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Raccolta di testi in prosa di Antonio Aiello
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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E cosě divenni una persona pensile, sospesa…

   

      “Una casa pensile

in aria sospesa

con funi a una stella”

(Zibaldone 256, 1 ottobre 1820)

Giacomo Leopardi

                                              

A D'Angelo R.

 

         

 

      Una notte d’estate, nella piazza luminosa in cima a un paesino di montagna, mentre conversavo stancamente con alcuni conoscenti, cominciai a scrutare il cielo. 

 

       Ad un primo sguardo, scorsi solo qualche anonima stella… ma poi, all’improvviso, ne avvistai una più grande, intenta a trascolorare briosa e scintillante…

 

        E tanto ne fui  attratto, che mi isolai precipitosamente per dedicarmi ad essa interamente. 

 

        E, munito di telescopio, volli salire sulla torre più alta.

 

     Al telescopio, la vivida stella mi parve talmente vicina, graziosa e palpitante, che l’abbracciai col più soave ardore!  

 

       E, come trasognato, vidi le mie braccia allungarsi a dismisura e le mie gambe -come in un breve volo- staccarsi dal suolo…

 

      E così divenni una persona pensile, sospesa…  assorta a cingere e ad avvolgere, con delizia infinita, una stella di morbido fuoco, variegato e innocuo… quasi fosse una Dea!!!

    

 

*

Il gallo d’oro

     Durante il secondo dopoguerra, nella mia cara città natale, un’antica via di nome Pretoria, per lo più fiancheggiata da piccole e graziose case, vantava vetrine di negozi che facevano bella mostra di variegate e multiformi meraviglie…

 

     Negli altri quartieri, i negozi erano pochi e assai modesti e quelli di giocattoli quasi rari e troppo dimessi.

 

     La bottega più bella e fornita di balocchi  ci attendeva proprio in via Pretoria, coi suoi ambiti articoli  che, di solito, venivano solo ammirati e, poi, perdutamente agognati!

   Infatti, per tanti bambini i giocattoli potevano essere pochi, modesti, e persino troppo pochi, invece per i pochi bambini privilegiati, i giocattoli erano rifiniti splendidamente, complicati a meraviglia e tanto numerosi, se non persino troppi!

     Una notte ero solo, in via Pretoria, davanti ad una vetrina  ignota ma tanto magnificamente multicolore e sfavillante… ospitava molti balocchi e balocchini d'oro, singolari e stravaganti, che al tatto emanavano lunghi tintinnii...

     I miei giocattoli erano perlopiù immaginari… ma quella notte ne potei sfiorare e toccare tanti!... preziosi!... e quasi giocarci! Tra di essi spiccava la figura slanciata, fiera ed elegante d’un galletto, grande quasi come una mano adulta…

   Con emozione ammirata lo toccai, e subito, tutt’intorno -come effusa da un'armonica a bocca- udii una  strana e toccante melodia, colma di tenerezza, che si alternava o si aggiungeva al pianto straziante di un bambino disperato che pareva singhiozzare come per sempre abbandonato!... forse anche dalla vita!!    

    

     Mi volsi allora per cercare aiuto, rimedio o rifugio... ma dietro di me tutto era svanito!... 

 

     Ogni cosa era stata inghiottita dal buio più profondo, prigioniero di un silenzio implacabile!

*

Gesů, celebrato dai včnti

           Come una scena già vissuta... Gesù, in cima ad un colle, celebrato dai vènti!

 

     Ed ecco le sue vesti maestose allungarsi ed ondeggiare verso di me fino a lambirmi, e dal suo sguardo giungere una voce -dapprima instabile e fluttuante- poi chiara, placida, soave, come intenta a liberarmi dai timori più inquietanti!

         Una voce remota, eppure intima...

  più di me stesso!!!

 

      Dietro di lui che chiedeva e sapeva, passò un diavolo zoppo... coi suoi campi di grano ricurvo tra le spine.

