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Raccolta di testi in prosa di Elio Zago
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Lettera a una nipotina

Carissima Anna, nipotina amatissima, frugoletto innocente ed ignaro, boccuccia incantata, oggi, 23 gennaio, hai compiuto un anno. Il caso ha voluto che tu nascessi nel giorno del mio compleanno e così il primo anniversario di un così splendido evento lo festeggiamo insieme. In questi dodici mesi ti ho tenuto tante volte tra le mie braccia e il tuo calore mi ha scaldato intensamente il cuore. Stretta a me, tante volte, soavemente, ti sei persa, occhi marini, in imperscrutabili sonni. Mi hai dato la gioia di farmi sentire nonno di tutti i bambini del mondo, come te bisognosi di protezione e di affetto e in diritto di felicità. Crescerai, festeggeremo altri compleanni insieme, ma quando sarai donna io non ci sarò più.

Non potrò dirti nulla della vita, delle sue insidie, delle sue crudeltà, ma soprattutto non potrò parlarti dei diritti negati a tanti bambini.
Allora, cesellata miniatura, te ne parlo adesso, a futura memoria, fintanto che le forze ancora mi sorreggono e la mente non mi tradisce.
I bambini, tutti i bambini del mondo hanno il diritto di nascere sani e invece la natura insidia il loro aprirsi alla vita. La sanità pubblica e la ricerca scientifica non sono in grado di prevenire le migliaia di malattie infantili presenti nel nostro pianeta e così centinaia di migliaia di bambini nascono ogni anno con i segni dolorosi di affezioni croniche, talvolta curabili, altre volte, troppe volte, senza speranza di terapia.
Tu sei nata sana. Sei stata fortunata. Splendi di bellezza e il tuo corpicino vibra di voglia di vivere.
Non ne hai naturalmente consapevolezza e, come un fiore, semplicemente vivi e cresci. Non ne hai neppure alcun merito. Semplicemente la natura è stata generosa con te.
I bambini, tutti bambini del mondo hanno il diritto di non vedere tarpate le loro ali dalla povertà e dall'ignoranza e invece in tante, in troppe parti del mondo soffrono la fame o, crescendo, non possono godere i frutti dell'istruzione. I Paesi ricchi fanno troppo poco per aiutarli.
Tu sei nata senza ostacoli al creativo sviluppo della tua persona. Già ti eserciti nei primi apprendimenti infantili e potrai sicuramente percorrere tutti i gradini dell'istruzione e, se avrai qualche talento, potrai scegliere la strada che più potrà darti soddisfazioni nella vita. Così un giorno potrai dirti fortunata.
I bambini, tutti i bambini del mondo hanno il diritto di crescere liberi , senza che altri facciano per loro le grandi scelte di vita. Ai bambini basterebbe crescere imparando a leggere, a scrivere e a far di conto ed essere messi nelle condizioni di formarsi, poco alla volta, opinioni personali e di arrivare all'età della ragione in cui potere scegliere, con libertà, dove voler stare. E, invece, in tutte le parti del mondo, i bambini vengono ‘costruiti', consapevolmente o inconsapevolmente, per appartenere a formazioni storicamente strutturate.
Tu sei sbocciata alle gioie e alle scoperte dell'infanzia e chi ti circonda avrà cura di non anticipare le tue opzioni di vita. Semplicemente ti metterà a disposizione tutte le occasioni possibili perché tu, in piena autonomia, possa formarti una personalità indipendente e capace di orientarsi nelle complessità dell'esistenza. Penso che sarà un vantaggio per te.
Cara, tenerissima bambina, potrai un giorno condividere le mie idee? Non lo so, lo spero. Ma un avvertimento ti devo dare per quando incomincerai a capire e a riflettere. Non immaginare che le idee possano germogliare senza cure nella tua mente. Solo dalla lettura dei libri, di tanti, di tantissimi libri, dove sono raccolte le riflessioni, le emozioni, le speranze e le disperazioni degli uomini attraverso i secoli, potrai trovare le ragioni per superare il naturale pessimismo che nasce dall'esperienza e capire che bisogna ‘compatirsi' per poter far fronte al duro mestiere del vivere e per creare le condizioni affinché gli uomini possano vivere in pace, sostenendosi a vicenda.
Sarà difficile che quei diritti, primari e inalienabili, diventino realtà per tutti. Ma è importante avere consapevolezza che, senza la loro attuazione, tanta parte dell'umanità, la più esposta al rischio di ogni possibile offesa, continuerà a soffrire una condizione di penalizzante inferiorità.
Per tutte le considerazioni che ho fatto, mi piacerebbe che la mia fragile bambina, un giorno, nella forma a lei più congeniale, potesse diventare un tenace “difensore” dei bambini.
Cara Anna, ti sto caricando di troppe aspettative? Quando sarai una giovane indipendente, se avrai questa impressione, getta alle ortiche le prediche di un vecchio brontolone e segui liberamente la tua via.

 

*

Emancipazione


 Abitava in piena campagna, non molto lontano da una piccola città di provincia.
 I suoi genitori possedevano un po’ di terra che coltivavano in proprio, con l’aiuto di qualche lavorante stagionale.
 Era nata terza di una famiglia numerosa, dopo due maschietti, poco più grandi di lei.
 Il futuro di Elsa, nelle aspettative dei genitori, doveva essere quello di apportare, appena possibile, nuova forza lavoro alla famiglia, ma la bambina era gracile di costituzione e si capì ben presto che non avrebbe potuto dare che un modesto aiuto nella vita domestica.
 In ogni caso, Elsa era stata cresciuta senza problemi, era stata educata secondo la religione cattolica, ricevendone tutti i sacramenti, ed aveva trascorso la sua infanzia felicemente.


 Frequentata la scuola primaria, aveva completato senza difficoltà, ed anzi con suo piacere e con chiari apprezzamenti degli insegnanti, anche le altre classi dell’obbligo, ma non si era mai pensato che potesse continuare negli studi.
 I primi anni dell’adolescenza erano stati sereni ed era divenuta donna abbastanza presto, assistita scrupolosamente dalla mamma.
 Elsa era destinata ad essere una ragazza da marito e si sarebbe sposata non appena l’età gliel’avesse consentito.
 Intanto, però, si era fatta una giovinetta graziosa, anche se esile, e già aveva ricevuto le attenzioni di qualche maschietto, alle quali aveva risposto con l’ingenuità e il candore di chi non conosce le malizie dell’amore.
 Un episodio imprevisto aveva dato inopinatamente una svolta allo scorrere tranquillo dei suoi anni più belli e senza particolari pensieri.
Terminata la scuola media, aveva assistito, in una chiesa della città, al sacramento della comunione di una sua cuginetta più giovane.
 Dopo la cerimonia, nella confusione di un festoso banchetto, aveva incrociato lo sguardo di un ragazzo di qualche anno più grande di lei, che incominciò a dedicarle qualche attenzione. Nulla di particolare, ma era stata sufficiente perché la sua fantasia di ragazzina incominciasse a galoppare.
 Lo rivide la settimana dopo, sempre nella stessa Chiesa. Le si era avvicinato ed avevano scambiato qualche parola, anche se Elsa di parole era assai parca, ma nacque una simpatia reciproca e la voglia di rivedersi ancora.
 Si erano poi ritrovati alcune volte, da soli, in qualche parte della città, ma le cose erano divenute ben presto molto serie e Renzo aveva incominciato a frequentare la casa di lei, dove era stato accolto molto bene perché era considerato un bravo ragazzo.
 Trascorsero così diversi anni.
 Elsa mantenne sempre un contegno da brava ragazzina, ben istruita dalla mamma, e non consentì a Renzo che qualche rapida carezza nelle parti nascoste del suo corpo.
 La famiglia aveva cominciato a pensare alla dote e si stavano riempiendo i cassetti degli armadi di tutto quello che sarebbe servito in una famiglia tradizionale.
 Ma la dote più preziosa, Elsa la portava sempre con sé e la difendeva come un tesoro: la sua verginità.
 Anche Renzo, seppure alle volte sembrasse impaziente, rispettava la scelta di Elsa e la valutava come la protezione di un bene, del quale avrebbe goduto quando il matrimonio avesse reso tutto legittimo.
 Appena compiuta la maggiore età, Elsa poté pensare senza intralci a coronare il suo sogno di sposa e ben presto di madre.
 Il matrimonio venne celebrato in Chiesa, con la partecipazione di parenti e amici. Il pranzo che seguì fu lungo e pieno di allegria, con le solite allusioni salaci degli amici.
 Il momento più bello fu quando i due sposi restarono soli nel loro nuovo appartamento in città. Entrambi avevano atteso con ansia la fine della festa per poter finalmente godere il piacere di una notte d’amore.
 Non andò proprio come Elsa si era immaginata. Renzo, impaziente di godere quel frutto tanto a lungo desiderato, l’assalì in modo imprevisto e la possedette senza alcun preliminare. Elsa sentì solo un gran male e si ritrovò in un bagno di sangue, con accanto il marito finalmente soddisfatto. Non disse nulla, non protestò, era afflitta. Le sembrò di essere stata defraudata di qualcosa.


 Quella notte le aveva portato in dono la sua prima gravidanza. La bambina era nata senza problemi. Per Elsa sarebbe stato sufficiente, ma Renzo, che aveva una vita esuberante, tanto da far sospettare a Elsa che si concedesse qualche scappatella, diede quasi subito una compagnia alla neonata, sperando che fosse una sorellina.
 Così infatti era avvenuto, e Elsa, in poco meno di quattro anni, si era ritrovata con il peso, anche se gradevole, di due bambine sane e molto somiglianti alla madre.
 Non le restava tempo da dedicare a se stessa o a qualche altra occupazione. Renzo le aveva assicurato che non avrebbe avuto bisogno di trovarsi un lavoro perché lui, impiegato in un ente pubblico, aveva uno stipendio sufficiente a farli vivere in tranquillità.
 Anche il tentativo di Elsa di fare la patente, per poi avere una sua auto che le consentisse di sentirsi indipendente, fu frustrato dal marito.


 Elsa non aveva molte possibilità di partecipare, in qualche forma, alla vita sociale o di potersi dedicare a qualche svago perché la vita familiare assorbiva completamente il suo tempo e le sue energie.
 Così era Renzo a tenerla aggiornata, a suo modo, sugli avvenimenti che si svolgevano anche soltanto in città.
 Elsa di solito condivideva i suoi pareri. Le sembravano ragionevoli. Non disponeva di altre informazioni, se non di qualche notizia carpita alle trasmissioni televisive.
 Anche se il trauma della prima notte di matrimonio non era stato dimenticato, Elsa aveva una vita coniugale molto soddisfacente.
 Amava, quando Renzo la penetrava, trattenerlo a lungo su di sé, incrociando le braccia intorno a lui. Era un modo per dare all’amplesso una pienezza affettiva, era quasi il desiderio di una fusione dei due corpi.
 Avveniva di frequente e Renzo assecondava il desiderio di Elsa, che si sentiva appagata.


 Non poteva non accadere, anche se non ne avevano intenzione, che Elsa rimanesse incinta per la terza volta.
 Ma non ebbero alcuna esitazione ad accettare serenamente la nuova creatura che sarebbe cresciuta nel ventre di Elsa.
 Fantasticavano, in attesa di poterne essere sicuri, che potesse nascere un maschietto, che avrebbe potuto diventare anche un compagno di giochi per le due sorelline.
 Anche se la gravidanza le aveva dato molti disturbi, Elsa li aveva sopportati senza troppo lamentarsi.
 Alla fine del nono mese stavano preparando i festeggiamenti, quando furono colpiti da una notizia sconvolgente. Giulio nasceva con una grave sindrome genetica.
 Erano rimasti storditi, increduli. Non ne avevano mai sentito parlare, o, anche se era avvenuto, non vi avevano posto molta attenzione. Ma ora toccava a loro, perché? Che cosa avrebbero dovuto fare? A chi rivolgersi per avere le spiegazioni necessarie ad affrontare una situazione tanto inattesa?
 Avevano potuto rendersi conto della gravità della malattia rivolgendosi ai servizi sanitari e avevano trovato un po’ di conforto partecipando alle riunioni di una associazione di genitori che avevano figli con lo stesso problema.
 Ma la accettazione di quell’evento che sconvolgeva la loro vita era stata lenta, tanto quanto era stato difficile capire tutti gli aspetti della malattia.


 I primi anni erano stati i più incerti; poi era subentrata la coscienza di dover spendere tutta la loro vita futura per quella sfortunata creatura.
 Con l’età scolare erano incominciati i guai più grossi. Bisognava assicurargli un inserimento scolastico e sociale e gli ostacoli furono tanti, ma Elsa e Renzo non si erano arresi. Avevano percorso tutte le vie possibili ed avevano trovato persone che li avevano aiutati e si ritenevano abbastanza soddisfatti.


 Un momento altrettanto difficile si presentò alla conclusione del ciclo scolastico obbligatorio.
 Alcuni insegnanti di sostegno si fecero carico di fargli frequentare per più anni la prima classe di una scuola superiore, ma intanto Giulio aveva raggiunto un’età in cui si poteva sperare di inserirlo in una attività lavorativa.
 Anche questo passo era stato difficile e dopo molti sforzi Elsa e Renzo erano riusciti a farlo accogliere in una pubblica amministrazione, dove Giulio, per la sua simpatia e la sua affettuosità, era molto benvoluto.


 Elsa e Renzo avevano speso insieme molte energie per dare a Giulio la possibilità di crescere il meglio possibile e di essere inserito in società senza troppi traumi, anche se era sembrato che Elsa, forse più emotiva, avesse vissuto con più ansietà le varie tappe di quel percorso.
 Quando il traguardo era stato raggiunto e avrebbero potuto riprendere fiato, anche perché la figlia maggiore si era sposata e l’altra aveva deciso di vivere per conto suo, Renzo, anche se lentamente e senza darne segni vistosi, si era come intiepidito, si capiva che la difesa di quel figlio aveva esaurito le sue forze e che la sua partecipazione alle preoccupazioni quotidiane per Giulio gli costava fatica.
 Una sera non era rientrato alla solita ora. Elsa immaginò che gli fosse capitato un impegno imprevisto. Quando però le ore di ritardo incominciarono ad essere troppe, Elsa si allarmò e fu presa da un’ansia invincibile.
 Stava per segnalare a qualcuno il mancato rientro di Renzo, quando le giunse una sua telefonata: “Da questa sera non tornerò più a casa … Ho una nuova compagna.”
 Elsa era impallidita, incapace di articolare parola. Intanto Renzo aveva posato la cornetta. Elsa scoppiò in un pianto disperato, ma sommesso, per non svegliare Giulio.
 Che cosa era successo? Che cosa aveva fatto di male perché Renzo potesse umiliarla a quel modo e lasciarla sola a difesa di Giulio?
 La notte fu insonne, ma piena di pensieri.
 Il giorno dopo si era alzata decisa a non arrendersi, non tanto per contrastare la scelta di Renzo, quanto per dimostrare che era capace di far fronte da sola a una situazione così nuova.


 La realtà era molto pesante.
 Non aveva un lavoro e quindi una fonte di guadagno e le spese da sostenere erano tante.
 Non possedeva un’auto con cui potersi muovere e rendere meno pesante la gestione della casa.
 Ma, soprattutto, aveva Giulio che necessitava di tante attenzioni e che richiedeva il suo intervento in tante situazioni diverse.
 Renzo non se ne interessava più e Giulio soffriva per la sua assenza.
 Elsa si sentiva sola, ma un’energia insolita sembrava sostenerla e darle la fiducia che avrebbe superato il momento difficile.
 Voleva dare una svolta alla sua vita.

 Era vissuta all’ombra di Renzo. Da lui era dipesa quasi in tutto, ma soprattutto sul piano economico.
 Poteva ora contare soltanto sul modesto stipendio pagato a Giulio dall’amministrazione pubblica, sul beneficio che a suo tempo gli era stato riconosciuto e sull’assegno che avrebbe potuto ricevere da Renzo per abbandono del tetto coniugale.
 Era poco, ma ce l’avrebbe fatta, stringendo i denti e senza deprimersi.
 La cosa che la sorprese di più fu la voglia di affrancarsi dalla condizione di casalinga in cui era stata relegata in tutti quegli anni.
 Compatibilmente con il tempo che Giulio le lasciava libero, incominciò a uscire di casa più volte durante la giornata, a curare di più il suo abbigliamento (anche a costi modesti) e a non trascurare la pettinatura.
 Voleva essere una persona diversa da come era stata finora e la frequentazione di eventi promossi da associazioni culturali e ricreative, delle quali quasi ignorava l’esistenza, contribuì a farla sentire una donna viva, piena di interessi.
 Fece molte amicizie e si rese conto che la sua intelligenza non era certamente inferiore a quella di Renzo e riuscì anche a valutare gli aspetti retrivi delle sue idee.
 In tanto rinnovamento esistenziale, si sentì ringiovanita da un breve innamoramento passionale, quasi platonico, per un uomo libero, un poeta, che le fece assaporare una dimensione nuova di vita, fuori dalla routine mediocre di una convivenza familiare convenzionale.
 Su molte questioni riuscì a farsi idee personali, che la indussero a schierarsi dalla parte di coloro che chiedevano più tutele per le donne e che erano impegnati a battersi per dare più diritti alle persone svantaggiate.
 Il cambiamento fu così radicale che non riusciva a nascondere la sua indignazione nei confronti di chi non si batteva per sconfiggere le ingiustizie ancora tanto diffuse nel mondo e aveva una visione egoistica della vita.
 Insomma, Elsa era diventata un’altra donna, indipendente e orgogliosa del suo riscatto.


