Sì hai ragione Marco, ma se non proviamo che siamo venuti a fare? Io ho portato anche uno scalpello con un martello bello grande, allarghiamo un poco il buco e così ci passa senza pericolo, che ne dite?» Aggiunse Gianni.

«Tu Maurizio te la senti veramente?»

«Fuiii», fischiò Maurizio che evidentemente voleva dire sì.

Subito partì l’operazione ampliamento passaggio. A dir il vero penso proprio che Maurizio ci sarebbe passato anche così, ma per maggiore sicurezza, allargammo di almeno dieci centimetri l’imboccatura. Gianni fece attenzione a far cadere i frammenti di muro dall’altra parte per evitare di lasciare tracce nella cantina. I pezzi cadendo facevano un rumore particolare. C’era una sorta di rimbombo che stava a testimoniare che eravamo in presenza di una grande stanza. Maurizio prese la torcia in bocca mise le braccia avanti e s’infilò nel buco. Dopo alcune spinte, uscì dall’altra parte con le mani e cominciò a far presa e tirare lui stesso. Tempo due minuti e si svegliò nell’antica Roma! Sentimmo un silenzio assordante, noi tre ci guardammo negli occhi, avevamo quasi paura a chiamarlo.

«È fantastico! Dovete venire anche voi.»

«Che c’è dicci.»

«Sono dentro una casa dell’antica Roma, c’è una specie di vasca di marmo al centro, è spaccata però, come se qualcuno ha provato a toglierla e si è frantumata. Ci sono dei disegni colorati ai muri, e altri a terra sembrano fatti con piccole pezzettini di pietra.»

«Maurì sono dei mosaici … almeno credo», risposi io.

«Sono tutti rovinati hanno proprio lasciato i buchi, li hanno staccati dal pavimento, chissà come erano belli.»

La descrizione di Maurizio ai compagni fuori continuò. Raccontò che alle pareti, c’erano delle mensole ricavate nello spessore del muro. Sopra questi ripiani, erano rimasti incastrati i fondi rotti di alcuni vasi. In altri punti invece, si percepiva che erano riusciti a staccare i recipienti senza danneggiarli. C’è una colonna antica che regge il soffitto, e poi altre colonne moderne di blocchetti a puntellare travi di legno, evidentemente la copertura stava per cedere.

    «Ciao vado anch’io», disse Gianni infilandosi in un attimo anche lui nel buco, era l’unico che oltre a Maurizio ci sarebbe passato. Arrivato dall’altra parte anche lui rimase affascinato da quello che vedeva. Con un’altra torcia ora si poteva fare più luce. I due ragazzi videro che c’era in fondo un’altra apertura che dava in un'altra stanza contigua, stavano ripercorrendo quello che sicuramente era stato il tragitto compiuto del gatto. Lo scenario non cambiava, avanzavano con estrema cautela tra ragnatele, odori strani, pezzi di muro crollato. Ad ogni passo, le pur leggere vibrazioni, facevano cadere dal soffitto delle piccole quantità di detriti. Si resero conto che, in questo secondo ambiente, la volta non era stata messa in sicurezza. La seconda stanza era meno bella della prima, forse anche perché era più polverosa e questo non permetteva di vedere bene. Non sembrava ci fossero disegni e mosaici o forse semplicemente erano stati più bravi a toglierli. Più avanti c’era proprio un pezzo del soffitto che era crollato, si avvicinarono e Maurizio non riuscì a trattenere un urlo. Le vibrazioni fecero crollare una grande porzione di tetto, un forte rumore e una gran nube di polvere si alzarono, poi, tutto attorno il silenzio.

Roberto ed io sentimmo il fragore e fummo investiti dalla polvere che ci raggiunse arrivando fin dentro il locale della cantina.

    «Chiamiamo aiuto, chi se ne frega di quello che ci succede quelli sono rimasti sotto», mi gridò in faccia Roberto.

Uscimmo fuori di corsa, decisi ad andare al primo bar vicino per dare l’allarme.

Una volta fuori nel giardino, ormai si era fatto buio, ci girammo indietro, non sapevamo se fosse il caso di chiudere la cantina o no, poi decidemmo che non bisognava perdere tempo. Questo girarci indietro però permise a Roberto di notare una cosa.     

«Aspetta Marco, guarda da sotto quel casino arriva una luce, la vedi?»

«Sì sembra proprio di sì, vuoi vedere che sotto quella catasta di roba c’è l’uscita della casa romana? Andiamo a vedere magari riusciamo a salvarli.»

I ragazzi una volta più vicino non ebbero più dubbi, proprio da lì sotto arrivava una luce. Io inizia a chiamare, ma non potevo urlare troppo.

«Maurizio, Gianni mi sentite?» Nessuna risposta arrivò da sottoterra.

«Marco accendi la trasmittente, Maurizio ce l’ha accesa.»

«Pronto Maurizio mi ascolti, Maurizio qui Marco ci sei? Come state?» Ero angosciato ancora di più perché io stesso gli avevo detto di spegnerla un attimo prima. Quando ormai avevamo quasi perso ogni speranza, «Capitano qui soldato Maurizio a rapporto, stiamo tutti bene, anzi, uno un poco meno mi sa proprio che è morto

    «Ma che dici, chi sta male Gianni?» Urlai io.

    «Capitano stai calmo, ti ho sentito da fuori invece che dalla radio, io e Gianni stiamo bene, ma qui c’è un morto che non so chi è. Anzi più che un corpo è un ex corpo, è uno scheletro

    «Oh ma sei proprio deficiente, passami Gianni

    «Pronto Marco stiamo bene, è come dice Maurizio, qui sotto c’è uno scheletro, per questo motivo questo scemo ha urlato ed è venuto giù mezzo soffitto

    «Ma non riuscite ad arrivare alla cantina

    «Assolutamente no, è crollata proprio quella parte. L’aria c’è ci deve essere l’altra uscita qui vicino, si sente anche il vento

    «Sì l’altra uscita è proprio sotto quella catasta di materiale vecchio dello zio di Luca, da fuori si vede la luce della vostra torcia

    «Qui sotto c’è tanta polvere, pian piano si sta abbassando ma ancora non si vede molto

    «Gianni, ora noi proviamo a venire vicino all’imboccatura magari si riesce in qualche modo a farvi uscire

I ragazzi nel giardino, strisciarono tra tutti quei rottami e facendosi un numero imprecisato di graffi arrivarono sopra il punto da cui usciva la luce.

    «Maurizio, Gianni sono Roberto, sono qui fuori mi sentite?»

«Sì, com’è là sopra? Riuscite a farci uscire?»

    «Mi dispiace, ma il buco è veramente piccolo, poi è proprio verticale non ci si riesce, andiamo a chiamare aiuto voi state tranquilli.»

    «No fermi, così roviniamo tutto il lavoro fatto. Qua sotto è tutto sotto controllo.»

    «Gianni ma che dici, io voglio uscire.» disse agitato Maurizio, «Io c’ho paura!»

    «Ma tu non eri quello coraggioso?» Rispose Gianni.

    «Va bene, però ora mi sa che esageriamo.»

    «Allora che dobbiamo fare?» Chiesi io.

    «Andate nella cantina, rimettete tutto in ordine, poi ci portate qui le torce che a noi servono di più e magari anche un poco di acqua, passiamo qui la notte.»

    «A casa vi cercheranno, non può funzionare, e poi anche se fosse, a cosa ci porta questo?»

    «Marco tu appena arrivato a casa vai subito dalla signora Rosa, fatti rintracciare subito il Maresciallo e gli racconti tutto. Ai nostri genitori gli dici che dormiamo a casa vostra, uno per parte.»

Stavolta l’avevamo combinata proprio grossa, c’eravamo lanciati in un’impresa più grande di noi, ma con il senno di poi, senza questa nostra azione sconsiderata, il caso forse non si sarebbe mai risolto. La serata terminò come avevamo deciso. Cercammo di rimettere il più possibile in ordine la cantina, calammo dal buco nel giardino l’acqua, le torce e le batterie delle nostre radioline che a noi in quel momento non servivano. Al momento di salutarci eravamo veramente angosciati e, a ripensarci oggi, non so se io, a quattordici anni, avrei avuto il coraggio dei miei due amici. Giunti a casa, riuscimmo in qualche modo a far credere ai genitori dei nostri amici che avrebbero dormito a casa nostra. L’impresa più difficile fu quella di parlare con il padre di Gianni e dirgli che avrebbe dormito a casa mia fingendomi Maurizio. Alla fine tutti i pezzi collimavano, mi ero addirittura superato, quando avevo anche avvisato che il giorno seguente i loro figli sarebbero andati direttamente all’oratorio dopo colazione. In questo modo avevo guadagnato anche il tempo della domenica mattina.

Erano le ventidue e trenta di sabato 14 Settembre. Io mi accingevo a suonare alla porta della signora Rosa.

    «Chi è?»

    «Sono Marco signora.»

    «Oh ciao bello, cosa succede?» Non era mai stata così gentile con noi ragazzi, ma dopo quello che era accaduto, non aveva neanche avuto più la forza di arrabbiarsi.

    «Mi serve assolutamente il numero di telefono di suo cognato Antonio, è una questione di vita o di morte.»

    «Ma Antonio è fuori per delle indagini, è su in alt’Italia, mi sembra che abbia detto a Domodossola non possiamo disturbarlo.»

    «Ma è veramente urgente, due miei amici sono in pericolo di vita.» La signora non mi rispose.

    «Stiamo rischiando per prendere quei criminali che hanno ucciso suo figlio, mi dia una mano.»

    «Ma che dici, spiegami bene.»

A quel punto gli feci un veloce resoconto di quello che ci era accaduto e la signora Rosa si mise subito a disposizione. Fu lei stessa a telefonare alla caserma di Domodossola ed a rintracciare il Maresciallo.

    «Sì Antonio ora te lo passo è qui vicino a me, è terrorizzato, povero bambino.»

    «Maresciallo venga subito, ci aiuti, è tutto come le ha spiegato sua cognata, sono rimasti sotto il crollo non possono uscire. La sotto ci sono tutte le prove per arrestare almeno Trabaschi.»

    «Stai tranquillo parto subito, non so se c’è a disposizione ancora l’elicottero, di notte è difficile, comunque ti prometto che domani mattina in un modo o in un altro sarò giù a Roma.»

Antonio contatta immediatamente Corrado e lo informa.

    «Senti Antonio, tanto l’elicottero non decolla a quest’ora, chiamo Crescenzi e scendiamo subito in auto. Andiamo a prendere almeno Trabaschi, chissà se lui potrà aiutarci a prendere qualche pezzo grosso, magari se lo spaventiamo bene collabora. Tanto mi sembra che quassù non caviamo un ragno dal buco. Preparati tra un’ora siamo da te.»

         Quella notte fu la più lunga della mia vita, fissai la sveglia ininterrottamente, penso che non avrò dormito per più di due ore in tutto. Intanto alle ore ventiquattro un’automobile dei carabinieri con a bordo Crescenzi, Passeri e De Lellis partiva da Domodossola direzione Roma. Todde, Banfi e altri due colleghi avevano approntato un posto di blocco fin dal pomeriggio sulla strada che dall’Italia portava a Locarlo e fermavano il maggior numero di furgoni e fuoristrada possibile. Si erano posizionati al termine di un rettilineo dove c’erano dei lavori ed una cartellonistica stradale che costringeva i veicoli a rallentare. Con un binocolo osservavano la persona alla guida. Quando c’era qualcuno che sembrava possedere la fisionomia dei nostri ricercati, fermavano il mezzo. Era comunque una rete che aveva parecchie maglie larghe. Verso le diciannove, all’altezza di Villette, un furgone bianco, ripartito da poco da Santa Maria Maggiore, proseguiva ad alta velocità verso il confine svizzero. Stava approssimandosi in una zona dove c’erano dei lavori e dei cartelli che intimavano di rallentare la velocità. Un automezzo che veniva in senso contrario fece dei segnali di richiamo con i fari, poi subito un altro fece la stessa operazione. Il furgone cominciò a rallentare e accostò. I due occupanti distinsero chiaramente qualche decina di metri più avanti, un lampeggiante delle forze dell’ordine e decisero di non rischiare. Invertirono la marcia e pochi chilometri indietro presero la deviazione che li avrebbe portati a Cannobio sul lago Maggiore e da qui avrebbero potuto facilmente passare il confine la mattina seguente. Più tempo passava e più le possibilità di rintracciare Symensth si affievolivano e con lui le prove che avrebbero incastrato senza ombra di dubbio tutti gli altri. L’intuizione di Todde era stata giusta, ma ancora una volta non aveva portato i risultati sperati.

         Alle ore ventiquattro, i due fratelli Trabaschi, erano fuori in giardino a parlare, ognuno dalla sua parte lungo il confine delle proprietà. Parlavano tranquillamente senza poter immaginare che ci fosse qualcuno che da sotto i loro piedi potesse ascoltarli.

    «Gianni, li senti?» Domandò Maurizio bisbigliando.

    «Sì, zitto un po’», poi continuò, «Sono il papà di Luca con lo zio, la festa deve essere finita, sono rientrati.»

«Ma dove eri finito prima alla festa? Dovevamo venire via, i ragazzi avevano sonno e tu mi sparisci per più di un’ora?» Domandò il padre di Luca al fratello.

«Avevo un appuntamento telefonico con Antico. Siamo d’accordo che ogni sera vado in un bar di Centocelle verso le nove, quello di fronte al mercato, lui mi contatta lì per farmi sapere come vanno le cose. Finalmente questa sera si è fatto sentire, non l’avevo più sentito.»

«Ah non voglio sapere niente di quella storia. Già è troppo che non ti sono andato a denunciare alla polizia quando avete fatto fuori quel poveraccio.»

«All’inizio quando abbiamo venduto le prime cose a Michele però eri d’accordo, mi sembra che te la sei rifinita anche tu la casa con quei soldi, o sbaglio.»

«Dovevi fartelo bastare, invece tu hai voluto fare di testa tua, altri scavi fino a quando a quel poveretto gli è piovuto mezzo soffitto sulla testa, e ti ricordo che quello sta ancora qui sotto! E poi quell’altro colpo di genio di nascondere i reperti in quell’altro cantiere a Giardinetti.»

«Ma te l’ho già spiegato, erano pezzi troppo di valore, adatti solamente ad un mercato particolare e Antico doveva contattare il tramite giusto. E poi se li ho tolti da qui è anche per evitare che ci andassi di mezzo tu.»

    «Non ti sei saputo accontentare, ed ora rischi anche l’accusa per omicidio.»

«Guarda che quando l’ho investito non era morto. Sono gli altri che si sono rifiutati di portarlo in ospedale, io ho cercato di curarlo, ogni tanto di nascosto dagli altri, gli portavo anche qualcosa da mangiare.»

«Al giudice non credo interessi molto, se ti dice bene è concorso in omicidio, ma sono sempre tanti anni di carcere caro fratellino. Dopo quello che è successo, non hai nessun rimorso? Io per l’operaio rimasto qua sotto ancora non mi do pace, e sappiamo che è stato un incidente.»

«Non mi fare la morale, tu dovevi solo rifinire la casa, io stavo iniziando gli scavi e non avevo una lira per proseguire i lavori, non mi far tornare sul discorso dell’eredità che è meglio.»

         «Ancora con questa storia, tu la tua parte te la sei bella che mangiata prima che morisse papà, l’hai fatto morire di crepacuore.»

«Non mi dire così, mi fai stare male.»

Dopo alcuni minuti di silenzio

«Ma che ti ha detto allora Michele? Non è un rischio parlare per telefono?»

«Lui cambia sempre posto e chiama da un telefono pubblico, lì a Centocelle poi, il telefono è sicuro e per maggior sicurezza prima di parlare abbiamo una parola d’ordine che permette di riconoscerci l’un l’altro.»

«Ma è sempre quella che usavate già? Quella sulla frase della casa romana?

«Sì, perché no? Ha sempre funzionato bene.»

«Ma insomma, come sta andando?»

«È stato fermato due volte ma senza carico a bordo. Dice che i carabinieri hanno fatto certe facce quando hanno trovato al posto dei reperti frutta e verdura.»

«Che matto che è Michele, solo che così rischia, se li fa indispettire quelli non lo mollano più.»

«Il carico è nelle mani di un antiquario inglese, uno abituato a trattare questo tipo di affari, appena lo piazza mi darà l’altra metà del compenso, così ha garantito Antico.»

«Quindi la merce è già uscita dall’Italia, meno male.»

«Veramente credo ancora di no, Michele mi ha detto che l’ha sentito oggi verso pranzo e aveva in mente di fare un giro più largo per evitare rischi.»

«E come fanno a sentirsi loro?»

«Veramente non lo so, avranno anche loro un telefono sicuro dove sentirsi.»

«Comunque Agostino, qui sotto bisogna far sparire tutto. Praticamente abbiamo le prove sotto il culo!»

«Hai ragione, domani tolgo tutta questa robaccia, lunedì sera faccio arrivare una betoniera e riempio tutto di cemento.»

«Ecco bravo, da’ un’intonacata anche in cantina e così stiamo più tranquilli.»

Dopo pochi minuti e un’ultima sigaretta, i due fratelli se ne vanno a dormire.

«Certo che abbiamo delle informazioni veramente importanti, sarebbe utile farle avere ai carabinieri», disse Maurizio.

«Specialmente quel telefono in quel bar, potrebbero metterlo sotto controllo.»

«Quella parola d’ordine poi legata alla scritta che abbiamo visto, come era Maurì la scritta?»

«Diceva, se non ricordo male Hospitium hic locatur.»

«Sì, sì bravo ma va a capire come funziona?»

 

 

*

Rome; 3 metri underground (parte 4)

Capitolo XI

 

 

 

Sabato 7 Settembre, ore otto e trenta del mattino.

Antonio De Lellis si appresta a suonare il campanello della porta di Rosa. È lì davanti, indugia, sta cercando di organizzare nella sua mente le parole più giuste da usare. La mano si è alzata più di una volta verso quel campanello ma mai come questa volta, lo stesso sembra respingerla con forza. Io stavo scendendo proprio in quel momento, in casa eravamo rimasti senza latte e stavo andando a prenderlo.

         «Buongiorno signor Antonio, suoni pure, l’ho già sentita parlare prima la signora Rosa, è sveglia non si preoccupi.»

Il signor Antonio fece un salto, si era spaventato, sembrava assente, neanche mi rispose e suonò. Io appena passato oltre rallentai e prima di uscire dal portone, mi fermai a osservarlo di nuovo fino a quando Rosa aprì la porta. Lui la guardò, non disse niente, scosse la testa e abbracciò la cognata. Io osservai tutta questa scena scorrere al rallentatore davanti ai miei occhi. La mamma di Ciccio cacciò fuori l’urlo più agghiacciante che avessi mai sentito prima, poi con una reazione isterica cominciò a colpire sul torace il cognato, finché questi la strinse più forte impedendogli ogni movimento ed insieme sfogarono la loro impotenza in un pianto.

Rimasi pietrificato, era fin troppo chiaro quello che era accaduto. Quell’urlo fece affacciare per le scale altri condomini, tra cui mia madre che sapendo che ero appena sceso pensava fosse accaduto qualcosa a me. Tornai subito su e raccontai a mia madre e agli altri condomini quello a cui avevo assistito. Da lì a un’ora tutto il quartiere sapeva. Saremmo voluti andare tutti a dare una parola di conforto alla signora Rosa, ma in quel momento non era il caso. C’era il cognato con lei e da dietro quella porta si sentivano provenire ad intervalli quasi regolari urla di disperazione.

Tutto il sabato trascorse così, non si parlava d’altro, anche noi ragazzi eravamo in silenzio, nessuno aveva voglia di giocare a niente. Verso le diciotto arrivò Don Erminio, l’unico che ebbe modo di entrare in quella casa a portare delle parole di conforto alla donna. Dopo circa un’ora, anche lui andò via, doveva andare a controllare come proseguivano i preparativi per la festa del giorno dopo in chiesa. Aspettavamo tutti quel giorno per assistere ad un poco di movimento nel nostro tranquillo quartiere, ma dopo quel che era accaduto, era passata un poco a tutti la voglia di festeggiare. Quella notte il signor Antonio e la moglie, arrivata per l’occasione da Parma, dormirono a casa della signora Rosa. La madre di Ciccio avrebbe avuto almeno un corpo su cui poter piangere ma ancora doveva aspettare qualche giorno, il cadavere infatti era per il momento a disposizione dell’autorità giudiziaria.