 

*

Il giocattolo tanto atteso

  Per un tempo breve mi ritrovai ad abitare la mia casa con spensieratezza vertiginosa.
        La stanza grande era assorta nei giochi di piccole mani vezzose che trovavano, ogni tanto, l’impaccio o l’incanto di gesti imprevisti e allora uno sciame di voci soavi riecheggiava inquieto o festoso.
       E tra minuscoli treni frenetici e teneri sospiri qualcuno disse che sarebbe arrivato Giovialestro. Accorremmo verso l’unica finestra come per fare un nuovo gioco e scorgemmo animali camuffati e arlecchini vanitosi o solo ironiche sfilate di favole.
      Poi, il sentore di qualche dinamicità in arrivo li indusse alla fuga e nello spazio che avevano occupato arrivò la Conferma.
      Era Giovialestro, il giocattolo tanto atteso, mosso dall’anima d’un amico.
    Ronzando e quasi volando giunse un’automobilina a velocità incontrollabile inseguita dai fremiti d'un fuoco innocuo.
    A quella vista proruppi nelle lacrime più irrefrenabili e volli rendere omaggio all’infanzia: parlai del magnificatore dei sogni e dei sognatori che sono sempre definitivi, trovai inflessioni elette e parole preziose, evocai solitudini misteriose.
     Poi dall’interno di una cattedra troppo imponente si levò una voce severa e cavernosa che prese a interrogarmi.

     Esitai... esitai fino a non poter più esitare. E mentre cercavo le parole introvabili una gelida nube, simile ad un brusco risveglio, mi sottrasse a quella inattesa certezza di soccombere.


*

Tesori ovali d’un volto

     Fra la pioggia e la solitudine allungai la voce verso occhi loquaci di donna, tesori ovali d’un volto.

     Aveva già un uomo sul contratto, ma mi disse: “A  domani!”

     Bene, bene… pensai, inseguendo la fuga delle sue labbra frementi.

     La dama scomparve, e i suoi passi echeggiarono a lungo nelle mie speranze…

    Ma quando i beffardi furono beffati e le crudeltà assalirono i malvagi, scoppiò una gran rissa che si riversò su di me. La zuffa furiosa  significò spalle squarciate, brandelli di uomini appesi ai muri, occhi chiusi per sempre.

 

     Un cuore mi suggerì di non sperare. Tuttavia potevo figurarmi di salire sui pini, vestirmi di fiori e di erbe nuvolose, o cadere mille volte senza toccare il suolo…  

     E ancora scorgevo la bimba che ha amato la culla dove la notte era un angelo.

   Il pensiero era lì, col suo triangolo sul naso, nascosto dalla mia giacca in un perpetuo accovacciamento.

 

*

La coscienza č un gigante

     "La coscienza è un gigante!"

 

     Questo il tuo proclama, papà, tra allegre effusioni e qualche pena.

 

    Sei tornato con lieta baldanza e col tuo implacabile piglio di sollecitudine verso i bisognosi.

 

    Hai bussato, impaziente, alla vecchia dimora e i nostri abbracci sono volati a te, ebbri di commozione esultante.

 

     E quando ti abbiamo chiesto dell'Aldilà hai accennato a qualcosa dì rassicurante... ma, qualche volta, hai taciuto, mostrando smarrita malinconia, con occhi più diafani e tenui e guance un po’ consunte.

 

     Abbiamo passeggiato a lungo, piacevolmente... a volte, hai indugiato tra la gente, ma nessuno si è accorto di te!...

    Poi hai allungato il passo... e ti sei incamminato verso luoghi riarsi e solitari, ma, mentre ti seguivamo,  le tue gambe hanno ceduto e ti sei accasciato... come aspettando una nuova morte!...

 

     Ci hai pure detto che hai intravisto Gesù e, forse -la prossima volta- ci dirai che ti sarà sempre accanto: così, sul tuo volto non indugeranno più livide ombre di malinconia.

*

Una danza di parole sui GialloBus di Como

       Ogni mattina ciascuno si avvia coi silenzi un po' smarriti e schivi e un’ombra della giornata che finisce, e c’è chi viaggia nei pullman senza pagar biglietto per i suoi versi... i versi estemporanei di un gentile e brioso giovanotto, sempre pronto a regalare raggi di poesie e a fischiettar melodie... ebbre di nostalgie!

    Vi  sono  ali nella sua voce, visioni nella sua parola!

    I bambini sanno che, tra poco, un gorgheggio fischiettato saprà giocare a nascondino dietro ad un braccio levato.

       Le provviste sono nella borsa tenuta da una mano in tasca.