 La spina nel suo cuore era il futuro di Giulio. Sentiva che il tempo passava e che Giulio avrebbe potuto restare senza il suo aiuto. Ma non disperava.
 Lo stringeva a sé nei momenti di maggiore intimità e lo confortava con parole affettuose e tenere. Giulio, anche se non capiva bene, avvertiva di avere al suo fianco chi non l’avrebbe abbandonato mai.

*

Il gatto ... pensante

 C’era una volta un gatto … pensante.


 “Impossibile!”, diranno i lettori che non amano farsi prendere in giro, ma dovranno ricredersi, perché la realtà è molto più ricca di quanto si creda.


 In una notte di luna piena, d’estate, vicino a un pagliaio, una gattona aveva partorito una numerosa nidiata di cuccioli.
 Il nostro protagonista non ricordava come e quando fosse venuto al mondo. Un’impressione gli era però rimasta. Nella sua piccola mente restava un’ombra immensa, come di una montagna, da cui sgorgavano diversi ruscelli di un liquido caldo e ristoratore. A quei ruscelli gli sembrava di essersi abbeverato molte volte e per molto tempo, ma tutto era così indistinto da non poterne avere un’immagine chiara. Ricordava però che non era solo a ricorrere a quelle fonti dissetanti. Altri sembravano ricavarne lo stesso gradimento. Più tardi, quando aveva cominciato ad allontanarsi da quella montagna per esplorare i dintorni del suo nido familiare, aveva capito di avere dei consanguinei, con i quali giocava, aggredendosi, ma senza farsi male.
 Tra i tanti, ne preferiva due: una femmina e un maschio, con i quali erano avvenute le sue prime avventure.
 Nulla di particolare, ma avvertendo una gran voglia di cacciare, riusciva a coinvolgerli in infantili aggressioni ad altri animali piccoli e indifesi.
 Era un po’ il capo banda e i due lo seguivano, ovunque egli andasse.
 Non erano passati molti mesi, quando, allontanatisi inavvertitamente ed eccessivamente dalla madre, non seppero più ritrovare la strada del ritorno.
 Vagarono così in tante direzioni, ma quella giusta non erano riusciti a trovarla. Non si persero d’animo: erano in tre e si sarebbero aiutati a vicenda per sopravvivere.
 Si erano sfamati ripulendo le ciotole di altri gatti già sistemati. Non si sentivano in colpa ed erano sicuri che i danneggiati avrebbero capito quello che era successo ed avrebbero ottenuto dai loro custodi il risarcimento dei furti.


 Furono mesi davvero indimenticabili. Liberi e senza pensieri poterono perlustrare un vasto territorio e godere la varietà dei rifugi che la natura metteva a loro disposizione.
 Non solo. Avevano avuto tante soddisfazioni a catturare gli animali di cui si sentivano più forti, ma avevano anche avuto molta paura quando erano stati inseguiti da qualche cane. Allora si rifugiavano sui rami dell’albero più vicino, e di lì gli mandavano il loro miagolio di derisione.


 Dopo molto tempo, accadde un fatto assolutamente nuovo. Si ritrovarono in un vasto giardino dove stavano giocando due bimbe di pochi anni. Non avrebbero saputo come spiegarlo, ma era nata una reciproca simpatia. Le bambine, Anna e Emma, avevano incominciato ad accarezzarli e i tre gattini ne avevano accettato volentieri le attenzioni. Quando le bambine richiamarono l’attenzione dei genitori, chiedendo di poterli trattenere presso di sé, anche i tre gattini si consultarono e
concordarono che forse era il caso di accasarsi.


 Era una scelta difficile, che forse li avrebbe privati della loro assoluta libertà, ma non si poteva disattendere il desiderio di due bambine così tenere e simpatiche.
 La decisione fu presa e per loro iniziava un’altra vita, che avrebbe potuto riservargli molte sorprese piacevoli.

 Anna e Emma li vollero chiamare: Neri, il più vivace, Bianca e Duccio gli altri due.


 Per i tre gattini, la giornata incominciò ad avere una scansione più regolare.
 Non avevano più bisogno di cercare il cibo come un tempo, quando il pensiero di mangiare era assillante e dovevano cogliere tutte le occasioni per procurarselo.
 Ora, Anna e Emma glielo facevano trovare pronto ad ore stabilite e quindi la loro vita aveva acquistato più agio e meno preoccupazioni.
 Durante il giorno qualche volta si annoiavano, e dormivano troppo, ma la sera, soprattutto nella bella stagione, quando le bambine andavano a letto, ritrovavano il gusto di andare in giro, di conoscere altri luoghi, di esercitarsi nelle loro innate inclinazioni.
 Si arrampicavano sugli alberi, salivano sui tetti delle case, e, quando il cielo era sereno, si sedevano incantati a guardare il cielo stellato.
 Così le abitudini di un tempo non erano state completamente abbandonate.


 Un giorno però Neri e Duccio avevano avuto una cattiva sorpresa. Mentre dormivano, Bianca doveva essersi allontanata. Non vi fecero subito molto caso, ma alla sera non era ritornata. Pensarono che avesse voluto concedersi qualche scappatella, ma non era ritornata né il giorno dopo né successivamente. Forse si era innamorata e li aveva abbandonati per seguire un nuovo compagno.
 Il loro dolore fu grande, ma un po’ alla volta riuscirono ad accettare la nuova situazione.


 Trascorsero così circa due anni e Neri dovette subire un’altra delusione.
 Anche Duccio, senza avvertirlo di nulla, si era allontano e non si era più fatto vedere.
 Il suo dolore era forte e riuscì a superare il momento difficile grazie alle attenzioni di Anna e di Emma.
 La sua vita trascorreva ora più monotona e, ad un certo punto, senza che riuscisse a spiegarselo, aveva completamente perso la voglia di rincorrere i topi, che era sempre stato uno dei suoi divertimenti preferiti.
 La sua vita era diventata molto sedentaria, incominciò ad ingrassare e a dormire un po’ troppo.
 Ma in questa sua nuova condizione, avvertì anche stimoli nuovi e si accorse che nella sua mente si formavano dei pensieri sempre più frequenti e non del tutto banali.
 Durante il giorno, rispondeva alle attese di Anna e Emma, giocava con loro e non si faceva mai negare.
 Durante la notte invece, contrariamente a loro, restava molto sveglio, e si aggirava nei dintorni della loro casa per cercare di ritrovare un po’ del suo passato.
 Anna e Emma si lamentavano che dormisse troppo, ma non era vero. Era in stato di riposo fisico, ma la sua mente stava dimostrando che anche un gatto sa pensare, e talvolta alla grande.


 Neri, magari di sottecchi, osservava tutto quello che accadeva intorno a lui e un po’ alla volta aveva acquistato la capacità di capire, non sempre molto bene, i discorsi degli abitanti della casa che lo ospitava.
 Non solo i discorsi che riguardavano la loro vita familiare, ma anche quelli che si riferivano agli avvenimenti di tutto mondo.
 Inoltre, quando poteva sdraiarsi tranquillo, da qualche parte, all’interno della casa, non si lasciava sfuggire tutte le notizie che giungevano da una fonte illuminata che chiamavano televisore, quasi sempre acceso.
 Dopo molti mesi di riflessione, credette di capire che sul pianeta non tutto andava per il meglio, che c’erano tante ingiustizie e che sarebbe stato necessario cambiare profondamente le cose.
 Prendendo spunto da tutto quello che aveva ascoltato, riuscì a formulare dei pensieri sempre più complessi.
 Avrebbe voluto avere la voce per esprimere quello che sentiva e che pensava, ma questa impossibilità non gli impedì di organizzare un discorso completo.


 L’elaborazione era stata lunga, ma alla fine pensò che, se avesse potuto, avrebbe convocato, in un punto del pianeta, tutti i gatti del mondo e li avrebbe fatti miagolare all’unisono, coprendo ogni altro rumore, per rivolgere agli abitanti del globo terrestre questa accorata perorazione.


 “Donne! Uomini! Fermatevi! Riflettete sul vostro futuro!
 Se continuerete a comportarvi in questo modo distruggerete questo splendido pianeta.
 La natura è stata generosa con voi, vi ha dato la possibilità di goderne tutte le bellezze, ma voi la state distruggendo.
 Anche i vostri rapporti sono incomprensibili. La vita purtroppo è breve, ma tutti potreste viverla bene e in pace. Invece siete sempre in lotta tra di voi. Non siete mai riusciti a convivere senza continui conflitti, anche cruenti. Smettetela!
 Usate la ragionevolezza. Siete biologicamente tutti uguali. Basta con le intolleranze. Frenate i vostri istinti più deteriori.
 Non bisogna pensare solo al proprio interesse. La solidarietà è il valore più importante della vostra esistenza.
 Nessuno dovrebbe essere lasciato solo, nell’indigenza e senza istruzione. Basterebbe accontentarsi dello stretto necessario e non far mancare a nessuno i frutti che la natura vi dona.
 Anche le meraviglie del vostro ingegno dovrebbero servire a far star meglio tutti.
 Occorre pensare al bene comune e non sprecare la vita solo per egoistici arricchimenti.
 Dovete agire per un cambiamento radicale che dia dignità a ogni essere umano e crei le condizioni affinché il passato resti solo uno sgradevole ricordo.”


 Questo pensava Neri, nella sua ingenuità. Ma non era altro che un sogno. La realtà era molto diversa.


 Neri era ormai un gatto anziano, grasso e con poche forze. Ma essere riuscito, lui, un gatto, a portare i suoi pensieri ad un livello così alto, gli faceva sperare che, un giorno, anche tutti gli uomini e tutte le donne vi sarebbero potuti arrivare.

*

Adolescenza

 Era stata colta da un improvviso brivido inconsueto. Non capiva. Stette immobile. Si sentiva disorientata. Le cose intorno a lei sembravano assumere una dimensione nuova. Che cosa stava succedendo?


 Al mattino era stata a scuola, come al solito. Aveva ascoltato con attenzione le lezioni degli insegnanti. Poi, durante l’intervallo aveva giocato e scherzato con i compagni e le compagne. Era tranquilla e serena. Nulla l’aveva turbata.


 Adesso, nell’ora dei compiti a casa, era sola. I genitori erano ancora al lavoro. Si alzò dal suo piccolo tavolino. Andò alla finestra. La giornata era piena di sole, il cielo splendeva di azzurro. Si era in maggio e la temperatura era ancora mite. Le parve che la vegetazione sulla collina fosse più lussureggiante del mattino, più fresca e viva. Avvertì di essere assorta.


 Negli ultimi mesi, il suo corpo aveva avuto dei trasalimenti, delle vibrazioni. Si era accorta che le sue forme si stavano leggermente modificando, ma non vi aveva dato molta importanza.


 Vedeva che le ragazze più grandi erano vicine a farsi donne e, dentro di sé, inavvertitamente, aspettava che il suo corpo avesse il suo naturale sviluppo.


 A tredici anni non aveva fretta. Come le aveva già accennato la mamma, sarebbe arrivato anche per lei un momento, in cui qualcosa di nuovo l’avrebbe avvertita che la sua vita stava per cambiare ma, al momento, Irene ne aveva solo una fantasia confusa.


 Entrambi i genitori erano attenti alla sua crescita, anche psicologica. Con i modi più opportuni, quando pensavano che Irene fosse perfettamente in grado di capire, le avevano parlato con semplicità della vita, di come si nasce e di come si muore, le avevano fatto osservare la varietà della natura, l’avevano educata a sentirsi bene nell’ambiente in cui viveva.


 Irene era riservata ed ascoltava serenamente le parole di papà e mamma, sentiva che le erano amici, che la volevano preparare a situazioni insolite e si fidava di loro, ma non era così scontata la sua fiducia, perché aveva già conosciuto la delusione dell’amicizia.
 Era stata in particolare la compagna di banco, con la quale aveva sempre avuto un caro affetto, a causarle la prima amarezza.
 Irene le aveva confessato, non senza arrossire, di avere una simpatia per Edoardo e le aveva espresso il timore che lui potesse venirlo a sapere.
 Lucia aveva accolto quella confidenza con allegria e, a sua volta, non aveva nascosto i suoi sentimenti nei confronti di un altro ragazzino. Sembrava che quei piccoli segreti fossero un loro tesoro privato e invece Lucia non aveva saputo tenere per sé la confessione di Irene. Edoardo era venuto a saperlo ed Irene arrossiva ogni volta che lo incontrava.


 Da quel giorno era diventata ancora più riservata di quanto non fosse già per natura e diffidava di parlare con chiunque dei suoi sentimenti.
 Eppure quei sentimenti si erano venuti arricchendo negli ultimi mesi ed Irene li avvertiva come un piccolo peso, per la incapacità di condividerli con altri: con i genitori o con le amichette.
 Oltre a sentire il suo animo più ricco di sensazioni, Irene avvertiva che la scuola, negli ultimi tre anni, le aveva fatto nascere pensieri nuovi che le avevano aperto varchi inattesi nella scoperta di un mondo non solo fanciullesco.
 Erano state in particolare le prime conoscenze di poeti e narratori a farle capire che la vita aveva dimensioni da lei non ancora immaginate, che l’animo umano conosce profondità quasi ignote alla sua età, che forse stava per finire l’età della felicità inconsapevole.


 Irene per molto tempo aveva desiderato avere una sorella, magari maggiore di qualche anno, per avere una confidente sicura e per poter scambiare con lei sentimenti e pensieri ancora incerti e insicuri. Ma i genitori non l’avevano potuta accontentare e quindi si era fatta una ragione di stare sola, anche se si sentiva ben protetta in famiglia.


 Aveva anche pensato di crearsela una confidente: un diario. Ed in effetti un diario era stato acquistato e nascosto in un posto della casa ritenuto sicuro. Aveva incominciato ad annotare alcuni pensieri, ma le parvero subito di poco significato e smise quasi subito. L’idea però non era stata scartata del tutto e forse avrebbe potuto diventare un utile alleato più avanti.


 Quando i genitori erano in casa, o quando si intrattenevano con lei dopo cena, il televisore era sempre acceso.
 Irene si era accorta che papà e mamma non guardavano programmi banali. Ascoltandoli aveva cominciato a capire che il mondo era molto diverso da come lo aveva ingenuamente immaginato.


 Un aspetto della vita su cui aveva idee confuse era la religione. I suoi genitori non l’avevano battezzata. Non era quindi mai andata a messa. Ricordava l’allegria di molte sue compagne nel giorno della “comunione”. Erano feste belle anche per lei, perché la mamma la vestiva come se fosse lei la festeggiata. Ma non le aveva mai invidiate. Mamma e papà, in più occasioni, le avevano spiegato in modi semplici e convincenti che non è giusto che siano i genitori a scegliere una religione per i figli. Avrebbero potuto farlo da soli, al compimento della maggiore età, se ne avessero sentito il bisogno.
 Ma la cosa che non riusciva assolutamente a capire era la ragione per cui, ogni anno, morissero tanti bambini e bambine per fame o per sete. Perché non era possibile evitarlo? Anche su questo argomento aveva chiesto chiarimenti ai genitori, che, a malincuore, avevano dovuto disilluderla su certe idee che si era fatta sulla natura buona degli esseri umani.


 E sulla natura aveva provato a riflettere, dopo aver ascoltato i discorsi non facili di mamma e papà.


 Su un’altra questione era insicura: su come la vita di ognuno fosse il frutto di una natura inconsapevole, come le avevano spiegato, anche perché non ignorava che era diffusa la credenza che uomini e donne fossero state create da un Dio.
 Ma si fidava dei suoi genitori e ogni tanto ritornava sulle loro parole nella speranza di riuscire a farsi un’idea sua propria.


 Tutto questo le era venuto in mente, in modo confuso e ingarbugliato, mentre osservava la bellezza di quella giornata.
 Solo l’imbrunire la risvegliò dai suoi pensieri.


 Avvertì che quel giorno era stato diverso dagli altri.
 Le aveva dato la sensazione che stava cambiando in lei qualcosa di importante. Cominciava forse il tempo in cui non sarebbe più dipesa interamente dagli altri, ma avrebbe potuto avere sentimenti e pensieri personali su cui costruire il suo mondo. 

  

*

Vite parallele

 Il suo cruccio era il sedere un po’ troppo grosso, ma esagerava. Sì, forse, un tantino meno espanso sarebbe stato più in armonia con il resto del corpo, ma non avrebbe attirato in egual modo lo sguardo desideroso dei maschi.
 In realtà, aveva un bel viso, incorniciato da capelli fluenti sulle spalle, di proporzioni perfette. Anche le mammelle erano in sintonia con il volto: ben proporzionate, succose. Il vitino sembrava scolpito e le gambe erano leggermente grosse, come si conveniva per sostenere il didietro provocante.
 Ma ciò che colpiva al primo acchito erano gli occhi neri, intensi, che sovrastavano il naso regolare, e due labbra che chiedevano di essere baciate.


 Era cresciuta bene, senza problemi. I genitori ne avevano assecondato le inclinazioni e si sentiva realizzata. Dopo gli anni di scuola obbligatoria, aveva potuto scegliere una scuola a prevalente indirizzo scientifico. E, terminata la scuola superiore, le parve che studiare biologia avrebbe potuto dare tante risposte alle sue domande sulla vita.
 Così, durante la vita universitaria il suo spirito critico si era acuito e seppe liberarsi di tante idee irrazionali che i genitori, da bravi ma tradizionalisti cattolici, le avevano inculcato.
 Sembrò che la realtà assumesse dimensioni nuove, più ariose, anche se non più confortanti. Ma non avrebbe avuto senso cullarsi in fantasie che erano servite a tenere le persone in una condizione di soggezione spirituale. Voleva, fin dove le fosse possibile, inoltrarsi nella conoscenza della vita reale, sondarne i limiti ma anche la multiforme ricchezza.


