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Raccolta di testi in prosa di Daniela Ronchetti
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Une lettre a’ ma petite Albertine

N'importe quel jour,
De n'importe quelle anee.



Mon amour Albertine.

Temo, mia dolce Albertine, di aver per un attimo infinito sovrapposto l'amore ancora fanciullo per Gilberte, ai graffi sanguinanti con cui hai placato la sete di te.Mi hai strappato dal cuore con sospiri e promesse fatte di nulla, l'imprudente, aristocratica passione per l'unica donna cui non avrei mai osato chiedere qualcosa in piu' di un semplice bacio. Ti amo Albertine, dolce purpureo fleur du mal. Miele dalle labbra aride e ardenti, hai voluto dalle pieghe nascoste del mio corpo la tenerezza languida di una qualsiasi Andree'.
Ricordi l'ansia repressa con cui ti cercavo tra le amiche lungo le strade bagnate dal mare di Balbec?.
Fanciulle in fiore, o fiori fatti fanciulle.
Tutte vi ho amate, puledre non ancora pronte all'amore.
Vi ho cercate con la purezza di un sentimento che osava sfiorarvi col solo palpito del pensiero.
A Balbec, Elstir ha regalato il dono della vera bellezza, inutilmente cercata nei volti di mille fanciulle in fiore.Sai dirmi Albertine quando e' morto il nostro amore travolto dalla tua indifferenza, dalla mia gelosia, dai tuoi tradimenti, dalla tua fuga senza ritorno?
Bacio ancora una volta, con la stessa passione del tempo per noi inesorabilmente perduto,quelle tue labbra riarse d'amore e di vita.
A volte, mon chere,da troppo tempo prigioniero di questo luogo senza ne' spazio, ne' tempo,vedo, il mio amore per te, riflesso nell'amore che Marcel, un amico da te mai conosciuto o compreso, ha avuto per un certo Agostinelli.
Anche lui come te e' stato posseduto e adorato. Prigioniero imperfetto di un amore sublime, di cui resta soltanto la vaga memoria, sepolta nelle acque profonde di un gelido mare,o tra le pieghe oscene del tempo da noi mai piu' ritrovato.
Per sempre tuo,
Marcel.

*

La casa della vecchia signora


La vecchia signora rientro' borbottando in casa, e abbandonata su di un tavolo la borsa della spesa, bevve un bicchiere d'acqua, per sedersi subito dopo su di una sedia da giardino che faceva bella mostra di se' in un angolo della cucina.Ella si asciugo' il sudore che le imperlava la fronte, e dopo aver bevuto un altro sorso d'acqua, inizio' a disporre in bell'ordine nel piccolo frigorifero, cio' che aveva comprato. La donna, ottanta e passa ben portati, dai movimenti ancora sciolti, causa la sempre verde passione per lunghe camminate e minimi esercizi ginnici , si muoveva per la cucina e la casa, continuando a parlottare e sbuffare, invocando il nome di qualche santo a cui rivolgersi per farsi proteggere da quel caldo assurdamente fuori stagione. A tratti brofonchiando contro il defunto marito, responsabile non si sa come e perche,'del caldo, del disordine della casa, e della sua stanchezza. Entrando nella sala da pranzo –tinello- salotto-stanza degli ospiti, si fermo' per un attimo davanti alla fotografia del defunto, per rimproverargli qualche tradimento di gioventu', e quella sua indifferenza ai problemi di lei. Ella parlava spesso con la foto del marito, ma ancora piu' spesso, parlava con quella vecchia casa che l'aveva vista sposa felice, moglie brontolona e in ultimo, vedova felicemente rassegnata alla quiete dei suoi "ultimi" giorni. La signora Maria non era pazza, era semplicemente una persona sola che, troppo egoista per occuparsi di un'animale, preferiva riversare la sua carenza di affetto su quelle quattro mura, che ne avevano accompagnato la vita. Ella parlava con la casa, rivolgendosi ad essa come se sui muri fosse stampata l'immagine di persone reali, in grado di risponderle e interloquire. Non si aspettava risposte, e forse non le voleva. Ma a volte, stranamente, esse arrivavano sotto la forma di rumori improvvisi, porte che si chiudevano da sole, o piu' semplicemente scricchiolii all'interno delle pareti o dei soffitti. La casa , un piccolo villino sviluppato su di un piano, sorgeva in un quartiere periferico, ed era circondata da altre case e cassette, i cui abitanti, sapendo che Maria era rimasta completamente sola, andavano spesso a bussare al "villino della vecchia signora".Cercavano consigli, qualche pettegolezzo, le previsioni del tempo basate sui reumatismi della padrona di casa,e qualche "antica" e ormai introvabile ricetta, che la nostra Maria, cuoca impareggiabile, dava volentieri . A dir la verita' anche i vicini, a volte, avevano captato gli strani sussulti della casa mentre parlavano con la donna in salotto. Alcuni "creduloni" addebitavano il tutto agli "spiriti infestanti la casa", in particolare quello del marito della signora Maria . Altri , piu' prosaicamente, consigliavano a Maria qualche controllo sulle strutture portanti del villino. Ma quella, niente, rifiutando l'idea dei fantasmi o della casa da ristrutturare, se la rideva di tutti i consigli e le ipotesi, continuando a nutrire una illimitata fiducia in "quelle quattro mura", lasciatele con una pensioncina dal defunto, che ormai erano divenute l'unico scopo della sua vita.

