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Raccolta di testi in prosa di Nicola Lo Bianco
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

il pane di agostino

IL PANE DI AGOSTINO

A quest’ora, che ore sono? le sette, sarebbe pronta la prima infornata,

avrei già fatto le prime due ore, brioches bocconcini e millefoglie per le monache di S.Vincenzo, che dice: mastro Agostino, ma che ci fa la benedizione a questi panini?

Sorella, il pane è come la Santa Messa, ci vuole silenzio e devozione,

altrimenti non cresce, solo che oggi pane buono non ne mangia più nessuno.

 

Mah! dopo più di trentanni che faccio il panettiere, viene il principale e dice: ormai il pane è l’ultima cosa, Agostino, grazie, scusa. Disoccupato.

Meno male che allora ce l’hanno respinto di adottare un bambino,

ch’avevamo tanto combattuto io e Margherita,

ma non siamo in condizioni, dice, non siamo idonei.

 

Allora che cosa ho fatto nella mia vita?

Ora che sono capace di fare diventare il mondo pane addio,

scancellata pure quella sinfonia di mia madre che per qualunque cosa

ripeteva:-estratto e maestria, Agostino, estratto e maestria-,

che non ho mai capito che c’entrava l’estratto,

ma la maestria, cara madre, se mi vedi e se mi senti, ce l’ho messa,

ma a quanto pare tutto questo amore non è servito a niente.

Purtroppo è vero, ti sei illuso con questa prosopopea del pane,

che te l’adori come se fosse l’ultimo trofeo:dillo chiaro:ti sei ingannato.

 

Dice , il mondo è cambiato, vabbè,

cambiato per quanto sia, qualche cosa la devo fare,

mi potevo fare carabiniere insieme a mio cognato,

ma io, però, che lasciavo a Margherita?

Che già l’adoravo quando veniva d’inverno ch’entrava:

- mih!  che bel calduccio che c’è vicino al forno, mastr’Agostino!

che bello profumo di pane caldo di primo mattino apre l’appetito!

che quando l’abbracciavo, amore amore, mi pareva che pure lei

odorava di pane e farina, che non mi sembrava l’ora di sposarmela,

che già guadagnavo la  mia buona mesata, chè allora era vero il Padre Nostro che dice “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

 

Sia come sia, una sera a Margherita gli venne l’infelice idea di dire:

-a che non fai niente, Agostino,  vacci tu stasera a prendere il pane-,

e Agostino ci andò.

E fu bello perché tutti gli fecero festa, compreso il principale, tanto che il pane gli diedero quello caldo dell’ultima sfornata, che così arrivavo a casa da Margherita con quel profumo.

Invece Agostino gli venne in testa e cambiò strada e arrivò al ponte Corleone, frenò, posteggiò, e si mise a passeggiare rasente il muretto, uno sbalanco a portata di mano, chè uno arrivava, alzava la gamba e …

Solo che c’era quella luce della carrettella, con i cappelli e la bandiera

che sventolava, e quel vecchio tunisino seduto che lo guardava,

e in silenzio gli diceva: -ti vuoi sfracellare, sfracellati, tu morto e io vivo-,

e poi gli sorrideva, inshallah, e gli indicava le coppole, come a dire:

-vieni qua, comprati una coppola, che ti faccio uno sconto eccezionale-.

 

Dice che quando arrivò a casa che Margherita stava in pensiero,

dov’era stato?che ci faceva con quella coppola in testa che le pareva un altro?,

Agostino se l’abbracciò stretta stretta, se la baciò tutto furioso

come quando fu la prima volta, amore amore,

tanto che Margherita gli domandò:

-Agostino,  ch’è successo qualche cosa? Dimmi la verità. –

 

 

 

Nicola Lo Bianco

 

*

le cose da fare di Isidoro

LE COSE DA FARE DI ISIDORO

 

Ora che sono disoccupato e libero con tutta la giornata davanti, che faccio?

Che faccio? mi alzo di prima mattina che c’ho l’abitudine, mi lavo, mi vesto,

mi faccio un bello caffè, adagio per non svegliare a Margherita, ed esco.