 

Domenica 8 Settembre, nel quartiere Giardinetti la campana delle ore nove non ha richiamato molte persone. Questa domenica in chiesa i fedeli sono veramente pochi, quasi tutti infatti hanno scelto di partecipare alla celebrazione eucaristica delle undici a cui seguirà la festa con tante celebrità. Alle undici la mescolanza tra sacro e profano raggiunse il suo massimo. Persone mai viste in chiesa, erano presenti vestite in modo elegante, persone veramente credenti a cui tutta questa confusione dava anche fastidio. Ore dodici, inizia la tanto attesa festa alla presenza delle autorità. Il Vescovo, insieme al Sindaco scopre il telo che ricopre la teca interrata al lato dell’altare, un applauso parte da tutta la chiesa addobbata per l’occasione e piena fino all’inverosimile. Ci sono tutti i ragazzi dell’oratorio, il coro dietro di loro su dei sedili rialzati, le personalità politiche e religiose sedute ai primi posti ed i fedeli subito dietro, riempivano tutti i banchi. Una volta scoperta la spessa lastra di cristallo posta a chiusura della nicchia in terra, oltre l’applauso ci fu uno stupore generale, gli oggetti contenuti andavano oltre le previsioni, sia come numero che come qualità, non erano assolutamente due pezzi di coccio come aveva detto mia madre. Presero la parola le varie autorità in una successione ben organizzata di interventi che diede luogo ad una cerimonia della durata di circa un’ora. All’uscita era presente un generoso rinfresco per tutta la comunità, ma naturalmente il primo turno davanti al banchetto era riservato agli invitati speciali.

«Nella chiesa vostra a Villaggio Breda, che attività fanno? C’è l’oratorio?» Chiese Maurizio a Luca che come quasi tutte le domeniche era ospite dai nonni e quindi era all’oratorio.

«Da noi non fanno molte cose per i ragazzi, qui è meglio. L’oratorio c’è solamente due pomeriggi a settimana. Mi sarebbe piaciuto abitare qui ma i miei nonni hanno comprato là un terreno e alla fine i miei genitori e mio zio ci hanno costruito.»

«Lì state proprio in campagna, io non ci abiterei mai da te, hai visto poi, qui ci abitavano gli antichi romani, era un posto importante che credi!» Disse Roberto con un tono un poco altezzoso, diciamo pure che Luca gli era proprio antipatico. A quel punto Luca toccato nell’intimo reagì alla provocazione.

«Adesso c’hanno il Colosseo a Giardinetti! E poi anche da noi hanno trovato delle cose durante i lavori e anche più belle delle vostre.»

«E guarda un po’, hanno trovato tanti oggetti ma sono spariti, ma chi ci crede.»

«Puoi anche non crederci, ma li ho visti un giorno nel garage di mio zio, ce ne erano molti di più dei vostri, solo che lui li ha consegnati al Sindaco senza fare tutte ste feste.»

Il Trabaschi oggi è a pranzo dai genitori, insieme al fratello maggiore che ha moglie e due figli. Raramente s’incontrano la domenica, ma ora il nostro uomo deve filare dritto e fare una vita il più possibile regolare. Visto che i viaggetti domenicali a via Del Babuino sono terminati, ora può anche dedicarsi ad un pranzetto in famiglia.

    «Ago vieni con me, accompagnami,  andiamo a prendere tuo nipote, sarà contento di vederti non sapeva che avresti mangiato con noi.»

Il Trabaschi era innamorato del nipote, lui non aveva figli, non era sposato era una testa matta e le sue continue relazioni duravano il tempo di una stagione.

Agostino ed il fratello entrarono nel cortile della chiesa, si guardarono attorno, c’era una gran calca, non era facile individuare il ragazzo.

«Zio Agostino!» Il nipote vide entrare lo zio con il padre, subito lo chiamò e gli andò incontro.

Io guardai Maurizio, anche lui aveva lo stesso terrore negli occhi.

«Ma hai visto chi è? Anche a te sembra lui?»

«Sì sì è lui, ci ha trovato, me lo sentivo.»

«Ma che dici è un caso, è lo zio di Luca, e poi ricorda non ci ha mai visto.»

«Sarà come dici tu, ma questa cosa non mi piace per niente.»

Nello stesso momento Don Erminio scorge il signor Antonio tra la folla e lo chiama per prendere qualcosa da mangiare insieme alle autorità.

«Maresciallo, Maresciallo De Lellis, venga a prendere qualcosa.»

La voce alta richiamò l’attenzione del Trabaschi che stava dirigendosi verso l’uscita del cortile della chiesa. La figura del signor Antonio tagliò in due la folla, salì i pochi gradini che la separavano dalla zona dove era allestito il rinfresco ed iniziò a stringere la mano a diverse persone. Tutto questo avvenne come avvolto da una nube, il passo del Trabaschi rallentò fino quasi a fermarsi, lo sguardo fu calamitato verso quella scia che avanzava tra la folla…

    «Maresciallo? Merda Maresciallo! Il Professore è uno sbirro, ci ha preso per il culo proprio bene, allora sanno tutto, ma ora questa cosa ce la giochiamo a nostro favore», pensò tra se Il Trabaschi uscendo dal cortile con gli occhi allucinati.

 

 

 

 Capitolo XII

 

 

Lunedì 9 Settembre, ore diciannove.

         «Ago al telefono!» Urlò Er Dentista che aveva preso la telefonata.

«Chi è?»

«Non so, non me lo ha detto.»

«Secco, vieni qua, prendi il mio posto un attimo, guarda che c’hai belle carte vedi di non fare danni, vado a vedere chi è, neanche qui mi lasciano in pace.»

«Pronto con chi parlo?»

«Zitto, vai a prendere il caffè», click.

«Pronto, pronto chi parla?»

Trabaschi rimase un attimo interdetto, pensava di aver capito il messaggio ma non ne era sicuro. La voce sembrava quella di Antico, ma aveva ascoltato solo mezza frase. Poi d’improvviso l’illuminazione. Con calma Ago si dirige verso la porta, guarda fuori attraversa la strada ed entra nel bar di fronte.

         «Un caffè grazie», proprio in quel momento, il telefono pubblico del bar suonò, drin drin.

         «Pronto chi parla? Sì, ora vedo un attimo, c’è il signor Agostino?»

«Sì eccomi, è per me? Arrivo.»

«Ago, hai capito complimenti, pensavo che non ci saresti arrivato.»

«Grazie per la fiducia, ma come mai questo stratagemma?»

«Sveglia bello. Una cosa veloce, siamo a poche decine di chilometri dal confine, fino ad ora tutto bene, domani a metà mattina lo passiamo, così c’è più confusione di mezzi e c’è meno possibilità di essere fermati.»

«Zitto un attimo Michè e ascoltami tu ora …»

La conversazione proseguì per alcuni minuti. I due si misero d’accordo su molti particolari, stabilirono anche le modalità per potersi contattare in futuro.

Erano circa le ore ventidue e trenta quando il telefono del club trillò nuovamente. 

«Ago, per te.»

«Grazie, Bostik lasciamo stare sta partita che oggi non mi lasciano in pace neanche qui.»

«Sì, pronto, ora ti sento meglio, anche se la voce sembra lontana ma dove stai?»

«Vicino al confine con la Svizzera, ma zitto non fare il mio nome.»

«Addirittura già lassù, bene, e quando avete intenzione di passare il confine?»

«A metà mattina.»

«Così pranzate sul lago. Ma che mezzo avete?»

«Un bel furgone frigorifero trasporto latte con due belle mucche pezzate disegnate sopra.»

«Trasporto latte? Perfetto, in Svizzera con tutte le mucche che c’hanno, chi ci farà caso. Il nostro amico è con te?»

«Sì sì, ha già contattato chi di dovere, domani nel pomeriggio portiamo la merce al mercato e poi se è tutto tranquillo rientro in Italia, anche se non credo di scendere subito a Roma. Da te è tutto ok?»

«Sì sì tutto tranquillo qui. Va bene dai ci sentiamo tra qualche giorno o quando rientri, ciao.»

«Oggi sei proprio ricercato eh, le donne! sei proprio un rubacuori.» Disse il signor Antonio ad Agostino.

         «Caro professore c’è chi può e chi non può. Comunque non era una donna era un vecchio amico.»

Il signor Antonio aveva ascoltato chiaramente la telefonata, il locale non era così grande ed aveva capito che all’altro capo del filo c’era Antico. Quello che aveva ascoltato era estremamente importante, si poteva organizzare un posto di blocco mirato per il giorno dopo. Il suo infiltrarsi nel club iniziava a dare risultati importanti.

 

         Appena rientrato a casa Il Maresciallo contattò immediatamente il Tenente Passeri

«Pronto Corrado, scusa l’orario dormivi?»

«Antonio sei tu?»

«Sì Corrado, scusa ma ho notizie importanti da darti.»

«Mi ero appena addormentato, tranquillo ma deve proprio essere qualcosa di importante per chiamare alle…» guardando la sveglia sul comodino, «Una passate.»

«Ci siamo, stavolta li becchiamo e poi andiamo a prendere il Trabaschi.»

«Calmo fammi capire.»

«Ho tutte le informazioni che ci servono. Oggi Antico ha telefonato ad Agostino al club e sono riuscito a sentire particolari molto interessanti bisogna agire subito.»

«Fammi capire meglio Antonio, di cosa si tratta, calcola che mi sono appena svegliato.»

«Domani in mattinata Antico con il suo amico contadino, si fa per dire, passeranno il confine con la Svizzera a bordo di un camion frigorifero adibito al trasporto latte, che naturalmente trasporterà ben altro.»

«Bravissimo, stavolta ci siamo, ora faccio subito trascrivere la telefonata per vedere se escono fuori altri particolari che ci possono essere di aiuto.

«Che pensi di fare adesso?»

«Non so se riesco ad arrivare su per tempo o se conviene coordinare le operazioni da qui, tu che dici?»

«Secondo me, se c’è a disposizione un elicottero pronto a decollare conviene che vai a dirigere le operazioni sul posto, ti porti anche qualche tuo uomo di fiducia.»

«Sì hai ragione è meglio. Avverto e faccio preparare gli uomini ed il piano di volo. Antonio ti saluto ti tengo aggiornato. Mi piacerebbe ci fossi anche tu, che dici provo a chiedere l’autorizzazione al tuo capitano?»

«Meglio di no, non voglio far saltare la mia copertura, potrebbe ancora esserci utile.»

«Hai ragione. Vado ciao Antonio.»

«In bocca al lupo Corrado e fate molta attenzione.»

Martedì 10 Settembre, ore tre di mattina. Il Tenente Passeri in compagnia del Brigadiere Crescenzi, dell’Appuntato Todde e del pilota Peruzzi sono sulla pista dell’aeroporto di Pratica di Mare pronti al decollo.

    «Pilota Peruzzi 352, dell’aeromobile AB206 Jet Ranger chiede autorizzazione al decollo dalla pista n 2, passo.»

    «Qui torre di controllo, permesso accordato iniziare procedura passo.»

L’elicottero stacca da terra alle ore tre e sedici minuti precisi. I ragazzi sembrano fin troppo tranquilli.

         «Ragazzi o è sonno o vi vedo troppo rilassati. Lo so che non andiamo a prendere Diabolik, però concentrazione anche perché vi ricordo che i nostri uomini non hanno avuto esitazioni nell’uccidere il povero Francesco, perciò in campana.»

         «Qual è il piano preciso signor Tenente?»

         «Tra poco incontreremo i colleghi di Domodossola, ci daranno un appoggio logistico e ci metteranno a disposizione alcuni uomini. Sono già in possesso di tutta la documentazione, le foto dei nostri uomini e la descrizione del furgone frigorifero. Sarete tutti sotto il mio comando. Dall’origine della telefonata che abbiamo intercettato, dovrebbero passare il confine al Sempione, però ci sarà anche un altro posto di blocco nei pressi del Gran San Bernardo, ma è veramente improbabile che decidano di passare da qui. Organizzeremo un posto di blocco con due auto. Ci sarà anche un’altra automobile senza contrassegni un chilometro più avanti, pronta a bloccare la strada se gli venisse in mente di tentare la fuga. Potrà capitare di dover fermare più mezzi prima di beccare quello giusto, una volta visti in faccia, se non sono loro, mandate via il mezzo velocemente, non possiamo rischiare uno scontro con altre persone in mezzo.»

 

 

 

 

Capitolo XIII

 

 

 

Ore nove e quindici, il posto di blocco è organizzato. Due automobili dei carabinieri, due carabinieri pronti al lato della strada con le armi in pugno, altri due con le palette pronti a fermare gli automezzi. Il Tenente in piedi di fianco ad una delle auto lato passeggero con la radio pronta in mano e la pistola carica nella fondina aperta. Il Tenente ha avuto anche l’ok per il decollo di un elicottero, in caso si necessiti un inseguimento. È lo stesso aeromobile con cui sono arrivati pronto ad entrare in azione qualora ce ne fosse bisogno. Più avanti un’altra automobile è pronta.

         «Fermate questo furgone», intimò il Tenente ai ragazzi.

         «Ma è un furgone trasporto carne», replicò Crescenzi.

         «Voglio vedere come ve la cavate, consideratela una specie di prova generale, deve filare tutto liscio, forza.»

La prova sembrò filare tutto bene, almeno secondo i ragazzi.

         «Allora, Todde e te, com’è il tuo nome?»

         «Furlan, signor Tenente.»

«Voi due che siete armati, uno davanti al furgone ma più laterale lato guidatore. Furlan se ti piazzi così davanti, ti prende sotto se scappa. Tu Todde segui Crescenzi con il guidatore che scende ad aprire il portello dietro e lo tieni sempre sotto tiro. Anche gli altri con le palette, pronti, fondina aperta e attenzione.» 

Ore dieci e quindici, si avvicina un furgone frigorifero, sembra avere le caratteristiche segnalate.

«Attenzione ragazzi, fermate questo ora, via», ordinò il Tenente.

La persona alla guida ed il passeggero però, non sono gli uomini che tutti aspettavano.

         «Veloce Furlan, dai un occhio dietro e sgomberiamo in fretta la piazzola.»

         «Tutto ok qua dietro Brigadiere.»

         «Ecco i documenti, tutto in ordine buona giornata.»

         «E con questo sono sei.» Todde non fece neanche in tempo a finire la frase che il Tenente che osservava la strada con un binocolo cambiò il tono della voce ed esclamò.

         «Attenzione, ci siamo mi sembra di riconoscere il guidatore, sembra proprio il nostro antiquario di fiducia, dai, dai, con queste palette.»

Il furgone sembrò rallentare vistosamente a poche decine di metri dal posto di blocco, l’autista si guardava attorno ma non c’era via di fuga.

         «Attenzione ragazzi, stanno rallentando ci hanno visto, occhio alla reazione, massima allerta, vai Crescenzi ora con questa paletta.»

Il furgone venne fermato, accostò e le due persone a bordo si sforzarono di mantenere un aspetto tranquillo, ma si vedeva che erano tese.

         «Buon giorno, patente e libretto.»

         «Signor Sinibaldi Michele, nato a Roma . . .»

         «Il libretto cortesemente, il furgone da quanto vedo non è di sua proprietà.»

         «Potrebbe scendere ed aprire il portello posteriore, grazie.»

         «Sì certamente», rispose Sinibaldi con una strana mimica facciale. In quel momento il Tenente dopo aver messo in preallarme l’auto che attendeva più avanti e l’elicottero, si avvicinò al furgone. Mandò uno sguardo di intesa al Furlan per intimargli di fare attenzione al passeggero e fece cenno a Todde di seguire i due dietro al furgone. Aperto il furgone, una serie di casse lo riempiva tutto sembrava andare per il verso giusto, nessuna reazione e la refurtiva davanti ai loro occhi.

         «Apra questa cassa cortesemente», intimò il Tenente Passeri a Sinibaldi.

Questi senza battere ciglio, aprì tranquillamente. La cassa conteneva mele. Poi un’altra, pomodori, un’altra ancora patate.

         «Togliete tutte queste qui davanti, quelle dietro aprite quelle dietro», urlò il Tenente che ormai sembrava aver perso la sua proverbiale calma. Sia Sinibaldi che i carabinieri proseguirono all’apertura di tutte le casse presenti una dopo l’altra. Un ghigno beffardo prendeva sempre più possesso del viso del nostro antiquario. Ancora patate, ancora mele, una addirittura colma di noccioline americane. Ma fu l’ultima a far proprio perdere la calma al Tenente. La cassa, non molto grande, aveva sui lati due strisce rosse simili a quelle presenti sulla divisa dei carabinieri e all’interno trovavano alloggio in bella vista due polli!

         «Penso che non sia reato comprare dei prodotti genuini e trasportarli usando un furgone frigo a noleggio verò? O no? Possiamo andare ora? Sa la nostra merce è preziosa e potrebbe deteriorarsi.»

         «Potete andare, certamente, ma attento Sinibaldi sappiamo bene tutti e due che siamo destinati ad incontrarci di nuovo, non dormirei sonni tranquilli al suo posto.»

         «Ma», guardando con sufficienza il punto della divisa dove sono applicati i grandi, «Tenente vero? Deve stare attento a come parla, queste sembrano essere delle minacce, se mi dovessi sentire, come dire, perseguitato, potrei anche decidere di dar mandato ai miei legali di procedere ad una denuncia, come sicuramente avrà avuto modo di controllare ci hanno provato in tanti a sbattermi dentro ma come vede, ancora sono qui!»

         «Lo vedremo, lo vedremo.»

         «Buona giornata», e passando di fianco al Tenente a voce bassa, «Mi saluti er Professore.»

Mentre il furgone riprese la strada, i ragazzi si guardarono negli occhi e la frustrazione assalì l’intera squadra.

         «Cosa facciamo ora?»

         «Cosa vuoi fare? Ce ne torniamo a Roma anzi aspetta prima voglio fare un ultimo tentativo.»

«Ragazzi, mi sentite, passo

«Sì Tenente, siamo pronti ad intervenire.»

«No fermi, cambio di programma, niente intervento, sta per passare davanti a voi il furgone, seguitelo, non perdetelo di vista, chiamate in centrale e in caso servisse alternate auto diverse nel pedinamento, non devono assolutamente sospettare di essere pedinati.» 

«Sono certo che da Roma sono partiti con la merce, ed ora dovranno averla nascosta in qualche luogo sicuro. Dovranno prima o poi tornare a prenderla no?» Disse a voce alta il Tenente parlando a tutta la squadra.

«Ancora non capisco poi come abbiano fatto a sapere del posto di blocco, ci deve essere qualcuno che li ha informati ma non riesco a capacitarmi chi possa essere stato.»

«Ma le ha detto qualcosa mentre andava via?» Domandò Todde al Tenente.

         «Mi ha detto di salutare er Professore, almeno così mi sembra di aver capito, non so cosa volesse dire ma magari ho capito male. Crescenzi, Todde  che dite, ve la sentite di rimanere qualche giorno qui? E voi ragazzi, se vi autorizzano, vi andrebbe di continuare a seguire questo caso?»

Tutti i ragazzi diedero il loro assenso, lo smacco subito e l’aria arrogante del Sinibaldi fu la leva che fece scattare in loro la voglia di rivalsa.

 

Ore tredici. Telefonata tra De Lellis e Passeri.

         «Ti rendi conto come si è preso gioco di noi, non puoi immaginare che ghigno beffardo aveva stampato in faccia.»

         «Ma come cavolo avrà saputo del nostro piano.»

         «Antonio non lo so veramente, posso solo escludere che ci sia una talpa tra i miei uomini, a te non viene in mente nulla?»

         «Sinceramente no, la telefonata era così chiara e inequivocabile.»

         «Ma non hai avuto il sospetto che fosse fin troppo chiara ed inequivocabile?»