Una sera in cui la nostra Maria era particolarmente in ansia a causa del caldo e dei reumatismi, alle costanti domande sul perche' e come e quando, sarebbero finite tutti quei tormenti, la casa le rispose con un sussulto piu' forte del solito.La donna di aggrappo' immediatamente ad una sedia, stupita per la risposta violenta della sua interlocutrice di sempre, ma un altro sussulto, questa volta ondulatorio, e uno strano ondeggiare delle pareti, le fecero capire che c'era qualcosa di strano, e istintivamente si precipito' in strada . Appena in tempo per vedersi crollare l'adorata casa sotto gli occhi e quasi ai piedi. Lo spettacolo di quel crollo era per lei talmente terrificante, che non si rese conto di tutti gli altri vicini in strada, che come lei, ai primi tentennamenti delle loro abitazioni, dovuti ad una scossa di terremoto, si erano precipitate all'aperto. Passata la paura per quell'evento, tutti constatarono che, grazie al rispetto delle norme antisismiche, le case della zona erano rimaste in piedi . Tutte, tranne quella della signora Maria, che, inebetita, rimaneva li' ad osservare lo scempio fatto dal terremoto del suo unico e adorato bene ed affetto.Gli altri le si avvicinarono e cercarono di consolarla, di farle coraggio, qualcuno se la porto' a casa dicendole che per il momento sarebbe stata ospite di tutto il vicinato.

Erano passati due mesi da questi drammatici eventi,e la signora Maria ora si trovava in una casa di riposo per anziani. Ella, assistita e coccolata dalle infermiere, a cui distribuiva consigli e ricette, continuava a rimpiangere e sognare le chiacchierate e le belle giornate trascorse in compagnia della vecchia casa. Ma era anche consapevole che ormai quella era ridotta ad un cumulo irrimediabile di macerie.Un mattino in cui Maria era di cattivo umore, ricevette la visita di un uomo, che qualificatosi come un agente immobiliare, le propose la vendita delle macerie del suo villino, e del grosso pezzo di terra su cui esse poggiavano.Maria lo scaccio', ma quello torno' piu' volte, offrendole sempre una cifra in denaro, non eccessiva ma interessante"Per una signora che ormai non aveva piu' da aspettarsi molto dalla vita". Anche le sue amiche infermiere le consigliavano di accettare la proposta dell'immobiliarista, ma lei niente. Ma, in una notte in cui il ricordo della casa non la lasciava dormire, le venne un'idea.Alla successiva visita dell'uomo gli disse:"Giovanotto, io non vendero' mai la mia terra per la cifra che lei mi propone. Piuttosto potremmo fare uno scambio conveniente anche per lei che vuole il mio pezzo di terra per costruirci uno stupido centro commerciale."Ella espose la sua idea, che dopo qualche ulteriore "aggiustamento" venne accettata.