 Aveva ottenuto in quasi tutti gli esami il massimo dei voti e la lode e, dopo la laurea, pensò che il suo futuro sarebbe stata la ricerca scientifica. Poté avere contatti con i professori che l’avevano seguita negli studi e poté trovare una collocazione, seppure precaria, all’interno di un gruppo di lavoro che si occupava di indagare nel campo oscuro delle malattie rare.
 Aveva già superato brillantemente un esame difficile con il docente che l’aveva accolta nel suo gruppo di lavoro.
 Fece conoscenza con le altre componenti del team, tutte donne giovani e belle. Sembrava che fossero state scelte in un concorso di bellezza. Erano belle, ma ognuna indiscutibilmente diversa dalle altre.
 Anche il capo non era male. Non bello, ma distinto. Emanava un’autorevolezza che le aveva subito causato uno stato di soggezione. Ma ciò non la imbarazzava, anzi la faceva sentire bene, sicura. Non solo. Anche un’attrazione, non fisica, ma spirituale sembrava che agisse in lei. Vederlo tutti i giorni le dava un senso di serenità. Le divenne presto una presenza indispensabile, le parve che non avrebbe più potuto vivere senza ascoltarne la voce suadente e senza goderne la vista gradevole.


 Al di fuori dell’università, Giovanna era una ragazza allegra, molto socievole con tutti, anche con i ragazzi, che sapeva tenere a bada quando si mostravano troppo invadenti. Ma di uno di loro si innamorò presto, di un amore solare, estroverso e generoso. Non ebbe difficoltà ad avere presto rapporti sessuali con lui, con le precauzioni del caso.
 Giovanna sapeva che cosa significava avere una gravidanza indesiderata e imprevista: non solo assumere una responsabilità in un momento inopportuno, ma anche e soprattutto rischiare di far nascere un bambino non in salute.
 Per questo aveva ben chiaro che prima di far nascere un figlio bisognava fare tutti gli accertamenti medici possibili per non farlo trovare svantaggiato al nastro di partenza della vita.


 Con il suo ragazzo trascorreva giornate meravigliose. Anche Luigi aveva avuto una esperienza simile alla sua e non gli era stato difficile condividerne le scelte. Insieme avevano progettato il loro futuro, che doveva essere aperto all’ascolto di tutte le voci possibili, da filtrare alla luce di valori laici e altruisti.


 Avevano deciso di non sposarsi. Sarebbero stati insieme senza la benedizione di qualcuno. Si sentivano capaci di affrontare le incognite e le asperità della vita contando sul patrimonio ideale che avevano accumulato nel corso della loro breve esistenza.
 Quando parve il momento giusto, si impegnarono quotidianamente a far scoccare l’attimo creativo messo a disposizione dalla natura.
 Claudia era nata senza problemi, in piena salute, facendoli felici e mettendoli alla prova, dopo tanti buoni propositi di essere bravi e responsabili genitori.
 Durante la gravidanza, Giovanna aveva continuato a frequentare il suo gruppo di lavoro, fin quasi al momento del parto.
 Aveva notato che l’attesa di una bambina (come le era stato diagnosticato) non aveva influito in alcun modo sulla qualità del suo impegno. Anzi sembrava averla spronata a fare meglio. Così almeno aveva pensato in un primo momento.
 Ma, riflettendo meglio, si era accorta che quando era in ateneo dimenticava completamente quanto avveniva fuori delle sue mura.
 Aveva capito inoltre che, quando era al lavoro, nasceva in lei una sensazione di benessere nuovo, diverso, che assomigliava ad un innamoramento a senso unico.
 Ne cercò le ragioni e constatò che la sensazione si manifestava quando varcava l’ingresso del laboratorio.
 Concluse che quella attrazione che aveva provato, fin dall’inizio dell’attività di ricerca, nei confronti del suo capo si era trasformata in un sentimento, che le dava l’impressione di essere una seconda persona.


 Una persona con due vite: quella di ogni giorno con Luigi e Claudia e con i parenti e i conoscenti che frequentava e quella con il suo capo, che nulla sapeva del segreto di Giovanna.
 Era stata una sorpresa piacevole. Aveva così l’impressione che neppure un minuto della sua giornata andasse sprecata. Ed era decisa a godere questo doppio binario della sua esistenza.
 Era un segreto che non doveva rivelare a nessuno e che non aveva intenzione di confidare a chicchessia.


 Era come la spettatrice di due film visti in contemporanea, di cui era la protagonista. Era estremamente bello non solo guardarli, ma viverli.
 E Giovanna sembrò diventare una giovane donna ancora più attraente, più solare e più sensibile di prima a tutto ciò che si svolgeva attorno a lei.
 Viveva una vita piena, esuberante, immediata, sincera, arricchita di pensieri non convenzionali, senza timori inutili e attese illusorie.


 Vedeva fiorire Claudia nella serenità e il suo sogno era che potesse crescere senza costrizioni esterne, sostenuta con equilibrio da chi la attorniava a orientarsi nei percorsi difficili ma meravigliosi della vita.
 Con Luigi, al di fuori dei piccoli screzi quotidiani, l’intesa nei pensieri e nei propositi era completa e tutto sembrava svolgersi secondo i suoi desideri.
 Anche il lavoro non le pesava, anzi le faceva vivere una dimensione insolita e invidiabile.


 Si sentiva privilegiata e gioiva in cuor suo. Chi la incontrava notava un continuo, enigmatico sorriso sulle sue labbra e ne restava gradevolmente sorpreso.
 Giovanna non si domandava perché le fosse stato fatto un regalo così straordinario.
Era forse una stramberia che la natura ogni tanto si prendeva per mostrare quanto fosse imprevedibile e multiforme.

 

 Giovanna ne godeva semplicemente i frutti.

*

Il lavoro

 Quando tornava alla sera, i bambini erano felici e lo accoglievano festosamente, reclamandone le coccole. E lui, con i bambini, si sentiva bene e avrebbe voluto passare con loro molte più ore di quante non gli consentisse il lavoro. Con i bambini, ritrovava anche un po’ di quella serenità che aveva perduto negli ultimi tempi.
 Anche rivedere Marcella gli era di conforto e con lei si confidava quasi interamente, non del tutto, per non farla soffrire.


 Quando l’aveva sposata, non aveva avuto neppure il sospetto che un giorno la loro vita avrebbe potuto conoscere una situazione così difficile.


 L’aveva conosciuta ancora ragazzina, in una discoteca. Marcella era vestita da festa. Antonio si era timidamente offerto di farla ballare e si sentiva così imbarazzato che, per la goffaggine, le aveva pestato un piede. Nella risata seguita all’incidente, si erano involontariamente stretti l’uno all’altra e uno sguardo veloce ne aveva turbato i cuori.
 Quell’incontro occasionale si era trasformato in una frequentazione durata molti anni, che aveva consentito loro di conoscersi nei pregi e nei difetti, accrescendone l’affetto e la comprensione.


 Lei era più riservata di lui. Antonio invece le aveva raccontato quasi tutto della sua vita passata in famiglia, una famiglia povera con molti fratelli e sorelle e due genitori grandi lavoratori, ma che non avevano neppure immaginato (lui non ne aveva mai fatto cenno) che cosa sperasse per il suo avvenire.
 A scuola aveva fatto sempre bene e, alla fine degli anni obbligatori, avrebbe desiderato continuare a studiare perché si sentiva molto insicuro e pensava che fosse necessario avere qualche conoscenza in più per affrontare la vita.
 La famiglia aveva dovuto invece avviarlo ad una attività qualsiasi, perché era numerosa e serviva anche un piccolo salario aggiuntivo.
 Così, fin da ragazzino, aveva dovuto misurarsi con vari mestieri, perché non riusciva ad ottenerne uno continuativo.


 Li aveva fatti sempre volentieri, perché il lavoro, anche se faticoso, gli dava la soddisfazione di sentirsi utile e importante.


 Quando esso divenne stabile, cominciò a progettare con Marcella il loro futuro.
 Ed era stato tutto più facile di quanto pensasse.
 Il rapporto con Marcella era sempre stato ottimo, anche se con qualche ombra passeggera. Di Marcella amava tutto: il carattere schietto, l’intelligenza acuta, la personalità alle volte scontrosa ma forte e volitiva.


 Con Marcella aveva sognato una famiglia con molti, molti bambini, anche se poi si erano fermati a due, perché avevano capito che era difficile farli crescere bene.


 Di Marcella amava tremendamente la fisicità. Nei momenti di tenerezza, nella stanza illuminata dalla luce filtrata del giorno o da quella soffusa di una lampada notturna, si beava della vista del suo corpo diafano e vibratile.


 Ne accarezzava la pelle morbida, la baciava lentamente fin nelle pieghe più nascoste, la sentiva palpitare a ogni sfioramento. Marcella socchiudeva gli occhi, in totale abbandono. Quando l’eccitazione era al culmine, Antonio sprofondava nella sua liquida ospitalità. Un grido di entrambi, all’unisono, esprimeva l’estasi raggiunta. Si tenevano ancora stretti per qualche istante, per sciogliersi poi, fianco a fianco, tenendosi la mano, in rilassante riposo.


 Nei momenti in cui i bambini dormivano e poteva parlare tranquillamente con Marcella, rievocava volentieri tanti momenti della sua breve vita, quasi temendo di perdere il ricordo del passato.
 Le parlava non solo delle difficoltà economiche in cui era vissuta la sua famiglia, ma anche dei passaggi che egli riteneva avessero formato il suo carattere.


 I suoi genitori erano convenzionalmente religiosi e lo avevano cresciuto nell’osservanza di tutti i precetti della tradizione.
 Aveva quindi ricevuto i soliti sacramenti e aveva frequentato l’oratorio parrocchiale, andava regolarmente a messa perché gli piacevano immensamente l’odore d’incenso, il suono dell’organo e le voci del coro. Ma, al di là di questo, non aveva potuto nascondere a se stesso che la penombra della chiesa e le preghiere sommesse dei fedeli gli davano un senso di ansia funerea e si sentiva meglio solo uscendo alla luce del sole.
 Aveva quindi smesso di andare a messa verso i tredici anni.


 Un altro aspetto della sua vita che amava sottolineare era che, da subito, si era sentito bene con gli altri operai, che ne aveva subito condiviso i pensieri, che era sempre stato al loro fianco nel rivendicare il rispetto dei loro diritti e la difesa della loro dignità.


 Così aveva partecipato a tutte le loro lotte affinché il lavoro fosse a misura umana e non fosse messo a rischio da imprenditori incapaci o egoisti.


 Finché il lavoro era stato sicuro, anche la loro vita non aveva conosciuto grosse difficoltà, ma, quando era incominciata la crisi, ogni certezza aveva cominciato a indebolirsi.
 Aveva sopportato l’umiliazione di una breve sospensione lavorativa, perché la ditta affermava che le commesse erano diminuite e che i costi superavano i ricavi.
 La cosa si era ripetuta altre volte. Ad ogni occasione, Antonio sentiva riaprirsi una ferita appena rimarginata, ma resisteva e trovava in Marcella e nei bambini la forza per continuare.


 Aveva pianto quando qualche suo collega aveva dovuto affrontare i disagi di un licenziamento.
 Lui pensava che non gli sarebbe toccato perché era considerato tra gli operai migliori, ma una mattina il titolare della ditta gli aveva messo in mano una busta, scusandosi di quanto aveva dovuto fare.
 Antonio rimase pietrificato, gli parve che il cuore si fermasse, che la sua vita fosse perduta, che la famiglia non avrebbe potuto sopravvivere.


 I successivi furono giorni angoscianti, non riusciva a nascondere una tristezza infinita, era diventato taciturno e scontroso e anche Marcella non riusciva a convincerlo che non bisognava disperare, che insieme avrebbero affrontato le difficoltà, che anche lei avrebbe cercato un lavoro, anche il più modesto.


 Trascorreva molte ore fuori casa. Dove andasse e che cosa facesse, era diventato anche per Marcella un mistero.
 Marcella tuttavia si tranquillizzava quando le raccontava qualche storia sentita da amici, forse al bar. E che lo frequentasse le parve sicuro perché ogni tanto si lamentava della scarsa fortuna avuta al gioco.
 Sicuro era poi che avesse incominciato a bere qualche bicchiere di troppo. Marcella se ne accorgeva quando, sempre più raramente, la abbracciava e le dava un bacio leggero. Ne avvertiva la stanchezza languida e quasi rassegnata.


 Una sera tardava a rientrare. Marcella era in ansia.
 Antonio aveva preso la sua utilitaria e si era portato vicino al grande fiume, che scorreva placido e solenne, con striature iridescenti allo spegnersi del giorno.


 Si avvicinò, … fissò le acque quiete.
 All’improvviso, … uno spruzzo d’acqua, un gorgoglio, un breve spumeggiare.
 Poi fu silenzio, … nel tramonto del sole.

*

Giulia

 Era una tiepida giornata di inizio aprile. Solo qualche nuvola grigiastra si muoveva nel cielo azzurro.
 Ai lati della strada si ergevano platani alti e corposi. La primavera ne aveva già ricoperto i lunghi rami di foglie, mosse da una tenera brezza.
 La macchina scorreva sull’asfalto in frequenti accelerazioni e frenate.
 Giulia era agitata. Si stava recando verso una spiaggia non molto lontana. Quel giorno, il mare si dondolava placido e alle sue spalle si stendeva una fitta pineta, nella quale quasi non si scorgeva un basso casolare, ben inserito nell’ambiente.
 Andrea l’aspettava là.

 Come trasognata, Giulia guidava male, a non molta velocità e a scatti. Era richiamata alla realtà solo dal clacson di qualcuno che, dopo averla seguita per un tratto, si spazientiva e la avvertiva di un sorpasso. Il rapido passaggio dell’auto la stordiva e le dava la sensazione di essere investita dallo sguardo cattivo del conducente. Allora, si riscuoteva e riusciva a pensare ai mesi felici trascorsi in uno stato di quasi beatitudine. Ma erano solo ricordi. Ora la realtà la incalzava e rischiava di travolgerla in uno scandalo dalle conseguenze inimmaginabili.

 Era passato poco tempo da quando l’aveva conosciuto.
 Alla fine dell’anno precedente era con Tullio e la bambina in montagna, a sciare. Era un luogo di villeggiatura molto frequentato e ricco di occasioni per conoscere altre persone.
 Dapprima lo aveva guardato con distacco, come quando si guarda un oggetto mirabile, senza che desti particolari risonanze nell’animo.
 La presenza di quel giovane nel luogo del suo soggiorno cominciò però a farla sentire strana e a destarle qualcosa di insolito, dopo molti anni in compagnia di Tullio. Non riusciva a capire bene, ma avvertiva il ridestarsi di un sentimento da tempo sopito.
 Provava a scacciarlo, invece si irrobustiva. Gli sguardi occasionali con Andrea erano stati all’inizio senza significato, ma poi si erano infittiti e duravano sempre più a lungo.
 Allora si rifugiava da suo marito, ne sollecitava le attenzioni, si occupava freneticamente della bambina, investita da insolite cure.
 Sembrava però che ci fosse un ostacolo insormontabile.
 Giulia aveva trentacinque anni, Andrea era molto più giovane, solo ventotto. Lo aveva saputo durante il gioco fatto con altri villeggianti a nascondersi gli anni, ma poi tutti avevano confessato la loro età.
 La vacanza era finita in un baleno, così almeno pareva a lei. Prima di lasciarsi, tanti si erano scambiati abbracci e baci, avevano giurato che non si sarebbero più dimenticati e soprattutto si erano scambiati i numeri di telefono.

 Giulia si occupava in prevalenza dell’andamento della casa, ma amava anche la lettura, andava al cinema, visitava mostre ed era impegnata in attività sociali.
 Le era rimasta infatti la voglia di conoscere, anche se non aveva terminato gli studi superiori, perché all’ultimo anno era incappata in una bruciante bocciatura, che l’aveva depressa e convinta a lasciare la scuola.

 Andrea aveva in mano un’arma formidabile. Qualche giorno dopo il ritorno dalla montagna, pensò di telefonarle. Era titubante. Avrebbe potuto non trovarla o, peggio, avrebbe potuto rispondere il marito. Ma forse non sarebbe stato un problema. Avrebbe potuto provare a ricordargli le giornate passate insieme e a esprimergli il desiderio di rivederlo. Ma restava incerto. Era però sicuro che gli sguardi con Giulia erano stati il segnale di un forte sentimento nascente.
 Osò.

 “Pronto, chi è?”
 “Sono Andrea.” Rimase impietrita ed ebbe bisogno di un attimo per riprendersi.
 “Sono Andrea.”
 “Sì, … ho capito. Come mai?”
 “Desideravo sentire la sua voce.”
 “Sì.”
 “Forse potremmo rivederci … , con la sua famiglia … ”
 Giulia capì che mentiva, ma era fortemente emozionata.
 “Sì … , si potrebbe, ma mio marito ha tanti impegni.”
 “Allora potremmo fare una passeggiata noi due, e ricordare le belle giornate passate insieme in montagna.”
 “ … Sì, …”
 “Però non sarebbe opportuno farci vedere nella sua città … o nella mia … So che a lei piacciono molto le mostre di pittura … Vicino alla sua città, ce n’è una sull’impressionismo che, dicono, sia molto bella … Potremmo trovarci là.”
 “… Sì … Ma ci devo pensare … Mi chiami domani alla stessa ora.”
 All’ora stabilita, suonò il telefono, vicino al quale stava seduta Giulia, in attesa.
 “Che cosa ha deciso di fare?”
 “ … Sì … si potrebbe, … di pomeriggio.”
 Il ghiaccio era rotto. Convennero di trovarsi nel luogo indicato da Andrea, il prossimo martedì.