         «Cosa intendi dire?»

         «Non ti sembra strano che Trabaschi si sia messo a parlare così tranquillamente davanti a tutti?»

         «Effettivamente un poco sì, specialmente se ripenso a come si era risentito quando Antico aveva fatto quel commento su Silvan, lui stesso poi mi diventa così imprudente? Effettivamente …»

         «Senti basta con questo Antico, chiamalo Sinibaldi che già non sopporto questo nome, figurati il soprannome.»

         «L’importante è che dobbiamo beccarlo con le mani nella marmellata, questo è troppo furbo e senza prove più che schiaccianti se la caverà sempre. E poi Corrado caro, Antico o Sinibaldi, fosse questo il problema, ormai mi viene d’istinto chiamarlo così, tutti al club ci chiamiamo per soprannome.»

         «E sì che bello come i bambini delle elementari,  te ne hanno affibbiato anche a te uno?»

         «Certamente, con la mia area di uomo di classe non potevo che essere er Professore.»

         «Caz.. che bastardo!»

         «Che succede?»

         «Che succede? Lo sai quale sono state le ultime parole di Sinibaldi? Salutami er Professore! Hai capito ora?»

         «Ci ha preso per il culo dall’inizio, la telefonata era tutta una farsa, pensa anche il Trabaschi che attore. Ed ora Corrado cosa hai intenzione di fare?»

         «Gli ho messo da subito degli uomini dietro, la merce da qualche parte devono averla nascosta e dovranno prenderla di nuovo, io devo assolutamente esserci in quel momento.»

         «Quindi ti fermi su?»

         «Sì insieme ai ragazzi, ma non è che ti avanza qualche giorno di ferie?»

         «Mi stai invitando al mare?»

         «Sì guarda proprio al mare, qui già sembra inverno.»

         «Mi sa proprio che a breve ti vengo a trovare, dammi un paio di giorni per organizzarmi e ti raggiungo.»

         «Grazie Antonio vediamo se insieme riusciamo a beccare questo farabutto.»

Alla fine della telefonata, il signor Antonio rimase interdetto, e rimuginava tra se quale fosse stato il suo errore, non si era mai esposto più di tanto, come diavolo avevano fatto a scoprire la sua identità rimaneva ancora un mistero. Il pomeriggio si recò dalla cognata per comunicarle che sarebbe andato via qualche giorno per cercare di acciuffare l’assassino del povero Francesco. Non fece neanche in tempo a suonare la porta quanto fu circondato da me e da Maurizio.

         «Signor Antonio, signor Antonio aspetti», strillò Maurizio.

         «Salve ragazzi, come va? Volevate dirmi qualcosa?»

         «Sì, ma lei domenica non lo ha visto? Perché non lo ha arrestato?»

         «Calma, calma ragazzi spiegatemi bene.»

         «Domenica alla fine della cerimonia, quando tutti eravamo nel cortile della chiesa, è arrivato il padre di Luca per chiamarlo perché era l’ora di andare a pranzo dai nonni, insieme con lui c’era lo zio, e sa chi era lo zio?»

         «Calma Maurizio, chi è questo Luca?»

         «Luca è un nostro amico dell’oratorio che viene qui solo la domenica perché qui ci abitano i nonni.»

         «Insomma Maresciallo, lo zio di Luca è l’autista del camion, quello che ci ha fatto vedere nelle foto», aggiunsi io.

         «Tranquilli, lui non vi ha mai visto, non sa che avete collaborato con i carabinieri, è stata una coincidenza e basta», poi rallentando parlando dentro di se, «Una coincidenza che deve avergli permesso di capire chi sono realmente, più di qualcuno mi avrà chiamato Maresciallo, poi Don Erminio al rinfresco ha proprio urlato, ora è tutto più chiaro.»

«Maresciallo! Ci ascolta, allora noi siamo tranquilli?»

«Sì ragazzi non vi preoccupate.»

«Un’altra cosa Maresciallo, Luca ci ha detto che proprio in casa dello zio, ha visto tanti oggetti come quelli che hanno messo nella teca della nostra chiesa, ma poi lo zio li ha consegnati al Sindaco, lei ci crede?» Aggiunsi io.

«Questa è una cosa veramente interessante, avevamo capito che c’erano degli oggetti di valore al centro di questa vicenda, ma non avevamo pensato che addirittura si trattasse di cose così antiche e preziose.»

«Adesso faremo anche noi delle nostre indagini e se dovessimo scoprire qualcosa, glielo faremo sapere», aggiunse Maurizio.

«Calma ragazzi, non è il caso che voi rischiate, già avete fatto tanto, state tranquilli, se poi questo Luca di sua spontanea volontà racconta qualche altro particolare allora memorizzate tutto e raccontatemelo la prossima volta che ci vediamo. Ora devo proprio andare ciao.»

«Arrivederci signor Antonio.»

Io e l’inseparabile Maurizio decidemmo di fare qualcosa di più concreto per aiutare il Maresciallo nelle indagini. Decidemmo insieme a Roberto, di andare a vedere come funzionava l’oratorio di Villaggio Breda.

 

 

  Capitolo XIV

 

 

 

Mercoledì 11 Settembre. Alle ore sedici io, Maurizio, Roberto e anche Gianni, che si aggiunse all’ultimo momento, prendemmo il trenino direzione fuori Roma e scendemmo alla fermata più vicina a Villaggio Breda. Dopo dieci minuti percorsi a piedi giungemmo nei pressi della chiesa. Non era molto grande ma molto ben fatta. Di fronte si potevano osservare delle case ben tenute, ordinate tutte in fila, tipo una grande colonia con dei grandi cortili centrali. Attorno a questo che sembrava veramente un villaggio, vi erano varie case a uno o due piani, venute su in modo alquanto disordinato, frutto di cantieri quasi esclusivamente abusivi e proprio per questo non erano molto belle esteticamente. Il mercoledì ed il venerdì erano i giorni in cui la chiesa aveva organizzato alcuni momenti per i ragazzi della zona, chiamiamolo oratorio, ma in realtà era tutt’altro. Nel cortile posteriore della chiesa c’era solo lo spazio per un campo da basket. I ragazzini lo usavano per giocare comunque a pallone, utilizzando le basi che sostenevano i due canestri come piccole porte da calcio senza il portiere. Don Gino in pratica aveva inventato nel 1974 quello che poi sarebbe diventato lo sport più praticato dagli anni novanta ossia il calcetto. Intorno al campo c’era una striscia di terreno larga una decina di metri, rivestita di mattonelle ben levigate che veniva utilizzata per pattinare.

«Luca!» Gridò Maurizio

«Eih! che ci fate qui», rispose Luca venendoci incontro.

«Ti siamo venuti a trovare ti dispiace?»

«No, non me lo aspettavo, dai entrate due per parte, don Gino questi sono miei amici di Giardinetti.»

«Ben venuti ragazzi, quando volete qui c’è posto per tutti.»

Io pensai subito tra me e me, «Infatti, proprio tanto posto, siamo in venti dentro un campo da basket, stanno proprio messi male qui.» Dopo più di un’ora di calci dietro al pallone non ce la facevamo più.

«Basta», dissi io, «Sono morto, io mi fermo.»

Quasi tutti gli altri, la pensavano come me. La fontanella fu presa d’assalto dalla comitiva e stavamo quasi per tornare a casa quando Luca ci chiese, «Volete venire a fare merenda a casa mia è proprio qui dietro?» Io risposi subito, prima che qualcuno potesse dire di no.

«Sì dai, ancora è presto e poi un poco di fame ce l’ho, ma tua madre non dice niente che ti presenti con tutti questi amici?»

«No tranquillo, è abituata.»

Arrivati da Luca, vedemmo che a differenza delle altre, la sua casa era molto bella. Una piccola villa bifamiliare con un bel giardino.

«Mamma, ci sono alcuni amici, ci fai una merenda. Sono della parrocchia di nonna mi sono venuti a trovare.»

«Avanti ragazzi, allora siete compagni dell’oratorio? Be da voi funziona molto bene è organizzato, qui un poco meno, la chiesa non ha molto spazio. Forza dai sedetevi in giardino che vi porto qualcosa da mangiare.»

«Cavolo che bello qui», disse Maurizio.

«E sì è una delle case più belle della zona.»

«Ma chi è quello che confina con voi? Peccato c’ha il giardino pieno di impicci non vi conviene alzare il muro tra i due giardini?»

«È il fratello di mio padre, mio zio Agostino. Lavora nei cantieri si porta sempre impicci a casa.»

Io presi subito la palla al balzo, abbassai il tono della voce e chiesi: «È quello zio che aveva trovato degli oggetti antichi che poi aveva consegnato al Sindaco?»

«Sì bravo è lui.»

«Chissà come mai non ha pensato di donarli alla chiesa, come hanno fatto da noi.»

«E che c’entra, mica li ha trovati nel terreno della chiesa, li ha trovati qui sotto e quindi appartenevano al comune.»

«A sì hai ragione, che scemo, che c’entra la chiesa.»

Il giardino confinante era in realtà per buona parte ben curato, ma proprio a ridosso della palizzata di divisione, era stato accatastato un po’ di tutto. Quando notai questo, lo chiesi anche a Luca, «Ma perché tutta questa roba non la mette da un’altra parte o vicino dove parcheggia il camion, qui è proprio brutta.»

«Ma che ne so, prima era proprio tutto il giardino incasinato, poi ha pulito, ma qui è rimasto sempre così. Mio padre glielo dice sempre che bisogna far sparire tutto una volta per tutte.»

«Marco dai è ora che andiamo che si sta facendo tardi», disse Gianni.

«Sì avete ragione, allora grazie ci vediamo domenica.»

«Se volete, potete tornare anche venerdì.»

«Merenda compresa? Scherzo, non so, ora vediamo. Arrivederci signora, grazie della merenda.»

«Ciao ragazzi, grazie a voi della visita.»

Mentre i ragazzi escono dalla casa, una bella auto entra, guidata dal padre di Luca che alza una mano in segno di saluto, è in divisa dell’ATAC porta i tram al centro di Roma ed ha da poco finito il turno di lavoro.

Sul trenino di ritorno i ragazzi scambiano alcune parole.

«Che bella casa cavolo, quello l’oratorio ce l’ha in giardino», disse Maurizio, «Chissà che lavoro fa il padre? Aveva una bella divisa avete visto.»

«Guarda che è la divisa dell’ATAC, come quella di mio padre, e ti assicuro che quella casa e quella automobile con i soldi dello stipendio non te li puoi permettere», risposi io.

«Cosa intendi dire», chiese Gianni.

«Che secondo me, tutta la famiglia è coinvolta in qualche traffico strano, proprio come diceva il Maresciallo. Mi piacerebbe proprio andare a frugare in quel giardino, secondo me esce fuori qualcosa.»

«Ragazzi il Marco mi è diventato coraggioso. Io ci sto.» disse Maurizio.

«Anch’io risposero insieme Roberto e Gianni.»

«Be ora aspettate, ho detto che si potrebbe…»

«Eccolo è tornato cacasotto», subito mi interruppe Maurizio.

«Ok va bene, appena si crea l’occasione si va.»

Mentre i ragazzi facevano andare le loro fantasie, a circa seicento chilometri di distanza, nelle vicinanze di Domodossola il Tenente Passeri ascoltava il primo resoconto dei suoi ragazzi.

    «Siamo certi di essere passati inosservati. I nostri uomini alloggiano nella pensione Cecilia a Bognanco una frazione tranquilla, poche case tanta campagna. Diciamo che nelle vicinanze, posti dove nascondere la merce ce ne sono molti.»

«Ma cosa combinano tutto il giorno?» Chiese il Tenente.

«Assolutamente nulla, colazione pranzo e cena sempre nello stesso locale, passeggiate a piedi e dormite. È chiaro che stanno facendo calmare le acque. Siamo andati all’autonoleggio dove hanno preso il furgone frigorifero, anche lì niente di particolare, ha pagato il nostro antiquario dando un regolare documento.»

«Forza ragazzi non bisogna mollare, prima o poi dovranno prenderla questa merce e noi saremo lì, dietro di loro.»

«Tenente ma non ha considerato la possibilità che loro non prendano più la merce?»

«Cosa intendi dire Todde?»

«Intendo dire che potrebbe essere direttamente il compratore ad andare a ritirarla.»

«Hai ragione, ci ho pensato, però se l’accordo ci fosse stato, avrebbero già lasciato la zona. Se quello che dici te è vero, dovranno comunque contattare questo compratore per i dettagli dello scambio. Dovete avere cento occhi e orecchie. Cercate, senza insospettirli, di visitare lo stesso locale che loro frequentano, fingetevi clienti, se vedete strani movimenti cercate di raccogliere delle foto. Mettiamo subito sotto controllo il telefono della pensione, del bar ristorante e le cabine pubbliche nelle vicinanze.»

 

Venerdì 13 Settembre, ore nove e trenta. Due uomini che conosciamo molto bene, si recano al solito locale per fare colazione. Defilati in un angolo, seduti con caffè e giornale davanti, ci sono già Furlan, per l’occasione un poco camuffato, ed un collega. Antico e socio si siedono ad un tavolo distante da quello dei due carabinieri, sorseggiano il loro caffè, mangiano una brioche e commentano i recenti fatti di cronaca. Tutto sembra scorrere normalmente. Ad un certo punto l’uomo che accompagnava il Sinibaldi si avvicina al bagno ed entra. I due carabinieri iniziano ad insospettirsi, sono già passati quindici minuti e l’uomo é ancora lì dentro. Sono circa le dieci quando la porta del bagno si apre, l’uomo esce, fa un fugace cenno a Sinibaldi, ed insieme lasciano il bar.

         «Io esco e li seguo, tu Banfi non ti muovere da qui per almeno mezz’ora e non staccare gli occhi dalla porta di quel bagno.»

         «Dal bagno? Che vuol dire?»

         «Fai come ti dico, e tieni pronta la microcamera.»

Furlan segue i due che si dirigono in tutta fretta verso la pensione dove alloggiano. Banfi è in procinto di lasciare il bar, quando la porta del bagno si apre, esce un uomo di una certa età che si dirige verso un tavolo dove aveva lasciato una borsa, la prende, si avvicina  all’uscita, salutando il barista.

         «Tank you, bye bye.»

Banfi non aveva fatto caso a quella borsa sopra quel tavolino in fondo al bar, quell’uomo quindi era lì già prima del loro arrivo e ciò voleva dire che era stato in bagno un tempo esagerato. Durante questo spostamento nel bar, Banfi aveva potuto scattare con la microcamera alcune foto dell’uomo. Il sospetto era quello che nel bagno ci fosse stato uno scambio di qualcosa o di qualche informazione. Banfi uscì velocemente e riuscì a fotografare anche l’auto con cui l’uomo si allontanò. Immediatamente Banfi con la trasmittente chiamò Furlan.

         «Avevi ragione, dopo un po’ è uscito un tizio dal bagno che non abbiamo mai visto entrare, deve essere un complice, almeno spero, ho anche la foto dell’auto con la targa, lì come va, dove sei

         «Sono di fronte alla pensione sono arrivati qua tutti di corsa, eccoli eccoli, hanno i bagagli, questi tagliano la corda e noi non possiamo fermarli cavolo, penso proprio che ci sia stato il contatto al bar. Sento il Tenente, non so se seguirli o no, mando qualcuno a prenderti così sviluppiamo subito le foto

         «Io comunque chiamo la centrale, la targa la ricordo a memoria così intanto iniziano le ricerche sull’auto

Il Tenente ordina a Furlan di rientrare tanto è inutile seguire i due, non hanno prove per fermarli.

Dopo un’ora sono tutti riuniti con già le foto stampate davanti agli occhi.

         «Eppure questa faccia io l’ho già vista da qualche parte, prima o poi mi verrà in mente ne sono certo», disse Passeri.

         «Non so se può essere utile Tenente, ma quando è uscito ha salutato in inglese, magari bisogna allargare le nostre ricerche aggiunse Banfi.»

         «Aspetta ora che mi dici così, voglio controllare una cosa. Crescenzi vammi a prendere quel fascicolo che abbiamo portato con noi, quello sui traffici d’arte è nell’altra stanza in fondo, quella che ci avevano dato il primo giorno, forse mi sono ricordato.» Dopo due minuti, «Eccolo è lui, si tratta di Alex Symensth, vedete la foto, questo è un catalogo di una mostra che aveva curato a Milano. Se si sposta lui personalmente, la merce deve essere di grande valore. È risaputo nell’ambiente che quando è così, non si fida neanche dei suoi uomini, tanto meno di fotografie. Va a visionare di persona e spesso organizza subito il trasporto per paura che le merci, all’ultimo momento, vengano sostituite con dei falsi. L’altro uomo deve essere sicuramente un suo scagnozzo.»

         Bussando alla porta già aperta, «Allora posso anche andare, avete capito tutto ormai.»

         «Antonio, ciao, ben arrivato, sono contento che tu sia qui, ci serve giusto un uomo della tua esperienza.»

Il Tenente mise al corrente il collega appena arrivato dell’evoluzione delle indagini, specialmente delle importanti novità dell’ultima ora. Dalla targa dell’automobile si poté accertare che si trattava di un’auto presa a noleggio.

         «Io penso una cosa», esclamò Todde.

         «Dimmi, dai che ogni tanto il ragazzo qui ha buone intuizioni», rispose Passeri riferendosi principalmente a De Lellis.

         «Symensth se vuole trasportare la merce, non potrà sicuramente farlo con quell’automobile, avrà bisogno di un mezzo più grande. Ora pensavo, non sapendo di essere stato riconosciuto, la cosa più normale da fare sarebbe quella di riconsegnare l’auto e nello stesso posto magari prendere a noleggio un furgone o una cosa simile. Che ne dite?»

         «Caro Antonio, te lo avevo detto che questo giovane ha proprio l’intuito del buon investigatore.»

         «Bravo ragazzo», rispose il Maresciallo. «Corrado, andiamo a fare due chiacchiere all’autonoleggio, vediamo se la teoria di Todde è giusta.»

         «Voi ragazzi continuate a girare per la città con gli occhi ben aperti.»

 

         A Roma erano le nove e trenta, io e la solita combriccola decidemmo di andare a trovare Luca. Volevamo dare ancora un’occhiata a casa sua, e specialmente a quella dello zio. Se fossimo andati il pomeriggio, sicuramente la maggior parte del tempo lo avremmo passato all’oratorio, ma noi volevamo altro. Arrivati davanti alla casa, suonammo al citofono.

         «Chi è?» Domandò la madre affacciandosi dalla finestra a piano terra.

         «Buongiorno signora c’è Luca, siamo gli amici di Giardinetti», risposi io.

         «Ciao ragazzi ora ve lo chiamo, si è alzato da poco, ma entrate dai accomodatevi pure in giardino.»

Dopo una ventina di minuti Luca venne fuori.

         «Ciao, ma vi alzate presto voi eh!»

         «Inizia ad abituarti che tra poco ricomincia la scuola.»

Mentre le chiacchiere andavano avanti, la mamma di Luca uscì e si rivolse al figlio.

         «Io vado da zia a dare una mano per i dolci, visto che ci sono i tuoi amici tu rimani qui, mi posso fidare sì?»

         «Sì mamma stai tranquilla, tanto stiamo qui a giocare in giardino.»

         «Ragazzi, io devo andare da mia sorella maggiore, festeggia le nozze d’argento e domani sera faremo una grande festa da lei. Luca in frigo ci sono i succhi di frutta, più tardi offrili ai tuoi amici. Ciao.»

Passammo l’intera mattinata a giocare a pallone in giardino, ad un certo punto io, diciamo “per sbaglio”, mandai il pallone dall’altra parte della palizzata.

         «Vado io», urlai, non diedi neanche il tempo a Luca di rispondere che già ero dall’altra parte. Una volta nel giardino dello zio, recuperai la palla e dissi agli altri.

         «Perché non ci spostiamo un poco più giù, lontano da questo macello e giochiamo a pallavolo?»

         Luca mi rispose, «Va bene dai vengo io dall’altra parte.»