Passo' un po' di tempo, e sul terreno della signora Maria venne costruito un iper-super-modernissimo centro commerciale a forma di torre. Una bella torre dalle forme avveniristiche, e dalle pareti composte da pannelli solari e da grandi finestroni di vetro brunato, che si sviluppava in altezza, e che, inutile dirlo, divenne la gioia e il passatempo degli ex vicini della nostra Maria.Ma in cima alla torre, proprio sulla punta, molto in alto, a voler guardare bene, si distingueva una casa o meglio un villino, fatto con vecchi mattoni in stile chiaramente liberty, dalle cui finestre, a volte, si vedeva una vecchia signora intenta a dar da mangiare ai piccioni, o ad osservare tra i colori ambrati del sole al tramonto, il volo querrulo delle rondini, e i giri concentrici dei gabbiani alla ricerca di facili prede.Talvolta, nei rari giorni in cui il mega store era chiuso, era anche possibile ascoltare la voce di una donna anziana che diceva: "E si,un luogo per viverci bisogna anche saperselo conquistare, se poi si deve mercanteggiare, pazienza, l'importante e' riuscire…" E stranamente si potevano, a quelle parole, udire scricchiolii di assenso prevenire sia dalla torre, sia da quelle vecchie mura vicino al cielo, in cima al modernissimo centro commerciale

*

L’albero della vita.