 Le ore successive alla telefonata erano state per Giulia di confusione. Non riusciva a stare ferma. Si occupava di cose insolite: a mettere in ordine i giocattoli di Katia, a curiosare nei cassetti trascurati, a controllare il suo guardaroba. Ma era contenta. Temeva di essere stata imprudente a fissare quell’appuntamento, ma non ne era pentita. In fondo, quella telefonata l’aveva sognata e attesa e ora era diventata realtà.

 Andrea era di famiglia benestante. Aveva frequentato il liceo scientifico, dal quale era uscito con buoni voti. Ma si era arenato all’università, dove si era iscritto a filosofia. Aveva iniziato bene, facendo quasi tutti gli esami del primo anno, ma poi aveva cominciato a rallentare ed era finito fuori corso e ancora non si era laureato.
 Andrea era bello, alto e di ben formate misure. Era anche simpatico e non gli mancava una sciolta parlantina. Aveva avuto brevi avventure con diverse ragazze, ma, se anche aveva amato, non conosceva ancora la passione travolgente. Ora, gli sembrava che Giulia stesse per destargli un sentimento più profondo. In ogni caso, le feste con gli amici e le vacanze occupavano molto tempo della sua vita.

 Finalmente, il giorno tanto atteso era arrivato. L’appuntamento era fissato per le ore 16. Giulia era molto inquieta. Si sentiva investita da rapidi brividi di paura. Era insicura. Non si rendeva ben conto di quello che avrebbe potuto succedere nella sua famiglia, ma non avvertiva alcun rimorso per quanto aveva deciso di fare. Il desiderio di rivedere Andrea era così forte, che ogni altra preoccupazione passava in secondo ordine. Aveva studiato nei dettagli i comportamenti da tenere quel giorno.


 Un’anziana signora, Alice, aveva visto nascere Giulia quando lavorava a casa dei suoi genitori, dove era stata insieme donna delle pulizie, cameriera e baby-sitter. L’aveva vista anche crescere e pensava di conoscere tutto di lei; le portava grande affetto. Così, quando Giulia si sposò, volle continuare in casa sua quello che aveva fatto per tanti anni dai genitori. Ma, ormai anziana, non era più in grado di offrire i suoi servizi per tutta la giornata.
 Ora, poteva aiutare Giulia a ore e così avevano convenuto. Senza un orario fisso, si recava da Giulia quando ne fosse richiesta. In tal modo, non era una presenza continua. L’aiuto continuò anche dopo la nascita di Katia. Era quindi una presenza rassicurante, che Giulia gestiva con molta discrezione.
 Perciò, per Giulia, non fu difficile organizzare quell’incontro. Dichiarando, con passione, di voler assolutamente vedere quella mostra, convinse Alice ad essere a casa sua a una certa ora di quel pomeriggio. La bambina era quindi in buone mani.

 Il marito, Tullio, non sarebbe stato a casa quel giorno. Fuori città, avrebbe dovuto partecipare a un convegno scientifico. Alla sera, si sarebbe trattenuto a cena con altri ricercatori. Tullio era infatti laureato in chimica e lavorava ormai stabilmente, come ricercatore, in una Università vicina.

 Febbrilmente, Giulia si preparava all’incontro. Aveva scelto un vestito semplice, di lana color grigio. Vi aveva abbinato un paio di scarpe basse. Poi aveva frugato tra i suoi gioielli e ne aveva scelto uno particolarmente bello e giovanile. Al mattino, sarebbe stata dalla parrucchiera su appuntamento e avrebbe portato con sé anche Katia.

 Il momento si avvicinava. Verso le tre, arrivò Alice. Giulia le fece qualche consegna e raccomandazione, diede un bacio alla bambina, indossò un cappotto pesante nero e si portò alla macchina in garage. Partendo, mandò un ultimo saluto ad Alice.

 Durante il viaggio era emozionata. Pensava a tante cose, ma non era turbata da alcun timore. Il suo non era un capriccio, sentiva sempre più forte il richiamo di Andrea e questo sopravanzava ogni altro pensiero.

 L’incontro avvenne nel luogo stabilito. Per Giulia non fu difficile arrivarvi. Andrea le aveva indicato con precisione il percorso da fare, uscendo dall’autostrada. Era un viale alberato un po’ lontano dal centro, dove, a quell’ora della sera, era stato abbastanza facile per Andrea trovare un posto per parcheggiare e dove poté controllare che un altro spazio vicino alla sua auto restasse libero per Giulia. Come arrivò, Andrea la assistette nella sistemazione della vettura, le porse la mano mentre scendeva dall’auto e gliela tenne finché non fu del tutto uscita.

 Giulia era quasi più bella del solito. Raggiando alla vista di Andrea, lo aveva timidamente abbracciato e gli aveva chiesto scusa per i pochi minuti di ritardo. Anche Giulia era abbastanza alta, un po’ meno di lui, ma aveva una figura snella e un volto dai tratti delicati. Aveva sopracciglia naturalmente sottili, gli occhi tendenti all’azzurro, un naso regolare e una bocca leggermente carnosa. I capelli erano sistemati a caschetto. Le due figure sembravano messe insieme da un artista. Andrea portava dei jeans di color grigio sporco e non molto stretti, una camicia chiara, su cui teneva una sobria giacca blu. La temperatura di quel giorno gli aveva consigliato di indossare un loden verde.
 Si incamminarono, ma incontrarono un bus che portava al centro della città. Vi salirono, restarono in piedi, perché era affollato. Andrea stava dietro a Giulia, ma avvertivano entrambi il calore dell’altro. Giunsero a destinazione. L’interno della mostra era abbastanza frequentato e, nel passare da una stanza all’altra, Andrea lasciava sempre a Giulia la precedenza. Erano quadri di autori noti, ma anche di pittori minori. Tutto sembrava bello in quell’ambiente leggermente riscaldato. Andrea esprimeva qualche commento, che Giulia condivideva.
 Rimasero circa un’ora. Di più non avrebbero potuto, perché Giulia doveva rientrare a casa a un’ora opportuna, per lasciare libera Alice. Durante il ritorno alle auto, questa volta a piedi, conversarono su quello che avevano visto, ricordarono le giornate passate insieme in montagna e si scambiarono complimenti per i loro abiti.
 Arrivati al parcheggio, si lasciarono con un abbraccio piuttosto affettuoso e con la promessa di rivedersi. Lui la precedette fino all’autostrada, dove si salutarono con un cenno della mano.

 A casa trovò tutto in ordine, poté licenziare Alice all’ora stabilita e si accinse a preparare la cena. Katia era tutta felice per il ritorno della mamma, le si stringeva addosso, ne voleva tanti bacetti.
 Giulia era ancora in preda all’emozione dell’incontro e sentiva che aveva ancora bisogno di Andrea, progettava già di rivederlo, forse in modo meno formale. Le giunse una telefonata di lui. Si informava se al ritorno era andato tutto bene. Un buonasera molto caloroso chiuse la giornata.

 Tullio tornò molto tardi. Giulia avvertì il suo arrivo, ma finse di dormire. Tullio era un uomo robusto, di alta statura, con occhi brillanti e vivi, il volto regolare, su cui si stagliavano due baffetti appena accennati. Si spogliò in silenzio e si pose accanto a Giulia, e presto si addormentò. La giornata era stata pesante perché aveva tenuto una relazione e non aveva mancato di ascoltare quelle di tutti i suoi colleghi. Era quasi sempre assorto nel suo lavoro e concedeva alla famiglia tempi brevi, anche se molto affettuosi.

 Giulia stava pensando a un nuovo incontro. Doveva avvenire di mattina, quando era più libera. Il marito sarebbe stato al lavoro, Katia alla scuola materna. Ma dove incontrarsi? Ne avrebbe parlato con Andrea. Le telefonate erano ormai quotidiane, sempre alla stessa ora del mattino. Mentre stava rimuginando, ecco uno squillo. Sul volto di Giulia comparve una gioia, che avrebbe voluto esplodere in un grido di felicità.
 “Pronto … ?”
 “Sono Andrea.”
 “Sì ….”
 “Come stai?”
 “Bene … Stavo pensando.”
 “A che cosa?”, chiese esitante Andrea.
 “ … Che potremmo rivederci … ”
 “Ti chiamavo anch’io per questo …”
 “Ma sono incerta … Non so dove.”
 “Pensiamoci … fino a domattina.”
 “Sì … allora ci risentiamo domani.”
 “Ti chiamo alla solita ora?”
 “Va bene.”
 “Ciao.”
 “Ciao … a domani.”

 Suona il telefono. La risposta è immediata.
 “Sei tu?”
 “Sì … Avrei pensato che potremmo incontrarci domani mattina alla Biennale.”
 “Ma … , di mattina?”
 “Aprono alle dieci.”
 “Allora … va bene.”
 “Dobbiamo essere accorti … Per non dare nell’occhio, tu dovresti venire in macchina, fermarti vicino al molo e prendere il traghetto … Sempre da sola, ti dovresti portare alla mostra. Sono pochi passi. Io sarò lì ad aspettarti, poco dopo l’apertura.”
 “Ma tu come ci arriverai?”
 “Non preoccuparti … Importante è non farsi vedere prima di entrare …    All’interno … fingeremo un incontro occasionale.”
 “Meraviglioso. Ma non sarà troppo rischioso?”
 “Non vedo l’ora di rivederti.”
 “Anch’io.”

 Era una giornata bellissima, fredda, ma piena di sole. In cielo, neppure una nuvola.
 Giulia aveva accompagnato Katia a scuola, dove si era intrattenuta con una bidella e aveva salutato la sua maestra che passava di corsa.
 Baciata la bambina, era ritornata a casa, dove era tutto in ordine, ma volle guardare lo stesso in tutte le stanze. Si vestì un po’ pesante, perché faceva freddo. Poi, si era portata in garage, aveva verificato che le luci della macchina fossero a posto, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno perché, ogni tanto, Tullio si recava, il sabato mattina, da un meccanico amico che gli controllava il buon funzionamento dell’auto.

 Partì per tempo. Non voleva essere notata. Giunse tranquilla a un parcheggio a pagamento, vicino al traghetto, posteggiò e osservò con attenzione dove avesse messo la macchina per trovarla più facilmente al ritorno.
 Uscì dal parcheggio, si portò all’imbarco, dove salì senza dare nell’occhio. Era trepidante. Il secondo incontro con Andrea sarebbe stato decisivo.
 Arrivò in vicinanza dell’esposizione un po’ in anticipo, ne approfittò per bighellonare tra i negozi vicini e infine giunse alla mostra al momento stabilito. Lui era là che l’aspettava.
 Entrarono ognuno per conto proprio, come fossero sconosciuti.
 All’interno, non c’erano molti visitatori e fu perciò facile cogliere l’occasione per avvicinarsi. In un momento in cui nessuno li poteva vedere, si presero e si strinsero forte la mano. Fu una tempesta nel cuore di Giulia.
 Visitarono varie sale, scambiandosi intensi sguardi di desiderio. Si erano poi portati all’uscita e, salutandosi formalmente, per non destare sospetti, si erano separati per riprendere la strada del ritorno.

 Durante il viaggio, Giulia era eccitatissima. Sentiva che, la prossima volta, sarebbe accaduto qualcosa di straordinario. Non pensava al marito. Sentiva quel momento come un intervallo della sua vita, a cui aveva diritto dopo tanti anni di ordinario matrimonio.

 Giulia e Tullio si erano conosciuti piuttosto giovani, partecipando a una manifestazione di protesta studentesca.
 Tullio era ormai all’università e faceva una vita di studio intenso, ma non era insensibile a quanto accadeva intorno a lui, in particolare alla richiesta giovanile di un rinnovamento della società.
 Giulia frequentava l’ultimo anno delle superiori e più volte si era lasciata coinvolgere dall’aria festosa e impegnata di riunioni organizzate da studenti di vari istituti.
 All’inizio, Giulia e Tullio si erano scambiati parole gentili, ma nulla lasciava presagire il seguito di quell’incontro occasionale.
 Invece, Tullio incominciò a guardare con insistenza Giulia, che non era rimasta indifferente alle sue attenzioni.
 Così, quella giornata, vissuta con la gioia di partecipare a un movimento giovanile, si tramutò nell’inizio di una avventura che si sarebbe conclusa molti anni dopo con un giuramento di fedeltà.
 Si erano sposati in municipio perché erano tutti e due laici e consideravano quello il vero matrimonio. Era stata una vita felice, anche se tardava ad arrivare un bambino che entrambi desideravano. Quando ebbero la notizia certa del suo concepimento, fu una gioia grande e i mesi successivi passarono nella lieta attesa dell’evento.

 Katia era nata quando i genitori non erano più giovanissimi. Giulia aveva trent’anni, Tullio cinque di più. Ma fu un giorno memorabile, perché la bambina era nata sana, con lineamenti perfetti.
 I parenti avrebbero voluto che fosse battezzata, ma Giulia e Tullio non vollero legarla a nessuna religione.
 Katia crebbe così libera e sempre più bella. Affascinava la sua spontaneità, e ogni giorno imparava cose nuove.
 La mamma, che si dedicava interamente a lei, rinunciò definitivamente a cercare un lavoro, perché lo stipendio del marito era sufficiente.
 Tullio non avrebbe potuto aiutarla perché era molto impegnato. Infatti, dopo aver conseguito il dottorato, stava lavorando alacremente per diventare ricercatore.

 Katia aveva nonni di grande rigore morale. Il nonno aveva lavorato in uffici pubblici ed era ormai in pensione. Sua moglie, dopo aver insegnato molti anni nella scuola inferiore, si apprestava a un giusto riposo. Erano moderati, senza saperlo, con una vita tranquilla e abbastanza superficiale, attenti a non scontrarsi con chi la pensava diversamente.
 L’arrivo di Katia aveva aperto un capitolo nuovo nella loro vita. Se fosse stato possibile, l’avrebbero tenuta sempre presso di sé e non si rifiutavano mai di farlo quando Giulia ne avesse avuto bisogno.


 Fu contando su questo aiuto che Giulia cominciò a immaginare un incontro decisivo con Andrea.
 Aveva saputo da lui che i suoi genitori possedevano una casetta in una pineta vicino al mare e che la frequentavano molto poco.
 Volle fantasticare che in quella dimora avrebbe potuto raggiungere una perfetta felicità.

 Giulia era discretamente colta. Ai ricordi scolastici aveva saputo aggiungere letture significative, non solo di narratori che avevano scandagliato l’animo umano, ma anche di pensatori che avevano ragionato attorno al significato e ai valori della vita.
 Di solito, quando aveva esaurito gli impegni familiari, trascorreva molte ore nel piacere della lettura di uno dei tanti libri che aveva raccolto in una buona biblioteca.
 Era anche appassionata di musica e non mancava di ascoltare non solo i cantautori più noti, ma anche i più grandi musicisti, soprattutto del Settecento e dell’Ottocento.
 Ma, in quei giorni, non riusciva a concentrarsi. Il pensiero dominante era Andrea. Lo sognava ad occhi aperti, sembrava che esistesse solo lui. Di lui, anche se lontano, sentiva il profumo corporeo; di lui ascoltava, dentro di sé, la voce armoniosa e la risata squillante.
 Doveva assolutamente rivederlo al più presto.
 Ma come fare? Sicuramente, in quella stagione, la zona attorno alla pineta doveva essere poco frequentata. Non sarebbe stato quindi pericoloso arrivare alla casa di villeggiatura dei genitori di Andrea. Mentre si rassicurava, le nascevano continuamente altri timori. Bisognava che i suoi movimenti non causassero alcun sospetto. Bisognava trovare il giorno adatto in cui Tullio fosse impegnato tutto il giorno, per sentirsi completamente libera.
 Questo alternarsi di pensieri si faceva sempre più frenetico, ma non poteva più nascondersi il bisogno fisico di possedere quel corpo, di sentirne vibrare tutte le fibre, e di donarsi a lui con tutto l’abbandono possibile.
 Era l’inizio di febbraio.

 La casa era il luogo in cui si trovava meglio, ma quel nido aveva finestre aperte alle voci del mondo.
 In casa aveva tante cose da fare: curare innanzitutto la bambina, alla quale non faceva mancare nulla che fosse necessario. Cercava anche di educarne i sentimenti.
 Terribili erano i giorni, in cui Katia aveva qualche problema di salute, specialmente nella stagione invernale. Sollecitamente si rivolgeva alla pediatra per averne confortanti consigli.
 Katia era nata senza problemi e scoppiava di salute. Non a caso. Prima di attenderne l’arrivo, Giulia si era informata su possibili malattie ereditarie e aveva fatto, assieme a Tullio, tutti i controlli possibili, entrambi convinti che un bambino avesse il diritto di nascere sano e che si dovesse fare tutto il possibile perché ciò avvenisse.
 Era sinceramente afflitta quando aveva notizia che un altro bambino era stato meno fortunato e doveva sopportare una vita difficile.
 Era sempre pronta a dare il suo aiuto e a mettersi a disposizione per qualsiasi assistenza.
 Era anche convinta che i bambini avessero il diritto di essere felici.
 Così, procurava a Katia tutte le occasioni perché i suoi primi anni trascorressero nella più totale serenità.
 Senza viziarla, cercava di rispondere alle sue esigenze ed amava molto portarla a spasso per farle vedere persone nuove e gli animali e per farle notare la ricchezza della natura, specialmente quando si ridestava a primavera o quando si colorava di sfumature in autunno.
 Con Tullio aveva un rapporto sereno. Non si vedevano spesso a causa del suo lavoro, ma alla domenica era tutto suo e volentieri ne godeva le intime confidenze notturne.