      A cavallo d’un polso va l’ombrello…

     Cosa c’è di più  bello, in un pullman che si arrampica, se da uno sguardo di donna verranno lampi di idoli africani e una danza di parole sacrificherà imbarazzi alla piccola divinità di un bacio?

     Vulcanica umidità di selva è in lei, sberleffo di mulatta, vellutata avventura di formose membra, il suo sorriso comincia a sperare dai baci e passa al mio cuore salutando.

 

        Ma il coro dei mondi aspetta ancora all’orizzonte…

 

*

L’ospite

                    Aura è stata ospite in casa mia!

 

     Ero tanto ansioso di farla conoscere a Rosaura, mia moglie, allora dolce e radiosa senza posa, che, uscita di casa, tardava a rientrare.

 

     Con l’ospite rievocammo il comune passato con diletto incantato e le ore danzarono veloci.

     Giunse la sera senza il ritorno agognato, e tuttavia noi due ci mettemmo a letto: Aura fu tutta sussurri deliziosi, squillanti simpatie e sensuali gentilezze, io: dolci assedi…

     Poi uscii a cercare Rosaura, soprattutto nei dintorni della stazione -dove era la mia casa d'un tempo- in realtà dimora dei miei genitori.

     La notte era fredda e fosca e non mancava gente losca; di Rosaura neppure l'accenno...

     Chiesi di lei a mia madre: da qualche giorno non ne aveva traccia... mi sentii raggelare, ma dopo averla ascoltata nacque un caldo mattino... subito, però,  seguito da una notte più arcigna…

     Dal mio balcone scorsi un gigante tozzo, un po’ fanciullo, dall’aspetto trasandato, che mi scrutava dall’alto di un loggiato.

     L’angoscia si fece lancinante… ma, all’istante, fui inondato da un mattino vellutato. Ed eccomi di nuovo in casa, con Rosaura accanto, come se non fosse mai mancata... Se ne stava, a letto, tra me e Aura. Gliela presentai, ma si risentì, salutandola con asprezza.

     Allora l’ospite si irrigidì ricoprendosi di lentiggini, e poi tanto appassì che si dissolse.

 

*

Senza circondarsi di stupori

      Nella notte fredda della grande piazza della stazione, venne, in mezzo alla folla, un posarsi ovattato, un sopraggiungere felpato di pennuti giganteschi, alti quasi tre metri, dall’aria mite, collo eretto e testa di piccione, con zampe lunghissime e robuste come di struzzo, mentre attorno alla piazza c’erano solite e insolite presenze sospette o addirittura insidiose.

 

 

     Vennero o scesero sotto un cupo cielo blu con un senso di rassicurazione e una nota di mistero e presero ad incedere con passo elegante, preceduti e accompagnati, segretamente, da un tenero e diffuso alitare che perdurò e divenne quasi festa zampillante … ma senza accendere stupori!

 

    All’inizio i pennuti indugiarono, solennemente circospetti, indi, senza fretta, proseguirono risolutamente e, con un senso di pacata familiarità, s’inoltrarono tra la folla, come gentile e educata gente tra la gente, ma senza circondarsi di stupori, in mezzo ad un lieto e colorito viavai o ad attese di altri arrivi o partenze.

*

Luci appartate e come assorte

        Nella casa di periferia di una graziosa città  di montagna, dove, di recente, era morto l'illustre dottor Clantini, ci fu un lungo periodo di ignote luci notturne, che se ne stavano dietro le poltrone, come appartate e assorte...

     Erano luci variegate ed eleganti, un po’ nomadi, di solito fulgide e come estroverse o tenui e come introverse... a volte in preda a torvi incupimenti…

    Invece, una mattina, di prim'alba, sotto il mio letto, scorsi una luce, come di lampada, che servisse a qualcuno per leggere… la cosa mi sembrò un po' buffa ma anche inquietante… evitai, allora, di chinarmi per dare un’occhiata, e preferii gettare un indumento contro quella luce che, però, all’impatto, si spense.

 

    Per qualche minuto, tutto rimase tranquillo, come se si trattasse di un fatto irrilevante... ma, poco dopo, qualcosa di bruno e di tetro, simile ad una cupoletta, cominciò, lentamente, a levarsi, all’altezza dei piedi,  in fondo al letto…

     Non feci in tempo a stupirmene che me la ritrovai a fianco alla testiera, ma, invece della cupoletta, fui al cospetto di una bella giovinetta, ritta e altera, in gramaglie di pizzo, col capo ricoperto di un ampio velo scuro.