"Attorcigliato su me stesso, senza foglie. Rinsecchito,specchio dolente di un mondo alla deriva, vivacchio in attesa della fine.Mi guardo scorrere in questo misero e puzzolente specchio d'acqua, e se non fosse per l'umore acquoso che mi bagna le radici, sarei gia' morto da tempo."
" Il tempo scorre ai miei piedi con il torrente d'acqua che continuamente va per non tornare mai piu'. Ma non e' sempre stato cosi'"
E nel frusciare queste parole, il vecchio albero somigliante ad una mangrovia disseccata, si stiro', in tutta la sua maestosa e, ormai trascorsa grandezza.Cerco' quasi di ghermire il cielo, e con braccia secche e nodose, sembrava voler agguantarne l'azzurro e lo scintillio dorato del sole.
"Io, l'albero della vita, condannato a finire in questo mondo mediocre.Io che ho visto e vissuto l'alba della vita e cio' che e' nato da essa.
Ero li', nel cosiddetto paradiso terrestre. Non capisco queste due parole. So soltanto che allora ero pieno di vita. Il mio fusto protendeva rami giganteschi verso un cielo perennemente violaceo, dove fascinosi soli di luce danzavano infinite danze , unendosi e lasciandosi, per correre impazziti ad illuminare angoli nascosti di quello strano mondo. Non cadevano, restavano li', in eterno movimento, quasi volessero, danzando, celebrare la Gloria di un qualcuno che ne dirigeva la corsa. E gli animali. Strani, diversi da quelli poi visti. Enormi o microscopici, intenti a correre, scontrarsi , incontrarsi lottandoin un puro gioco di forza. Strani animali ho detto. Formiche gigantesche,costruivano abitacoli grandi come montagne, alla cui ombra pascolavano placidi leoni e aggraziati bipedi dalla lunga proboscite e dalle corte zanne dorate. E poi le tenere tigri dai lunghi denti d'avorio. Agili cerbiatti pronti a percorrere al galoppo centinaia di chilometri se spaventati.E ancora lucenti farfalle argentate, e robuste api che solo a sfiorare i miei rami poderosi, perdevano il miele dai grandi favi poggiati sui dorsi alati. E aggraziati pesciolini blu, che saltando fuori dall'acqua, spiegavano grandi ali multicolori che li libravano in alto, verso i raggi accaldati delle stelle piu' remote.Ma quello che mi incuriosiva maggiormente erano due bipedi, che spesso si addormentavano ai miei piedi. Erano strani.Sembravano studiarsi per capire chi dei due avrebbe avuto la meglio sull'altro. A volte sembravano quasi lottare tra di loro, ma non nella maniera giocosa delle altre specie. Piuttosto sembravano rabbiosamente intenti alla vittoria.Fu durante una di queste loro lotte o giochi,che si ferirono. Il sangue spillo' dal loro corpo, e quasi in un momento tutto il creato sembro' fermarsi per ascoltare i gemiti di dolore di uno dei due. Fu la fine.
Una tempesta di pioggia, freddo, grandine, neve ghiacciata, si riverso' su di noi. E poi il fuoco, violento, dirrompente, inaspettato . Scendeva dal cielo, come se i mille soli danzanti, si fossero improvvisamente sciolti in nuvole di fuoco. Gli animali cominciarono a correre, a scappare terrorizzati. Affamati per la mancanza di frutta e foglie e fiori, cominciarono a divorarsi tra di loro, in un crescendo di sangue e grida spasmodiche. Il buio era quasi totale, a tratti rischiarato dalla debole luce di una strana forma bianca che dondolava in cielo.E I due bipedi causa di tutto questo, forse, ma dico forse, coscienti di cio' che avevano fatto, fuggirono anche loro, per andarsi a rifugiare non so dove,per poi abbruttirsi in strane forme scimmiesche, da cui solo dopo molto tempo, riuscirono a riemergere. Ed io…Rimasi li'. Dapprima maestosa barriera di protezione contro la furia che si scatenava intorno a me. E poi, sempre piu' spoglio delle grandi foglie dalle dita aperte, pronte a raccogliere cio' che la natura intorno a me, stillava. I rami si rattrappirono e attorcigliarono sempre di piu', ed io persi il mio bellisimo colore bronzato, per divenire un sudicio scheletro, macchiato di marrone e sterco di poveri uccellini freddolosi.Una volta col passare dei secoli, qualcuno venne a studiarmi. Lo chiamavano Da.. Dar..Darwin, o qualcosa del genere. Ma anche lui non riusci' a capire la mia natura quasi immortale. Mormoro' qualcosa sull'evoluzione e mi misuro'.
Ora mi specchio nell'acqua malsana di questa piccolo palude salmastra. Sono circondato da volgari insetti e da cio' che resta degli splendidi animali che riposavano all'ombra dei miei grandi fiori fosforescenti. Poco tempo fa, uno di quei bipedi maldestri, mi e' venuto vicino per guardarmi e studiarmi, poiche', dice lui, sono vittima di uno strano parassita che mi divora la linfa vitale. Sara', ma io di parassita ne conosco solo uno, e non e' certamente dentro di me."
Cosi' fini' di strormire tra le foglie quello strano albero, mentre il rumore dell'imbarcazione che trasportava due uomini armati di ascia si avvicinava sempre piu'.

*

Iettatura


amminava rasente ai muri della strada .Scuro di carnagione, piccolo,irrimediabilmente vestito di nero.I capelli anch'essi nerissimi,forse per una tintura troppo accentuate, erano pettinati lunghi, all'indietro,lucidi di crema. Mentre gli occhietti, neri anch'essi, guardavano diritti alla strada con fare furbesco. Camminava stringendo tra le mani una borsa per documenti I passanti che lo incrociavano, non conoscendolo, lo ignoravano.Ma quelli che lo conoscevano,al suo passaggio, si spostavano, scoccandogli strani sguardi ricchi di apprensione. L'omino non sembrava accorgersene, tranne che per i borbottii che emetteva ad ogni incontro.Arrivato a casa, un modesto monolocale, appoggio' la borsa da qualche parte, e dopo essersi lavato e cambiato, diede da mangiare al gatto, nero naturalmente, che facendo le fusa lo seguiva ovunque.