 Oltre a occuparsi di cose pratiche, Giulia sapeva trovare momenti tutti per sé, per curare la sua persona e interessarsi di varie cose.
 Non era solo appassionata di mostre pittoriche. Faceva il tifo per i suoi cantanti preferiti, sapeva infiammarsi a una partita di rugby, andava volentieri al cinema e, con Tullio, non mancava a qualche importante conferenza.
 Si occupava anche di cucina. Non era molto esperta e brava, ma traendo spunto dai libri, sapeva preparare qualche buon piatto. Alla domenica, in particolare, riusciva a imbandire un risotto squisito, dai più vari sapori, di cui Tullio era ghiotto.
 Non aveva amiche costanti. Piuttosto, conoscenti, con cui di volta in volta poteva andare al cinema o a un avvenimento sportivo, a vedere una mostra o a fare una passeggiata.
 Amava molto parlare con persone incontrate occasionalmente. Ne aveva fatto esperienza durante una campagna elettorale locale, in cui era candidata, andando nei mercati rionali o ai supermercati. Sapeva interessarsi ai problemi degli altri, ascoltandone le pene, ma anche le soddisfazioni.
Giulia stava anche bene con se stessa. Stare sola non le pesava. Rifletteva spesso su notizie ricavate dalla lettura dei giornali o da trasmissioni televisive. Non leggeva tutti i giorni un quotidiano, ma se lo procurava quando andava a spasso con Katia. Non se lo faceva mai mancare di domenica. Era quindi sempre informata di quanto avveniva sul pianeta e molto spesso era turbata dalle notizie su calamità naturali e su sconvolgimenti sociali.
 Pur appartata, era investita in pieno dalle sofferenze delle persone e dalle difficoltà del mondo di trovare risposte alle esigenze di una umanità alla ricerca di giustizia.
 Era anche giocherellona. D’estate, quando pioveva, era solita mettersi un impermeabile di nylon con cappuccio, indossare sandali di plastica e andare a camminare sotto la pioggia. L’acqua sul volto e sui piedi le dava una sensazione di vita rinascente. Rideva allegra e destava simpatia in chi la incontrava e si fermava a osservarla con piacere.
 Giulia aveva insomma una vita piena, senza noia, senza desideri inutili, tutta protesa verso l’esterno, con animo curioso, e tanta disponibilità a dare qualcosa di sé agli altri.
 Naturalmente la attraeva la spiritualità femminile e, pur senza farne una mania, riteneva che alle donne spettasse un posto più importante nella società.
 Tutto questo era Giulia, contenta di esserci e di poter essere utile.

 Ora, all’improvviso, un uragano stava sconvolgendo la sua vita operosa, ridestando echi di passate accensioni sentimentali e aggiungendo splendore alla sua giornata. Sapeva che doveva essere un momento passeggero, ma ne voleva assaporare tutti i frutti possibili.

 Tutto era avvenuto così in fretta. Giulia ne era un po’ frastornata.
 Come un forte vento impetuoso che spalanca una finestra socchiusa e scompiglia le carte ben ordinate di una stanza, Andrea era entrato di prepotenza nella vita di Giulia e ne aveva turbato gli equilibri del cuore. Ma non aveva riempito un vuoto. L’affetto di Giulia per Tullio era forte e sicuro.

 Giulia era dunque pervasa da una frenesia insolita e da una fretta inconsapevole. Il pensiero dominante era diventato quello di trovare il modo di incontrare Andrea nella casa in pineta.
 Pensò anche di fargli una sorpresa, telefonandogli. In un primo momento, le era sembrato troppo audace, ma poi si convinse che era un modo per sentirsi pari a lui. Così, una mattina, poco prima della solita ora in cui Andrea la chiamava, alzò la cornetta, compose trepidando il numero di telefono e attese.
 “Pronto.”
 “Sono Giulia …”
 “Giulia! … Che sorpresa! Come mai?”
 “… Mi frullava in testa un’idea e … avevo voglia di fartela conoscere.”
 “Cara Giulia, .. sì, … dimmela subito!”
 “ … Mi piacerebbe vedere la tua casa in pineta.”
 “Ma certo, … adesso è un po’ in disordine, ma se verrai la riassetterò per te.”
 “Sono incerta sul giorno, ma dovrebbe essere presto”, e istintivamente arrossì.
 Anche Andrea aveva ascoltato felicemente quel desiderio.
 In realtà, Giulia aveva pensato attentamente al giorno in cui avrebbe potuto andare e, arrossendo ancora, disse: “Vediamoci venerdì, nel primo pomeriggio.”
 Andrea fece un salto di gioia e la espresse così: “Ci sarò. Ti aspetterò. Non ne vedo l’ora … La strada per arrivarci è facile e comunque nei giorni precedenti te la indicherò con precisione."
 “D’accordo”, chiuse Giulia. “Non mancherò.”

 Giulia aveva tre giorni a disposizione prima dell’incontro. Bisognava organizzare nei dettagli la giornata.
 Il primo pensiero andò a Katia. Alla mattina, l’avrebbe portata, come al solito, alla scuola materna. Bisognava poi che la andasse a prendere il nonno Beppo, all’uscita. Katia aveva per lui un attaccamento straordinario. Quando lo vedeva, gli correva incontro per abbracciarlo e poi, durante tutto il tempo in cui era a casa dei nonni, gli faceva le moine.
 Il nonno era abituato ad andare in piazza, verso mezzogiorno, per incontrare gli amici e per bere con loro un aperitivo. Non gli sarebbe stato difficile andare a prendere Katia, all’uscita dalla scuola.
 Katia aveva un rapporto bellissimo anche con la nonna Sandra, che aveva incominciato a insegnarle a far da mangiare. Katia passava ore intere alla sua scuola. Se al pomeriggio fosse restato un po’ di tempo, la nonna l’avrebbe vestita per bene e l’avrebbe portata a fare un giretto.
 A Katia piaceva anche dormire dai nonni. La considerava una vacanza. Sarebbe stato quindi facile che la bambina venisse affidata ai nonni per tutta la giornata di venerdì, compresa la notte. Anche se il giorno successivo non fosse andata a scuola, non sarebbe stato un problema.
 Quanto a Tullio, aveva una consolidata abitudine. Quando si alzava al mattino e Giulia stava ancora dormendo, si portava silenziosamente in cucina e, senza farsi sentire, si preparava il solito caffè con la macchinetta espresso, prima di fare toilette. Se, quando aveva finito, Giulia dormiva ancora, se ne andava senza salutarla. Durante la mattinata, si prendeva una breve pausa dal lavoro e le telefonava per accertarsi che tutto fosse a posto.
 Non sarebbe stato difficile, nel giorno stabilito, quando Tullio si fosse svegliato, fargli credere che stava ancora dormendo, anche se il suo cuore sarebbe stato sicuramente in subbuglio. Era sicura che il marito avrebbe avuto una giornata piena di impegni e che non avrebbe potuto tornare prima delle otto di sera.
 La mattina di venerdì tutto andò bene. Giulia aveva portato a scuola la bambina che, come concordato con i genitori, avrebbe poi passato a casa loro tutto il resto del giorno e la notte successiva.
 Anche Tullio, verso mezzogiorno, aveva telefonato per sentire come stava. Al risveglio, infatti, Giulia aveva fatto la commedia e Tullio era andato a lavorare sicuro che dormisse.

 Era una mattina fredda e nebbiosa. Verso mezzogiorno, la nebbia si era diradata e si poteva vedere il globo solare coperto dalle nuvole grigie. Alle due, quando Giulia partì, il sole era riuscito a forzare le nubi e il freddo era diminuito.
 Fu un viaggio facile. Andrea le aveva spiegato bene il percorso. Solo inoltrandosi nella pineta ebbe un po’ di difficoltà. A un incrocio, fu incerta se andare a destra o a sinistra, e infatti prese erroneamente a destra. Capì subito di avere sbagliato, tornò indietro e giunse, senza incontrare nessuno, davanti a un fabbricato basso, circondato da una staccionata di legno. Non ebbe il tempo di fermarsi, che Andrea era già vicino all’auto e la aiutava a scendere, strappandola quasi al mezzo meccanico e trascinandola dentro la casa, che fu chiusa rapidamente. Dentro, si abbracciarono subito, si baciarono ardentemente, Andrea le carezzava i capelli, Giulia rispondeva prendendogli il volto tra le mani. Quasi subito, Andrea cominciò a spogliarla. Anche Giulia tentò di togliere ad Andrea i pochi vestiti indossati, ma Andrea fu più rapido, non solo spogliò lei, ma si tolse rapidamente i suoi indumenti. Restarono nudi, accarezzati dal tepore della casa. Si trascinarono verso un letto a due piazze, e si lasciarono cadere in un abbraccio intenso. Andrea la baciava ovunque, le accarezzava la pelle diafana, Giulia rispondeva ai suoi baci con altrettante effusioni. Si avvolsero, si storsero, si capovolsero, nessun centimetro di pelle sfuggiva ai loro baci, finché si possedettero in estasi e sembrò ad entrambi di sentire un’armonia intensa e diffusa. Un grido all’unisono concluse quello scontro ardente.
 Sfiniti, caddero supini, tenendosi la mano e respirando di felicità. Non si erano ancora parlati e i loro corpi, finalmente appagati, si assopirono.
 Stettero così per circa mezz’ora. Quando riuscirono a scambiarsi parole dolci e appassionate, si riabbracciarono e fu ancora un’estasi infinita, che finì con un altro amplesso gridato. Guardandosi intensamente negli occhi, stettero ancora l’uno aderente all’altra. Poi si stesero, dolcemente soddisfatti, in una pienezza di piacere infinita. Si coprirono.

 “Giulia, tesoro, finalmente sei venuta.”
 “Non ne vedevo l’ora.”
 “Come ti senti?”
 “Bene … sono serena.”
 “Ti sei stancata?”
 “Non tanto … ora mi riprendo.”
 Rimasero ancora un po’, la mano nella mano.
 Poi Giulia si sciolse, si mise a sedere e chiese dove fosse il bagno. Prese i suoi vestiti e si ritirò.
 Anche Andrea si era intanto alzato e rivestito. Con un pettine che aveva in una tasca, si riavviò i capelli.
 Quando Giulia uscì, si baciarono ancora dolcemente.
 “Giulia! … Ti faccio visitare la casa.”
 Tutto era molto in ordine, Andrea aveva sistemato ogni cosa con cura.
 Giulia capì che i suoi genitori erano di buon gusto e notò come l’interno della casa fosse stato impreziosito con tanti piccoli soprammobili.
 Intanto, Andrea le stava preparando un the.
 Lo bevvero in silenzio, sorridendosi.
 Si stava avvicinando l’ora in cui Giulia doveva andare.
 La nebbia era ridiscesa. Andrea volle accompagnarla. Misero i cappotti. Si baciarono ancora.
 “Rivediamoci presto”, disse Andrea.
 “Sì”, rispose Giulia.
 Salirono in macchina. Andrea, davanti, le faceva da guida e la accompagnò fino alla strada principale, dove si lasciarono scambiandosi un bacio con la mano.

 Appena giunta a casa, Giulia telefonò ai genitori. Tutto stava andando benissimo. Katia le comunicò con entusiasmo che avrebbe dormito dai nonni.

 Il martedì dopo, Giulia era ancora nella casa in pineta. Pure il secondo incontro fu pieno di passione e si amarono intensamente. Ma restò anche il tempo per parlare di sé, di rivelare almeno la superficie del loro animo. L’entusiasmo di Giulia cominciò ad incrinarsi. Nel breve tempo da quando si erano conosciuti in montagna e durante i fugaci incontri precedenti, Giulia aveva un po’ fantasticato, aveva immaginato che quel giovane così bello possedesse altrettanta profondità di sentimenti. Ora avvertiva che forse non era così. Ebbe l’impressione che Andrea si amasse troppo, che si compiacesse della sua capacità di destare interesse negli altri, di riuscire ad essere subito simpatico alle donne e desiderabile. Non ci fu tempo per approfondire la conoscenza, le ore a sua disposizione erano sempre poche. Pensò che non le sarebbe stato difficile capire di più nel prossimo futuro. E infatti, nel lasciarsi, si promisero di rivedersi al più presto.

 Un piccolo senso di colpa si insinuò nell’animo di Giulia. Il confronto tra Tullio e Andrea le sembrò molto più favorevole al primo. Ma non rinunciò a rivedere ancora il giovane che l’aveva tanto affascinata.

 Altre due volte, Giulia era ritornata in pineta. Aveva sistemato come al solito le cose in famiglia e tutto era avvenuto senza difficoltà.

 Erano stati altri incontri di forte sensualità, dai quali uscivano spossati, ma soddisfatti.

 Giulia, già al secondo incontro, nel lasciare Andrea, aveva accennato a una possibile conclusione della loro bellissima avventura.
 “Non ci pensare nemmeno”, fu la risposta di Andrea.

 L’ultima volta, era ritornata sulla stessa necessità. Andrea respinse ancora quell’idea. Giulia si fece più risoluta.
 “Abbiamo vissuto giorni felici. Il loro ricordo resterà vivo, se non lo faremo sbiadire nella routine”, disse con voce ferma.
 “Staremo sempre insieme, ci ameremo per l’eternità”, replicò Andrea.
 Giulia restò confusa. Non sapeva come fargli capire che non era possibile. Alla fine lo invitò a ripensarci.
 Dopo un bacio formale, si lasciarono imbronciati.

 Per Giulia, era stata un’esperienza nuova e inattesa. Aveva soddisfatto un irresistibile desiderio del corpo, ma non vi aveva impegnato i suoi sentimenti più profondi, che erano stabili e forti. Giulia viveva in armonia con il mondo che la circondava e quella bellissima avventura non avrebbe potuto incrinare i suoi rapporti con Tullio.

 Intanto, Andrea le telefonava tutte le mattine e ogni volta la sollecitava a un nuovo incontro. Giulia tentò di dissuaderlo, ma senza successo, finché cedette e concordò con lui quando rivedersi. Fu molto a breve, una settimana dopo, perché Giulia non voleva trascinare oltre una esperienza che doveva cessare.
 Fecero ancora l’amore, ma Giulia fu meno espansiva del solito. Andrea se ne accorse e la rimproverò.
 “Come puoi pensare che io possa dimenticarti?”
 “Andrea, sii ragionevole. Non ho motivi per abbandonare la famiglia.”
 “Non ora, non puoi lasciarmi adesso. Non potrò vivere senza di te.”
 Giulia provò tenerezza. Le moriva il cuore insistere. Ma doveva farlo. Non intendeva proseguire in una relazione che poteva sconvolgere la sua vita.
 Cambiarono discorso. Tentarono di conversare su altri argomenti, ma era chiaramente il tentativo di non scontrarsi sulla decisione di Giulia.
 Anche questa volta, si lasciarono un po’ scontrosamente, abbracciandosi senza troppo calore.

 Al ritorno, Giulia rifletté a lungo su quello che le stava succedendo, cercò di analizzare attentamente tutti gli aspetti della situazione in cui era venuta a trovarsi e giunse naturalmente a mettere a confronto l’uomo della sua vita, Tullio, e la folgorante presenza di Andrea.


 Tullio era di umili origini. Suo padre, che apparteneva a una famiglia povera, era stato avviato, ancora ragazzino, a fare l’aiutante in un negozio di barbiere. Ebbe quindi l’occasione di conoscere gli umori dei clienti. Molti erano soddisfatti del regime, altri ne parlavano chiaramente male, approfittando del fatto che il padrone era antifascista. Con il tempo, avvertì che i suoi sentimenti gli facevano condividere di più i discorsi dei secondi.
 Negli anni quel sentimento si andò fortificando e, uscito dall’adolescenza, incominciò a scambiare qualche parola con chi gli sembrava oppositore più deciso al regime.
 Entrò così in contatto con alcune persone che avevano accennato a una attività clandestina di informazioni sui guasti del fascismo. E si fece attivo.
 La occhiuta polizia ne notò i movimenti un po’ sospetti e a ventidue anni lo arrestò. Non ottenne da lui alcuna confessione, ma lo mandò lo stesso al confino in un’isola lontana.
 Fidanzato con una ragazza poco più giovane di lui, con gli stessi sentimenti antifascisti, decisero di sposarsi prima della sua partenza e il matrimonio fu celebrato da un funzionario del Comune, in fama di mangiapreti.
 Non ebbero quindi il tempo di festeggiare l’evento e il padre, sorvegliato da agenti del regime, dovette prendere il treno per una meta sconosciuta.
 La giovane moglie non resistette a lungo e, dopo qualche mese, lo volle raggiungere. Era una donna taciturna, ma di forte carattere. E, così, volle condividere con il marito le pene dell’esilio.
 Il padre, per procurarsi da vivere dignitosamente, continuò a fare il suo mestiere per gli altri confinati. Aveva poi goduto dell’amnistia nel decennale del regime.
 Tornato nella sua città, aveva ripreso a lavorare nello stesso negozio di barbiere, ma a trent’anni ne aveva aperto uno a suo nome, continuando nella sua attività clandestina, che lo portò a conoscere nomi importanti dell’antifascismo. Come avvertimento, la polizia lo arrestava, ogni anno, il giorno precedente il primo maggio e lo deteneva fino al giorno dopo.
 Gracile di costituzione, i tre anni di confino ne avevano minato la salute, che negli anni successivi ebbe delle complicanze, che si andarono aggravando, finché morì a soli cinquantuno anni, quando Tullio era ancora adolescente.


 In età adolescenziale, Tullio aveva quindi vissuto a contatto con un papà dai sicuri valori morali, senza indottrinamenti, in una famiglia decisamente schierata a sinistra, partecipe dei valori civili e democratici che si erano affermati con la resistenza al fascismo.
 La sua serietà di studente e il suo impegno nel lavoro avevano le loro radici in quella tacita educazione che aveva ricevuto dall’esempio paterno.
 Anche sposando Giulia aveva riaffermato, nei suoi comportamenti, una severa disciplina morale.

 Andrea non si era certo rassegnato a subire le intenzioni di Giulia e continuava a telefonarle tutti i giorni
 Nel rispondergli, Giulia tentava di spiegargli in tutti i modi come fosse opportuno interrompere quella relazione, ma le insistenze di Andrea erano soffocanti.
 Decise così di rivederlo un’ultima volta per cercare di convincerlo in modo definitivo.