 

Esco e mi faccio una bella camminata, oppure con la macchina mi faccio un giro,mi fermo dal gommista, oppure mi sfoglio il giornale dal barbiere,

oppure incontro qualcuno del vicinato: ciao come va?tutto a posto, e mi ritiro.

 

Troppo presto, appena Margherita mi vede, sicuro mi dice: ma che è, già qua sei?qua sono, lo so che sono di disturbo, lo so che il maschio casa casa nemmeno io mi posso vedere, però a camminare strada strada mi sembro uno scimmione, tanto vale allora me ne vado al Centro Commerciale, che ci sono tante cose da guardare, a che ci sono potrei comprare il Vinil per incollare, c’è sempre qualche cosa da incollare, oppure le batterie per l’orologio della cucina che all’improvviso si ferma e lo faccio ripartire.

 

Stai tranquillo che ora te lo trova Margherita il lavoro, potresti pulire la macchina del gas, cambiare il tubo di gomma ch’è consumato, prendo il cacciavite piccolo, allargo le fascette, ma ce l’ho il cacciavite piccolo?, stacco

il vecchio, ci metto il nuovo e stiamo tranquilli, i bruciatori intartarati li metto

a mollo con l’aceto, ci strofino la spugnetta d’acciaio, gli ugelli ci passo un filo di cotone, ci soffio e li libero, la fiamma se esce debole, si deve regolare.

C’è da cambiare il tubo di scarico del lavandino, aggiustare la serranda del gabinetto, le porte cigolìano, il campanello del portone non funziona:ce ne sono cose da fare.

 

Se Margherita lavorasse, io potrei badare alla casa, imparo a cucinare, la pasta coi tenerumi mi piace, la pizza la so fare, mi passo lo straccio, la polvere, stirare no, arriva Margherita, viene e trova tutto ordinato e pulito, mi sorride

e mi dice: bravo Isidoro.

Fino a quando speriamo, a Dio piacendo, non riprendo a lavorare.

 

Nel frattempo potrei andare a fare la spesa un giorno sì e un giorno no

vado a Ballarò che si risparmia, ma però devo stare attento al peso, Margherita è più scaltra di me, quando ci andai quella volta, mi scordai il prezzemolo, la pasta con le patate ci vuole il prezzemolo, ma io mi scrivo l’elenco della spesa su un foglietto e sono a posto.

 

A quest’ora, che ore sono? le sette, sarebbe pronta la prima infornata,

avrei già fatto le prime due ore, brioches bocconcini e millefoglie per la scuola,

ci sono quelli che impastano con la sugna. io mai, sempre ci metto l’olio d’oliva

e un pugno di zucchero è meglio del malto per darci sapore e colore,

le monache di S.Vincenzo dice: signor Isidoro, ma che ci fa la benedizione

a questi panini?

Sorella, il pane è come la Santa Messa, ci vuole silenzio e devozione,

altrimenti non cresce, solo che oggi pane buono non ne mangia più nessuno.

 

Mah! dopo più di trentanni che faccio il panettiere, viene il principale

che pure mi dava le chiavi del forno pure la domenica dovevo andare  a impastare il lievito madre, tanto che Margherita mugugnava,

e lui ora dice che gli serve un giovane rosticciere, chè ormai il pane

è l’ultima cosa, dice, tu Isidoro sei bravo con in mano la tua maestria ti puoi arrangiare, senza figli, dice, è più facile: grazie, a uno che passa il tempo a guardarsi il portafoglio, che ci vuoi dire?

Meno male che allora ce l’hanno respinto di adottare un bambino,

ch’avevamo tanto combattuto io e Margherita,

ma non siamo in condizioni, dice, non siamo idonei.

 

Allora che cosa ho fatto nella mia vita?

Aveva ragione Margherita a dirmi che sono troppo buono,

per non dire che sono fesso, a cominciare di quando facevo il garzone,

che portavo il pane casa per casa,

ma chissà dov’è finita la signora Floriana mi abbracciava

e mi baciava ch’ero bello e educato, ma la mancia non me la dava

viceversa il marito quando capitava nemmeno mi guardava,

mi dava cinquanta lire e chiudeva la porta.