"Tieni, mio principino,mangia.E' il tuo lattuccio con qualche biscottino dentro.''

E mentre dava da mangiare al suo "principino",aggiungeva:

" Come al solito li ho incontrati tutti, questi infingardi.Tutti….Vedessi che occhiate mi lanciavano! Credono che non so che per loro sono uno iettatore. Vedi principe, io sono buono di natura, e mi piacerebbe anche avere qualche amico,ma quelli niente, si sono messi in testa che porto sfortuna. Capisci! Io sfortuna….Ma se potessi vorrei che fosse sempre primavera. Loro niente….Anche in ufficio,mi scansano, parlottano alle spalle, ridacchiano e soprattutto fanno le corna….Si le corna."

A questo punto il micio, alzato il musetto sporco di latte verso il padrone,come ogni sera, iniziava una serie di miagolii patetici, quasi a volerlo consolare della stoltezza umana. Ma il nostro omino, invece di rappacificarsi, si scaldava ancora di piu', e continuava il soliloquio con il gatto.

"Tutti matti, e stupidi. Ma vedrai verra' un giorno in cui dimostrero' chi sono veramente, e allora vedranno se porto fortuna o iella. Tutto perche' chi mi ha avvicinato entro breve tempo ha avuto qualche problemino fastidioso. Idioti..Tutti idioti.." E terminate la frase, faceva il gesto di sputacchiare verso gli immaginari idioti presenti nella stanza.La cosa andava avanti in questo modo ormai da anni, e purtroppo ormai da anni, il nostro omino si era veramente conquistato presso colleghi, conoscenti e vicinato, la fama di essere uno iettatore.E c'e' da dire, che questa, era una fama tanto immeritata quanto ingiusta.

Un bel pomeriggio di domenica il nostro amico decise di uscire, ma essendo estate, e volendo cambiare un po' le cose, volle indossare un bel complete di lino color crema.Si guardo' soddisfatto allo specchio, e dopo aver detto a principe che quel giorno voleva sfidare tutti, usci' per la strada. , senza accorgersi pero' che il gatto, anche lui desideroso di respirare l'atmosfera estiva, lo aveva seguito. Il nostro amico si incammino' per le strade consuete. Pero', malgrado il vestito chiaro e i tentativi di rendere "domenicalmente" festiva l'espressione del viso, la gente continuava a guardarlo non proprio bonariamente, tanto che il nostro,sempre seguito a distanza dal micio, decise di tornare a casa.Stava aspettando di attraversare lo stradone normalmente super trafficato, quando una bimbetta di 5 anni, figlia di una vicina, gli si avvicino' per dirgli"

Ciao, io mi chiamo Margheritina, e tu?""

L'omino la guardo' sorpreso, ma quella continuo' imperterrita:

"La mia mamma dice che tu non sei buono, ma a me sei simpatico. Ti vedo sempre dalla finestra quando dai il latte al tuo gattino.Sai anche a me piacerebbe avere un…"


Una mano frettolosa agguanto' la mano di Margheritina e una voce disse:

"Basta… smettila, lascia in pace il signore"

L'omino guardo' malinconico la bambinetta che si allontanava , e
piu' bizzoso che mai inizio' ad attraversare la strada. Improvvisamente vide alla sua sinistra Margheritina che, anche lei, evidentemente sfuggita al controllo materno, attraversava la strada.Veniva pero' nella stessa direzione una moto di grossa cilindrata ad alta velocita'.
In un attimo l'uomo comprese il pericolo e , con un balzo insospettabile alla sua eta', raggiunse la bambina spintonandola violentemente lontano, ma non fece in tempo a scansarsi, e fu preso in pieno dalla moto insieme al gatto, che d'istinto, capendo il pericolo che correva il padrone, lo aveva raggiunto, forse per proteggerlo.


