chiudi | stampa

Raccolta di testi in prosa di Federica Bucci
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

La Memoria del Tempo

-Allora?- sollecitò la bambina senza però ottenere alcuna risposta. Intorno a loro il piccolo paese era immerso nel silenzio più totale; l'ora era tarda, faceva freddo e gli omicidi degli ultimi giorni scongiuravano le uscite dopo il calar del sole. -Oh andiamo Neil, non possiamo certo andarcene ora che abbiamo trovato questo posto.- Lasciò la presa e incrociò le braccia al petto con un broncio degno della miglior recita.

-Ti comporti come una mocciosa-

-Forse non ci vedi bene.- Neil rise accendendosi una sigaretta sotto lo sguardo severo di Noriko -Mi chiedo perché mai fumi-

-Beh di certo le sigarette non mi uccideranno.- Lanciò uno sguardo dall'altra parte del parco. Il vicolo dove si erano fermati era buio e puzzava di pesce in maniera nauseabonda, ma davanti a loro c'era la cena ancora calda: dovevano solo pazientare un po'. -Dopo stanotte ce ne andremo. Non possiamo permetterci di essere trovati o ci appenderanno alla baia di Osaka per i piedi-

-Terribile sorte, eh? Neil sii serio, potrebbero farci qualsiasi cosa e non servirebbe a nulla. Potremmo avere in mano il mondo e invece ci nascondiamo come reietti in una società che sovrabbonda di cose senza senso.- Era al limite della sua sopportazione, continuava a ripetergli le stesse cose da mesi senza mai ottenere ascolto. Le cose sarebbero dovute cambiare, dovevano cambiare, o c'avrebbe pensato lei a prendere in mano le redini di quel gioco ormai logoro.

Neil si leccò le rosse labbra pregustando il momento in cui avrebbe finalmente assaporato il suo pasto. -Si è seduto, vai.- Le dette un pizzicotto su una guancia, lei alzò gli occhi al cielo rassegnata e mise una mano in tasca del giaccone. L'oggetto che ne tirò fuori era grande quanto il pugno di una bambina di sei anni e riluceva di luce propria: era la Sfera. La tenne con entrambe le mani, poi la strinse al petto e un attimo dopo la luce si intensificò a tal punto che dei fasci fuoriuscirono fra le dita e pitturarono la parete dello squallido vicolo. Neil socchiuse gli occhi parandosi con un braccio e quando finalmente la forte luce finì riuscì ad ammirare Hirono.

La piccola Noriko non c'era più, il suo cappottino rosso con il cappuccio lente erano spariti lasciando posto ad un sinuoso vestito di seta scarlatto molto scollato che non lasciava spazio a malintesi. Inserì la sfera nella borsetta che sostituiva lo zainetto e si incamminò verso il parco, muovendosi con fluidità. -Ci vediamo al solito posto- disse senza voltarsi, poi si udì solo il suono dei tacchi alti.

Neil scosse la testa e uscì allo scoperto prendendo la direzione opposta.

 

Quando quell'uomo la vide arrivare, Hirono poteva leggere nel suo sguardo la lussuria più squallida e nei suoi pensieri tutto quello che avrebbe voluto farle. Era un tipo che ci andava giù pesante, amava legare le ragazze al letto e penetrarle dietro mentre con le dita provava a farle godere; poteva andare avanti così per ora intere senza esaurire le forze, aveva una grande prestanza fisica e amava vantarsene.

Lei sorrise. Qualche volta era difficile far finta di nulla quando sentivi i pensieri degli uomini, ma non quella volta; alla fine era solo un patetico omuncolo e comunque sarebbe morto prima che potesse anche solo provare a toccarla.

-Questo posto è occupato?- chiese con voce suadente, ma senza esagerare. Lui deglutì un po' a fatica e scosse la testa, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Hirono sedette accavallando le gambe e inumidendosi le labbra con la punta della lingua, fingendo di non vedere la mano di lui che d'istinto finì sotto la lunga giacca a vento. -So che può sembrare sciocco da parte mia dirlo, ma credo proprio di essermi persa.- Sbatté le ciglia senza mai far cadere il sorriso. Si avvicinò impercettibilmente all'uomo, pochi minuti e sarebbero stati così vicini da poter sentire il suo alito sulla pelle.

