chiudi | stampa

Raccolta di testi in prosa di Anna Guzzi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Fiumi e fiumare tra Ande e Calabria: Arguedas

Ci sono libri che ti bruciano tra le mani, scottano come avessero dentro una fiamma che scompiglia ogni ordine e che, spesso, corrisponde anche a un certo uso retorico del linguaggio, a uno stile peculiare. Uno di questi libri è, certamente, il romanzo I fiumi profondi dello scrittore peruviano Arguedas che mi permetto qui di ricordare; un romanzo di formazione che intreccia aspetti interculturali, legati alla colonizzazione spagnola del territorio andino. Il protagonista è un ragazzo, Ernesto, che segue il padre in una serie di viaggi all’ombra delle Ande. Nel passo che vorrei focalizzare il padre e il figlio vengono ospitati da un anziano possidente in una stanza buia che ricorda a Ernesto la cucina dove, lui, bambino dalla pelle bianca, poteva ascoltare i canti delle serve indie. Infatti, è cresciuto immerso nella cultura indigena che lascia molte tracce nel paesaggio, per esempio i muri degli edifici. Il ragazzo dalla stanza in questione corre a scrutare proprio il muro incaico:

"Toccai le pietre con le mani; seguii la linea ondulata, imprevedibile, come quella dei fiumi, in cui si congiungevano i blocchi di roccia. Nel buio della strada, nel silenzio, il muro sembrava vivo; sulla palma delle mie mani, ardeva la giuntura delle pietre che avevo toccato. […] Le pietre del muro incaico erano più grandi e strane di come me le ero immaginate; bollivano sotto il secondo piano intonacato, che, dalla parte della strada stretta, era cieco" (Arguedas, J.M., I fiumi profondi. Traduzione italiana di U. Bonetti. Fabbri Editori, 1996, pp. 9-10). 

Le pietre, per logica animistica, sono un alfabeto sotterraneo che gorgoglia sotto le più ordinate architetture della città – Cuzco –, collegandole alla selvaggia natura andina: quella della cordigliera e dei fiumi impetuosi. Da qui lo scatto metaforico che verrà esplicitato nel capitolo VI con il riferimento ai suoni quechua, quelli dell'antica lingua indigena:

"Mi ricordai, allora, delle canzoni quechua che ripetono una frase patetica costante: yawar mayu, fiume di sangue; yawar unu, acqua sanguinante; puk’ tik’ yawar k’ocha, lago di sangue bollente […]. Non si poteva forse dire yawar rumi, pietra di sangue o puk’ tik’ yawar rumi, pietra di sangue bollente? Il muro era immobile, ma ribolliva lungo tutte le sue linee e la superficie era mutevole, come quella dei fiumi in estate, che s’innalzano così verso il centro della corrente, che è la zona pericolosa, quella che ha più forza. Gli indios chiamano questi fiumi tumultuosi yawar mayu, perché col sole vi si vede un luccichio come di sangue. Chiamano anche jawar mayu il ritmo violento delle danze di guerra, nel momento in cui i ballerini lottano". (11)

Il quechua, l’idioma inca, accompagna i ricordi del giovane, suggerendo analogie tra le pietre dei muri e le pietre dei grandi fiumi (14-15). La cifra è quella della mutevolezza, dell’instabilità fluida che scorre sotto la simmetria, rendendo quest’ultima friabile, apparente. La natura prende vita nella mente del ragazzo e il sangue anticipa la violenza, sia storica che personale. Violenza del colonialismo, violenza del passaggio dall’universo dell’infanzia al mondo adulto. 

Il libro di Arguedas è uno dei riferimenti letterari che si trovano spesso nei miei lavori, in particolare nella raccolta poetica che mi permetto di ricordare e che si chiama Radici come parole (Aletti, 2023). Qui, però, i fiumi andini si sovrappongono alle mie fiumare calabresi e i sassi si colorano di magenta, un colore immaginario, segno di resilienza:

Si dirada il corpo, si assottiglia la pelle sui nervi.

Scoperti.

Vibrano a ogni soffio di vento,

entrato fra tenere roselline e grigie

foreste incattivite; ci affatica

con la violenza di aperte fiumare.

 

Non tengono più i confini dell’acqua

e il corpo tagliato scopre l’anima,

scossa dai fischi di un canyon roccioso,

laggiù, tra i sassi d’una antica foce

(da Fiumane a un soffio del vento)

 

Certa di trovare lettori appassionati, volevo condividere oggi queste riflessioni che riguardano sia la letteratura latino-americana, sia la letteratura calabrese ... il Sud del mondo! A presto ponte fiume rocce