La gente circondava silenziosamente Margheritina che ,abbracciata alla madre ,piangeva sommessamente.Poco piu' in la', il nostro omino giaceva in terra, con il sbel vestito color crema irrimediabilmente sporco.Egli si sentiva stranamente libero a causa del gesto che aveva compiuto. Steso in terra si guardava intorno con una strana nebbia negli occhi, che lentamente si andava diradando.Cercava inutilmente di attirare l'attenzione della gente li' vicino, che faceva circolo intorno alla bimba e alla madre. Un agente poco piu' in la', disciplinava il traffico, e il nostro eroe, messosi a sedere, con gesti e parole, voleva rassicuarare tutti che lui stava bene. Ma nessuno sembrava prestargki attenzione..Soltanto principe continuava a strofinare il dorso sulle sue gambe. Finalmente l'omino si tiro' in piedi e dopo aver dato una grattatina incoraggiante al gatto, visto che nessuno lo degnava di uno sguardo, comincio' senza voler piu' ne' dire, ne' sapere nulla, ad allontanarsi dal luogo dell'incidente. Fece solo in tempo a sentire due donne che parlottando tra loro dicevano:

" Te lo avevo detto io, quello e' sfortunato lui, e portatore di malasorte per gli altri".

E l'altra donna replico':

"Pensa che la bambina solo 2 minuti prima, stava parlando proprio con lui."

"Ma no……."


Non ce la fece a sentire altro. Quelle erano due stupide comari, meglio lasciar perdere.Fu allora che si accorse delle macchie di sangue sul vestito . Erano numerose,e chinandosi verso il micio, vide che anche il suo pelo nero era intriso di sangue. Si chino' per vedere meglio. Si accorse dei due corpi stesi in terra.
Uno era il suo, l'altro era principe.
Capi'. Improvvisamente capi' tutto.Era finita, lui non c'era piu'. Almeno per gli altri, lui era finito. Isintivamente comincio' ad allontanarsi da quel luogo assurdo. E mentre si avviava chissa' dove,quasi trasportato da una brezza leggera, seguito naturalmente dal gatto, si accorse che le macchie di sangue stavano scomparendo. Lui, che per tutta la vita si era vestito di scuro, e anzi era anche scuro di carnagione, ora stava divenendo sempre piu' candido, quasi immacolato. E anche il gattino emanava uno strano chiarore dalla pelliccia nera. Non gli importava piu' nulla della gente, e della loro stupidita'. Anzi li perdonava, . Lui ora stava bene, e se ne infischiava di tutto e di tutti. Improvvisamente, una splendente penombra dorata lo avvolse in un abbraccio senza fine. Ma prima di cedere a quella senzazione voluttuosamente benefica, volle lanciare un' ultimo sguardo alle sue spalle.Vide il gruppo di persone che lentamente si stava diradando, e Margheritina, aggrappata alla gonna della madre, che incontrato il suo sguardo, sorridendo gli faceva ciao con la manina. Subito dopo per lui fu il nulla…. Almeno su questa terra…..




*

Un amore grande?


Ti guardo,stupenda come il primo giorno che ti ho vista. E' incredibile come la malattia non abbia alterato la leggerezza dei tuoi lineamenti.Con te non si può parlare di una passata bellezza. Sei ancora bella come allora, e come allora giaci distesa sul letto in una posa languida, la bocca dischiusa in un lieve sorriso ironico che ti abbellisce. Ma ora non sei più con me, è finita, la malattia ha vinto, ora non ci sei più. Faccio fatica a pensarti come una cosa morta, ormai inesistente. Il tuo calore, il tuo profumo, ora sono andati, per sempre... Ti ho amata, e ti amo ancora, non come un marito ma come un amante. E' finita,tra poco verranno per portarti via da me. Avrei voluto tenere le tue ceneri con me, ma gli altri non hanno voluto, non hanno accettato che ti tenessi con me, per adorarti ogni giorno. Io non accetterò il loro funerale, non ci andrò.Tra poco uscirò da questa stanza e andrò via, nella nostra casa, per pensarti, ricordarti, averti ancora un pò con me.
E l'uomo dai capelli grigi, alzatosi lentamente dalla sedia uscì silenziosamente dalla stanza,dove la moglie morta, affondava lentamente nel sonno dell'eternità.
Arrivato a casa si sedette sopra una vecchia poltrona, e acceso uno stereo, sorridendo a qualcuno che solo lui vedeva, iniziò a ricordare una vecchia storia d'amore non ancora finita, la sua....