Tutti cercavamo di osservare, di trovare qualche particolare, ma in realtà non è che si riuscisse a vedere molto d’interessante. Maurizio ed io spesso sbagliavamo intenzionalmente, mandavamo il pallone verso la casa o verso la cantina dello zio di Luca per poter buttare un occhio dentro. Ad un certo punto, andando in dietro senza vedere per prendere la palla, acciaccai la coda ad un gatto che scappò giù nella cantina. Alla cantina si accedeva mediante una porta che affacciava in giardino, da qui partiva una scala ripida che finiva sottoterra.

         Era poco prima delle tredici quando la madre di Luca rientrò a casa e ci trovò ancora a giocare.

         «Luca dai venite di qua, sai che tuo zio non vuole che giochi dalla sua parte.»

         «Sì lo so, lui dice che ha paura che mi possa fare male con i suoi impicci, ma noi ci siamo spostati più giù.»

         «Va bene dai tanto ormai è ora di pranzo, evitiamo discussioni con lo zio, tornate di qua.»

         «Mi ha detto che domani lavora solo di mattina ed il pomeriggio inizia a togliere questa catasta di roba.»

         «Avrai capito male, guarda che domani anche zio è invitato alla festa di zia Luisa, non ha proprio il tempo di lavorare in giardino.»

Tornato nel giardino di Luca ci salutammo, stavamo apprestandoci all’uscita quando vidi una cosa che richiamò la mia attenzione. Il gatto che poco prima avevo infastidito e che era fuggito giù in cantina, stava venendo fuori venti metri più avanti da sotto quella famosa catasta di cianfrusaglie.

 

Durante il breve viaggio di ritorno, sul trenino per tornare a casa, ci scambiammo impressioni sulla mattinata.

         «Ma voi non avete fatto caso al gatto?»

         «Sì io sì», disse Roberto.

         «Anch’io», aggiunse Gianni.

         «Perché il gatto che c’entra?»

         «Ti pareva, non hai visto da dove è sbucato mentre stavamo andando via?» Domandai a Maurizio, «È entrato dalla cantina ed è riuscito da sotto quella montagna di robaccia, venti metri più lontano.»

         «Ci sarà una finestra della cantina attaccata al muro che rimane coperta», disse Gianni.

         «No io per recuperare il pallone che era finito giù sono sceso ed ho visto, la cantina sarà al massimo lunga una decina di metri ma anche meno.»

         «E allora?»

         «Allora ci deve essere qualche passaggio segreto da qualche parte, o magari un piccolo passaggio dove solo un gatto riesce a passare. Dopo questa apertura ci deve essere o un’altra stanza o un cunicolo lungo almeno atri dieci metri o che ne so è talmente strano.»

A questo punto il coraggio di Maurizio uscì fuori.

«Domani sera nelle due case non ci sarà nessuno, che ne dite di fare un piccolo sopralluogo nella cantina misteriosa?»

«Ma come facciamo, dobbiamo aspettare che faccia buio, i nostri genitori non ci permetteranno mai di uscire tardi», disse Roberto.

«Io ho un’idea esclamai.»

Dopo un breve conciliabolo trovammo la soluzione, certo un poco rischiosa ma era l’unica possibile.

 

         «Buongiorno», disse il Tenente Passeri accompagnato dal collega De Lellis.

         «Buongiorno a voi in cosa posso esservi d’aiuto?» Rispose il ragazzo, figlio del proprietario dell’autonoleggio.

         «Io sono il Tenente Passeri lui è il Maresciallo De Lellis, ci occorrevano delle informazioni su un’automobile che avete noleggiato e che è finita nelle nostre indagini.»

         «Se posso, dite pure.»

         «L’automobile in questione è questa», disse Passeri mostrando una delle foto scattate da Banfi.

         «Sì, sì è una delle nostre.»

         «Noi vorremmo sapere che tipo di accordi avete con questo signore, quando verrà a riconsegnarla e se ha in mente di noleggiare altri mezzi.»

         «Be, voi capirete bene che queste sono informazioni riservate, non posso tradire la fiducia di un cliente.»

         «Lei faccia pure come crede, potremmo tornare magari tra un giorno con un’autorizzazione che ci permetterebbe di consultare i vostri registri e magari sfogliando chissà quante belle irregolarità troveremo, sa a volte uno se cerca bene trova tante cose», disse Passeri con un tono particolare della voce.

         «E sì, poi potremmo anche piazzare un’auto fissa qui davanti e fermare tutte le macchine che escono da qui e magari far perdere un’ora a tutti i vostri clienti», aggiunse De Lellis.

Il ragazzo fu preso un poco alla sprovvista ed andò a chiedere lumi al padre. Dopo avergli illustrato i fatti tornò insieme a lui.

         «Buongiorno, sono Balselli, il titolare. Mio figlio mi ha accennato qualcosa, chiedete pure a me.»

         «Ecco lei signor Balselli mi sembra un poco più disponibile del ragazzo, le avrà detto che ci servono alcune informazioni per le nostre indagini.»

«Sì mi ha accennato qualcosa, di quale auto si tratta?» Guardando la foto «A quella. Sì ricordo bene, la pratica l’ho seguita personalmente. Si tratta di un signore straniero con accento inglese, anche se comunque parla qualcosa di italiano. Dovrebbe riconsegnare l’auto domani in mattinata.»

         «Le ha chiesto di poter noleggiare un altro mezzo?»

         «Sì, come fate a saperlo?»

         «Non si preoccupi di questo, ci dica piuttosto di che tipo di mezzo si tratta?»

         «Mi ha chiesto un mezzo che potesse trasportare della merce, un furgone o similari lo desiderava però con riconsegna in Svizzera. Noi siamo una piccola impresa e non abbiamo questo tipo di prestazione. Siamo rimasti che mi sarei informato da alcuni miei colleghi che fanno questo tipo di servizio e lo avrei fatto accompagnare direttamente da un mio autista quando mi avrebbe riportato l’auto indietro.»

         «Ha già trovato quello che cercava il nostro uomo?»

         «Sì, un mio amico a Domodossola può accontentarlo.»

         «Ci dia gentilmente l’indirizzo e domani ci chiami appena quest’uomo esce di qui.»

         «Ma è una persona pericolosa? Sa, pensavo di farlo accompagnare da mio figlio.»

         «Se vuole, potremo far fare questa operazione ad un nostro uomo.»

         «Sarei più tranquillo.»

         «Va bene, domani, all’apertura, arriverà un nostro uomo che provvederà al tutto.»

         «Vi ringrazio.»

         «Grazie a lei, buon lavoro, stia tranquillo e, mi raccomando, non una parola con nessuno.»

Una volta fuori i due amici colleghi commentano quello che è appena accaduto.

         «Ci mandiamo Banfi qui domani mattina, così conosce bene le strade.»

         «Ma non lo avrà visto al bar?»

         «E anche se fosse, un autista non può prendere un caffè la mattina?»

         «Be hai ragione Corrado non ci avevo pensato.»

         «Prepariamo poi almeno due auto pronte a seguire Symensth non appena entra in possesso del furgone. Potrebbe agire veramente in poche ore e prendere subito il largo.»

         «Speriamo che ritiri la merce al più presto, così lo becchiamo in flagrante e questa storia finisce.»

         «Antonio dimentichi che poi dobbiamo andare a prendere Sinibaldi e Trabaschi, è uno di loro che ha ucciso tuo nipote.»

         «Non lo dimentico assolutamente, ho promesso alla madre che farò giustizia ed intendo mantenere la parola.»

         «Speriamo che una volta preso, Symensth collabori senza fare troppe storie.»

*

Quota 5000 spazi inclusi

                                                       

 

C’era una volta uno scrittore, la cui passione per l’arte dello scrivere, saturava in modo assoluto ogni sua cellula. I suoi neuroni si dedicavano in modo assai frettoloso ai compiti “istituzionali” in modo d’avere molto più tempo libero da dedicare al pensiero. In tutto quello che faceva, era distratto e frettoloso ma, quando si sedeva al tavolo, con davanti agli occhi un foglio bianco, sia si trattasse di prosa sia di poesia, era come se il tempo attorno a lui rallentasse, fino a fermarsi completamente. Amava trasportare nelle sue storie, la realtà che lo circondava, niente era più divertente ed intrigante del vero. Era capace di girare giorni e giorni per le vie della città, alla ricerca di strani e preziosi personaggi da incastonare come gioielli nelle arzigogolate trame dei suoi racconti. Camminava tra i banchi dei mercatini, ascoltava venditori e compratori, tutti caoticamente alle prese con le stesse difficoltà economiche, era divertente percepire come nella realtà, disegnassero gli estremi di uno stesso problema. Frequentava alcune botteghe artigiane, dove alcuni personaggi, che avevano abbondantemente superato l’età della pensione, portavano avanti dei mestieri prossimi all’estinzione, era come trovarsi di fronte a dei veri e propri panda di città. Tappa fissa erano Savino il ciclista, i fratelli tappezzieri Primo e Quinto, Franco, uno degli ultimi norcini rimasti in città e Luigi il falegname, la cui unica attività, era rimasta quasi esclusivamente quella di lucidatore di vecchi mobili. Queste botteghe, negli anni, erano divenute una sorta di luogo d’incontro, dove dei malinconici vecchietti raccontavano aneddoti del passato, sempre gli stessi ma stranamente sempre diversi in qualche sfumatura, ad ogni narrazione. La giornata non poteva che finire con il momento che il nostro scrittore definiva ”Il momento del si stava meglio quando si stava peggio”. Tutti insieme si celebrava la bellezza dei tempi andati, e si cercava di interpretare in qualche modo, i segni del presente, sempre più distante ed enigmatico. Il nostro scrittore poi, proseguiva le sue camminate ispiratrici, sostando per molti minuti sulle panchine dei giardini pubblici, al solo scopo di osservare e ascoltare la vita vissuta raccontata direttamente dalla bocca dei protagonisti. Il parco era i luogo ideale per affinare la conoscenza dell’universo femminile, scoprirne le virtù, le debolezze, i dubbi e le certezze. Il posto più ambito dal nostro scrittore era quello vicino alle giostre dei bambini, lì, le mamme, ferme ad osservare i loro figli giocare, si lasciavano andare alle più intime confidenze. Le donne che si incontravano al parco la mattina, erano rappresentate da alcune categorie ben distinte, di solito erano casalinghe, nonne con i nipotini o baby sitter, nel pomeriggio, invece, il giardino era frequentato soprattutto da donne lavoratrici e da papà. Strane trame si intrecciavano il pomeriggio tra sessi opposti, i bambini sicuramente erano meno controllati, c’era un tasso di cadute e incidenti assai maggiore! Il massimo del divertimento, per chi osservava dall’esterno questo microcosmo ispiratore, era la domenica mattina. I due gruppi si trovavano tutti assieme con l’aggiunta di soggetti assenti durante il resto della settimana. Un vero spettacolo, persone che fingevano di ignorarsi, erano poi tradite da sguardi lussuriosi che lasciavano intravedere complicità mal celate. Donne in carriera che pendevano letteralmente dalle labbra di casalinghe dispensatrici di consigli culinari. Uomini, di tutte le formazioni culturali che, davanti all’argomento “pallone” regredivano letteralmente all’età della pietra e, abbandonate in ufficio le loro responsabilità dirigenziali, si lasciavano andare ad accese discussioni da bar. Uno spaccato trasversale della società che finalmente aveva modo di confrontarsi nonostante le forti differenze, grazie ai bambini, l’unica cellula capace di unire il tutto.

Tornando al nostro amico scrittore, ultimamente era alle prese con una sfida che lo intrigava molto; lui estremamente prolisso, doveva partecipare ad un concorso letterario il cui regolamento recitava:inviare non più di un'opera per autore, di lunghezza non inferiore alle 5.000 battute e non superiore alle 12.000, spazi inclusi. Amante com’era dell’aggettivo insolito, del sostantivo bislacco, delle sfumature e dell’effimero particolare, non era abituato a confrontarsi con certi problemi di spazio. Inizialmente aveva provato a fare il lifting a vecchie storie, ma il risultato era stato quello di svuotarle del colore originario. Bisognava scrivere qualcosa di nuovo, specificatamente per quest’occasione. Un'idea le venne in mente, mettere per iscritto le difficoltà di uno scrittore alle prese con uno spazio limitato, ma la cosa le prese la mano e volle andare oltre sfidando se stesso a rimanere entro il limite minimo. Proprio quando l’idea cominciava a prendere forma, si rese conto di essere arrivato a quota 5000 spazi inclusi.

*

Lettera dal fronte (epistola)

                                             Lettera dal fronte

 

Mia adorata Lucia,

un altro giorno è passato, un altro giorno in meno che mi separa                           da voi,     questa è l’unica certezza che posso darvi amore mio.                                                                                

Non so dirvi, infatti, quando tutto questo avrà fine, non so neanche dirvi se tutto questo abbia ancora un fine. Posso tuttavia immaginare, che se un fine ancora ci sia, sarà sicuramente molto alto, perché io da quaggiù, da questo freddo inferno, non riesco minimamente a scorgerlo.

Qui tutto è estremamente mutevole nella sua fissità, i compagni cambiano, i nemici cambiano, il confine da proteggere cambia, ma la sofferenza, la fame, e la sensazione di precarietà assoluta, sono compagne tenaci, durevoli, instancabili.

Solamente la luce dei vostri occhi, la gaiezza del vostro integro sorriso, la gentile vibrazione della vostra voce, riescono ad accordare la ragione che mi chiama a schiudere lo sguardo ogni mattino.

La foto che mi donaste prima di partire, è la mia prima alleata, la conservo gelosamente nella tasca del cuore, mi sorprendo ad osservarla, è balsamo profumato per ogni mio dolore.

Il silenzio notturno è un frastuono senza colpevoli, puoi ascoltare il rumore dei pensieri e dei ricordi farsi avanti, la lontananza non è mai stata così lontana.

Ti scopri ad aspettare quel lampo già scritto, abdicando speranze, confidando che almeno la sorte, ti riservi in dono un istante dolce, dove non ti accorgerai di nulla, solamente e finalmente pace.

Non so cosa attendermi nei prossimi giorni, domani, nelle prossime ore, nel trascorrere dei prossimi minuti. In realtà, l’angoscia più profonda, è il non sapere neppure cosa sperare che accada. Oramai le forze sembrano separarsi dai nostri corpi stanchi, viviamo e lottiamo per un ideale che spesso non riusciamo più a cogliere.

Arriva però il momento, in cui capisci che devi provare a dare un senso al tuo presente, devi almeno cercare di lottare, trovare l’ultima stilla di vitalità, scovarla nell’angolo remoto ove si è taciuta. Così, come un padre trova la forza di continuare a combattere, per donare un posto migliore ai propri figli, io amore mio, attingo il mio vigore dalla speranza di sapervi un domani madre dei miei.  

                

                                                                         

                                                                Con immutato affetto, il vostro Giuseppe

                                                                            Vittorio Veneto, 22 Ottobre 1918

*

Paolo e Francesca (epistola)

PAOLO E FRANCESCA

 

 

Caro Professor Barillari,

 

Le scrivo per condividere con Lei, questo mio momento di coinvolgente felicità. Tutto per me cominciò da quel “cadde come corpo morto CADE”.Poche semplici e umili parole, incastonate con la sapienza, propria dei grandi, a plasmare il più prezioso dei gioielli della nostra letteratura. Ricordo ancora quel senso di beatitudine che pervase il mio spirito. Qualcosa, da quel giorno, nel mio intimo, nella mia scala dei valori, cambiò profondamente. In quel difficile liceo di una periferia romana degli anni ottanta, non dissimile da tante altre realtà italiane, tutto questo fu possibile grazie ad una persona unica come Lei. Lei Professore, ci forni gli strumenti, le chiavi di lettura, l’entusiasmo, ci trasmise la sua curiosità intellettuale che diventò anche la nostra. È tanto che avrei voluto scriverle e restituirle quella felicità che donò a me e ai miei compagni in quegli anni. Sembrava veramente inconcepibile che noi giovani, irresponsabili per definizione, trovassimo appagamento dalle pagine di un testo scolastico, eppure stava accadendo proprio a noi. Grazie a Lei, molti di noi, hanno intrapreso una proficua carriera universitaria. Ricordo ancora l’irrefrenabile gioia con cui fui accolto, il giorno che la venni a trovare a scuola, subito dopo la mia laurea. La soddisfazione palpabile con cui mi presentò ai suoi studenti. C’ero ancora io in ognuno di quei ragazzi, i miei occhi si riflettevano nei loro, il mio respiro seguiva il loro stesso ritmo. Avevo ancora fame di sapere, provavo ancora felicità nell’imparare.

Oggi, che anch’io insegno, che ogni giorno mi confronto con quei giovani in perenne subbuglio, ho capito quanto sia appagante donare quello che muove dentro di noi. le nostre esperienze, i nostri successi i nostri errori. La felicità che mi torna indietro, nel vedere la meraviglia dipinta sul volto dei miei studenti, vale molto più di qualsiasi denaro. Ho la possibilità di sostenere, di educare, di stimolare, ma soprattutto di accompagnare nella crescita quel germoglio che si appresta a diventare una pianta rigogliosa e indipendente. Questa mattina, ho voluto regalarmi una giornata particolare. Sono andato in copisteria ed ho fotocopiato gli appunti che Lei ci dettò e che io conservo gelosamente tra le cose più care. Ho voluto condividere questo tesoro con i miei ragazzi. È stato come rivivere una sua lezione, ascoltare le sue parole, sentire il brusio dei miei compagni. Per alcuni istanti, lo spensierato tempo della gioventù, si è nuovamente impossessato di me. Paolo e Francesca sono stati capaci di donarmi, ancora una volta, un momento di pura felicità,  quella felicità che ho saputo comprendere, apprezzare e spero trasmettere grazie a Lei.

 

Con immutato affetto

Alessandro

*

Lo scatto vincente.

LO SCATTO VINCENTE

 

Cristallino a Monte è un piccolo paesino di montagna, poche case, la chiesa, il palazzo del comune, la piazza principale su cui affaccia il bar dello sport. E’ proprio quest’ultimo il principale luogo d’incontro delle poche decine di anime che vivono stabilmente nell’abitato. Due sale ben distinte che da metà pomeriggio si riempiono di due tipologie di persone completamente differenti. Nella sala gialla, stazionano gli adulti e gli anziani del paese, alle prese con discussioni politiche ed interminabili partite a carte, magari davanti ad un rosso locale. Non era raro, a tarda sera, veder uscire qualche cristallense un po’ barcollante dal locale. L’altra sala, quella arancio, è frequentata dai più giovani. In questa sala ci sono dei videogiochi, il biliardo e la tv dove si può assistere alle partite del campionato di calcio. C’erano dei personaggi davvero particolari. Dottor Sky, costantemente incollato allo schermo, guardava ininterrottamente tutte le partite di tutti i campionato del mondo, da quello spagnolo a quello inglese, dal tedesco al francese dal portoghese al sud americano. Stecca, il più abile nel gioco del biliardo. Da tempo immemore non si ricorda una sua sconfitta, questo gli aveva sempre permesso di bere birra senza spendere un euro. Ciccio, dalla mole imponente, era il solo che aveva il coraggio di ingurgitare i dolci che preparava la moglie del proprietario e che rimanevano invenduti per giorni nella scarna vetrinetta del bar. Il personaggio più estroso del gruppo però, era senza dubbio Luca, in arte Snai. Luca scommetteva praticamente su tutto. La posta in palio non era importante e, tra l’altro, non era mai troppo alta, poteva essere rappresentata da una piccola consumazione al bar o da poche decine di euro. Quello che realmente lo interessava, era l’eccitazione derivante dalla vittoria, ancor più poi, quando la vittima era qualche adulto della sala gialla. Riuscire a battere quei “vecchi saggi” che continuamente li accusavano di essere dei nullafacenti, era per lui la soddisfazione più grande. Snai era metodico, analizzava scientificamente il fenomeno su cui avrebbe lanciato la sfida, per poi andare alla ricerca della vittima più adatta, un vero talento. Erano alcuni giorni che osservava il comportamento di Arturo, il fornaio del paese, e aveva in mente di lanciare una scommessa delle sue. Arturo arrivava al bar verso le diciotto e, davanti al solito mezzo litro di vino, giocava a carte con gli amici per alcune ore. Quando arrivavano le ventuno, si alzava, si dirigeva in bagno e, alcuni minuti dopo, salutava la compagnia per dirigersi al forno. Chi lavora costantemente di notte, ha dei bioritmi tutti suoi. I ragazzi avevano imparato a proprie spese, essendo il bagno nella loro sala, che per Arturo, le ventuno, rappresentavano le prime ore della mattina con tutto ciò che ne consegue. Da dietro la porta del bagno arrivava una raffica di scorreggioni terrificanti, e l’odore, che da lì a poco, avrebbe invaso inesorabilmente la sala, obbligava spesso i ragazzi ad abbandonare momentaneamente la loro postazione. Il piano scattò una sera di Marzo. Ore venti e quaranta, Sky entrò il bagno in modo da occuparlo. Appena il fornaio si alzò ed entrò nella sala arancio, Ciccio e Snai uscirono e si diressero nell’altra sala.