 Quella mattina di inizio aprile si stava quindi recando da lui, che l’attendeva in pineta.
 Fu un incontro tempestoso.
 “Tu non puoi dimenticare questi mesi di ardente passione.”
 “Infatti, non li dimenticherò.”
 “E allora continuiamo a vederci!”
 “Non è possibile.”
 “Ma perché?”
 “Ti ho amato e continuerò ad amarti, ma tu devi cercare di capire la mia situazione.”
 “Ma che cosa è cambiato dalla prima volta che ci siamo incontrati?”
 “Non ho motivi per fare del male a Tullio.”
 “Ma dovevi pensarci prima.”
 “Hai ragione. Ho ceduto al fascino della tua persona, ma non ho mai pensato di abbandonare la famiglia.”
 Quasi piangendo, Andrea la supplicava.
 “Giulia, amore mio, non potrò più vivere senza di te. Non posso rinunciare alla tua vicinanza, al tuo corpo. Non voglio morire.”
 Giulia si irrigidì.
 “Dimostrati all’altezza della situazione. Se hai pensato per un momento che la tua apparizione nella mia vita potesse sconvolgerla, hai sbagliato e ora devi rendertene conto.”
 “Giulia, Giulia, non abbandonarmi, non potrò mai rassegnarmi.”
 “Andrea, non fare così”, e gli accarezzò i capelli. “Sei tanto giovane, potrai avere tanti altri amori nella tua vita e dimenticarmi.”
 “No, no, non è vero. Se mi lasci, giuro che non mi rassegnerò.”
 Giulia si irrigidì.
 “Andrea, spero che ci ripenserai. Io ti ho dato tutto quello che potevo. Ora, dobbiamo chiudere.”
 Prese il cappotto, si coperse e lasciò Andrea stordito, quasi incapace di capire quello che stava succedendo.

 Il ritorno a casa fu pieno di pensieri preoccupati per quello che Andrea avrebbe potuto fare, ma non ebbe pentimenti. Seppure il suo cuore fosse agitato per la conclusione così sofferta di un amore che pure aveva portato nella sua vita aria fresca e di gioventù, restò ferma nella sua decisione.

 Andrea intanto era deciso di non lasciare nulla di intentato pur di rivedere Giulia e incominciò ad almanaccare in quali modi fosse possibile.
 Innanzitutto, non smise di telefonarle. Ogni mattina, il telefono di Giulia suonava sempre alla stessa ora, a riprova che Andrea non considerava chiusa la loro relazione.
 Voleva così riaffermare che era ancora parte della sua vita e che non avrebbe lasciato nulla di intentato pur di rivederla.
 Giulia, il più delle volte, gli rispondeva molto concisamente, e lo invitava a desistere.
 Altre volte, accettava di dialogare per cercare di farlo ragionare.
 Una volta, capitò anche che rispondesse a una sua domanda insidiosa, senza avvertirne il pericolo.
 “Vediamoci domani alle 15. La casa in pineta è sempre libera, i miei genitori non vi verranno prima di giugno.”
 “No, proprio domani a quell’ora devo andare al cinema con delle amiche.”
 “Davvero, che film vai a vedere? Mi piace conoscere i tuoi gusti.”
 “E’ un film premiato a Venezia l’anno scorso, di cui non ricordo il nome.”
 E tutto finì lì.
 Andrea cominciò ad informarsi su quanti cinema ci fossero nella città di Giulia e a cercare di capire in quale si proiettasse un film premiato a Venezia.
 Non gli fu difficile venirne a conoscenza.
 Il giorno dopo, prima dell’inizio del film, era davanti al cinema, dove avrebbe dovuto arrivare Giulia con le sue amiche.
 Infatti, così avvenne. Quando Giulia lo notò di lontano, si sentì mancare, ma non potendo dire nulla per la presenza delle amiche, finse di non averlo visto.
 Dentro, Giulia e le amiche si accomodarono ed Andrea andò a sedersi nelle loro vicinanze. Anziché guardare il film, fissò Giulia durante tutta la proiezione.
 Giulia ne avvertiva lo sguardo e avrebbe voluto scomparire. Non riuscì a concentrarsi nella visione del film. Al termine, uscì dalla sala con le amiche ed Andrea la seguì per un lungo tratto di strada.
 Si era trattato di un comportamento infantile, ma Andrea voleva ribadire che Giulia non si sarebbe sbarazzata facilmente di lui.

 Andrea osò pensare a un altro stratagemma pur di esserle ancora vicino e cercare di convincerla che doveva cedere alle sue insistenze di ritrovarsi con lui.
 Si ricordò che, al termine della vacanza in montagna, aveva stretto la mano a Tullio, con il quale aveva scambiato queste parole:
 “Caro Professore, sono stato molto fortunato di fare la sua conoscenza. Spero di poterla rivedere ancora.”
 “Anch’io sono molto contento di averla conosciuta. Non potrà mancare qualche occasione di sentirci e di rivederci. Lei ha il mio numero di telefono, e non mi disturberà se mi farà sapere come stanno andando i suoi studi.”
 Andrea avvertiva che la sua era un’idea folle, ma era disposto a tutto pur di non perdere Giulia.
 Prese in mano la cornetta del telefono, esitando. Compose il numerò di Tullio e, per una attimo, sperò di non trovarlo.
 Invece.
 “Pronto, chi parla?”
 “Sono Andrea, non so se si ricorda di me, in montagna …”
 “Ah, sì, certo. Come sta?”
 “Sto bene. Grazie. Sto lavorando alla tesi di laurea. Mi è venuta la voglia di conoscere un po’ il mondo accademico, perché, al termine degli studi, vorrei intraprendere quella strada.”
 “Non gliela consiglierei. Ma, se è determinato, mi farà piacere parlargliene.”
 “Quando potrei venirla a trovare?”
 “Sul posto di lavoro è difficile incontrarsi, perché è un periodo in cui sono molto impegnato. Potremmo vederci a casa mia, se accetta di essere mio ospite.”
 “Ma, Professore, non vorrei essere troppo di disturbo.”
 “Non lo sarà, e anzi farà piacere anche a mia moglie.”
 Concordarono il giorno e l’ora. Sarebbe stato una sabato, per il pranzo.
 Tullio era caduto nel tranello e Andrea, seppure pieno di timori, si apprestò a quell’appuntamento.


 Nel giorno stabilito, Andrea si presentò all’indirizzo di Tullio, con un mazzo di fiori per la signora.
 Giulia era stata informata che sarebbe venuto. Era rimasta di ghiaccio, ma, con grande sforzo, aveva fatto finta che sarebbe stato gradito.
 Per l’occasione, aveva chiesto ad Alice di venire a preparare il pranzo.
 Si vestì in modo sobrio e attese trepidante.
 Tutto avvenne, come si poteva prevedere. Tullio accolse cordialmente Andrea, stringendogli la mano. Giulia porse la sua, mollemente. Andrea invece la strinse con forza.
 Durante il pranzo, vi fu una fitta conversazione tra Tullio e Andrea, alla quale Giulia quasi non partecipò, intenta a non incrociare lo sguardo di Andrea.
 Al termine, Tullio accompagnò all’uscita Andrea, salutandolo ancora con tutto il calore possibile. Giulia invece l’aveva salutato in sala da pranzo, con molta formalità.
 Tullio aveva notato la freddezza di Giulia e le domandò se non avesse fatto male ad invitare Andrea.
 “No, no”, rispose Giulia, “ma oggi ho molto mal di testa.”

 Il giorno dopo, squillò il telefono. Giulia non rispose, e così nei giorni successivi.

 Da quando Tullio le aveva annunciato che ci sarebbe stata la visita di Andrea, Giulia era entrata in uno stato confusionale. Le sembrava impossibile che Andrea avesse osato tanto, ma doveva rassegnarsi all’evidenza. Si convinse che era disposto a tutto, pur di riuscire a convincerla a riprendere la loro relazione. Siccome era determinatissima a non riaprire quella pagina della sua vita, incominciò a pensare a come impedire il disegno di Andrea.
 Non riusciva però a venirne a capo.
 Dopo molti giorni di tormento, si convinse che forse sarebbe stato opportuno parlarne a Tullio, anche se non riusciva a immaginare la sua reazione.

 Poteva forse fare diversamente? Poteva consentire che Andrea distruggesse la loro vita? Meglio affrontare la giusta ira di Tullio che rischiare qualche altra sconsiderata azione di Andrea.

 Nel momento in cui le parve più opportuno, turbata, attirò l’attenzione di Tullio e si accusò di una cattiva azione che avrebbe potuto causare il suo disonore e la distruzione della loro famiglia.

 Tullio la guardava senza capire. Mai avrebbe potuto immaginare quello che Giulia gli stava per rivelare. Le disse che forse stava esagerando.

 Giulia si mise a piangere, non riusciva a parlare. Tullio cercò di confortarla, ma Giulia, con un nodo alla gola, seduta su una poltrona, si prese la testa tra le mani e:
 “Tullio, se parlo, mi disprezzerai.”
 “Abbi fiducia in me. Ci siamo sempre parlati su ogni questione e ci siamo sempre capiti.”
 “Questa volta è diverso. Ti ho mancato di rispetto.”
 “Ma cosa sarà mai. Abbi fiducia in me.”
 “Dovrei andarmene, lasciarti libero e non tornare più.”
 “Ma, insomma, Giulia. Vuoi parlare!”
 Giulia continuava a singhiozzare, non osava rivelare il suo tormento, ma, a un certo momento, sbottò:
 “Tullio, perdonami, sono stata con un altro uomo.”
 Seguì un lungo silenzio. Tullio si era irrigidito. Gli sembrava impossibile. Non si era accorto di nulla e ora questa confessione lo costringeva ad aprire gli occhi sulla realtà.

 “Ma … con chi?”
 “Non vorrai crederci.”
 “Ma dimmi … insomma.”
 “Non ho il coraggio … Con una persona che ti ha offeso gravemente.”
 Tullio non riusciva a capire.
 “Con il tuo ospite di qualche settimana fa.”
 Tullio rimase annichilito. Si sentì profondamente ferito. Si chiedeva come non avesse potuto sospettare nulla. Andrea lo aveva spudoratamente preso in giro. Ebbe la tentazione di insultarlo, di gridargli tutto il suo disprezzo, ma, nello stesso tempo, osservava Giulia, incredulo. Come aveva potuto cedere alle lusinghe di un giovinastro? Che cosa le era mancato? Non riusciva a capacitarsi. Gli sembrava che i loro rapporti fossero sempre stati improntati a rispetto e fiducia reciproca. Quale poteva essere il motivo che l’aveva spinta a un’azione di cui ora si vergognava?
 Non sapeva darsi delle risposte. Nondimeno, le gridò:
 “Giulia, amore mio, che cosa è successo? Fammi capire!”
 Giulia se ne stava zitta. Non riusciva a confessare di aver ceduto al fascino di Andrea e di non avere tentato di resistervi, ma alla fine, piangendo, cominciò a raccontare a Tullio quello che era avvenuto: dei primi incontri quasi amicali e poi di quelli avvenuti nella casa in pineta. Si accusava senza pietà della leggerezza del suo comportamento, ma si scusava affermando che non aveva voluto mancargli di rispetto, che tutto era accaduto senza che ne avesse piena consapevolezza, che la bellezza di quel giovane l’aveva stregata.
 Tullio ascoltava in silenzio, ma dentro gli fermentava un odio mai sospettato. Non verso Giulia, ma contro quell’intrigante senza onore. Gli balenavano in mente tante intenzioni di vendetta, ma tutte confusamente.
 “Giulia, dobbiamo punirlo e impedirgli di fare altro male.”
 “Sì … hai ragione, ma come fermarlo? Non mi dà tregua, ogni giorno mi fa soffrire sempre di più, non so più come comportarmi.”
 “Dobbiamo trovare il modo di fargli capire che, se non la smette, potrebbe incorrere in qualche grave conseguenza.”
 Tacquero entrambi. La loro mente era tormentata da mille pensieri e propositi, ma ancora nessuno aveva chiaro che cosa si dovesse fare.

 Intanto, Andrea, anche se non otteneva risposta, telefonava a Giulia tutti i giorni. Era diventato un incubo. Giulia temeva che telefonasse in ore diverse dalla solita e che gli potesse rispondere Tullio. Non riusciva a immaginare la sua reazione.

 Tullio si incupiva ogni giorno di più. Il pensiero della vendetta, che gli era subito balenato, si andava precisando. Alle volte, si sorprendeva come ormai ne fosse dominato, lui che non aveva mai pensato di poter essere violento, lui che si era sempre ritenuto incapace di fare del male.

 “Giulia, … l’offesa è stata troppo grande! Non posso restare indifferente.”
 “Ma che cosa vorresti fare?”
 “Devo punirlo!”
 “Ma … come?”
 “Deve pagare per il male che ha fatto!”
 “Ma … che cosa hai in mente?”
 “Io … l’uccido!”
 Un grido lacerante uscì dalla gola di Giulia.
 “No, Tullio no! Non perdiamo la testa!”
 “E’ un pensiero che non mi lascia più. Giorno e notte. Sto perdendo interesse a tutto. Mi sento in balia di una forza che non riesco più a dominare.”
 “Tullio dobbiamo ragionare! Pensiamo a Katia, pensiamo al nostro futuro! Non dobbiamo annientare la nostra vita.”
 Tullio rimaneva silenzioso. La testa tra le mani, in uno stato di vaneggiamento.

 Passarono così altri lunghi giorni. Senza volerlo, Tullio si arrovellava sul da farsi. All’improvviso, si rammentò di una storia raccontatagli dalla madre. Suo padre, alla fine della guerra, si era trovato in possesso di una pistola, procuratagli dagli oppositori al regime. Avrebbe dovuto consegnarla alle autorità militari. Non lo aveva fatto. Anzi, l’aveva nascosta. In giardino.

 Tullio e Giulia abitavano in una casa che era stata dei genitori di Tullio e che loro avevano ristrutturato, negli ultimi anni, secondo le proprie esigenze.
 Era formata di due piani.
 Al primo piano, le stanze più frequentate: la cucina, la sala da pranzo, un salottino ed il bagno.
 Al piano superiore, la parte notte con le stanze da letto, i servizi igienici e un piccolo studio per Tullio.
 La villetta era circondata da una basso muretto, sormontato sul davanti da una protezione in ferro battuto e sui lati e sul retro da una rete metallica.
 Nella parte anteriore c’era un piccolo giardino, con vari tipi di piante di fiori. Dietro, invece, il terreno era tenuto a prato, sul quale si ergeva un vecchio salice.
 Secondo il racconto della madre, la pistola era stata nascosta proprio in un punto vicino a quella pianta.
 La madre aveva considerato quella scelta del marito piuttosto stravagante, inutile, che poteva procurare loro solo qualche fastidio, per cui non ne avevano più parlato.
 Ora, Tullio pensò di recuperare quell’arma. Aveva il dubbio che fosse ancora utilizzabile. Era passato tanto tempo e forse si era arrugginita. Ma confidò che il padre avesse saputo proteggerla adeguatamente.
 Incominciò, una sera, sul tardi, a scavare alla flebile luce di una luna nascente. Scelse un punto, scavò con fatica a fondo, ma non trovò nulla. Richiuse in fretta.
 Le sere successive, quando nessuno poteva accorgersi di nulla, ricominciò a scavare in punti sempre vicini a quello precedente. Per molte volte lo fece inutilmente.
 Quando ormai si stava convincendo che forse la madre si era sbagliata, il badile urtò qualcosa di resistente. Trattenne un grido e riprese a lavorare con più circospezione, per non danneggiare il probabile involucro.
 Alla fine, sollevò una cassettina di legno intrisa di umidità, la portò in casa e sistemò il terreno scavato.

 Per tutte quelle sere, Giulia aveva seguito i tentativi di Tullio con animo turbato, e ogni tanto cercava di dissuaderlo. Sperava di riuscirci, anche se Tullio le sembrava in preda a un pensiero fisso di vendetta. Aveva creduto di conoscerlo bene. Si accorgeva invece che Tullio mostrava un insolito aspetto di sé. Era sempre stato riflessivo e moderato. Ora, quasi la impauriva. Avrebbe cercato di resistere in tutti i modi al suo impulso di morte.

 Nel frattempo, Tullio aveva aperto la cassetta e aveva trovato che la pistola era stata ben protetta. Era infatti avvolta in molti strati di cartone e stoffa. Così si trovò in mano un’arma quasi perfetta, con due sacchetti: uno conteneva quattro pallottole, l’altro, poté capire, un silenziatore. Aveva bisogno soltanto di un buon lubrificatore.


 Doveva ora attirare Andrea in un tranello. Lo stesso odiato nemico gliene offerse l’occasione. Andrea non aveva mai telefonato di sabato perché sapeva che avrebbe potuto rispondere Tullio. Ma, inavvertitamente, chiamò proprio in un tale giorno e rispose proprio Tullio. Alla sua voce, Andrea restò di ghiaccio, ma si riprese subito.
 “Caro Professore, sono Andrea. Sapevo che oggi avrei potuto trovarla e così mi sono permesso di disturbarla, per sapere se possiamo rinnovare il gradito incontro del mese scorso.”
 Tullio colse la palla al balzo.
 “Sì, certo. Sarà un piacere rivederla e parlare delle cose che ci stanno a cuore.”
 “Quando sarebbe possibile?”

 “Mi lasci pensare … Sabato prossimo … no … perché sono impegnato in un convegno. Si potrebbe fare il sabato successivo, tra due settimane.”
 “Va bene. All’ora di pranzo sarò a casa sua.”
 “D’accordo. Stia bene.”
 “Grazie. Anche lei.”