Un pomeriggio di tanti anni addietro, passando sotto la casa di un suo amico, decise di salire. Suonò il campanello, e quello, stranamente in accappatoio, considerando l'ora pomeridiana, dopo un pò gli aprì.
''Ciao''
''Ciao, come mai qui''.
''Passavo, pensavo di farti una visita''.
''Ma entra non stare sulla porta.''
Lo fece accomodare in salotto, e versatogli un drink, cominciarono a parlare di tante inutili cose. Poi l'amico andò in cucina, per preparare un caffè, e lui alzatosi per ammirare un quadro, la vide attraverso una porta socchiusa, languidamente distesa sul letto, stupendamente nuda, che lo fissava ironica e divertita. Capì subito di essere di troppo quel pomeriggio. Tornato l'amico cercò in fretta di accomiatarsi.
''Devo andare..scusa..''
''Ma no rimani..''
''No, non credo sia il caso...''
''Ma no, mi dia retta, resti qui con noi''
Lei era entrata e li aveva avvolti col suo profumo e il suo sorriso. La guardava affascinato, già attratto da quella giovane donna. Decise così di restare. Seppe poi da lei che era una delle tante avventure dell'amico, troppo distratto e preso dai suoi affari per innammorarsene. Così fu lui ad innammorarsi di lei. Fu vero amore, e in poco tempo ne fece la sua donna.Si amavano, anche se lei a volte si incupiva in strane giornate silenziose, in cui si chiudeva in sè stessa, in strani silenzi ostinati, poi, però, tornava il sereno, e la gioia di viverlo quell'amore. Poi venne il figlio e con esso la paternità, vissuta e accettata in tutte le sue sfaccettature. Il lavoro non gli pesava, aveva due perone che gli appartenevano a cui pensare. Con la maternità anche lei era cambiata, forse un poco più incupita, un poco più pensierosa, e qualche volta insoddisfatta del suo nuovo ruolo di madre. Lui aveva capito era solo un pò di depressione post partum, per questo la riempiva di coccole e regali che a volte sembravano infastidirla. Ma erano nuvole passeggere. Quando il bambino fu più grande, l'aiutò anche nel lavoro. Sfruttando la sua passione per l'arte le trovò un posto come gallerista, presso un amico pittore, e lei sembrò recuperare tutta la sua gioia di vivere. Una sera però accadde qualcosa di strano.
Lei non tornò a casa. Con il bambino trovò la ragazza che lo accudiva.
La mandò a casa , e prima giocando col figlio, poi tenendogli la mano mentre dormiva, cominciarono lunghe ore di attesa. L'aspettava preoccupato col segreto timore che non sarebbe tornata. Passarono le ore e finalmente dopo la mezzanotte, sentì sbattere la porta d'ingresso al piano di sotto. Scese le scale, e la vide lievemente sbronza che accennava alcuni passi di danza.
''Dove sei stata.''
''Ah, sei tu''
''Ho chiesto dove sei stata.''
''Fuori''
'' Dove''
''Affari miei''.
La gelosia gli offuscava la mente, malgrado ciò, cercò di rimanere calmo.
''Non è questa l'ora''
''Non è tardi''
''Hai un figlio e dei doveri''
''Me ne vado...''.....
Cercò di arrivare alla porta, la prese per un braccio nel tentativo di fermarla, lei allora cercò di colpirlo...Ci furono parole, insulti,volò forse anche uno schiaffo.....Ma tutto fu interrotto dalle grida del bambino che piangendo li implorava di smettere, e dal rumore sordo del corpo che precipitava giù per le scale.
Fu una notte terribile, la corsa all'oswpedale, i medici, l'intervento alla spina dorsale del piccolo, e poi ore e giorni di angoscia.
''Il bambino ce la farà. ma la spina dorsale è lesa, non potrà più camminare.''
Fecero di tutto, specialisti, fisioterapia, ma il banbino rimase così sulla sedia a rotelle, come una bambola rotta pronta a ricordar loro quella tragica notte. Superarono insieme quei momenti,lottarono insieme,e accettarono con forza quella nuova situazione.
Passarono gli anni, lunghi, fatti di piccole gioie quotidiane, fino alla malattia di lei, e alla sua fine.