«Aiuto, mamma mia, ci ha ucciso», urlò Snai.

«Con chi ce l’hai?» aggiunse Panta.

Panta era un cinquantenne con la passione della bicicletta, in perfetta forma fisica, a dir il vero, anche un po’ troppo fissato per questo sport. Spesso si lasciava andare nella descrizione di suoi fantomatici successi sportivi avvenuti in giro per l’Italia. C’era un continuo punzecchiarsi con l’ala giovane del bar che, non credendo ai suoi racconti, continuava a prenderlo in giro.

       «Arturo, ha sganciato degli scorreggioni paurosi, siamo dovuti scappare!»

       «Che cosa dici, Arturo è una persona seria, non farebbe mai certe cose in pubblico», rispose il Panta.

       «Fino ad oggi lo pensavamo anche noi, so solo che siamo dovuti uscire di corsa dalla sala e sicuramente non ha ancora finito!»

       «Non ci credo, ci stai prendendo in giro come al solito.»

       «Scommettiamo che prima che esce dal bar, ne lascia andare qualcuna anche davanti a voi?»

       «Questa volta non ti conviene, perderesti di sicuro.»

       «Birra e patatine per tutti, ci stai?» Chiese Snai a Panta

       «Ok è andata, prepara i soldi caro.»

Intanto, in un angolo della sala arancio, Arturo, sempre più agitato, attendeva davanti alla porta del bagno che Sky uscisse. In tv, nel frattempo, era iniziata la partita e come accadeva di solito, man mano che gli adulti terminavano le loro sfide a carte, si spostavano in questa sala. La televisione era ad alto volume, questo avrebbe permesso ad Arturo di liberare tranquillamente i suoi “tuoni” intestinali senza essere udito da nessuno. Snai, telecomando in mano, si era piazzato in una posizione strategica dalla quale riusciva a vedere bene il volto di Arturo e le espressioni che lo percorrevano. Ad un certo punto, lo sguardo del poveretto mutò, occhi chiusi, una leggera smorfia di sofferenza, guance leggermente gonfie, mano sulla pancia … era giunto il momento! Nel preciso istante in cui il fornaio si lasciò andare Snai pigiò sul tasto del telecomando “blocca volume”.

       «Prrrrrrrrrrrrrrr»

Tutti si girarono dalla parte del povero fornaio che sarebbe voluto sparire all’istante. Dopo due o tre interminabili secondi di assoluto silenzio, partì una risata collettiva, l’uomo si precipitò di corsa verso l’uscita lasciando andare altri piccoli ricordi nell’aria. Panta sconfitto, raccolse il proprio volto tra le mani e si lasciò cadere sul tavolo continuando a mantenere questa posizione.

       «Birra e patatine per tutti!» Urlò Snai tra le grida festanti dei presenti che presero a girare attorno al tavolino del ciclista scommettitore simulando una danza indiana. Con la testa ancora bassa tra le braccia conserte, Panta alzò una mano che mostrava un pezzo da cinquanta euro.

       «Di più non vi do, fateveli bastare!»

La classe di Snai aveva appena finito di dare i suoi frutti che già la sua mente stava elaborando un colpo che sarebbe rimasto come il migliore di sempre. Quando l’uomo è colpito, ha una gran voglia di rivincita e questa sua frenesia spesso lo porta a essere meno attento ai particolari.    

        «Grande Panta, non riesci proprio a vincerla una scommessa, magari ci vorrebbe qualcuno che ti sfidasse con la bici, ma son sicuro che perderesti lo stesso!» Urlò Snai davanti a tutti per provocare la sua reazione.

       «Sfidami tu allora se hai coraggio, o sei capace solo di parlare.»

       «Io scommetto che ti batte anche Ciccio, ha uno scatto fulminante, non guardare che è cosi in carne, lui è forte.» 

       «Quando vuole, sono qua.»

       «Tra un mese c’è la festa del paese, ci sono tanti tornei e concorsi tra cui la corsa ciclistica amatoriale che parte e arriva da qua. Non ci interessano gli altri concorrenti, vince la scommessa chi arriva prima tra voi due, ci stai?»

       «Certamente, questa volta però i termini della scommessa vanno messi bene per iscritto, firmati dai partecipanti alla presenza di qualche testimone e la posta in palio dovrà essere alta.»

       «Perfetto, domani allora butto giù tutto, faccio una stampa al computer, te la faccio leggere con calma e se ti va bene, la firmi.»

       «Ok, domani allora parte la scommessa. Una cosa però devo proprio chiedertela, come pensi che Ciccio possa avere la pur minima possibilità di vittoria?»

       «Intanto ha un mese per prepararsi, e poi la prima parte della gara è tutta in discesa, e lui, essendo più pesante di te, prenderà un vantaggio tale che per te sarà impossibile raggiungerlo nella risalita in paese.»

       «Povero illuso, come si vede che di ciclismo non ne capisci proprio niente.»

       «Staremo a vedere, ora scusami ma ci sono una birra e delle patatine che mi attendono!»

Ciccio, che aveva assistito a tutta la scena, era rimasto perplesso e silenzioso ma, conoscendo molto bene le doti di Snai, non poteva far altro che fidarsi di lui. Finita la baldoria, i due ragazzi s’incamminarono insieme verso casa.

       «Luca, spiegami bene, se hai lanciato questa sfida a Panta, avrai sicuramente un piano, se magari metti al corrente anche me, te ne sarei grato.»

       «Tu, devi comunque allenarti bene, perché la salita devi farla veramente, però, la comincerai con talmente tanto vantaggio che sarai irraggiungibile.»

       «Che cosa intendi? La discesa mi permetterà di prendere un po’ di vantaggio ma non sarà sufficiente per rimanere davanti al Panta.»

       «I prossimi giorni andremo a studiare bene il percorso, ho in mente due tre punti, dove si possono fare delle scorciatoie che ti permetteranno di guadagnare molto vantaggio e percorrere meno strada in salita.»

       «Ora si ragiona, anche se c’è un piccolo particolare che dovresti sapere…»

       «Dimmi pure.»

       «Io non ho neanche una bicicletta!»

       «Particolare da non sottovalutare direi! Comunque stai tranquillo, ce ne ho una io tutta impolverata in cantina, gli do una bella sistemata e te la presto.»

Il giorno seguente, Snai lavorò sulla stesura del documento che riassumeva le modalità con cui si sarebbe dovuta svolgere la scommessa. La sera, nella sala arancio, riuniti in cerchio alcuni frequentatori del bar, lesse ad alta voce il contenuto. 

“La scommessa tra il signor Marco Rienzi detto Ciccio e il signor Alberto Lucidi detto Panta, avverrà in occasione dei festeggiamenti in onore del patrono di Cristallino a Monte. Protagonista della tenzone sarà la bicicletta, una vera gara nella gara “all’ultimo scatto”. Chi dei due, all’interno della competizione, indipendentemente dalla classifica generale, avrà conquistato il piazzamento migliore, sarà il vincitore della scommessa. Il perdente dovrà portare il vincitore in trionfo sulle proprie spalle, per le vie del paese e sarà tenuto a pagare una cena a tutti i frequentatori abituali del bar presso il ristorante “I Cacciatori” di Cristallino in Valle.”

«Allora Panta cosa ne dici? Mi sembra ci sia tutto, la bicicletta, la festa patronale, i termini della scommessa e la posta in palio.»

«Fammi rileggere, sì, mi sembra sia tutto ok, anche se io avrei messo una posta in palio più ricca.»

«Stavo proprio pensando che si potrebbe aggiungere la presa in giro pubblica.»

«Che cosa intendi?»

«Io conosco molto bene il presidente del comitato dei festeggiamenti, sai è mio zio Mario. Potrei dirgli se ci permette di annunciare il vincitore della scommessa la sera finale sul palco, proprio quando si fanno tutte le premiazioni dei vari tornei. Ci sarà un sacco di gente e magari possiamo decidere che la “penitenza” cominci proprio in quel momento, sai che risata generale prendere in spalle il vincente davanti a tutto il paese!»

«Mi piace questa idea, sarà molto divertente, povero Ciccio.»

«Sei molto sicuro di te, io non canterei vittoria troppo presto.»

«Non ha nessuna possibilità, vuoi mettere una persona atletica e allenata come me con un fannullone grassoccio come Ciccio, non ci può essere partita.»

Quest’aria strafottente e piena di sé del Panta, infastidiva non poco i frequentatori del bar, al punto che gli stessi adulti, facevano il tifo per Ciccio universalmente riconosciuto come un personaggio simpatico, estroverso e sempre rispettoso delle persone più anziane.

I giorni scorrevano lenti in attesa della grande sfida. Panta faceva quello che aveva sempre fatto, grandi allenamenti e dieta sana. La novità che invece incuriosiva tutti i paesani, era vedere Ciccio che tutti i giorni si recava in bicicletta a scuola, un istituto tecnico di Cristallino in Valle. Si lanciava come un bolide in discesa per poi ritornare distrutto in paese verso le quindici e trenta. Giorno dopo giorno la sua tecnica in discesa migliorava ed il tempo impiegato per risalire in paese diminuiva. Dopo due settimane aveva perso cinque chili ma la differenza con il Panta, nell’affrontare la salita, era ancora troppo evidente. Una domenica mattina, Ciccio, seguito da alcuni amici in motorino, decise di testarsi direttamente con il suo avversario. Ore otto, tutti pronti davanti al bar in attesa che il Panta uscisse per il suo allenamento quotidiano. Appena il “presunto campione” passò dinanzi al bar, Ciccio gli si accodò. Dopo un paio di chilometri di discesa a ritmo vertiginoso e una serie di rischi presi nell’affrontare alcune curve pericolose, Ciccio riuscì a togliersi di scia il Panta. Il distacco del ragazzo dilatò inesorabilmente anche perché il suo avversario, consapevole della sua forza in salita, evitò di prendere rischi inutili. Giro di boa, la discesa era terminata, dopo un breve rettilineo in pianura, la strada prese a salire. Ciccio cominciò l’ascesa verso Cristallino a Monte con cinquanta secondi di vantaggio, lottò con tutte le sue forze ma neanche a metà salita fu ripreso e lasciato immediatamente sul posto dal suo più esperto avversario. Entrò in paese distrutto, con circa tre minuti di ritardo e incrociò gli occhi beffardi del Panta, seduto davanti al bar, che già celebrava pubblicamente le sue immense doti atletiche e la sua vittoria scontata.

        «Ciccio vieni qua che ti offro qualcosa, sempre se ce la fai a mangiare ah ah!» Urlò tronfio il Panta.

«Aspetta a cantare vittoria, mancano ancora due settimane», rispose il ragazzo che aggiunse fra i denti, «Che stronzo, gliela farò pagare.»

La sera, i ragazzi, si ritrovarono nella loro sala per fare        il punto della situazione, e organizzare una strategia da adottare.

       «Allora, dobbiamo recuperare tre minuti al Panta», disse Snai al resto del gruppo.

       «Dove pensi potremo recuperare questo svantaggio?» Domandò Ciccio.

       «Secondo me basterebbe scorciare prendendo il sentiero all’altezza della falegnameria. Risparmieresti due chilometri di discesa e uno di salita. Guadagneresti almeno quattro minuti.»

       «Non siamo troppo al limite?»

       «Tranquillo Ciccio, allenandoti altre due settimane, andrai sicuramente anche più veloce in salita.»

       «Speriamo che tu abbia ragione, non vorrei ritrovarmi a dover portare in spalla il Panta e soprattutto non vorrei essere costretto a offrire la cena a tutti.»

       «La scommessa l’ho lanciata io, in caso di sconfitta spetterà a me pagare la cena, l’importante è che tu ti preoccupi di portare il campione sulle spalle, io a far questo proprio non ci riuscirei.»

Passarono altre due settimane di attese e allenamenti impegnativi. Ciccio si allenava tutti i giorni e aveva oramai provato più di una volta il percorso “alternativo”. Ultima domenica prima della gara, ultimo confronto non ufficiale tra i due. In quest’occasione Ciccio decise di provare la scorciatoia. Le cose sembrarono andare proprio per il verso giusto, ad un chilometro dall’entrata in paese, il ragazzo poteva ancora contare su un minuto e mezzo di vantaggio.

       «Frena Ciccio, frena, fatti riprendere altrimenti qualcuno potrebbe insospettirsi», gridò Snai che scortava l’amico a bordo del suo motorino. Ciccio seguì immediatamente il consiglio dell’amico, praticamente si fermò e si lasciò raggiungere. Quando il Panta lo affiancò subito gli rivolse una simpatica frase delle sue,  «Ti eri illuso eh! Oggi me la sono presa un po’ più comoda, mica avrai pensato veramente di arrivare per primo? Ciao ciao!»

Sapendo che la vendetta, è un piatto che va servito freddo, Ciccio si finse ancora più stanco di quel che fosse in realtà e rispose, «Ride bene chi ride ultimo mio caro.»

       «Allora tu ti farai un sacco di risate! Ah ah ah.» rispose il Panta allontanandosi inesorabilmente dalla sua vista.

       «Ciccio mio, pure tu te le cerchi», commentò Snai.

Il giorno seguente, lunedì, ebbe inizio la settimana dei festeggiamenti. Ogni sera, sul palco allestito nella piazza principale, si esibivano gruppi musicali il cui genere spaziava dal liscio al pop al rock. Gli avventori del bar dello sport, che affacciava direttamente nello spiazzo, avevano un posto privilegiato in prima fila. Il vero spettacolo, era proprio quello offerto dai frequentatori del locale che, per l’occasione, come avveniva tutti gli anni, si spostavano sotto il patio esterno. Le urla dei giovani, all’esibizione di orchestrine che suonavano il liscio e quelle degli anziani quando ad esibirsi erano delle rock band, ricordavano da vicino le antiche provocazioni provenienti dai loggioni durante gli spettacoli di rivista del dopoguerra. Le giornate passavano festose a Cristallino a Monte, i vari concorsi e tornei si disputavano quotidianamente ma era innegabile che quest’anno l’attesa di buona parte della cittadinanza fosse rivolta alla gara ciclistica amatoriale.

Il giorno tanto atteso arrivò. Era una tiepida domenica di Aprile, quando alle ore nove e trenta, circa settanta concorrenti, erano pronti a tuffarsi nella lunga discesa che portava a valle. La gara si sarebbe conclusa attorno alle ore undici, proprio in concomitanza con l’uscita della messa. Questo sincronismo, avrebbe convogliato, sugli ultimi metri del tracciato, la presenza di molto pubblico pronto ad attribuire il meritato applauso ai ciclisti. La corsa cominciò in perfetto orario. Ciccio partì subito a razzo, era in questa prima fase che era chiamato a fare la differenza. Disegnò traiettorie perfette e dopo appena tre chilometri rimase solo al comando. Purtroppo, i nostri ragazzi, non avevano previsto che alla testa del gruppo, per garantirne la sicurezza, ci fosse la macchina apri-gara. Questa viaggiava appena due minuti prima del passaggio dei ciclisti. Il ragazzo, all’uscita dalla scorciatoia, fu costretto a rimanere nascosto ed aspettare il transito dell’auto, così facendo, buona parte del suo vantaggio andò sprecato. La salita sembrava essere ancora più dura quel giorno, l’esiguo vantaggio non permetteva a Ciccio di stare tranquillo.

       «Dai Ciccio dai, ce la puoi fare ugualmente», urlava Snai al seguito dell’amico.

       «Non ce la farò mai, te lo avevo detto, questa volta perdiamo la scommessa», rispose ansimante Ciccio.

Intanto da dietro si avvicinavano i primi due concorrenti, avevano un ritmo indiavolato. Snai si lasciò sfilare e andò a controllare la situazione per ragguagliare il suo amico.

       «Due ti stanno riprendendo ma Panta è più dietro, dai Ciccio manca poco più di un chilometro, forza.»

L’incoraggiamento era continuo, ogni tanto partiva anche qualche spintarella ma non si poteva esagerare, si rischiava la squalifica. Sotto lo striscione dell’ultimo chilometro, gli inseguitori lo ripresero e lo lasciarono sul posto. Purtroppo, quello che non sarebbe dovuto accadere, stava accadendo nel modo più beffardo. Trecento metri dal traguardo, tutti gli amici sul ciglio della strada che urlavano il nome di Ciccio, tutto il paese presente, il Panta raschiando le ultime energie dal fondo del barile, si produsse in un ultimo scatto e sorpassò lo sconsolato Ciccio a cinquanta metri dall’arrivo. Passato l’arrivo il ragazzo si lasciò cadere a terra distrutto. Il tifo e le urla erano tutte per lui, «Ciccio, Ciccio, Ciccio!», gridavano tutti i paesani. Il Panta anche lui assai provato si avvicinò e con fare sprezzante, «Non mi dire che ci avevi creduto veramente, mi sono soltanto voluto divertire un po’, avrei anche potuto vincere la gara ma così è stato più divertente. Ci vediamo stasera alla premiazione ragazzi.»

       «Certamente», rispose Snai, con una luce negli occhi e un sorrisetto che Panta non riuscì a comprendere.

Ore ventidue e trenta, le premiazioni andavano avanti ormai da circa un’ora, era stata effettuata anche quella della gara ciclistica. Sul palco era salito anche il Panta per il suo terzo posto sottolineato da un fiacco applauso condito da molti fischi. Un’ovazione invece, aveva accolto il quarto posto di Ciccio, era ormai un dato di fatto che il ragazzo avesse conquistato le simpatie di tutto il paese. Al termine del cerimoniale, mancava solamente la premiazione del concorso fotografico a cui sarebbero seguiti i classici fuochi d’artificio che avrebbero concluso i festeggiamenti. Prima dei fuochi però, ci sarebbe stato il pubblico annuncio del vincitore della ormai famosa scommessa con relativa presa in giro pubblica e trasporto del vincitore sulle spalle del perdente.

Sul palco salì Snai, prese il microfono in mano e si apprestò ad effettuare la premiazione.

       «Con immenso piacere sono stato incaricato di presiedere alla premiazione del concorso fotografico. Ringrazio personalmente il comitato organizzatore per avermi dato questa opportunità. Ho qui in mano il regolamento del concorso che vado a leggervi per comprendere al meglio le motivazioni che hanno guidato la giuria nell’assegnazione del premio. Protagonista della tenzone sarà la bicicletta, una vera gara nella gara all’ultimo scatto.»

Un brivido percorse la schiena del Panta, mentre un sorriso andava prendendo forma sul volto di Ciccio.

       «Quest’anno, il concorso fotografico, aveva come tema la bicicletta, il bando recitava proprio ”una gara nella gara”. Le fotografie, infatti, dovevano avere come soggetto la gara ciclistica svolta in occasione dei festeggiamenti del nostro patrono, quella svolta questa mattina dove il nostro amico Alberto Lucidi detto Panta, ha conquistato un lusinghiero terzo posto. Vado ora a leggervi il nome del vincitore. Il vincitore del concorso è … Luca Bartozzi detto Snai. Non potendomi premiare da solo è con immenso piacere che invito sul palco il signor Alberto Lucidi, nostro illustre concittadino di cui abbiamo appena ricordato le gesta sportive.»