      Come per scusarmi o per salutarla, la guardai in viso... ma in risposta mi lanciò uno sguardo di crudeltà implacabile!

       Allora, un terrore smisurato mi chiuse a lungo gli occhi... e quando trovai il coraggio di riaprirli, la giovinetta era scomparsa!

*

Sulle verdi acque immote

            Sulle verdi acque immote volano aquile immani, non dissimili da conchiglie bivalvi, in elitre forti quasi come roccaforti.    

 

        A volte, si tuffano, schiudono il guscio e dilaniano qualche persona, tal’altra se ne vanno placide e lucenti e posano come farfalle.

 

       Ma ogni tanto, si leva un lungo grido d’orrore… inermi, allunghiamo le braccia, cerchiamo di comprimere le loro teste ma le aquile guizzano spesso come serpi e ci mordono il ventre!

 


*

Una meraviglia che basta e… avanza!

    Per due mattine, poco dopo l’alba e per una manciata di minuti, la mia fanciullezza traboccò di meraviglia…

 

     A fianco al mio letto, un po’ più in là delle pantofole, scorsi una moltitudine di persone e di animali in miniatura, non più alti di una decina di centimetri.

     Gli uomini avevano il capo ricoperto di turbanti e, come le donne e i bambini, calzavano babbucce e parevano vestire alla maniera araba antica... gli animali erano mandrie di cammelli e di bovini, tra cui spiccavano e abbondavano mucche dai colori irrealistici: rosa, viola, blu, azzurro... e nel bel mezzo della moltitudine si aggiravano, puntuali, i pullman verdi fiammanti del secondo dopoguerra della mia cara città natale, Potenza…

 

     Ad un tratto volli tentare di afferrare e serbare qualche mucca dai colori più sorprendenti per mostrarla ai compagni di giochi e ai miei fratelli a cui spesso raccontavo storie che accendevano i loro volti di meraviglia che però, poco alla volta, mutava in incredulità.

      Così decisi di inseguirne più di una, ma la cattura si rivelò prima difficile e poi, addirittura, impossibile... quelle piccole mucche erano tanto agili e veloci e per nulla intenzionate a farsi agguantare...

    A lungo ne inseguii anche fin sotto un grande armadio un po’ lontano, distendendomi per terra per allungare le braccia attorno ai piedi del mobile, dove usavano nascondersi... invano!

      Una volta, però, in mezzo a tante di esse, riuscii ad acciuffarne una: aveva una consistenza poco meno che aerea, e mentre sembrava proprio che l’avessi afferrata, sgusciò via dalle mani velocissima riuscendo ad allontanarsi…

      Rimasi quindi a contemplarla con un gran senso di delusione ma anche con la felice consapevolezza di aver vissuto un’avventura che sapeva di magia…

 

    La maggior parte di quei piccoli esseri non sembrò accorgersi della mia presenza.

    Uomini e donne proseguirono le passeggiate o seguitarono a far mercato mentre, qua e là, i bambini in miniatura continuarono a giocare ebbri dei loro giochi briosi e spensierati.

*

Il rumore dei passi

     Poco più che ventenne ed in compagnia della mia prima sorellina Claudia, feci una speciale passeggiata serale sulla strada principale d'un paesino di alta collina cilentana…

     Lei era vivace e burloncina e spesso lieta di essere e di esserci ed ebbra di piacere e di piacersi, all’insegna d’una delizia folgorante!

     L’aria era satura di profumi e percorsa da soavi venticelli e tutta splendore di luna, che aleggiava di gentilezza e tenerezza, con una luce tanto chiara e radiosa che alberi, cespugli e manto stradale erano visibili quasi come in pieno giorno.