-E'unpostopiccoloquesto,- rispose tutto d'un fiato e arrossendo come una verginella sotto la luce sporca di un lampione, -dovedeve... andare?-

Era un viscido vermiciattolo senza alcuna utilità per il mondo; non aveva famiglia, non aveva amici, lavorava come commesso part-time nello spaccio del paese e aveva un appartamento simile ad una topaia che condivideva con un vecchio gatto malato. Ucciderlo sarebbe stato un aiuto per l'ecosistema.

-Dove credi che voglia venire?- Si fece rigido sulla sedia, ma non era l'unica cosa che doveva aver di duro. Hirono gli si avvicinò esponendo il petto. Adesso lui aveva una gran bella visuale del suo seno abbondante. -Mi daresti una mano?- Gli afferrò un palmo accarezzandolo molto lentamente, poi tirò fuori la lingua e gli succhiò un dito senza mai perdere il suo sguardo.

L'uomo sussultò, impacciato cercò di dire qualcosa, ma Hirono fu grata di non sentire nessuna patetica parola. Gli si posò sul grembo sentendo la sua eccitazione premergli su una natica e questo gli fece perdere il controllo. La afferrò per le spalle cercando di ficcandogli la lingua in gola, ma Hirono fu svelta e lo allontanò cercando di essere sempre molto audace.

-Non vorrai mica farlo qui?- ondeggiò sulle sue gambe – ho io un posto... vieni...- si alzò prendendolo per mano e lui la seguì come un bambino.

Aveva lo sguardo perso nel vuoto più totale, perfino i suoi desideri erotici erano così accesi da annullarsi, in un certo senso e Hirono ne fu compiaciuta.

Quando giunsero al portone dell'edificio dove Neil stava pazientemente aspettando però, l'uomo sembrò recuperare un po' di senno: -questo edificio è abbandonato da anni ormai- provò a fare qualche passo indietro, -non è un bel posto dove andare, non hai sentito degli omicidi?-

Lei allargò il sorriso avvicinandolo a se e strusciando sul suo corpo i morbidi seni, il sedere sodo, allungò persino una mano verso il suo ventre, mentre con l'altra apriva il portone: -vieni dai...- e lui entrò.

Era buio pesto all'interno, fu allora che ad un tratto Hirono lo spinse al muro baciandolo. Un attimo dopo cinque lingue di fuoco la avvolgevano mentre con ferocia prosciugava quell'uomo della propria energia vitale: ogni secondo che passava quello sconosciuto che nessuno avrebbe rimpianto si afflosciava al suolo mentre lei diventava più forte.

Da un angolo buio comparve Neil con un sorriso sarcastico dipinto in volto -Posso?-

Lei si staccò soddisfatta e strattonò il corpo senza forze del malcapitato verso l'amico -e' tutto tuo.-

Il sorriso mutò e i canini sembrarono ingrossarsi fino a diventare due lame taglienti e aguzze. Neil afferrò l'uomo per la giacca, gli lanciò un ultimo sguardo disgustato e affondò i propri denti nella carne.

 

Quando la notte mutò in giorno Hirono non c'era più e raggomitolata vicino a Neil era comparsa Noriko. Lui sbuffò svegliandola, non amava quando faceva così.

-Sveglia, maledizione!-

-Hai l'alito che ti puzza di sangue, mastica una gomma.-

La guardò perplesso, ma si alzò. Era quasi nudo, indossava solo l'intimo e odiava trovarsi stretto a Noriko. -Ti avevo detto di trasformarti quando sono sveglio, lucido e ben lontano da te, mi pare.- Indossò i pantaloni senza neppure chiudere il bottone, poi afferrò la camicia. -Puoi anche fare finta di non sentirmi se ti fa stare meglio, infondo ti comporti proprio come una bambina-

-Sul serio? Che differenza vuoi che faccia, Neil, se ho otto o trent'anni?! Non sono né l'una né l'altra!-

-Ne ha per me, Yukie.-

Si voltò per guardarlo, a bocca aperta. Non la chiamava quasi mai con il suo vero nome e sentirglielo pronunciare con tanto astio la faceva stare male.