La presa in giro pubblica stava veramente iniziando, il pollo e il genio stavano per indossare i loro rispettivi abiti su di un palco davanti all’intero paese.

       «Buonasera signor Lucidi, ancora complimenti per la gara di questa mattina. Se vuole leggere le motivazioni del premio.»

       «La foto ritrae la sofferenza e la delusione di un concorrente raggiunto a poche decine di metri dal traguardo. In questa immagine ci sono tutta la drammaticità e la durezza di questo sport», lesse il Panta.

       «Grazie, ringrazio a tutti, in particolare il signor Lucidi che scavalcando il mio amico Ciccio a pochi metri dall’arrivo mi ha permesso di immortalare questa scena con il cellulare. Signor Lucidi, la invito a non lasciare ancora il palco, perché ora andiamo proprio al momento che parecchi di noi stanno aspettando da settimane. Invito cortesemente qualcuno in cabina di regia a proiettare sullo schermo il documento che avevo in precedenza consegnato. Come vedete in questo documento, sono riportate le modalità della scommessa. Il nome degli scommettitori, la protagonista della tenzone, l’occasione in cui si sarebbe svolta la competizione stessa. In pratica quello che stiamo leggendo e che i due scommettitori hanno firmato, non è nient’altro che il bando del concorso fotografico! Ho semplicemente aggiunto, come potete costatare, che chi tra i due, indipendentemente dalla classifica generale, avesse conquistato il piazzamento migliore sarebbe stato ritenuto il vincitore. Il signor Marco Rienzi detto Ciccio ha presentato una foto scattata al momento della partenza che, anche se classificata agli ultimi posti dalla giuria è sicuramente vincitrice rispetto al signor Lucidi che, non avendo  consegnato nessuna foto, non può neppure essere inserito in classifica. Pertanto, la scommessa è senz’altro vinta dal nostro caro amico CICCIO! Che partano pure i fuochi d’artificio!»

*

L’occhiale magico (favola per bambini)

L’occhiale magico

 

 

Siamo a metà degli anni ‘80, in pieno deserto del Shahara. Un ragazzino di circa quindici anni, avanza faticosamente a piedi sotto un solo cocente. La jeep con la quale viaggiava, si era capovolta dieci chilometri prima, per gli altri occupanti non c’era stato nulla da fare. Said, questo era il suo nome, lavorava per un uomo che ufficialmente commerciava in spezie e tessuti, ma in realtà non era altro che uno spietato bracconiere trafficante d’avorio. L’esile ragazzo era costretto a eseguire tutti i lavori più sporchi e faticosi, era quasi schiavizzato da quegli uomini che in compenso lo pagavano solamente con pochi spicci e qualcosa da mangiare se capitava di restare qualche giorno lontano da casa. Quando erano in giro per affari, era costretto a dormire dentro la jeep, mentre i suoi capi, alloggiavano in comodissimi alberghi di lusso. Said era rimasto orfano di padre quando aveva solamente nove anni, e, da allora, si era dato sempre da fare per poter aiutare la sua famiglia composta dalla madre e da due sorelline più piccole di lui. Il suo sogno sarebbe stato quello di studiare medicina. La passione gli era nata quando durante la sua prima visita alla Missione italiana, sorta nei pressi del suo villaggio, era rimasto affascinato dal lavoro svolto dal personale del servizio medico. Appena aveva un poco di tempo libero, andava lì per cercare di imparare qualcosa, era ormai la mascotte di medici e infermieri. I medici del centro, erano costretti a percorrere ogni giorno molti chilometri su piste dissestate per raggiungere i loro pazienti sparpagliati nei piccoli villaggi della zona.

Il sole picchiava forte, erano le quattro del pomeriggio, lui sapeva che non lontano di lì ci sarebbe dovuta essere un’oasi che avrebbe voluto dire salvezza, ma l’improvvisa e fugace tempesta di sabbia oltre ad aver fatto uscire fuori strada il mezzo, aveva ricoperto completamente la pista, ed ora, era difficilissimo orientarsi. A un certo punto, pochi metri davanti a sé, il ragazzo vide un mezzo fermo in panne, si avvicinò ma dentro non c’era nessuno. In terra, da una parte, c’era uno zaino, lo aprì, e come prima cosa si avventò su una borraccia che era all’interno. Era vuota per tre quarti, ma quel mezzo bicchiere d’acqua contenuto fu la sua salvezza. Nello zaino poi c’erano delle mappe stradali e un fodero con dentro un paio di occhiali. Aprì quel fodero e senza sapere neanche il motivo, inforcò quel paio di occhiali. Quello che vide fu veramente strabiliante. La sabbia, che non era ancora calata del tutto scomparve, una striscia rossa in terra indicava un percorso che terminava poche centinaia di metri più avanti dove si stagliavano chiare nella loro imponenza delle palme: era l’oasi. Pensando a un miraggio, tolse gli occhiali, e immediatamente il tutto scomparve, provò a indossarli nuovamente e tutto si ripresentò come un attimo prima. Quegli occhiali avevano davvero uno strano potere. Seguì quel sentiero virtuale segnalato in rosso, ed in poco più di dieci minuti arrivò all’oasi, non ce l’avrebbe mai fatta senza quell’aiuto. Fortunatamente il ragazzino incrociò un medico della Missione che passava per l’oasi al ritorno da un giro di vaccinazioni.                               

«Said, ciao che ci fai qui, salta su», disse il Dottor Marco Franzelli.

«Ero proprio in attesa di un passaggio, grazie dottore.»

«Ti è successo qualcosa?»

«È una lunga storia, lasci perdere.»   

Durante il viaggio il ragazzino, di solito molto loquace, era estremamente silenzioso.

            «Said, cos’hai, mi sembri preoccupato, ti è successo qualcosa?»

            «Niente di che dottore, purtroppo ho perso il lavoro e quei pochi soldi che riuscivo a recuperare, erano proprio necessari alla mia famiglia. Dovrò trovare qualcos’altro da fare.»

            «Senti ti faccio una proposta. Io avrei proprio bisogno di un assistente che mi accompagni nei miei spostamenti, la paga non sarebbe alta, ma potrebbe essere per te un’occasione per imparare tante cose, che ne pensi?»

            «Sarebbe fantastico dottor Franzelli, è sempre stato il mio sogno.»

            «Però, c’è un però», aggiunse il dottore.

            «Tutto ciò che vuole, mi dica.»

            «Devi frequentare la scuola di mattina, ed il pomeriggio lavorerai per me.»

            «Ok qua la mano dottore, accordo fatto.»

Arrivato a casa, Said raccontò tutto d’un fiato alla madre cosa le era successo in quella giornata veramente movimentata. Era felicissimo e la madre non poteva che condividere la sua gioia, quei tipacci per cui lavorava prima, non le erano mai piaciuti. I giorni passarono e Said era bravissimo a scuola e attivissimo sul lavoro, tutti erano contenti di lui. L’anno scolastico era quasi giunto al termine i ragazzini e i bambini più piccoli si stavano preparando per gli esami. Il centro medico stava continuando a fare un buon lavoro, tutti i bambini dei villaggi vicini erano stati vaccinati per le malattie infettive più importanti, tutte le donne e gli uomini potevano accedere alle cure sanitarie. In questo momento, così felice per l’intera comunità, una triste novità però si stava preparando all’orizzonte.

«Mi dispiace Dottor Franzelli, lo so che state facendo un buon lavoro, ma i fondi comunitari stanno per finire, il progetto non è stato rifinanziato, avete tre mesi di autonomia e poi il centro medico dovrà chiudere i battenti», disse un funzionario del Governo al dottore.

«Ma la popolazione qui ha bisogno di noi, inoltre stiamo formando del personale, in due anni avremo medici ed infermieri del posto che riuscirebbero a portare avanti tutto da soli, sarebbe un vero peccato fermarci proprio sul più bello. Possibile che non ci sia una soluzione?»

«Il centro medico costa circa trecentomila euro l’anno, se riuscite a trovare uno sponsor che vi aiuti con questa cifra, potreste anche continuare.»

«Divertente davvero, uno sponsor praticamente nel deserto, e dove lo troviamo? Un esportatore di sabbia forse farebbe al caso nostro, ma ho il sospetto che questa professione non esista. Va bene la saluto, ora dovrò comunicare questa novità ai colleghi e non sarà facile mi creda.»

«Lo immagino dottor Franzelli, ma mi creda, noi non possiamo fare veramente nulla per aiutarvi.»

«Di questo non sono così sicuro, comunque la saluto.»

Said aveva assistito alla telefonata e aveva capito tutto, ebbe una strana reazione, uscì di corsa dall’ambulatorio si mise a correre lungo la strada fino ad uscire dalla Missione, una volta varcato il cancello, si lasciò cadere a terra e cominciò a singhiozzare. Il dottor Franzelli aveva assistito alla scena in piedi davanti alla porta dell’ambulatorio, «Povero ragazzino ha capito tutto, era così contento.»

«Ma allora dottore finisce veramente tutto?» Chiese un ragazzo che stava studiando medicina e faceva tirocinio nel centro medico.

«Sembra proprio di sì, Karim. Fammi una cortesia chiama gli altri che devo comunicare a tutti questa notizia.»

Dopo circa mezz’ora, una decina di persone che componevano l’equipe sanitaria, si erano raccolte nell’ambulatorio e stavano ascoltando le parole del dottor Franzelli.

«Ormai come vedo, la notizia è trapelata, non so veramente cosa dirvi, sono in estrema difficoltà, voglio solamente ringraziare tutti per lo splendido lavoro fatto, non fatemi dire altro vi prego.»

«Ma non possiamo far niente dottore? Noi abbiamo parlato e siamo disposti anche a lavorare gratis», disse un medico collaboratore.

«Vi ringrazio ma purtroppo i nostri stipendi sono una piccola parte delle spese sostenute dal centro medico, ci sono il nostro vitto, la benzina per gli spostamenti ed i generatori, i farmaci, e tante cose logistiche senza le quali non si può procedere.»

«Cos’è uno sponsor?» Chiese Said dal fondo della stanza.

«Ci sei anche tu? Vieni avanti, anche tu fai parte del personale sanitario ormai. Lo sponsor è qualcuno che avendo grandi possibilità economiche potrebbe donarci un poco dei suoi soldi per portare avanti il nostro lavoro.»

«E lui cosa ci guadagnerebbe?»

«Prestigio, pubblicità, magari una bella targa all’entrata del centro medico.»

«Non è che ci abbia capito molto, però forse ho una mezza idea su cosa fare.»

Il dottore non voleva smorzare gli entusiasmi del ragazzo ma sicuramente non pensava minimamente che potesse arrivare da lui la soluzione ai loro problemi.

«Va bene Said, se avrai delle novità, ce le comunicherai. Ragazzi abbiamo ancora tre mesi di lavoro davanti, cerchiamo di farlo nel migliore dei modi, naturalmente se poi qualcuno trovasse uno sponsor sarebbe il ben accetto. Al lavoro ora forza.»

Il ragazzino si mise seduto alla scrivania e cominciò a fare strani disegni sopra un foglio, sembravano una sorta di carta geografica, c’erano delle strade degli alberi dei sassi, una specie di schematica mappa del tesoro.

«Dottore lei conosce bene le strade qui attorno?»

«Chiamiamole strade, diciamo di sì, mi sposto molto con il fuoristrada per andare nei vari villaggi.»

«Non riesco a ricordare dove ho visto un albero dalla forma strana, sembrava un uomo a braccia aperte ultimamente poi uno dei rami si è rotto ed è anche finito sulla strada.»

«Non è facile con queste poche indicazioni, non ti viene in mente altro?»

«Mi ricordo che al lato della strada, ma non molto lontano, c’è una specie di collina, ma non è fatta di sabbia ma di dura roccia.»

«Andando verso il villaggio dove c’è Don Matteo, sulla sinistra, ci sono più punti, dove tra la sabbia affiorano grandi rocce, pensaci bene perché quelle rocce hanno tutte forme particolari, forse ti viene in mente qualcosa?»

«Ora che ci penso, sulla roccia che dico io, proprio sulla cima c’è una specie di grande arco»

«Ma sì allora è proprio una di quelle, una delle prime che si incontrano dove c’è spesso molto vento. Ma a cosa ti serve aver trovato quel posto?»

«Abbiamo lo sponsor!»

«Said ma che dici, cosa vuol dire abbiamo uno sponsor, tra le rocce in mezzo al deserto?»

«Sì dottore, se mi accompagna glielo spiego.»

«Ora abbiamo il nostro lavoro da fare, domani mattina che è domenica e non c’è scuola, io devo andare proprio da Don Matteo se vuoi accompagnarmi, mi fa piacere e mi fai vedere questa cosa che dicevi»

«Perfetto, al lavoro, salverò l’ambulatorio!»

Il dottore lo guardava con tenerezza, anche se era innegabile che una certa curiosità l’aveva.

La mattina seguente, alle sette, Said era già seduto davanti l’ambulatorio in fremente attesa.

«Già sei pronto? Ti sei alzato presto. Viene qua dammi una mano a caricare il materiale sulla Jeep.»

Una volta in viaggio il dottore chiese a Said di spiegargli meglio questa cosa.

«Allora, spiegami un poco questa cosa?»

«Io prima lavoravo per dei tipacci che facevano strani traffici, ma questo lei lo sa già.»

«Stai parlando di quelli che son morti nell’incidente di qualche mese fa vero?»

«Sì dottore, io mi sono salvato per miracolo. Non so cosa combinassero di preciso, so solo che io avevo bisogno di un poco di soldi per aiutare mia madre e tante volte ho fatto finta di non vedere. Una volta tornavamo dalla città e loro si sono fermati proprio vicino quelle rocce di cui le ho parlato ieri, non mi avevano mai portato lì, quel giorno però, mi ero addormentato e non ci hanno fatto caso. Una volta fermi io mi sono svegliato e pian piano, senza farmene accorgere, sono andato a vedere cosa stessero combinando. C’era una grotta nascosta con dentro zanne di elefante, armi e delle casse che sicuramente contenevano cose preziose.»

«Bisogna assolutamente avvertire le forze dell’ordine.»

«Dottor Franzelli, qui dalle nostre parti molte guardie sono corrotte e finirebbero per spartirsi loro le cose di valore, lo sa benissimo anche lei. Potremo prendere quello che ci serve per salvare il centro medico e dopo magri fare una denuncia.»

«Certo che la cosa non sarebbe male sai, senti intanto andiamo a vedere se c’è rimasto ancora qualcosa nella grotta.»

I due arrivarono in prossimità delle rocce caratterizzate dall’arco sulla cima, a vederle ora da vicino, erano veramente grandi e non sarebbe stato facile trovare l’ingresso della grotta.

«Riesci a ricordare il punto preciso?»

«Qui dottore ogni centimetro di roccia sembra uguale all’altro c’è una grotta ogni dieci metri, non pensavo fosse così difficile.»

I due iniziarono a guardare in alcune grotte ma niente. Il caldo iniziava a farsi sentire e i due ormai stavano perdendo la speranza.

«Andiamo Said mi attendono al villaggio, torneremo un altro giorno con più calma.»

Said conosceva bene quel timbro di voce, nel linguaggio degli adulti voleva dire, non torniamo più mi sa che mi hai preso in giro. Ma la giornata era appena cominciata.

«Aspetti dottore aspetti ancora un secondo torno subito.»

Poco dopo il ragazzino tornò con il suo inseparabile zainetto, rovesciò tutto fuori e prese in mano gli occhiali che l’altra volta gli salvarono la vita.

«Said cosa credi di risolvere con quel paio di occhiali?»

«Spero che funzionino ora li indosso. Sì sì anche questa volta evviva.»

«Che cosa vuol dire funzionano?»

Il ragazzino, come impazzito, iniziò a correre guidato da una linea immaginaria che solo lui riusciva a vedere. Il dottore, un poco ansimante, lo seguiva da presso. Dopo dieci minuti arrivarono all’imboccatura di una grotta.

«Eccola è questa la riconosco!»

Il dottore era incredulo ma per il momento non fece domande. Entrarono e si trovarono di fronte a quello che sembrava un covo dei pirati. C’erano cataste di zanne di elefante, casse colme di munizioni e fucili, ed altre casse chiuse con un lucchetto.

«Cavolo ma allora è tutto vero», disse il dottore.

«Allora non mi aveva creduto?»

«Be devi ammettere che la storia era un poco strana, però se siamo qui, vuol dire che in fondo speravo fosse tutto vero.»

«Secondo me quelle casse contengono cose preziose, apriamole.»

«C’è un lucchetto bello grande non sarà facile.»

«Rompiamo direttamente le casse, sono di legno non dovrebbe essere difficile.»

«E se poi dentro ci fossero degli esplosivi? Faremo una brutta fine.»

«Se non ci sbrighiamo e arriva qualcuno la faremo ugualmente, vado alla jeep a prendere l’ascia.»

«Aspetta Said pensiamoci bene», ma il ragazzo era già uscito dalla grotta.

Dopo pochi istanti era nuovamente là con in mano l’ascia pronto a colpire la cassa.

«Aspetta ragazzo, faccio io, tu allontanati, potrebbe essere pericoloso.»

Dopo pochi colpi, il legno cominciò a cedere ed il dottor Franzelli, una volta visto il contenuto, rimase a bocca aperta.

«Dottore come mai non dice nulla, cosa ha visto?»

«Vieni qua Said, vieni a vedere.»

La cassa conteneva gioielli, monete d’oro e pietre preziose, sembrava veramente un forziere di una nave pirata arrivato dal passato. Improvvisamente però, proprio quando i due erano al massimo della felicità, si sentì arrivare da fuori della grotta il rumore di una jeep.

«Ora chi sarà? Said hai visto qualcuno arrivare quando sei uscito?»

«No dottore, saranno arrivati da dietro le montagne, c’è un altro sentiero poco battuto che arriva da lì.»

«Quindi non hanno potuto vedere la nostra jeep sulla strada principale, dobbiamo scappare subito.»

«Ma sono proprio qui fuori come facciamo?»

Il ragazzo indossò i suoi occhiali che subito indicarono una via di fuga all’interno della grotta stessa. I due, seguirono immediatamente l’indicazione e si accorsero che proprio dal fondo buio della caverna, partiva un piccolo passaggio. Subito ci si infilarono dentro, ma improvvisamente il ragazzino si fermò e decise di tornare indietro.

 «Said dove vai è pericoloso, fermati!»

Ma Said non lo ascoltò. Arrivò in prossimità della cassa afferrò un sacchetto dal suo interno e filò via proprio un istante prima che alcuni tipacci facessero il loro ingresso.

«Forza andiamo, ma ti sei impazzito, per poco non ti facevi beccare.»

«Avevo dimenticato il mio zaino, e poi, il mio futuro, dipende anche da quello che stiamo facendo oggi, era un’occasione che non potevo farmi scappare.»

Seguendo la magica linea rossa, i due sbucarono fuori, proprio a pochi metri dalla loro jeep. Questa volta erano stati fortunati c’era mancato veramente poco. La giornata continuò al villaggio e i due tornarono ad essere un dottore con il suo assistente. Durante il viaggio di ritorno  Said si addormentò sfinito, il dottore lo osservava e non capiva come un esserino così minuto potesse avere così tanta energia. Giunti alla Missione, il ragazzino si svegliò e vide che il dottore aveva già fatto un paio di viaggi dentro l’ambulatorio per sistemare il materiale sanitario.

«Aspetti dottor Franzelli che l’aiuto.»

«Tranquillo, riposati che oggi hai lavorato tanto.»

«Non si preoccupi dottore, ce la faccio.»

Finito di ordinare l’ambulatorio, Said chiamò in disparte il dottore e gli mostrò una cosa.

«Dottore volevo mostrargli questi, li ho presi oggi nella grotta quando son tornato indietro all’ultimo momento, sembrano dei pezzetti di vetro colorato, secondo lei possono avere un valore?»

Il dottore, preso il sacchetto dalle mani del ragazzo, e ne rovesciò il contenuto in una bacinella metallica poggiata sopra il carrello per le medicazioni. Rimase a bocca aperta.