 Ormai, il dado era stato tratto. Appena lo seppe, Giulia si disperò. Pretendeva che Tullio annullasse quell’appuntamento. Non avrebbe resistito a un nuovo incontro, che avrebbe potuto essere drammatico, se non fosse riuscita a far ragionare Tullio. Lo implorò in tutti i modi. Minacciò di uccidersi. Inutilmente. Tullio era irremovibile.

 Giunse il giorno fatidico. All’ora stabilita, Tullio fu alla porta ad accogliere Andrea. Era una giornata di luglio molto afosa. Si era perciò dovuto accendere l’impianto di raffreddamento. Tutte le finestre erano chiuse. Dall’esterno non arrivava alcun rumore.

 Con grande fatica, Tullio riuscì a fare una smorfia di sorriso, invitando l’ospite ad accomodarsi. La porta fu richiusa. Anche questa volta, Andrea si presentava con un mazzo di fiori. Non fece in tempo a consegnarlo con un ossequio a Giulia, pallida per lo spavento, che Tullio lo apostrofò.
 “Sfrontato, senza onore, millantatore, feccia di questa terra, come osi continuare in questa commedia?”
 Andrea era stato preso alla sprovvista. Ma capì subito quello che doveva essere accaduto. Tentò di ritirarsi, ma Tullio lo prese per il bavero della giacca, lo attirò al centro della stanza e lo schiaffeggiò violentemente. Andrea barcollò. Non sapeva cosa dire.
 “Non solo hai tradito la mia fiducia, ma continui a perseguitarci. Meriti di pagare la tua infamia.”
 In un lampo, si impossessò della pistola che aveva messo a portata di mano e la puntò contro Andrea.
 “No. Si fermi”, riuscì a proferire Andrea.
 “No, Tullio, no”, gridò atterrita Giulia, che si era frapposta tra i due.
 Seguì una colluttazione. Andrea, vigliaccamente, si faceva scudo di Giulia, che si sporgeva in avanti per deviare il braccio di Tullio. Tullio perse l’equilibrio e, senza intenzione, premette il grilletto. Andrea cadde a terra. Era stato colpito alla testa. Un colpo mortale.

 Giulia e Tullio si guardarono, attoniti. Era successo l’imprevedibile. Tullio, nei lunghi giorni di attesa della vendetta, aveva continuato a maneggiare l’arma, ma, dentro di sé, sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di usarla. Gli sarebbe bastata a impaurire Andrea e a convincerlo che quella pagina di tormento doveva cessare per sempre.


 Ora, il dramma si era avverato. Al primo momento di sconcerto, seguì il lamento lacerato di Giulia.
 “Tullio, che cosa hai fatto!?”
 “Giulia, perdonami, non volevo, è stata una disgrazia.”

 In piedi, pallidi in viso, guardavano il corpo esanime di Andrea, incerti sul da farsi.


 Avrebbero potuto andare dalla polizia e denunciare il delitto, fornendo tutte le loro giustificazioni, sperando in qualche attenuante.
 Ma sarebbe stata la fine di tutto, la rovina della famiglia, il disonore sociale, la perdita di Katia.
 Vi pensarono un momento senza scambiarsi parola, poi convennero di far sparire il cadavere e ripulire il pavimento dal sangue che l’aveva imbrattato.
 Bisognava fare presto. Guardarono alle finestre. Non notarono alcun movimento. Nessuno si era accorto di nulla.
 Ma come attuare il folle proposito?
 Nell’ultimo mese, era molto piovuto. I corsi d’acqua erano in piena. Forse il fondo del mare avrebbe potuto seppellire per sempre quel corpo.
 Decisero di portare il cadavere lontano e di scaricarlo in un ramo del grande fiume, nel punto più vicino al mare, in modo che la corrente lo trascinasse via velocemente.
 Attesero la notte. Quando fu buio fondo, con molta circospezione e con grande fatica, sollevarono il cadavere, che era stato ricoperto e sistemato in un gran sacco, e lo trascinarono fuori. Davanti alla casa, aspettava la macchina. Con un ultimo sforzo, riuscirono ad adagiarlo nel bagagliaio, già aperto.

 Senza altri indugi, chiusero la porta. Tutte le imposte furono lasciate aperte, per non destare sospetti.
 Dovevano fare presto. Prima che albeggiasse dovevano essere di ritorno.
 Partirono, nel silenzio più agghiacciante. Tullio guidava a moderata andatura. Nessuno doveva notare qualche cosa di strano. Nel giro di due ore, furono nel punto del fiume che avevano concordato. Si portarono sull’argine, percorrendo una stradina in terra battuta. Si fermarono, si guardarono intorno. Nessuno. Si sentiva solo il canto dei grilli e lo scorrere veloce ma sommesso dell’acqua. Aprirono il bagagliaio. Con molta fatica estrassero il corpo di Andrea e discesero l’argine in un punto già battuto da altri visitatori. Vicini all’acqua, con un ultimo sforzo, lanciarono il sacco il più lontano possibile dalla riva. La corrente se lo portò subito via. Si guardarono ancora intorno. Non notarono nulla.

 Anche il rientro avvenne nel silenzio più assoluto. Nessuno dei due sarebbe riuscito a pronunciare una parola. Furono a casa prima dell’alba. Lasciarono la macchina davanti alla villetta. Entrarono. Chiusero la porta. Sempre in silenzio, provvidero insieme a pulire il pavimento della sala da pranzo e a raccogliere gli stracci sporchi in un sacco di tela. Tullio lo portò in una discarica, lontano da casa. Rientrato, si ritirarono in due stanze diverse, senza scambiarsi un saluto.

 Giulia non riusciva a riaversi. Era in preda a uno scoramento indicibile. Si considerava la causa di tutto. Come aveva potuto pensare che la relazione con Andrea non potesse avere gravi conseguenze sulla sua famiglia? Ora, era di fronte a una realtà terribile. Tullio omicida e lei che aveva partecipato a far sparire il cadavere. Che futuro potevano avere? La scomparsa di Andrea sarebbe stata presto notata. La polizia avrebbe indagato. Come potevano sfuggire a una giusta punizione? Che ne sarebbe stato di Katia? Un pianto strozzato la soffocava. La sua bambina, tradita da una mamma assassina! Un disonore indelebile che Katia avrebbe dovuto sopportare per tutta la vita! Se ne stava inerte, incapace di qualsiasi azione.


 Tullio ancora non si rendeva ben conto di quello che era successo. Era accaduto in un tempo così rapido. La necessità di disfarsi di quel corpo odiato aveva assorbito ogni altro pensiero. Ma ora che fare? Pensare che nessuno si sarebbe accorto di alcunché era semplicemente ridicolo. Lo attendevano giorni angoscianti. Sì, il colpo era partito inavvertitamente, ma il delitto lo aveva premeditato e si era procurato l’arma per compierlo. Non significava nulla che non avesse avuto intenzione di usarla, che non ne sarebbe stato capace. Il fatto era ormai accaduto e lo inchiodava a una responsabilità, che non poteva avere attenuanti. Essere stato tradito dalla moglie, non giustificava in alcun modo una reazione così drammatica. Era tutto compromesso. Non c’era più futuro, né in famiglia né all’università. Presto si sarebbe saputo quello che era successo, ed aver fatto sparire il corpo di Andrea sarebbe stato assolutamente inutile. Forse non restava che costituirsi e dichiarare apertamente la sua colpa. Ma, intanto, non si decideva.

 Era fin troppo facile previsione che, in molti, si sarebbero accorti dell’assenza di Andrea.
 Innanzitutto i genitori, che erano abituati a non vederlo per qualche giorno, quando si concedeva una vacanza, ma che non potevano restare indifferenti se l’assenza si prolungava più del solito. Anche perché, quando succedeva, Andrea li avvertiva con una telefonata.
 Non potevano non essere sorpresi gli amici, che Andrea frequentava con una certa assiduità. Infatti, cominciarono a cercarlo e a telefonargli a casa.
 I genitori ebbero così la certezza che doveva essere successo qualcosa di insolito.
 Attesero ancora un paio di giorni e poi, angosciati, si rivolsero alla polizia per denunciarne la scomparsa.

 La polizia si mise subito all’opera. Cominciò ad interrogare proprio i genitori sulle abitudini di Andrea. Su loro indicazione, convocò anche gli amici. Raccolse così molte notizie sul giovane, sulle persone e sugli ambienti che frequentava.

 Su informazione della polizia, anche i giornali locali e regionali diffusero con clamore la notizia sulla scomparsa del giovane.

 Cominciarono allora a presentarsi alla polizia persone estranee alla famiglia e alla cerchia degli amici, ma che conoscevano di vista Andrea e che avevano notato la sua presenza in qualche parte della città. Ma non emersero informazioni che potessero orientare le indagini.

 L’identikit diffuso dalla polizia era molto preciso e di Andrea erano stati forniti molti particolari: statura e peso, età e abbigliamenti, e la particolare bellezza.
Notizie giunsero allora anche da altre parti della regione. Chi diceva di ricordarsi di averlo visto in qualche ambiente pubblico e a qualcuno era anche parso di averne notato la presenza assieme a delle donne.

 Erano indizi troppo generici e la polizia non riusciva a dare corpo a una indagine di qualche rilievo, finché, dopo molti giorni, arrivò una segnalazione più precisa. Una fioraia gli aveva venduto per due volte un mazzo di fiori. Individuata la nuova località, agenti in borghese si recarono dalla fioraia, ma non poterono saperne di più: la fioraia confermava di aver venduto i mazzi di fiori a un giovane che, secondo lei, corrispondeva al profilo diffuso dalla polizia.
 Fu allora affidato al giornale locale di diffondere la notizia che quel giovane, di cui finora non si avevano notizie da molto tempo, aveva acquistato dei mazzi di fiori nella tale fioreria e si chiedeva se qualcuno lo avesse incontrato. Più di una persona comunicò di averlo visto, anche se non si era domandata dove stesse andando. Ma una donna seppe indicare la casa davanti alla quale si era fermato.

 La vita di Giulia e di Tullio era intanto ritornata apparentemente normale.
 Tullio frequentava l’Università, dove erano in corso i periodici esami di facoltà. Era intristito, e i colleghi se ne erano accorti e gli domandavano se fosse successo qualcosa. Tullio li rassicurava, dicendo che non stava molto bene, ma che tutto sarebbe passato presto. Un’idea fissa lo tormentava: doveva costituirsi o sperare che, per qualche insondabile ragione, nessuno si potesse accorgere del suo delitto?
 Anche Giulia aveva ripreso le sue abitudini quotidiane, Al mattino, portava a scuola Katia e, se necessario, andava al supermercato per le provviste alimentari. Quando Katia usciva di scuola, lei era là, le faceva tante feste, e poi a casa le preparava il pranzo. Anche il pomeriggio era impegnato con la bambina, e questo l’aiutava a non pensare in continuazione al suo dramma.

 Suonarono alla porta. Erano le due del pomeriggio. Tullio era rientrato da poco e non aveva ancora pranzato. Si affacciarono alla finestra, due uomini erano in attesa. Non capirono subito. Al citofono, chiesero chi fosse. A sentire il nome della polizia, si guardarono fissamente e si abbracciarono in silenzio. Aprirono. Gli agenti si presentarono, chiesero le loro generalità e li invitarono a presentarsi al più presto al comando di polizia per accertamenti.

 Appena il tempo per portare Katia dai nonni e poi, rassegnati e depressi, si recarono alla sede di convocazione. Non si erano scambiati molte parole, Tullio le aveva preannunciato che si sarebbe accollata ogni responsabilità e che quindi lei poteva sperare che non le sarebbe successo nulla di irrimediabile. Giulia protestò che non l’avrebbe abbandonato.

 Entrarono. Furono fatti accomodare. Un commissario li informò che il giovane Andrea era scomparso e che, per l’ultima volta, era stato visto davanti alla loro casa. Lo conoscevano? Portava un mazzo di fiori. Era stato loro ospite?

 Giulia scoppiò in un pianto disperato. Tullio si era irrigidito, il volto terreo.
 “Sono stato io. Mia moglie non c’entra”.
 Aveva confessato. Ora solo la clemenza di una corte poteva evitargli una pena durissima.
 In ogni caso, il commissario non si accontentò dell’ammissione. Volle conoscere tutti i particolari dell’omicidio, il movente, chi vi aveva partecipato e in quali forme.
 Sebbene con la voce strozzata, Tullio fornì la ragione che lo aveva portato a compiere quel gesto, ne descrisse tutti i dettagli e tentò di attenuare la sua colpa dicendo che era stata una disgrazia, che il colpo di pistola era partito inavvertitamente.
 Mentre parlava, Giulia continuava a singhiozzare.
 Il Commissario dispose il fermo di entrambi e li invitò a nominare un loro avvocato di fiducia.
 Tullio e Giulia sapevano che non sarebbe servito ad attenuare la loro responsabilità e vi rinunciarono.
 Furono ammanettati, portati presso il carcere più vicino e rinchiusi in due celle separate.

 Giulia era affranta. Pensava alla sua piccola Katia. I nonni l’avrebbero sicuramente protetta, tenendole nascosta per il momento la verità. Le avrebbero raccontato qualche bella favola per non farle sentire l’assenza di mamma e papà. Ne avrebbe comunque sofferto. Per questo Giulia non sapeva darsi pace, ma era ormai rassegnata. Ora sentiva la necessità di ripercorre tutte le tappe di quella storia che in pochi mesi aveva portato alla distruzione della sua famiglia. Il suo era stato un amore sincero e appassionato e non aveva mai immaginato che potesse avere un simile epilogo. Aveva amato e si era sentita bene, ma senza intenzione di far male a qualcuno. Era stata una libertà che si era sentita di prendere, senza, per questo, avere intenzione di rimettere in discussione la sua vita. Non aveva potuto prevedere una reazione così dura da parte di Tullio. Erano entrambi di idee liberali e la sua leggerezza, se così si poteva chiamare, non avrebbe dovuto causare tanto dolore. Lei almeno pensava che non avrebbe reagito in quel modo se Tullio avesse avuto un momento di distrazione familiare. Ma, ormai, era inutile rivangare il passato. Ora bisognava guardare in faccia la realtà.

 Tullio si era chiuso in se stesso, quasi incapace di rendersi conto di quello che era successo. Ma a poco a poco, incominciò a sciogliersi in una sensazione di tenerezza, alla quale raramente si abbandonava. Ripensava alla sua vita con Giulia, all’armonia che era sempre esistita con lei e al futuro che con lei aveva immaginato. Un groppo alla gola lo colse quando pensò a Katia, al suo frugoletto a cui aveva rovinato per sempre l’avvenire. Anche al lavoro pensò. Lo aveva sempre fatto volentieri e la sua carriera era certa: avrebbe potuto diventare ordinario e condurre una vita piena di riconoscimenti e forse di onori. Tutto vanificato da un sentimento insolito che lo aveva colto all’improvviso e che non gli aveva più dato pace. Un sentimento al quale si riteneva estraneo, ma che lo aveva imprigionato e condotto alla rovina.

 Il processo avvenne per direttissima. Malgrado l’efficace arringa del difensore, le pene, anche se diverse, furono molto pesanti per entrambi.
 Si interrompevano così le loro vite. Avrebbero potuto essere ancora piene di soddisfazioni. La gelosia le aveva invece mandate in frantumi.
 Ma forse c’era ancora una speranza. Con una buona condotta, sarebbe stato sicuramente possibile ottenere uno sconto di pena. Allora, forse, anche Katia li avrebbe perdonati e avrebbero potuto passare con lei ancora qualche anno della loro esistenza.

*

Un caso straordinario

   Si sentiva stanco, ma molto soddisfatto.
   Sapeva che tutti lo consideravano un oggetto senz’anima (se così si può dire), ma la realtà era molto diversa.
   Non ricordava nulla della sua nascita, né avrebbe saputo dire come fosse arrivato in quella casa.
   Ricordava solo una festosa accoglienza. Come di un ospite atteso, di cui si era sentito parlare molto bene, anche perché (lo capì successivamente) era di grandi dimensioni.
   Si sentiva orgoglioso. Aveva la netta sensazione di essere utile e di dare anche molto benessere e addirittura felicità a chi ne cercava la compagnia.
   Ora che non era più giovane e che aveva accumulato molta esperienza, ogni tanto rifletteva sulla sua vita.
   Potrà sembrare esagerato chiamarla così, ma lui era ormai convinto che la sua fosse un’esistenza senza precedenti.
   Si domandava spesso come avesse potuto avvenire ed era riuscito a darsene una spiegazione.
   Appena giunto nel nuovo ambiente, non aveva nessuna coscienza di sé, ma l’avervi abitato per molto tempo era stato di grande insegnamento.
   Inizialmente, sentiva solo frastuono e molta confusione, ma, con il passare del tempo, aveva potuto rendersi conto di avere delle qualità.
   Era consapevole che gli mancava la vista e la parola, ma era sensibile agli odori e soprattutto ai pesi. Non era neppure privo di udito, anche se non percepiva tutto con sicurezza.
   La lunga attenzione che aveva posto a quanto avveniva intorno, gli aveva consentito, un po’ alla volta, di comprendere il senso di quello che dicevano i suoi frequentatori.
   Ma ciò che lo inorgogliva di più era la capacità ormai acquisita di riflettere su ciò che gli era finora accaduto e il fatto ormai evidente che anche una cosa semplice, come lui si considerava, e posta in una posizione così subalterna, avesse un ruolo insostituibile.


   Nel tempo in cui era lasciato solo si compiaceva della sua semplice biografia, così ricca però di vita vissuta.
   Anche se non conosceva chi lo aveva ospitato con tanta allegria, lentamente aveva fatto confidenza con i suoi frequentatori e ne aveva capito le esigenze e le soddisfazioni.
   Ormai era certo che si trattava di una famiglia non numerosa. Dai nomi che aveva percepito, si trattava di una mamma, di un papà, di un bambino e della sorellina e di un’altra persona chiamata nonna.