     Era proprio una luna, quasi discesa in mezzo a noi, per regalare incanti!…

 

     Ma, mentre procedevamo così circonfusi di beatitudine, dopo qualche centinaio di metri, fuori dell’abitato, avvertimmo un rumore quasi assordante di passi, provenienti da una strada che scendeva dall’alto e che più avanti incrociava la nostra per proseguire verso il sottostante cimitero… peraltro, privo di qualsiasi muretto o recinzione…

      Il rumore dei passi era tanto poderoso e ponderoso che ci fece sobbalzare… e così immaginammo che appartenessero ad un massiccio gigante,  più alto di due giraffe una sull’altra …

     Dopo un po’, io e Claudia ci trovammo quasi all’incrocio delle due strade e sentendo quei passi ormai quasi prossimi e non avvistandone l’autore, ci fermammo assai stupiti ed inquieti… anche quei passi si fermarono!… allora il terrore si impadronì della bella Claudia che scoppiò in un pianto disperato... ma io subito la soccorsi con un abbraccio, accompagnato da parole incoraggianti, e, riuscendo un po’ a calmarla, le proposi di invertire la marcia a passo lesto e lungo, però senza correre,  per non dare al “gigante” l’impressione di essere atterriti.

 

     E così, di buona lena, prendemmo la via del ritorno, nell’ansiosa speranza di non essere raggiunti… gli enormi passi cupi -come per inseguirci- ripresero la loro marcia… ma giunti all’incrocio delle strade… si lanciarono -rimbombando furiosamente- in direzione del cimitero…

 

     Allora noi due, rincuorati e sollevati, rientrammo in paese per rifugiarci nella nostra dimora, accolti -come sempre- dalla fervida lietezza dei nostri  genitori, a cui non facemmo parola dell’accaduto.  

*

A due passi dall’oceano.

     Ad un passo dall'oceano,  presso una duna torreggiante, si tenne  uno spettacolo senza copione, attori o spettatori.

 

     Le acque vicine avevano incanti di spume scintillanti o tenui e intense meraviglie cangianti.

      Qualcuno attendeva gli eventi con la curiosità più spontanea e la trepidazione più viva.

     Eravamo in tre e, senza chiederci dove e perché, evitammo anche di fare conoscenza.

 

     Sotto i nostri occhi,  in una gola sperduta, un assassino cercava vittime ma prima che ci scorgesse lo assassinammo.

     Una ninfa e tre santi si bagnavano nelle acque poco profonde dell'oceano. Ad un tratto la ninfa avvinghiò un grosso pesce guizzante che brillava di verde e d'azzurro. E mentre i tre santi innalzavano i loro sorrisi a Dio e le loro carezze sfioravano le acque, il grosso pesce sgusciò via dileguandosi.

    Un attimo dopo passò scivolando -in frettolosa indifferenza- un immane serpente corallo. La ninfa trasalì ma il serpente fu presto lontano. E tornò il grosso pesce ma come per giocare a non farsi catturare.

 

     Sulla duna, un pagliaccio, vestito d'erbe e di rose, danzò e rise e tanto buonumore arrise,  ma presto sparì e al suo posto giunse una regina con un cortigiano. Erano del Giappone e volevano regnare.  Li scacciammo.

     E non facemmo in tempo a rifiatare che una fiera bianca sbucò sotto di noi: aveva membra e movenze di iena e testa enorme di lupo. Ma noi provocammo  una valanga di sabbia e per sempre la fermammo.

 

    All’improvviso mi trovai  tra due donne avvenenti e audaci. La prima si allontanò guardandomi senza interesse. L'altra mi offrì delizia ardente in un abbraccio.

 

     E mentre ero con lei vidi il Bologna perdere due a uno.

     La gente commentava: "Il Bologna è una vergogna!"

     Io, comprensivo, rispondevo:  "E' solo un manipolo di campioni  in un periodo di scalogna!"

    Dopo qualche tempo accesi la tivvù: riprendeva il Bologna in una partita complicata.

     Il tempo passava, l'attacco non segnava, la difesa nervosa pasticciava e quando l'arbitro fece per portarsi il fischietto alle labbra per l'ultima volta, Savoldi, il centravanti bolognese che non segnava da almeno un mese, scavalcati due avversari, il portiere rivale sorprese!

     Il Bologna vinse,  la scalogna perse!

    Il pubblico amico si esaltò e rise: "Viva il Bologna che, finalmente, ha sconfitto la scalogna!"

 

 

     Una radio trasmette la cronaca di Inter-Fiorentina.

     Le squadre si danno lenta e prevedibile battaglia e al trentesimo del secondo tempo, sono ancora, tediosamente, sullo zero a zero, ma, ecco, all’improvviso, la radio tace e… un silenzio bianco, come di marmo, fulmineo si propaga,  inghiottendo plaghe e pensieri.