«Said, se queste pietre sono veramente quello che penso, hai appena salvato il centro medico, e anche per molti anni!»

«Sarebbe bellissimo.»

«Dobbiamo farle vedere a qualcuno che se ne intende, ed io ho già in mente un’idea.»

Proprio lì nella Missione, lavorava un medico la cui famiglia era dedita da generazioni al commercio di oro e preziosi in Italia. Anche lui aveva iniziato questa carriera da ragazzo, ma poi, il richiamo per lo studio della Medicina era stato più forte, e aveva così abbandonato quell’attività per dedicarsi alla carriera universitaria.

«Said vai a chiamare il dottor Ceccon, e insieme raggiungetemi nella sala laboratorio, ci occorre il microscopio.»

Poco dopo Il  dottor Ceccon era concentrato al microscopio.

«Sono tutte pietre vere, dove diavolo le avete trovate?»

«È una lunga storia un giorno te la racconterò. Che valore potrebbero avere?»

«Marco, ci sono diciotto diamanti, quindici rubini e ventuno smeraldi, tutti grandi e di un ottimo grado di purezza.»

«Allora, non tenerci sulle spine, che valore hanno?»

«Approssimativamente, poco meno di due milioni.»

«Milioni di euro?»

«E certo.»

Il dottore si lasciò cadere sulla sedia, tirò fuori un grande respiro, «Il centro medico è salvo, ora stiamo tranquilli, lasciamo passare qualche giorno e poi telefonerò al ministero in Italia e comunicherò che abbiamo trovato uno sponsor che però vuol restare anonimo.»

«Dottor Franzelli, dottor Ceccon, vorrei chiedervi una cosa, se possibile avrei due desideri.»

«Certo Said, sei tu che ha permesso tutto questo è il minimo, chiedi tutto quello che vuoi.»

«Non voglio sperperare tanti soldi perché sono importanti per il nostro centro medico, che li userà per aiutare le persone del nostro villaggio e quelle dei piccoli villaggi nostri vicini.»

«Tranquillo Said, dicci pure che desideri hai.»

«Vorrei per prima cosa sistemare un poco la mia casa, specialmente per le mie sorelline e per mia madre. Vorrei poi una piccola somma per poter studiare, frequentare l’università e diventare un bravo medico come voi. Potrei prendere un giorno il vostro posto qui e aiutare la mia gente.»

«Bravissimo Said, hai avuto due pensieri bellissimi, ci sono abbastanza soldi sia per salvare il centro medico sia per soddisfare i tuoi desideri. Sarà poi un onore lasciare il nostro posto a te quando sarai pronto.»

Passarono alcuni mesi, il centro medico fu ampliato, furono aggiunte una moderna sala parto ed una farmacia ben fornita. Il personale aumentò e tutto questo, grazie all’aiuto dello sponsor segreto, era assicurato almeno per i prossimi dieci anni. Il giorno dell’inaugurazione, era presente tutto il personale, tanti abitanti dei villaggi vicini, e una delegazione del ministero arrivata dall’Italia. Sul muro d’entrata della nuova struttura, era stata affissa una grande targa ancora coperta. Al momento dell’inaugurazione fu chiamato proprio Said per spostare il telo che la ricopriva. Il ragazzino rimase sbalordito quando vide quello che recitava “ Centro medico Italiano Sabir Gabresalase/ Sala Parto.“ Gli occhi di Said, pieni di lacrime, cercarono tra la folla quelli della madre, anche lei non riusciva a trattenersi. Il dottor Franzelli gli aveva voluto fare un altro regalo, aveva intitolato la nuova costruzione a suo padre. Dopo i vari discorsi e il rituale taglio del nastro, partì una festa con canti e danze popolari che si protrassero fino la sera. A un certo punto, in un angolo del piazzale antistante al centro medico, un gruppo di persone si raccolse tutte attorno ad una ragazza in avanzato stato di gravidanza che si lamentava.

«Dottore Franzelli venga subito», gridarono le persone attorno alla futura mamma.

Dopo una rapida occhiata, il dottore non ebbe dubbi, «Deve essere stato il ballo ad accelerare di qualche giorno la situazione ma ci siamo. Ragazzi si comincia andiamo ad inaugurare la nuova sala parto, la nostra amica sta per partorire!»

In tutta la piazza si creò una festosa atmosfera di attesa, nessun nascituro al mondo aveva mai avuto così tante persone ad attendere il suo arrivo. Dopo circa quaranta minuti, si sentì arrivare da dentro l’ambulatorio, il pianto di un bambino, subito dopo un’infermiera si affacciò sulla porta e mostrò all’intera comunità il piccolo appena nato, partì immediatamente un’ovazione da stadio, fu un momento veramente unico e carico di emozione.

Ormai era praticamente buio, al centro medico erano rimaste solamente poche persone impegnate nel riordino della struttura. Come sempre uno degli ultimi ad andare via era Said.

«Said va pure, si è fatto molto tardi e tua madre ti sta aspettando fuori. Ormai qui è tutto in ordine stai tranquillo.»

«Buonanotte dottore è stata la giornata più bella della mia vita, grazie.»

«Grazie a te, sei veramente un ragazzo in gamba.»

Said insieme alla mamma s’incamminò verso casa, l’eccitazione li accompagnava ancora entrambi.

«Tesoro sono veramente orgogliosa di te, e di sicuro lo sarebbe anche il tuo papà.»

«Che bel pensiero dedicare il centro medico a lui, sono sicuro che da lassù ci starà guardando e sarà felice per noi.»

«Certamente Said, e sono anche sicura che continuerà ad indicarci la strada migliore da percorrere.»

Nell’ascoltare questa frase Said ebbe come un’illuminazione. Pensò a quegli occhiali comparsi dal nulla che tante volte gli avevano indicato il percorso giusto. Si fermò, prese il fodero da dentro il suo zaino, lo aprì ma dentro non c’era nulla. Rimase molto perplesso, poi all’improvviso davanti ai suoi occhi una serie di piccoli insetti luminosi si posizionarono a mezz’aria andando a formare una frase,

Oramai figliolo hai dimostrato di essere diventato grande abbastanza da poterti prendere cura della famiglia da solo, senza nessun aiuto. La tua intelligenza ed il tuo altruismo ti aiuteranno a trovare sempre la via giusta. Ora puoi camminare e correre sulle tue gambe. Veglierò sempre su tutti voi sapendo fin da ora che sarò fiero di ogni vostra scelta. Vi amo.”

I due si guardarono e scoppiarono in un pianto misto a riso, era uno stato di grazia e gioia. Un istante dopo, i puntini luminosi si disunirono e volarono via in tutte le direzioni illuminando per un’ultima volta la strada di Said.

*

Karim 5 giorni sotto coperta (racconto per bambini)

Karim 5 giorni sotto coperta

Un onda più alta del normale e la barca si capovolge a mezzo chilometro dalla riva di Lampedusa. I poveri occupanti, in viaggio verso un futuro migliore, finiscono in mare. La corrente è forte, i salvagente sono solo cinque gli occupanti della piccola imbarcazione sono ventidue. Chi può si aggrappa ad una tavola o a qualsiasi oggetto galleggiante, c’è chi inizia a nuotare nel buio assoluto verso la riva ma la corrente gli fa cambiare continuamente  direzione.

Karim, un giovane marocchino di appena undici anni, rimane isolato, non riesce più a vedere dove sono finiti i suoi genitori che viaggiavano con lui, è terrorizzato ed esausto. Alle prime luci dell’alba Karim si sveglia su una spiaggia, è vivo, ce l’ha fatta. Sente il brusio di un gruppo di pescatori dubbiosi, il mare per alcuni giorni sarà grosso e non si potrà uscire per pescare. Le barche vengono lasciate capovolte sulla spiaggia in attesa che il tempo migliori. Lui non ha capito molto di ciò che ha sentito, sa solamente che ha freddo e fame, decide allora di ripararsi sotto una delle barche, lì almeno il vento non arriva.

Passa “sotto coperta” tutto il giorno, torna di nuovo la notte. La stanchezza vince sulla fame e si addormenta. Ad un certo punto sente qualcosa sotto la testa che si muove, ma cosa sarà mai?

«Eh ma tu chi sei?» 

Da sotto la sabbia, fa capolino una piccola tartaruga che sembra guardarlo, da poco è riuscita a rompere il guscio e vuole dirigersi verso il mare. Esce da sotto la barca ed inizia a correre con le sue zampine verso il bagnasciuga. Karim, incuriosito, la segue.

             «Non la toccare! Fermo.»

Karim si volta di scatto e si blocca, vede un ragazzino della sua stessa età con una torcia in mano, intento ad osservare questo miracolo della natura. Si accorge anche, che in più punti della spiaggia, ci sono altre tartarughine intente a raggiungere il mare.

              «È appena nata, è fragile, se la tocchi potresti fargli male, lei per istinto cerca il mare.»    

Karin ha capito tutto, anche se non conosce la lingua, i due ragazzini si sono intesi.

            «Io mi chiamo Matteo», disse il ragazzino italiano indicando se stesso, «E tu come ti chiami? Cosa ci fai qui?»

            «Karim». Indicando delle tavole malconce sulla riva, mima il gesto dell’incidente in mare ed il posto dove lui si è rifugiato. Matteo capisce più o meno tutto.

            «Allora tu dovevi essere sopra quella barca che si è capovolta ieri, e ti sei rifugiato sotto la barca di mio zio Salvatore.» Karim sembra annuire, i due si intendono nonostante le differenti lingue.

            «Ma eri solo?», chiese Matteo sempre aiutato da gesti.

            «No, no»

            «Con i tuoi genitori?» Karim ora sembra non capire.

            «Papà, mamma?» Aggiuse Matteo. Al suono della parola mamma, Karin annuisce, la parola mamma è comprensibile veramente in tutto il mondo.

            «Mama mama, Haiscia», urla Karim ed inizia a parlare velocemente in una lingua incomprensibile. Matteo allora cerca di calmarlo, «Io Matteo, tu Karim, tua mamma Haiscia?» Karim conferma.

            «Hai fame?» Domanda Matteo facendo il gesto di portare la mano alla bocca. Karim risponde con un mezzo mugugno massaggiando la sua pancia.

            «Allora vuoi dire di sì?» Aggiunge Matteo mettendosi a dire sì e facendo continuamente di sì con la testa per insegnare al nuovo amico questa parola.

            «Sì, sì, Karim fame».

            «Bravissimo, stai imparando in fretta, ci penso io, tra un poco torno e ti porto qualcosa»

Da quel momento i due ragazzi diventano inseparabili, per cinque giorni Matteo porta di nascosto del cibo a Karim che ogni giorno impara nuove parole di italiano. I due ragazzi passano il giorno a giocare e la sera ognuno torna al suo giaciglio, sicuramente molto più confortevole quello di Matteo. Karim però, ha spesso attimi di tristezza. Chissà se i genitori sono vivi e se li avrebbe più rivisti. Matteo cerca di consolarlo ma non è assolutamente facile. Karim ha trovato anche un altro piccolo amico, una piccola tartarughina è nata con un difetto ad una zampina e non riesce a camminare per prendere la via del mare. La tiene con se, sotto la barca e cerca di dargli da mangiare alcune cose tra quelle che gli porta Matteo. Un giorno la mamma di Matteo sorprende il figlio a nascondere una coscia di pollo in un tovagliolo.

            «Ed ora che cosa fai?» Chiede la signora Marcella.

            «Emm, ecco, vado a pescare e mi porto l’esca»

            «Matteo ma che dici, il pollo un esca?» Aggiunge il padre che da generazioni, insieme a tutti i suoi fratelli, è dedito proprio alla pesca.

A quel punto Matteo decide di rivelare a tutta la famiglia il suo segreto, è anche contento di essere stato scoperto, non ce la fa più a tenere tutto per se.

            «Lo porto a Karim, è la sua cena.»

            «Ed ora chi è questo Karim?» Risponde la madre.

            «Calmi, ora ve lo spiego. È un ragazzo che viene dal Marocco, la sua barca si è capovolta alcuni giorni fa, ha perso i genitori ed è solo, io gli porto da mangiare poverino.»

            «Ma questa è una cosa bella, che timore avevi di raccontarcela? Dove sta ora, e quanti anni ha?»

            «La notte la passa sotto la barca di zio, avrà gli stessi anni miei.»

            «Ma è un ragazzino, dai portaci da lui, vediamo cosa si può fare.»

Matteo con i suoi genitori vanno da Karim, questi appena li vede ,si spaventa e tenta di fuggire. Matteo lo rincorre e lo ferma, gli fa segno di stare tranquillo che loro vogliono solamente aiutarlo.

            «Tranquillo Karim, io sono la mamma di Matteo, come stai?» Chiede Marcella carezzandogli la testa.

            «Bene, però manca Haiscia.»

            «Haiscia è la madre, erano tutti insieme sulla barca quando si è capovolta, c’era anche il papà», aggiunge Matteo. La signora Marcella convince Karim a seguirli nella loro casa, gli prepara un bagno caldo e gli da dei vestiti puliti. Quella sera Karim può gustare una cena abbondante e dormi al caldo. La mattina seguente, tutti insieme, si recano nel centro d’accoglienza dove vengono ospitate le persone che arrivano a Lampedusa via mare.

            «Karim Karim», un urlo squarcia l’aria. È Haiscia, è viva. I due si abbracciano fortissimo, il padre non ce l’ha fatta. Karim resta lì, con sua madre, in attesa di ripartire verso un luogo migliore della loro terra. Prima di lasciarsi, Karim corre ad abbracciare Matteo e gli raccomanda di prendersi cura della piccola tartaruga malata. La tartaruga, diventerà il simbolo dell’amicizia e della solidarietà tra due popoli con culture e storie diverse ma uniti, questa volta, da una grande amicizia. la piccolina verrà curata presso un centro del WWF. Dopo tre mesi sarà liberata in mare e monitorata dagli esperti. Gli verrà dato il nome di Karima, il nome di quel ragazzino venuto da molto lontano che nonostante vivesse grandi difficoltà, amorevolmente si prese cura di lei.

*

La storia di Lorenzo e e Zampetta (racconto per bambini)

La storia di Lorenzo e Zampetta.

 

 

Lorenzo, un bambino di nove anni, dorme tranquillamente nel suo letto. Oggi è domenica, la scuola non c’è, ed è per questo motivo che può lasciarsi coccolare un po’ di più dalla sua soffice coperta. Un filo di luce, filtrando dalle persiane, illumina i suoi giocattoli disposti in perfetto ordine sopra una mensola. Lui però, non è per nulla disturbato da questo riflesso luminoso e continua tranquillamente a sognare. I suoi sogni, sono simili a quelli di tanti bambini della sua età. Due sono quelli più ricorrenti: nuovi giochi per divertirsi insieme ai suoi amici e un piccolo animale tutto per se. Oramai sono le nove e trenta, e, anche se la stanza di Lorenzo, è ancora avvolta nel silenzio, il resto della casa ha già preso vita. Ad un certo punto, una serie di piccoli colpetti alla finestra, fa aprire gli occhi al bambino che, ancora assonnato, non riesce a capire bene da dove provengano. Si guarda un poco attorno e alla fine capisce che c’è qualcuno sul balcone che sta bussando alla sua finestra. Si alza, apre e vede un uccellino che lo osserva dal basso in alto, muovendo la testolina in quel modo buffo che solo lui sa fare.

«Zampetta sei tu? Oggi è domenica, ancora non ho fatto colazione, tra un po’ ti porto da mangiare.» 

Zampetta è il nome che Lorenzo ha dato ad un uccellino a cui tutte le mattine sbriciola un pezzetto di biscotto sul balcone. Quel giorno, si è alzato più tardi, e il suo amico reclama la sua razione di cibo quotidiana. Il bambino allora si dirige barcollante in cucina, prende un biscotto, torna a portarlo al suo amico, e si ributta a peso morto sul letto.

Passati appena cinque minuti, «Toc, toc…»

            «Zampetta! Ora che ti succede? Mangia e lasciami dormire altri dieci minuti.»

            «Toc, toc…»

A questo punto, il ragazzino, un po’ seccato, decide di alzarsi definitivamente dal letto e, avvicinatosi al vetro della sua finestra, vede che l’uccellino non ha neanche toccato il cibo. Zampetta è lì, sopra la ringhiera del balcone che lo guarda dritto negli occhi. Fa strani movimenti con la testa come a dirgli di uscire fuori. Lorenzo, un po’ infreddolito esce e subito Zampetta vola per andare a posarsi nel nido dove ha deposto le sue uova. Ora è tutto chiaro, sotto l’albero con una grande sega a motore, c’è il vicino di casa che sta potando i rami e da lì a poco avrebbe tagliato anche quello che accoglieva il suo nido.

Bisogna intervenire con urgenza, Lorenzo ancora in pigiama, si precipita in giardino e dal muretto di confine chiama a gran voce il vicino di casa.

            «Signor Mario, aspetti, non tagli quell’albero, c’è il nido di Zampetta là sopra.»

            «Che cosa dici Lorenzo, Zampetta? Chi è questa Zampetta?»

            «Un uccellino mio amico, guardi, ha il nido su quel ramo e dentro ci sono le sue uova.»

            «Peggio per lui, io lavoro tutta la settimana ed ho solo la domenica per fare qualche lavoro in casa, non posso pensare agli uccellini.»

            «Ma non può fare altre cose? Tra un paio di settimane le uova si schiuderanno, e avrà tutto il tempo che vuole.»

            «Senti ragazzino vai a giocare che io ho da fare qui.»

Lorenzo ora è veramente demoralizzato, il suo piccolo amico è nel suo nido che intende proteggere le sue uova ma, una triste fine, sembra essere solamente una questione di tempo.

            «Luca, Luca!» Urla Lorenzo. Luca è il figlio del signor Mario ed è anche un suo amico.

            «Lorenzo ciao, dimmi? Che cosa fai in pigiama fuori di casa?»

            «Aiutami, tuo padre sta tagliando i rami dell’albero dove ha fatto il nido Zampetta, così distruggerà tutte le uova.»

Il signor Mario, ascoltato tutto, mette subito a tacere il figlio, «Luca tu pensa a te, non ho tempo da perdere con voi due, chiaro!»

Il padre di Luca è famoso per il suo carattere burbero, è il terrore dei ragazzini di tutta la via, se per sbaglio un pallone finisce nel suo giardino, è la fine, non esita a bucarlo con le sue forbici, Luca non si sarebbe mai messo contro di lui. Lorenzo è disperato non sa cosa fare per aiutare il suo piccolo amico. Decide allora di chiedere aiuto a suo fratello più grande, Marco che ha quattordici anni, va da lui e gli racconta tutto.

            «Povera Zampetta, ma io Lorenzo come posso aiutarti? Senti, lo so che tutti dicono che se si tocca un nido poi la mamma non va più a covare le uova, ma Zampetta non è un uccellino normale, è speciale, ci conosce.»

            «Vorresti spostare il nido?»

            «È l’unica possibilità che abbiamo, ma anche per questo ci occorre un piano. Potremmo agire all’ora di pranzo, tanto per quell’ora il signor Mario non sarà ancora arrivato a tagliare i rami vicino al nido.»

Sono le dodici e trenta quando Luca chiama Lorenzo dal giardino: il piano ha inizio.

            «Lorenzo, Marco ci siete?»

            «Eccoci, allora?»

            «Mio padre si sta facendo la doccia, poi è pronto il pranzo, dobbiamo agire ora.»

Marco scavalca dall’altra parte e aiutato da Luca, sposta la scala dalla parte dell’albero dove si trova il nido. Delicatamente prende tra le mani il nido, a quel punto Zampetta vola via e va proprio a posarsi sulla spalla di Lorenzo. Lo guarda negli occhi ed emette un suono forte, che lascia capire la sua sofferenza e la sua richiesta d’aiuto. Un attimo dopo il nido si trova nel giardino dei due fratelli, la scala è tornata al suo posto e Luca è rientrato in casa per evitare sospetti. Il nido passa delicatamente nelle mani di Lorenzo, e Zampetta a questo punto lascia la sua spalla per volarci dolcemente dentro, si fida di lui e per il momento si tranquillizza. A Marco viene in mente un’idea geniale, c’è un albero che allunga dei rami proprio in direzione della finestra della stanza di Lorenzo, sarebbe un posto perfetto per sistemare il nido. I ragazzi felicissimi salgono in casa e si dirigono verso il balcone. Per la prima volta nella sua vita, Zampetta si trova in una casa degli umani, è impaurita ma non avrebbe mai più lasciato sole le sue uova per nulla al mondo.