 

Pure mia madre aveva ragione che si lamentava

che stavo alla bontà del principale, che soldi a casa non ne portavo,

solo quelle due lire delle mance e tutto bianco di farina,

ma però ogni sera mi ritiravo con un chilo di pane

a parte che fare il pane mi sembrava una magia di don Masino

che gli spuntava il torcigliato fra le mani e con tre colpi di lametta

si formava la sfogliatella che si apriva come un libro,

solo quell’animale d’Alfonso il mezzo braccio, siccome ch’ero piccolino

di me se ne voleva approfittare.

 

Ce ne vuole a dire a un ragazzino stai attento, chè scorrazzavo col motorino,

passavo davanti alla scuola con tutti i compagni che mi chiamavano

m’invidiavano della mia libertà, tutto il giorno a girare per strada

fino a quando non finii in ospedale, trentadue punti, in pericolo di vita

commozione cerebrale.

Ora che sono capace di fare diventare il mondo pane addio,

scancellata pure quella sinfonia di mia madre che per qualunque cosa

ripeteva:-estratto e maestria, Isidoro, estratto e maestria-,

che non ho mai capito che c’entrava l’estratto,

ma la maestria, cara madre, se mi vedi e se mi senti, ce l’ho messa,

ma a quanto pare tutto questo amore non è servito a niente.

 

A niente per modo di dire chè ancora c’ho mani e piedi

e intanto domani vado da Ciccio Cinà che ci conosciamo da bambini

e siamo come fratelli: -ehi, Ciccio! oh Isidoro!, entra, non ti preoccupare,

dammi tempo tre giorni e vieni qui a lavorare.-

A meno che certo dopo tantanni che ci vai a fare questa bella figura

a cinquant’anni mastro Isidoro in mezzo alla strada, che cosa vuoi?

Devi fare solo mea culpa ché Ciccio Cinà me lo disse seduti al bar Trestelle,

te lo ricordi? :- Isidoro, siamo sotto questa coppola di cielo,

facciamo una società Pizz’e  Sfincioni, tu ci metti l’arte e io la parte,

metà e metà.

 

Vaglielo a dire ora che lo chiamano don Ciccio e si porta la pancia

che non c’ è meglio del pane di grano, capace che ti ride in faccia,

ti batte la spalla e ti fa preparare due belle pizze da portare a casa

con i saluti a Margherita.

Purtroppo è vero, ti sei illuso con questa prosopopea del pane,

che sulla tavola dei cristiani ci puoi mettere o levare tante porcherie,

ma il pane, fresco, inciminato, appena sfornato, non glielo puoi levare,

che te l’adori come se fosse l’ultimo trofeo:dillo chiaro:ti sei ingannato.

 

Ma però se volevo, me la potevo cavare, dal forno alla padella,

ce la potevo fare, invece di sfornare grissini, rosette, toscanini,

friggevo calzoni, ravazzate, spiedini, alla fin fine che male c’è

a fare il rosticciere?

 

Quanto meno piangevo con un occhio, ammesso che il principale

se mi teneva a lavorare come rosticciere, dovevo tornare indietro

a cambiarmi i connotati, a fare finta ch’ero un apprendista,

ch’era normale a pagarmi la metà, che ringraziavo di quello che imparavo,

come un malato mentale che ripete le mosse di quello che fu,

di quand’ero un ragazzo che ancora sognava mentre mangiavo pane e latte

insieme a mia madre che forse sognava per conto suo di farmi studiare,

ah, la maestra Montini a quest’ora sicuro ch’è morta,

che sempre mi guardava negli occhi, e un giorno mi disse:-Isidoro,

tu sei un guercio tra i ciechi- , e vero fu, sempre le cose a metà,

senza padre, mezzo figlio, senza figli, mezzo padre, senza lavoro alla mezz’età,

ch’è pure vergogna mettersi a piangere, pace all’anima della mia maestra,

anche con un occhio solo.

 

Che voglio fare ?Tanto per cominciare mi nascondo a Margherita,

che quando mi vede a lei gli deve allargare il cuore,

deve vedere che sono forte e in piena salute, che cosa mi manca?