-Io sono stato un uomo prima di esser questo e anche se per te non ha alcun significato, per me invece è fondamentale. Vorrei che ogni tanto potessi riuscire a capirmi, invece di spendere tempo a contrastarmi.-

Uscì fuori dall'edifico scavalcando il corpo dell'uomo della sera prima. Alla luce del giorno lo scempio che avevano fatto era ancora più orripilante e maledettamente reale.

 

Era in quel mondo dall'alba dei tempi ed era quindi antica come la terra stessa. Non aveva mai avuto intenzione di usare la sua Sfera, per secoli si era limitata a custodirla come il più prezioso dei doni, ma senza intenzione di usarlo. Poi però le Ere si erano susseguite senza pietà e aveva visto le storie che narravano di loro trasformarsi da verità a mito, da mito a leggenda e infine erano solo diventate fiabe per bambini; era stato dura per tutti, per ogni creatura che non trovava più posto in quel mondo dominato da tante storie prive di magia: i tempi erano duri, loro che si erano sempre nutriti di vita perché era stata la Vita stessa a generarli si erano trovati soli in questo Tempo che alla fine li spaventava più di qualsiasi guerra vista. Così aveva deciso di usare la Sfera, mutare, trovare finalmente un posto in quel mondo che non aveva spazio per la sua vera forma e un giorno, uno uguale a tanti altri prima, aveva assunto le sembianze di Noriko.

Il mondo iniziò a vederla, non era più invisibile agli occhi della gente, ma era al centro dell'attenzione di qualcuno. Capì presto che essere una tenera bambina di otto anni aveva i suoi vantaggi, ma doveva anche nutrirsi: aveva cambiato il suo aspetto, ma doveva comunque cibarsi di Vita e così, dopo aver passato un giorno a camminare fra gli uomini, aveva capito che non c'era niente di meglio di Hirono per riuscire ad ottenere quello che voleva. Così Yukie, la Kitsune* dalle cinque code, diventò la tenera Noriko e la seducente Hirono; con il tempo riuscì a trasformarsi senza troppa fatica e la vita fu più facile, ma scoprì presto di non essere meno sola. Certo, la gente poteva vederla, toccarla, sentirla, ma ogni notte quanto tutti tornavano nelle proprie case, dalle proprie famiglie con i propri cari, lei tornava ad essere una semplice spettatrice: che fosse Yukie, Noriko o Hirono non aveva alcuna importanza.

Un giorno però cercando la cena si era imbattuta in qualcuno che sembrava affamato quanto lei: aveva sentito parlare delle creature chiamate vampiri, erano antichi e potenti e anche se non possedevano la saggezza della sua stirpe, erano comunque la cosa più simile a lei che avesse incontrato fino a quel momento. Aveva seguito Neil e lui l'aveva illusa di non averla vista, ma proprio quando stava per farsi avanti lui l'aveva sorpresa braccandola come un animale. Non si era fatto ingannare dal sua aspetto, anche se non riusciva a dare un nome a quello che aveva davanti, Neil poteva sentire l'enorme energia che emanava quella creatura.

Avevano parlato, si erano studiati a vicenda e in fine, per la prima volta da quando era mutata in forma umana, Hirono aveva scoperto il piacere di unire il proprio corpo a quello di un altro essere. Era stato strano, Neil era freddo e morto e lei invece pura luce e fuoco, eppure era stata la sensazione più bella che avesse mai sperimentato prima: era riuscita perfino ad abissare la voglia di nutrirsi.

Erano passati solo nove mesi da quando si erano trovati, un tempo strettamente relativo per chi, come loro, viveva l'Eternità.

 

-Neil! Neil ti prego fermati- e lui si fermò, come aveva sempre fatto. Non si voltò, ma sapeva che lei lo avrebbe raggiunto. -Mi dispiace,- disse Noriko alle sue spalle, -sono stata una sciocca- aggiunse Hirono.

Neil si voltò. Davanti a lui c'era Hirono con lo sguardo lucido, si mordeva le labbra; il vestito rosso era sgualcito e una spallina era scesa mostrando la spalla perfettamente levigata. Neil allungò una mano per sistemarla, ma lei lo strinse in un impeto di paura.