Una volta sistemato il nido, Zampetta con i suoi gridolini richiama Lorenzo che si avvicina a lei,             «Grazie Lorenzo, ti voglio bene!»

            «Ma tu stai parl…?»

            «Ssss, silenzio sarà il nostro segreto.»

È  domenica, sono trascorsi circa due mesi . . .

            «Toc, toc!»

            «Eccoli! Sono arrivati, ma mi fate dormire è domenica!» Dice Lorenzo sorridendo.

La finestra si apre, Zampetta è sulla ringhiera, altri tre piccoli uccellini, alle prime esperienze di volo, sono sul balcone e guardano verso l’alto. Lorenzo è assonnato ma veramente felice, tutto quello che vede davanti ai suoi occhi, è potuto accadere solamente grazie a lui e ai suoi amici.

Tutti dobbiamo imparare a vivere amando e rispettando la natura che ci circonda. Alcuni momenti potrà accadere che la natura stessa sia in difficoltà, noi dobbiamo aiutarla perché sicuramente saprà ricompensarci in un modo estremamente più grande. Aiutando la natura aiutiamo noi stessi.

*

Le tre pietre (favola per bambini)

Le tre pietre

 

Un temporale di alta montagna picchia forte da ore, un ruscello si trasforma in torrente, il torrente si riscopre fiume impetuoso che trascina con sé cose e storie. Tre pietre, partite dalla stazione più alta, trasportate dal fiume in piena, stavano per giungere a valle. Erano tre pietre anonime, lisce, senza spigoli, avevano un colorito bianco pallido. Eran lì, grandi poco più di una pallina da tennis, oramai quasi ferme dopo la loro forsennata discesa. Nel loro cammino si erano mescolate con altre centinaia di pietre molto simili a loro, alcune più grandi altre più piccole, tutte partite da luoghi diversi. Sembravano tutte uguali, ma a guardarle bene, tre di loro erano un poco più uguali! Nella loro folle corsa, si erano perse di vista e ritrovate più volte, si erano avvicinati fino a toccarsi e allontanate fino a non vedersi più. Una volta, una di loro, si era perfino fermata un paio d’ore al sole che finalmente si era affacciato, poi, pensando che le altre due la stessero aspettando, aveva ripreso il proprio cammino. Erano passati tre giorni, tanto avevano impiegato le tre pietre a giungere a valle e godere di un poco di riposo. Due di loro si erano ritrovate vicine, l’altra era distante una decina di metri. Il fiume scorreva lento, le pietre, ora immobili, si godevano le carezze levigatrici dell’acqua, ed il tepore del sole che scaldava l’intera vallata. Le ore passavano, i giorni passavano, tutto era estremamente uguale, apparentemente bello ma anche assai monotono. La pietra rimasta in disparte, iniziava a dare i primi segnali di impazienza, non poteva parlare comodamente con le sue compagne, e, quando voleva farsi sentire, doveva urlare in lingua pietrese, ma tutto era estremamente faticoso. Non era riuscita a fare amicizia con le pietre vicino a lei. Aveva instaurato solamente rapporti superficiali, quelle che la circondavano infatti, erano tutte pietre valligiane che si sentivano superiori a quelle che scendevano dalle montagne. Anche se sembravano esteriormente tutte uguali, in realtà, al loro interno, le pietre erano molto differenti. Erano i primi giorni di Dicembre e il Santo Natale si avvicinava, la valle era bellissima questi giorni, piena di colori e di luci lampeggianti. Le finestre, i portoni, ed i tetti delle case erano piene di addobbi, dai comignoli uscivano profumi inebrianti di dolci in preparazione. Una mattina, erano circa le dieci, un gruppo di bambini, insieme alla loro maestra, si avvicinarono al fiume nel punto dove l’acqua era più bassa.

«Bambini, allora eccoci al fiume, fate attenzione a non scivolare, scegliete una pietra bella liscia non molto grande, così sarà più facile poterla dipingere. Tre alla volta così posso controllarvi meglio, quest’anno faremo un bellissimo lavoretto per Natale», disse la maestra alla scolaresca.

Se avessero potuto ascoltare il pietrese, i bambini avrebbero sentito un fiume di urli cercare di attirare la loro attenzione.

«Eccomi, bel biondino prendi me, non ce la faccio più a stare in acqua, soffro di reumatismi pietrosi.»

«Prendi me sul caminetto starei benissimo.»

«Eccomi, eccomi, ma non mi vedi, guarda che pelle liscia che ho, sarei perfetta da dipingere.»

«Piccolina, sono qui, sarei perfetta come fermacarte, ma tanto che ti parlo a fare, sappiamo tutti che l’uomo non può ascoltare il pietrese», disse con un filo di voce la pietra montanara rimasta da sola.

«Hai ragione, sarai un perfetto fermacarte, e poi, con quella piccola macchiolina nera, sei perfetta per ciò che ho in mente», rispose la bambina.

«Cosa, cosa? Riesci a sentirmi?»

La bambina non aggiunse altro, raccolse la pietra la mise nel suo zaino e si riunì al gruppo. In poco più di un’ora ogni bimbo della classe aveva scelto la propria pietra. Al termine dell’operazione, due delle nostre tre amiche furono scelte, mentre la terza rimase a mollo nel fiume sconsolata.

La mattina seguente, i bambini, muniti di pennelli e colori, erano tutti eccitati all’idea di cimentarsi nella trasformazione artistica di quei semplici sassi.

«Allora ragazzi, io penso sia meglio fare qualche prova sopra ad un foglio e poi, una volta pronti, cominciate a dipingere il sasso che avete scelto. Potete disegnare qualcosa di natalizio ma non siete obbligati, lasciate andare  liberamente la vostra fantasia. Forza al lavoro.»

Dopo circa un’ora di prove e pasticci vari, tutti i bambini avevano scelto il soggetto da dipingere sulla loro pietra.

«Tu così liscia diventerai un’anatra coloratissima, quella tua macchia sarà l’occhio dell’uccello, ti chiamerò proprio Macchiolina, sarai perfetta», disse Michela alla pietra come se parlasse ad un essere animato. Già, come se parlasse ad un essere animato, perché la fantasia dei bambini, si sa, può raggiungere livelli che gli adulti ormai hanno perso. Macchiolina decise per il momento di tacere e di osservare attentamente cosa accadeva attorno a lei. Nel banco davanti, un bambino di nome Mattia, era alle prese con l’altra pietra montanara.

«Ho deciso che di te farò un regalo», disse Mattia a voce alta.

«E sai che scoperta, è chiaro che sarà un regalo», commentò Michela.

«Non hai capito, lo dipingerò come se fosse un vero pacchetto regalo e gli metterò attorno anche un vero fiocchetto.»

«Carina l’idea, bravo Mattia, così potrai anche appenderlo all’albero.»

«Ah ah, sarai bellissima, ti chiameremo Fiocchetto», disse Macchiolina in pietrese alla sua amica.

«Macchiolina! Non prendere in giro la tua amica. Quella di Mattia invece è proprio una bella idea», rispose Michela.

«Ma allora tu . . . riesci a sentirmi veramente?» Disse Macchiolina, sorpresa e spaventata al tempo stesso.

«Certo che sì», rispose la bambina.

«Ma con chi stai parlando?» Chiese Mattia.

«Parlo con la mia Macchiolina, stava commentando la tua scelta, e prendeva in giro divertita la tua pietra nella loro lingua.»

«Parli con chi? La loro lingua cosa? Tu Michela stai poco bene.»

«Ma perché tu non riesci a sentirle?»

«Ma di che cosa stai parlando dai, non scherzare.»

«Michela, volevo dirti che sei la prima persona che riesce a capire il pietrese», disse Macchiolina.

«Il pie. . . cosa?» Chiese Michela

«Il pietrese sì, la nostra lingua», aggiuse Fiocchetto.

«Grazie dell’informazione Fiocchetto.»

«Ora vuoi dirmi che anche la mia pietra parla?» Chiese Mattia assai perplesso.

«Certamente Mattia.»

«Maestraaa, voglio cambiare banco Michela è strana oggi.»

«Mattia non disturbare gli altri compagni che stanno lavorando, impegnati anche tu e lascia in pace Michela», rispose un poco seccata, l’insegnante.

Ognuno continuò il proprio lavoro per tutta la mattinata, e alla fine le opere d’arte furono pressoché tutte concluse, mancava solamente qualche ritocco, un poco di porporina d’oro, qualche fiocchettino qua e là e la firma dell’artista. Prima che Macchiolina fosse completamente asciutta, Michela voleva sapere proprio da lei, se il suo nuovo aspetto le piaceva, d'altronde era lei che sarebbe dovuta andare in giro vestita in quel modo.

«Macchiolina che dici? Ti piace come ti ho dipinto?»

«Non lo so, non riesco a vedermi, ci vorrebbe uno specchio.»

«Aspetta ora vedo cosa posso fare?»

«Maestra posso andare in bagno?»

«Michela ci sei stata non più di mezz’ora fa. Tra poco suona la campanella e ci andrai a casa.»

«Non è per me, è per la mia amica Macchiolina.»

«E chi sarebbe questa tua amica?»

«La mia pietra, mi ha chiesto di potersi specchiare per vedere com’è venuta la pittura.»

«La tua cosa? Ti ha chiesto cosa?»

«La mia pietra, se non gli piace come l’ho dipinta, magari mi suggerisce cosa cambiare.»

«Maestra, allora avevo ragione o no? Oggi Michela si è impazzita», intervenne subito Mattia.

«Michela fai silenzio e finisci il tuo lavoro, non mi sembra il caso di continuare con questa storia.»

«Ma maestra . . .»

La ragazzina allora escogitò una soluzione, non era proprio il massimo ma poteva andare. Nella stanza l’illuminazione era ottenuta mediante dei tubi al neon posizionati in un telaio d’alluminio. Spesso in classe ci si era divertiti a vedere come questa parte in metallo, riflettesse gli alunni deformandoli un poco. In un attimo di distrazione dell’insegnante, la ragazzina salì in piedi sopra il banco e allungando le braccia, avvicinò il più possibile Macchiolina alla luce per permettergli di specchiarsi. Nel fare questo fece rumore attirando l’attenzione della maestra che a sua volta, fatto segno al resto della classe di restare in silenzio, si avvicinò alle spalle di Michela senza farsene accorgere.

«Sbrigati dai che la maestra mi vede, allora ti piace come ti ho dipinto?» Chiese Michela a Macchiolina.

«Sì bravissima, aggiungerei solamente un poco di azzurro al centro e poi è perfetto.»

«Ok allora ti metto un poco di azzurro e poi ti passo il lucido finale.»

L’insegnante rimase perplessa, non disse nulla al momento, ma decise che ne avrebbe parlato alla madre della bambina all’uscita di scuola.

Drinn! Suonò la campanella, era la prima volta che i bambini erano un poco dispiaciuti che quella lezione così speciale fosse terminata. All’uscita dalla scuola ogni genitore era venuto a riprendere il proprio bambino che tutto eccitato raccontava quella singolare giornata.

«Buongiorno signora, se ha tempo, dovrei parlarle un momento.»

«Certo signora Maestra, cosa ha combinato questa volta la mia Michela?»

Michela era una bambina molto intelligente, anche se spesso si distraeva e le capitava di lasciarsi trasportare nel suo mondo dei sogni, l’insegnante era costretta a richiamarla spesso.

«Può capitare che i bambini fantastichino sugli oggetti e magari ci parlino anche. Qui però, non stiamo parlando di una bambola o un animaletto, parliamo di semplice sasso. Inoltre il periodo di queste fantasie dovrebbe essere passato, i ragazzi fanno la quarta ed hanno nove anni.»

«In che senso un sasso?»

«Abbiamo raccolto dei sassi al fiume per il lavoretto di Natale, e lei parla con il suo, anzi, a quel che mi dicono i compagni, scambia alcune parole anche con quello degli altri. Provi a parlarci con calma e cerchi di osservarla quando gioca da sola. Io non sottovaluterei la cosa, sicuramente sarà una fase che passerà naturalmente con la crescita, però io ci starei un poco attenta.»

«A volte anche in casa fa dei lunghi discorsi con i suoi giochi, però certo con un sasso addirittura. La ringrazio signora Maestra ci farò più attenzione.»

Le lezioni terminarono e il Natale giunse festoso come ogni anno. Tanti regali furono scartati tra cui quello che i bambini avevano preparato a scuola, corredato dalla tanto attesa poesia da recitare a tavola davanti a tutti i parenti.

Fiocchetto, come previsto, finì appeso all’albero di Natale, era un posto importante, al centro della sala, era molto contento del suo nuovo impiego. Macchiolina rimase per alcuni giorni incartata nel suo involucro trasparente sotto l’albero insieme a panettoni e torroni vari che, giorno dopo giorno, diminuivano sempre più. Michela la andava a trovare ogni tanto e scambiava due parole con lei, ma aveva avuto molti regali ed era tutta presa a giocare e parlare con loro. La madre la osservava, e vederla parlare con le nuove bambole, un poco la tranquillizzò, pensava tra se che fosse comunque meglio dialogare con degli oggetti dalle sembianze umane che con un sasso. I giorni passarono, arrivò l’anno nuovo, grandi cene e festeggiamenti, Fiocchetto dava ancora bella mostra di se, Macchiolina invece era stata scartata ed era finita a bloccare un mucchio di fogli sopra la scrivania del papà di Michela, d'altronde era quello ora il suo compito, fare il fermacarte. Passata anche l’epifania, era giunto il momento di smontare gli addobbi e riporli nelle loro confezioni fino all’anno seguente. Fiocchetto finì completamente al buio dentro una scatola, sul ripiano più alto di un armadio, compressa tra tante palline e lucette colorate. Passarono giorni, settimane, mesi, la primavera fuori era ormai esplosa in tutti i suoi colori. Fiocchetto invece, era sempre più triste, non parlava con nessuno, tutti gli oggetti che la circondavano parlavano lingue diverse dalla sua, le mancavano moltissimo il sole ed il suo fiume. Il destino di Macchiolina stava invece per cambiare. Il papà di Michela, l’aveva tolta già da parecchi giorni dalla sua scrivania, da quando alcuni importanti documenti si erano riempiti di brillantini e macchie di colore. Era finita sul davanzale della finestra dello studio, Michela non andava più a trovarla e, cosa veramente strana, quando Macchiolina le ultime volte le aveva rivolto la parola, la bambina non era riuscita più a sentirla. Michela stava crescendo, e pian piano stava perdendo quella innocente fantasia che le permetteva di comprendere tutte le lingue del mondo. Un giorno però, la pietra urlò talmente forte che la bambina riuscì a sentire qualcosa, si fermò, si voltò in dietro e domandò, «Macchiolina, sei tu, mi hai detto qualcosa?»

«Riesci ancora a sentirmi?»

«Cosa hai detto?»

«Se riesci a sentirmi, ti prego, riportami al mio fiume. Ti prego.»

«Hai detto fiume?»

«SIIIII», gridò la pietra con tutto il fiato che aveva.

La bambina non capì perfettamente tutte le parole ma riuscì ugualmente a capire il senso generale della frase.

«Hai ragione, ormai qui ti annoi sei sempre sola, nel fiume hai tutte le tua amiche, esaudirò il tuo desiderio.»

Dopo un’ora Michela, insieme al suo fratellino Francesco, arrivarono al fiume, Macchiolina cercava di indicare il punto dove voleva essere sistemata, «Mettetemi più avanti, vicino a quel ramo, là c’è la mia vecchia amica.»

«Ha detto se la metti là, in quel punto», disse Francesco alla sorella che ormai non sentiva più le grida della pietra.

«Cosa? Riesci a sentirla? Io ormai non ci riesco più, fammi vedere il punto che ti ha indicato.»

«Grazie Francesco, si vede che la vostra è una famiglia cresciuta nell’amore e nella fantasia, anche se purtroppo poi la realtà prende il sopravvento e la fantasia sparisce, ma forse è giusto così», aggiunse Macchiolina.

«Io spero di mantenerla il più a lungo possibile.»

«Posso chiederti un’ultima cosa Francesco?»

«Dimmi pure Macchiolina.»

«C’è una mia amica pietra, Fiocchetto, tua sorella la conosce molto bene, sono sicuro che anche lei sarebbe felice di raggiungerci qui al fiume, chissà se riesci a trovarla . . .»

«Ti prometto che ci proverò, ciao e buon bagno a tutti.» Un coro di tutte le pietre rispose all’unisono, «Ciao, grazie!»

I bambini andarono via e Macchiolina si rivolse alla sua vecchia amica, «Ciao, sono io non mi riconosci più?»

«Ma sei davvero tu? Che bello rivederti, ma come sei conciata, ti avevo preso per un’anatra. Racconta dai, cosa hai visto, cosa c’è fuori da questo fiume?» Le due amiche cominciarono a parlare, naturalmente in pietrese, e raccontarono tutto quel che era successo loro in questi lunghi mesi. In pochi giorni la corrente del fiume fece il suo lavoro e macchiolina perse il suo colore tornando bianca come prima che cominciasse questa avventura. Passarono settimane fino al giorno in cui una mattina arrivarono al fiume due ragazzini.

«Francy dove dobbiamo posarla questa pietra?»

«Aspetta Luca ora te lo dico.»

Luca era il fratello di Mattia, Francesco gli aveva raccontato tutto, ma lui aveva dovuto attendere il momento giusto. Arrivata l’estate, la mamma stava mettendo ordine dentro gli armadi ed aveva dovuto per un attimo poggiare in terra la scatola degli addobbi Natalizi, prontamente Luca aveva preso la pietra dalla scatola senza farsene accorgere.

«Ragazzi siamo qui!», urlò immediatamente Macchiolina.

«Eccole le hai sentite Luca?»

«Veramente no, mi sa tanto che mi stai prendendo in giro tu.»

«Ma che dici, devi aprire il tuo cuore per riuscire ad ascoltarle.»

«Amiche mie che bello vedervi», urlò Fiocchetto.

«Ciao, ben arrivata, la squadra si è riformata, dai tuffati vicino a noi.»

«Senti come sono felici», disse Francesco a Luca.

«Io non sento assolutamente nulla, mi stai prendendo in giro, me ne vado.»

«Aspetta Luca, non fare così, volevo ringraziarti», urlò con tutta la forza possibile Fiocchetto.

Luca si fermò improvvisamente, girò lo sguardo verso Francesco, «Ma, ma non sei stato tu a parlare, quella che ho sentito non era la tua voce, allora . . .»

«L’hai sentita anche tu, lo vedi che non ti ho mentito, era la voce di Fiocchetto!»

«Sì l’ho sentita evviva, evviva», e così facendo iniziò a correre come un pazzo a zig zag sulla riva del fiume.

«Vai Francesco, vai pure da lui, la prima volta che succede questa cosa può lasciare un poco sconvolti, stagli vicino», aggiunse Fiocchetto.

«Ciao ragazze buona fortuna a tutte!»

«Ciao Francesco, buona fortuna anche a te, grazie di tutto e ricorda noi non siamo ragazze siamo pietre, non esagerare troppo con la fantasia!»

 

Questa favola ci offre alcuni spunti per riflettere. Dobbiamo imparare ad apprezzare ciò che abbiamo, spesso, solamente nel momento in cui lo perdiamo, riusciamo veramente a capire quanto era importante per noi. Dobbiamo inoltre riuscire a capire che l’unico modo per comprendere gli altri, specialmente se sono molto diversi da noi, è aprire il nostro cuore con fiducia. In fine, un messaggio rivolto a tutti i genitori, fate crescere i vostri figli nell’amore, coltivate le loro fantasie, non spingeteli a crescere troppo in fretta, così facendo, aiuteranno a conservare anche quella parte di bambino che è dentro di voi.