Si era assopito, con gli occhi semichiusi giaceva in uno stato di dormiveglia. Gli sembrò di udire un fruscio, la vide che lentamente si avvicinava e si sedeva lì, sulla poltrona davanti a lui.
Bella giovane, con un soriso che le addolciva i lineamenti del viso.
Lo guardava con un misto di severità e dolcezza e passandosi la mano tra i capelli gli disse:
'' Ciao, come stai, so di averti lasciato solo, ma non me ne preoccupo.
Hai il tuo adorato figlio, ora te ne potrai noccupare a piacimento.
Sono contenta che hai deciso di non venire al mio funerale, meglio così, non lo avrei sopportato. Non sopporto più la tua presenza,sono venuta per parlare con te un'ultima voltsa, poi non dovrò più vederti o starti vicina.
Ti ho amato all'inizio,ma poi non hai voluto capire che mi ero stancata, hai continuato in questo tuo folle amore egoista, che non vedeva, nè rispettava i miei sentimenti.
Mi hai dato tutto, anche un figlio, ma mi hai tenuta prigioniera del tuo amore, del tuo narcisismo.
L'avermi ti faceva sentire utile, necesario, importante.
Quella sera avevo intenzione di lasciarti, di mettere fine ad una storia che ormai non volevo più vivere. Non hai saputo capire. Il bambino lo avrei voluto con me, ma quando te l'ho detto hai urlato mai e poi mai, e poi mi hai colpita al seno, alla schiena, sembravi una belva,ti ho detto di calmarti, ma tu niente continuavi a picchiarmi. Ma non dirmi che avevi perso la ragione, perchè mai mi hai colpita al viso, o sulle braccia, o in punti che potevano facilmente essere visti da altri. E poi ilòbambino...Ha cominciato ad urlare e a chiamarci. ti ho detto smettila, il bambino...Ti sei girato, lo hai guardato, gli hai detto:
''Guarda figliolo come si deve trattare una puttana.''
E lui si è slanciato per le scale, per difendermi....Ed è caduto...''
Sedeva in silenzio ora, lo guardava con odio,con ferocia, quasi....
Lui non sapeva che rispondere, era vero quello che lei aveva detto. Ma lui l'amava così tanto, adesso come allora.Avrebbe fatto di tutto per tenetrla con sè, E lei riprese:
''Tutti questi anni sono rimasta con te solo per il bambino, non volevo che ricordasse quella notte, quella scena....Ho taciuto e ti sono stata vicina, non ti amo, e ti ho tradito...Quante volte....E' stata l'unica vendetta che mi sono presa..Ora fa ciò che vuoi,ormai non puoi più nuocermi...Ti lascio e ne sono felice...''
E lentamente svanì.
Lui si risvegliò all'improvviso, senza sapere se aveva sognato, o se lei era tornata per annullare così in un attimo il suo sogno di un grande amore...
Ma no, lei aveva capito la sua reazione di quella notte...Poi era tornata ad amarlo più di prima... e se veramente lei lo avesse tradito?...Tutti quegli anni....
Si alzò e lentamente si versò da bere ..Salì le scale con passo incerto e una strana espressione dubbiosa sul viso.