-Hirono … va tutto bene,- le accarezzò la testa dandole dei piccoli baci, -va tutto bene.- Ricambiò l'abbraccio e mentre si lasciava scaldare dal corpo di lei ebbe la sensazione che qualcuno li stesse osservando: alzò lo sguardo verso la loro destra e vide una figura in piedi dietro una finestra. Durò solo un attimo però, poi quell'ombra sparì.

-Qualcuno ci stava guardando-

-Sarà stata qualche vecchia mattiniera-

-Ti sei trasformata alla luce del giorno in mezzo ad un parco.-

Hirono si staccò da Neil facendo una smorfia. Era stata stupida, ma aveva davvero avuto paura di restare ancora sola, paura di vederlo andare via e non tornare mai più e allora cosa avrebbe fatto? Lei lo sapeva, lei sapeva che se fosse restata nuovamente sola sarebbe morta di solitudine.

-Cosa facciamo?-

-Ce ne andiamo. Ora.-

Attraversarono il parco a grandi passi, ma camminare velocemente sui tacchi per Hirono era difficile, così, questa volta nascosti dagli alti cespugli, vestì i panni di Noriko che con le sue comode scarpette sgambettò velocemente seguendo Neil in un vicolo parallelo a quello dove erano restati nascosti la notte prima.

-Senti?- gli chiese sbirciando verso il parco. Lui annuì visibilmente preoccupato, strattonandola verso la fine del vicolo.

-Non esporti. Adesso voglio che tu mi stia bene a sentire: questo è un paese che ha vissuto fino a poco tempo fa lontano dall'occidentalizzazione e ha memoria delle creature come me e te. Ci daranno la caccia fin quando non ci avranno trovato, quindi dobbiamo creare un diversivo. Io me ne...-

-No. Tu non vai da nessuna parte.- Le si era acceso un fuoco dentro, aveva lo sguardo infuocato e la sua energia era diventata quasi palpabile. -Io posso permettermi di essere presa, non possono uccidermi. Se invece, come dici tu, hanno memoria di quello che sei sapranno come eliminarti.-

Ma Neil non l'ascoltava come non aveva mai fatto quando diceva qualcosa che a lui non piaceva. Fissava il parco, sempre più preoccupato, quasi disperato.

-A te possono fare qualcosa di molto peggio e lo sai bene.- Le posò una mano sulla testa e sorrise lasciando da parte la crescente preoccupazione che sembrava averlo completamente stordito. -Voglio Hirono.-

Una lacrima le scivolò sul volto, ma la inghiottì frugandosi nelle tasche. La Sfera si illuminò e Hirono prese il posto di Noriko. Neil la abbracciò forte, poi la guardò dritta negli occhi con sguardo fermo: -scappa Yukie. Qualsiasi cosa succeda, tu non tornare indietro, promettimelo.- La baciò sulle labbra, poi le penetrò la bocca con la lingua e le succhiò l'amore fino a prosciugarsi lui stesso. -Tu meglio di chiunque altro sai bene che una cosa resta in vita fin tanto che ci si crede. Non smettere mai di credere in noi.-

La liberò dal suo abbracciò e uscì da vicolo velocemente. Sapeva che lei non avrebbe cercato di fermarlo perché era quello a cui l'aveva sempre preparata. Non si era mai illuso che quellavita durasse per sempre, ma avrebbe voluto renderla ancora più felice di quanto non aveva potuto fare in quei pochi mesi.

Hirono lo guardò allontanarsi. Non un'altra lacrima le scivolò sul volto, nessun pensiero in testa, nessuna sensazione le invadeva lo spirito; prese solo la strada opposta a quella di Neil quando ormai lui non era più alla portata del suo sguardo inespressivo stringendo a se la Sfera.

 

Lei lo sapeva, lei sapeva che se fosse restata nuovamente sola sarebbe morta di solitudine.