   Tutti si servivano di lui, in modi diversi. A dire il vero, la nonna non si serviva di lui, ma sembrava accudirlo per gli altri. Ne aveva molta cura. Alla mattina (ormai distingueva le varie fasi della giornata), gli dava ristoro, aprendo una finestra che aveva al suo fianco. A seconda della stagione (era sensibile anche ai cambiamenti stagionali) entrava un’aria più o meno fresca, che gli ritemprava le forze. La nonna aveva anche dell’affetto per lui, perché lo ricopriva frequentemente con nuovi tessuti profumati e poi lo lisciava dolcemente con la mano, quasi a farlo sentire appagato. Nella stagione fredda gli poneva addosso altri panni, quasi temendo che potesse soffrire il freddo. Le era molto riconoscente e sentiva che era suo dovere essere il più ospitale possibile.


   Trascorreva ore felici quando su di lui sentiva il peso leggero dei bambini. Non solo di quelli di casa, ma anche di altri che chiamavano cuginetti. Non sapeva esattamente che cosa facessero; gli sembrava, dalle variazioni di peso, che saltassero e doveva essere proprio così perché era ormai certo che sotto di lui ci fosse un piano a molle e lui si sentiva scendere e salire in ritmi a volte frenetici. Percepiva gli urli dei bambini, le loro risate felici, il loro inesauribile dispendio di forze.
   Alle volte, si acquietavano. Sembravano assorti. Ma, col tempo, aveva capito che si sistemavano su di lui forse per mangiare e bere qualcosa e per ascoltare chissà quale diavoleria da cui provenivano parole e suoni.


   Provava ormai affetto per quei bambini e quando li sentiva arrivare gli sembrava di rivivere.
   Rivivere, perché per molte ore della giornata veniva lasciato solo e si annoiava a morte. Era duro restare così abbandonato e trascurato, anche se erano i momenti in cui poteva pensare a se stesso e alla utilità del suo servizio.
   Non era tutto così idilliaco e frequentemente, soprattutto di sera e di notte, sentiva un trambusto che, le prime volte, lo aveva impaurito perché sembrava un terremoto. Gli fu difficile capire che cosa stesse succedendo, per cui, in quelle occasioni, ebbe bisogno di tutta la sua attenzione per cercare di venirne a capo.
   Bisogna premettere che, con il tempo, aveva imparato a distinguere le voci: quelle dei bambini piccoli ma anche quelle delle persone adulte, sia maschili che femminili, e addirittura poteva valutarne l’età.
   Avvalendosi di tutte le sue acquisizioni, capì che si trattava di giovani, un maschio e una femmina, abbastanza robusti.
   Sembrava che si azzuffassero e si volgessero su se stessi. Ma perché? Questo era il mistero.


   Sulle prime rimase stordito e non seppe darsene una ragione. Ma siccome la cosa si ripeteva di frequente, anche di giorno, quando non si sentivano voci in giro e anche lui stava riposando, pensò che forse i due giovani trovassero piacere a distendersi su di lui e a restarci per tempi più o meno lunghi, dimenandosi e urlando, per poi acquietarsi in assoluti silenzi.
   Alle volte, tutto si concludeva così, ma non era raro che, dopo un intervallo più o meno lungo, riprendessero la lotta, così a lui sembrava che avvenisse, ripetendo le solite giravolte con gridi e sospiri profondi finendo sempre in uno stato di felice appagamento.
   Si era ormai abituato alla loro frequentazione e, quando non li sentiva, era preoccupato e sperava che tornassero presto perché lo facevano sentire importante.


   Le giornate trascorrevano nella routine, ma lui si sentiva felice, perché era ormai certo che gli abitanti di quella casa trovavano conforto in lui.


   Aveva un solo rammarico: di non essere apprezzato per tutti i giorni dell’anno. Infatti, quando faceva più caldo, nessuno si stendeva su di lui. Gli sembrava allora di essere stato messo da parte come cosa inutile, ma con gli anni, aveva capito che il fatto si ripeteva a scadenze previste, per poi cessare definitivamente quando il caldo passava.


   La sua giornata si era fatta ormai abbastanza prevedibile.
   Ad un certo momento però il trantran quotidiano sembrò turbato da qualcosa di nuovo.
   Quei due giovani, che aveva sentito ballare tante volte su di sé, sembravano aver diradato le loro presenze, almeno quelle tempestose che lo avevano spaventato all’inizio.
   Erano più tranquilli, anche se, ogni tanto, avvertiva qualche fiammata del tempo passato.
   Passò così un bel po’ di tempo. Secondo lui, tre o quattro stagioni. Non avrebbe saputo dire con più precisione.
   Ma dopo quel lungo periodo, notò al suo fianco la presenza di qualcosa di nuovo. Che cosa fosse era tutto da scoprire.
   Si alternavano momenti di assoluto silenzio a scoppi improvvisi di pianto. Non il pianto che aveva sentito tante volte da parte dei bambini di casa. Era un pianto nuovo, disperato. Un grande tramestio nasceva allora attorno a quella fonte di tremendo dolore. Ma non durava molto. Qualcuno provvedeva a quietare in fretta quei gridi che sembravano inconsolabili.
   Il fatto si ripeteva frequentemente, senza che lui riuscisse a inquadrare il nuovo evento in una situazione plausibile.
   Finalmente, ebbe un’intuizione che lo rese felice e ancora più soddisfatto del servizio che aveva svolto in quella casa.
   La famiglia si era ingrandita ed anche lui avrebbe avuto la possibilità di arricchire la sua esperienza.


   Insomma, aveva ormai un’ottima opinione di se stesso e considerava molto invidiabile il fatto di essere indispensabile.
   Gli era sembrato di capire che nel mondo non tutto andava per il meglio e che, quindi, sentirsi al riparo da fastidi ed avere la certezza di essere utile era una condizione ottimale per un … materasso … a due piazze.

*

Gelosia

   Era una giornata calda, ma ventilata. L’acqua del mare era leggermente increspata. Una barca a vela si muoveva lentamente, senza meta. Qualche pedalò si faceva largo tra i bagnanti per portarsi dove l’acqua era più profonda.
   Da tempo, Osvaldo camminava lungo la battigia, ma non guardava il mare, scrutava piuttosto tra gli ombrelloni di prima fila se poteva esserci l’occasione per provare qualche approccio.
   Sembrava proprio che non ci fosse nessuna donna che potesse interessarlo, quando, dopo molti andirivieni, notò in terza fila una ragazza sola, sdraiata su un lettino.
   Muovendosi in largo e giungendo quasi per caso nel punto che lo interessava, le aveva rivolto un saluto, facendo un commento sul tempo di quel giorno. La ragazza, senza inibizioni, gli aveva risposto con cortesia. Si capiva che trovava piacevole la sua presenza.
   Osvaldo colse la palla al balzo per dirle qualche banalità sulla vita di spiaggia, ma in tal modo avviò una conversazione spiritosa, alla quale la ragazza non si sottrasse.
   Con noncuranza, si sedette vicino al lettino, le fece qualche complimento, provocando la risata divertita di Elena.
   Sembravano in sintonia e, tra una parola e l’altra, le propose di fare il bagno insieme.
   Fu una corsa verso il mare, sul quale si gettarono sollevando molta schiuma d’acqua e ridendo a crepapelle.
   Al ritorno sulla spiaggia, era ormai quasi sera. Osvaldo le chiese se l’avesse potuta rivedere anche il giorno dopo. Ricevendone una risposta affermativa, l’aveva lasciata con molta galanteria.


   L’indomani, si ritrovarono nello stesso posto e la conversazione acquistò un po’ più di consistenza. Si scambiarono opinioni su molte cose, anche non banali.
   Innanzitutto, si informarono sulla loro vita lavorativa.
   Lui era medico, aveva ventinove anni, e già lavorava in una struttura pubblica, con la qualifica di dirigente di ultimo livello.
   Lei ne aveva ventuno ed era iscritta al secondo anno di Lettere.
   Erano quindi due persone istruite, figlio, lui, di due medici, che lo avevano sicuramente aiutato ad intraprendere la sua carriera; figlia unica, lei, di due insegnanti elementari.
   Osvaldo era un bel ragazzo, nero di capelli, con occhi marrone.
   Elena li aveva invece azzurri e si facevano subito notare sul viso abbronzato. I capelli erano biondi, tenuti a coda di cavallo. Era una ragazza di belle forme, anche se non appariscenti.


   A un certo punto, Osvaldo le propose di passare insieme la serata in una discoteca vicina. Elena accettò.


   Alla sera, vestiti sobriamente, si erano ritrovati nel frastuono di una sala molto affollata.
   Lei sembrava felice, lui appariva leggermente infastidito da tanta calca.
   Ma fu comunque una bella serata. Elena aveva ballato in continuazione, anche i balli più sfrenati, non solo con Osvaldo, ma pure con altri che la invitavano.
   Osvaldo teneva il broncio quando non ballava con lui. Sembrava quasi che la considerasse la sua ragazza.
   Ma la cosa non stava così. Elena non aveva fatto o detto nulla che glielo potesse far pensare.
   Il giorno dopo comunque, sulla spiaggia, ricordarono allegramente i momenti più divertenti della sera prima.
   Si scambiarono anche altre confidenze. Seppero che abitavano in due città diverse, ma distanti tra di loro non più di venti chilometri.

   Promisero di rivedersi, anche senza fissare un giorno qualsiasi. Per accordarsi sarebbe bastata una telefonata e così si scambiarono il loro numero di cellulare.
   Osvaldo era in spiaggia da pochi giorni, mentre Elena era ormai al termine delle sue vacanze.


   Osvaldo fu dispiaciuto di non averla conosciuta prima, ma fu comunque contento di poterla rivedere presto.


   Dalla spiaggia le telefonava tutti i giorni per sapere che cosa stesse facendo. Elena glielo diceva, ma qualche volta si inventava anche cose non vere.


   Appena rientrato dal soggiorno marino, Osvaldo aveva un forte desiderio di rivederla. Le telefonò proponendole di cenare insieme. Anche Elena era desiderosa di rivederlo e lo invitò a casa sua.


   Viveva da sola, per sentirsi più libera, non lontano dai genitori, in alcuni locali di loro proprietà.
   Alla sera stabilita, Osvaldo si presentò con un mazzo di rose rosse, che Elena gradì molto.
   La cena era stata preparata da Elena, che sapeva anche cucinare. Osvaldo apprezzò molto i piatti che aveva preparato, innaffiati da un buon vino.
   La conversazione era stata piacevole e, al momento di congedarsi, Osvaldo le strinse forte la mano e la baciò su una guancia.


   Quel bacio aveva turbato Elena, che però non lo diede a vedere.
   Ma poi, ripensandoci, considerò che era stata forse un po’ fredda; che il bacio non l’aveva disturbata, ma che, semmai, avrebbe desiderato ricambiarlo.


   Tra i due stava insomma stava nascendo qualcosa di più di una affettuosa amicizia. Ne erano entrambi compiaciuti e forse al prossimo incontro avrebbero potuto essere meno misurati.
   Non molto tempo dopo, Osvaldo le chiese di ripetere la bella serata passata insieme ed Elena fu lieta di invitarlo nuovamente a casa sua.


   Osvaldo arrivò con tre rose rosse, un chiaro messaggio, che naturalmente Elena accolse con piacere.
   Fu una nuova serata in allegria e quando giunse il momento del congedo, Osvaldo si avvicinò a Elena, la strinse a sé e le diede un bacio appassionato. Elena ricambiò con calore. Osvaldo si fece più audace facendole chiaramente capire che lo turbava un forte desiderio di lei. Elena non lo respinse e accettò un rapporto protetto, che fu comunque dolce, ma vigoroso.


   Il ghiaccio era stato rotto. Ora, diventava tutto più facile. Le loro intenzioni amorose divennero più esplicite e, dopo non molto, furono d’accordo di farsi conoscere dalle rispettive famiglie.


   Osvaldo andò oltre. Voleva sposarla. Elena resisteva, dicendogli che stava ancora studiando e che quindi sarebbe stato opportuno attendere che si laureasse, ma l’insistenza di Osvaldo la fece cedere e concordarono un matrimonio di rito civile, con pochi amici.


   Anche se la cerchia dei commensali era ristretta, la festa fu molto calorosa lo stesso. Esclusero di voler andare in viaggio di nozze, e, appena possibile, si ritirarono nel nuovo appartamento, che, per il momento, avevano affittato.


   Elena non aveva però rinunciato alla sua piccola casa. Era stata arredata secondo i suoi gusti e le era doloroso doverla abbandonare.

   Dovette rallentare gli studi perché era rimasta immediatamente incinta e, dopo la nascita di Iris, passava buona parte della giornata nelle sue cure.
   Osvaldo la consolava, dicendole che avrebbe potuto riprendere non appena fosse stato possibile iscrivere la bambina ad un asilo nido.
   Elena, pur contenta per la nascita di Iris, soffriva per la mancanza di quella libertà che si era conquistata, anche contro il parere dei genitori.
   Si sentiva come soffocata, anche perché Osvaldo le telefonava a ogni ora del giorno e voleva sempre sapere che cosa avesse fatto in sua assenza.
   Di più. Anche quando usciva, seppure con la bambina, Osvaldo voleva sapere dove fosse stata, chi avesse incontrato, con chi avesse parlato. Elena voleva fargli capire che era assurdo, che lei lo amava, che nessun altro uomo la interessava. Ma invano. Osvaldo sembrava aver capito, si scusava, prometteva di non farlo più, ma era un sentimento che non riusciva a dominare.
   A un certo punto, Elena gli disse che, se non la smetteva, se ne sarebbe tornata, con la sua bambina, nella vecchia abitazione. Osvaldo le rispose con uno schiaffo. Elena rimase impietrita, incapace di reagire, ma, in silenzio, incominciò a pensare di andarsene.
   Temeva la reazione violenta di Osvaldo, ma non poteva più vivere a quel modo.
   Per un po’, continuò a subire le sue angherie, ma, un giorno, tornando a casa, Osvaldo non la trovò. La chiamò subito al cellulare, che però non rispondeva.
   Elena non solo aveva cambiato numero, ma non si era neppure rifugiata nel vecchio appartamentino. Una vecchia compagna di scuola l’aveva ospitata nella sua abitazione, in un’altra città.
   Non ricevendo risposta, Osvaldo si imbestialì. Incominciò a telefonare ai genitori di Elena, ma anch’essi erano stati tenuti all’oscuro di tutto.
   Osvaldo non si arrese. Si rivolse a un investigatore privato e promise qualsiasi compenso se avessero trovato la moglie.


   Ma il caso gli fu favorevole. Un vecchio paziente, che sapeva delle sue disavventure, gli telefonò per fargli sapere di aver visto Elena, con la bambina, in una città vicina, assieme a un’altra donna.
   Osvaldo volle sapere tutti i particolari: in quale città, a che ora, in quale via e cominciò ad appostarsi nei paraggi del luogo che gli era stato indicato.
   Da molti giorni, nelle ore libere, si trovava sul posto ed ebbe la fortuna di vederla. Le si accostò con la macchina e, scendendo, l’afferrò con la bambina in braccio, la caricò sul sedile posteriore e partì a tutta velocità.
   Le urla di Elena, il pianto disperato della bambina, non servirono a nulla. Le portò a casa e quando furono soli la coperse di contumelie e di botte in tutto il corpo, dicendole che lei era solo sua e che doveva ubbidirgli. Elena non aveva più la forza di reagire. Le sue grida avevano richiamato l’attenzione dei vicini, ma nessuno si fece vivo, probabilmente convinto che fossero solo questioni di tradimenti coniugali.
   Osvaldo le tolse il cellulare e le chiavi di casa, minacciandola di vendicarsi se avesse osato chiamare aiuti.
   A ogni suo ritorno, Elena si protestava innocente, dicendo che era una donna libera, che non avrebbe ulteriormente sopportato le sue violenze e che voleva rompere quel rapporto ormai divenuto insostenibile.
   Ma intanto viveva da reclusa.
   Un giorno, dal balcone del suo alloggio, Elena richiamò l’attenzione di un passante. Gli gettò un biglietto, con la richiesta di aiuto.
   Il passante fu molto rapido, avvertì i carabinieri, che in brevissimo tempo furono sul posto.
   Senza chiavi, la porta d’ingresso non poté essere aperta. La forzarono. Elena raccontò loro qual era il problema.

   Intanto, Osvaldo stava per rientrare. Quando si accorse dell’assembramento di persone davanti al suo condominio e notò la presenza della gazzella dei carabinieri, si allontanò rapidamente, giurando di vendicarsi.


   Per prima cosa, Elena fece cambiare la serratura dell’appartamento, per evitare cattive sorprese. E fu molto lungimirante, perché, appena gli fu possibile, Osvaldo cercò di rientrare, ma, naturalmente, senza riuscirvi. Inveì a voce bassa contro Elena e scappò via velocemente, per timore di essere scoperto da qualche inquilino.
   Ma non era finita. Al lavoro non si era ripresentato, avendo chiesto alcuni giorni di ferie. Così i carabinieri non poterono fermarlo per interrogarlo.


   Un giorno, Elena aveva portato la bambina dai nonni e, dopo alcuni acquisti, stava rientrando a casa. All’improvviso, Osvaldo sbucò da dietro un’auto e, con un bisturi ben affilato, la colpì al cuore e fuggì.
   I passanti diedero l’allarme, le forze dell’ordine partirono a tutta velocità e riuscirono a scovarlo e ad arrestarlo.
   Agli inquirenti disse solo: “L’avevo avvertita. Non ha saputo stare al suo posto.”