*

Dichiarazione di una Ragazza che Ammazzò il Fidanzato

La prima cosa che mi viene in mente forse non è eticamente corretta, ma non tutti siamo perfetti e vorrei affettargli la testa con un'accetta smussata. La seconda cosa a cui penso però era che poi avrei dovuto ripulire tutto, quindi accantono l'idea dell'accetta e mi limito ad osservarlo con estrema ferocia.

Siamo soli in casa, ma avrei preferito dei testimoni per confermare la teoria che ogni donna, prima o dopo, scopre: gli uomini riescono a essere perfettamente stupidi. Possono essere stupendi per mesi e mesi, comportarsi in maniera del tutto normale, essere rassicuranti, ottimi amanti e amici infallibili per un tempo che sembra interminabile, ma prima o poi ci sarà sempre quel momento in cui ti rendi conto di quanto siano vigliacchi.

Pensandoci bene occultare il cadavere non sarebbe poi stato così difficile e la candeggina sarebbe stata la soluzione a tutto il resto.

Lui continua a parlare, dice cose che parlavano di cose e si aspetta che io dica altre cose per giustificare le cose di tutti i giorni, ma riesco solo a pensare al set di coltelli che ho in cucina. Ce n'era uno abbastanza grande e affilato con cui potevo tagliuzzarlo? Ho quello per il pollo, ma le ossa umane sono ben altra cosa. Pazienza, troverò sicuramente qualcosa nella vecchia sacca per la caccia che utilizzava mio padre anni fa.

Devo pensare a come tramortirlo però: magari potrei colpirlo con il trofeo di pattinaggio di mia sorella o, meglio ancora, conficcargli una forchetta nell'occhio per distrarlo e poi prenderlo a calci nelle palle fino a farlo svenire. A quel punto avrei iniziato a tagliarli via dei pezzi fino a quando il dolore o il troppo sangue perso non l'avrebbero, finalmente, fatto morire.

Solo pensare al modo migliore per farlo soffrire mi faceva stare meglio.

-Mi spiace.-

Lo ha detto ancora? Sul serio? Ha detto ancora che gli spiace? E' stupendo come gli uomini abusino delle scuse, come se il solo dirlo bastasse a cancellare tutto il resto. Ho investito tua madre, scusa. Mi è caduto il pesce rosso nel tritarifiuti, scusa. Ho venduto tutta la tua collezione di anime alla cugina del mio migliore amico, scusa. Ho preso a calci il criceto confondendolo con una palla da tennis, scusa.

Penserete che sto esagerando, ma sono sicura che molte di voi mi capiranno e quelle poche che scuoto la testa lo fanno perché ancora non hanno sentito chiedere scusa da un uomo dopo che delle scuse non te ne fai assolutamente niente.

Ora mi guarda. Devo dire qualcosa, suppongo e in effetti qualcosa da chiarire ce l'ho prima di tingere le pareti di casa con le sue cervella: -a che nome hai ordinato al ristorante?-

Non si aspettava certo che mi interessassi alla cena, ma una volta finito qui sarebbe stato tardi e avrei avuto fame: tanto valeva andare a mangiare.

Balbetta qualcosa, è il suo cognome. Bene. Sulla lapide sarebbe bello se scrivessero: 'con il suo ultimo respirò offrì la cena alla sua ragazza'.

Mi alzo e vado in cucina senza dire niente. Sento il suo sguardo sulla mia nuca, ma non dice nulla, a malapena respira. Crede che lo voglia lasciare, anzi sono sicura che non aspetta altro e non vede l'ora di uscire dalla porta di casa mia per andare al primo locale che trova a sfoggiare le sue armi di seduzione che, in tutta onestà lasciatemelo dire, non ha mai avuto. Ora che ci penso, perché mai sono stata tutti questi mesi con un tipo che si fa la ceretta con più frequenza di quanta me ne faccia io?

Domande a cui avrò tempo di cercare una risposta dopo.

In cucina c'è il set di coltelli di mia madre che però si ostina a usare i soliti due ad oltranza, cosa che fa irritare la zia che le ha regalato tutte quelle lame, come se avesse dovuto affrontare un numero da circo. Apro un po' di cassetti, anche quelli dove sono sicura di non trovare possibili armi e mi fermo sull'ultimo. C'è un martello di modeste dimensioni, molto maneggevole per appendere i chiodi, diceva papà: adesso avrei scoperto se era anche utile per aprire teste.

Inserisco il manico del martello dentro la manica e stringo in un pugno la testa ed esco fuori di cucina. Lui non mi guarda negli occhi, ha lo sguardo perso sulla parete color prugna del salotto: un colore orribile. Mi avvicino a piccoli passi gustandomi l'attimo in cui il sangue sarebbe schizzato furioso fuori dalla cassa cranica tingendo di un bel rosso scarlatto l mobilia antica della nonna. Lascio fuoriuscire il martello, lo afferrò saldamente nella mia mano destra, alzo il braccio e colpisco con tutta la forza che trovo. Lui si affloscia sulla poltrona, tiene la testa penzoloni e nel punto in cui lo ho colpito inizia a fuoriuscire del grumoso sangue misto a gelatina bianca, allora lo colpisco ancora e ancora, fino a quando la sua testa somiglia a del macinato di maiale con del formaggio fuso sopra.

Sorrido e mi siedo sull'altra poltrona osservandolo. E' decisamente molto morto, ma questo mi fa solo arrabbiare di più perché adesso avrei dovuto occuparmi di nascondere il corpo e giustificare del cervello sulla credenza. Penso al freezer in garage, al lago qui vicino, alla vecchia fabbrica elettrica in disuso. Penso anche a dell'acido, ma non era il caso di usciere per andare a fare spese.

Mi alzo e prendo il cappotto mettendo il martello in tasca, poi guardo quello che ormai è il mio ex ragazzo morto e cerco di tirarlo su: quando si dice un peso morto, ora capisco. Lo butto a terra e lo trascino fino all'ingresso, anche se un po' a fatica, ma alla fine riesco a farlo arrivare alla rampa che conduce al garage e farlo ruzzolare giù. Corro per raggiungerlo, (non che scappi!), e continuo a trascinarlo. Spostare un cadavere era più complicato di quanto C.S.I. mi avesse insegnato, ma come amano ripetere i cartoni della Walt Disney: quando vuoi qualcosa basta crederci, ed ecco che finalmente riesco a raggiungere freezer.

Gli ho sgualcito l'abito e ora oltre ad avere la testa spappolata ha anche la giacca sporca di polvere e i pantaloni macchiati d'olio per auto. Pazienza eh.

Apro il congelatore felice di vedere che non c'è molto dentro: tolgo tutta la roba e la butto a terra, poi cerco di alzare il cadavere; devo riuscire a fare entrare parte del copro dentro, poi il resto sarebbe venuto da solo. Provo a tirarlo su strattonandolo da sotto le ascelle e quando finalmente riesco a farlo entrare tutto dentro lo ricopro con piselli Findus e Sofficini ai quattro formaggi. Prima di chiudere tutto lo guardo per un'ultima volta: non mi fa impressione vederlo così, però un po' mi spiace per sua madre. In fondo lei era un'ottima cuoca e mi sarebbero mancati i suoi piatti. Al massimo avrei potuto consigliarle della carne con contorno di piselli.

Torno in casa, corro in bagno, cerco della candeggina, afferro il bottiglione da un litro e mezzo e senza perder altro tempo annaffio il salotto, l'ingresso e il garage. Con un po' di olio di gomito mi accorgo che togliere il sangue fresco dalle mattonelle non è troppo difficile, ma eliminarlo dalla poltrona sarebbe stato la vera rogna. Tolgo il telo e lo butto in lavatrice, gli incidenti succedono e avrei potuto dire di aver fatto cadere del gelato.

Dopo un'ora che gratto e pulisco l'aria è così pregna di candeggina che sembra di essere all'ospedale, così spalanco le finestre per fare entrare dell'aria fresca.

Guardo l'ora. Ho venti minuti per cambiarmi ed uscire fuori a cena.

Corro, mi lavo con acqua gelata insaponandomi corpo e capelli per togliere l'odore dell'omicidio e poi mi vesto elegantemente, come se avessi un primo appuntamento importante. Un filo di trucco e poi sono fuori in strada.

 

 

Dalla “Dichiarazione di una ragazza che ammazzò il fidanzato”.

 

Perché?

Decidete voi.