Si chiude una porta e si apre una finestra, per uscire mi metto una maschera risolente e mi faccio il giro dei fornai conoscenti, che tanti lo sanno

chi sono e dove ho lavorato, da Filano e Martino una vita,

sono sicuro che mi prendono, a uno come me non se lo lasciano scappare, mastr’Isidoro al pane ci fa il quadro, anzi, forse forse sono troppo preciso,

che sto attento, dice, al punto e virgola, invece mi devo fare l’operaio,

io sono un operaio, e se mi danno la farina americana, tu lavori con la farina americana, senza storie, senza fare come facevi coll’ex principale,

che smorfiava per dire ch’erano cose inutili, che con l’età mi facevo strammo,

che all’atto del benservito ora capisco perché mi strinse la mano e mi disse:

-grazie, ma il mondo è cambiato-.

 

Cambiato per quanto sia, qualche cosa la devo fare,

mi potevo fare carabiniere insieme a mio cognato

che ora è Appuntato e nessuno lo tocca e lo smuove,

ma io, però, che lasciavo a Margherita?

Che già l’adoravo quando veniva d’inverno ch’entrava:

- mih!  che bel calduccio che c’è vicino al forno, mastr’Isidoro!

che bello profumo di pane caldo di primo mattino apre l’appetito!

che quando l’abbracciavo, amore amore, mi pareva che pure lei

odorava di pane e farina, che non mi sembrava l’ora di sposarmela,

che già guadagnavo la  mia buona mesata,

chè allora era vero il Padre Nostro che dice

“dacci oggi il nostro pane quotidiano”,

che oggi invece dice che tutta la specie di pane la fanno in queste navi crociere:

mi potrei imbarcare qualificato panettiere, si guadagna bene,

mi vedo un poco di mondo, vitto e alloggio gratis,

solo che però a Margherita me la fanno portare?

 

Invece di sognare con questo pane che mi sembrava eterno,

vedi piuttosto che devi fare con tutto quello che ti rimane

tira la somma, un anno assai assai due anni ci puoi campare,

e questo è l’estratto, madre mia, che mi giro e non so dove andare,

e vedo a Filippo “il bambolone” quello che non dovevo frequentare

che ora gli basta calare il panaro colle bustine, e spende e spande,

e quando mi vede passare mi schiaccia l’occhio e mi getta un sorriso

che forse gli faccio pena:chi sei?un mentecatto che cammina,

una figura di nullità, a chi la vuoi raccontare?!

senza arte né parte lo so conto quanto il due di briscola,

ma se mi prendo di coraggio, mi scordo chi sono, nome cognome numero e via

da panettiere a spacciatore, da farina a cocaina, entro nel giro,

con la speranza di non farmi arrestare, ma di fare questa fine, onestamente,

non me lo potevo immaginare.

 

Te l’immagini a Margherita che smette di cantare“dove sta zazà,o bellezza mia

e mi guarda con gli occhi risolenti e mi dice: - Isidoro, com’è che t’è venuto in testa?

siediti, hai fatto una bella pensata, bravo, pane di casa e cocaina,

tu sforni bocconcini, e io, zitto tu e zitta io, ci metto le bustine:

ci scomputiamo la casa, ci passiamo qualche capriccio, apriamo una piccola pizzeria, un gruzzoletto per la vecchiaia, bello, a meno che il “bambolone”

non vuole farci la spia, allora lo prendiamo, lo ammazziamo, ci prendiamo tutti i suoi clienti e ci arricchiamo: che dici? –

Se glielo dico Margherita canta e continua a cantare

e mentre canta mi dice: - Isidoro, lo vuoi il caffè? –

 

Prima il caffè me lo prendevo senza pensieri col mio tempo,

me lo sorsavo fino all’ultima goccia con il piacere del risucchio,

ora meno male che non ho figli, ch’avessi un figlio maschio

oppure una figlia femmina o tutt’e due, un maschio e una femmina

che vengono e mi dicono: - caro padre, chi ti ha pregato di metterci al mondo?

per fare che? per farci mortificare? - , a questi figli che gli dovrei dire?

Niente, Isidoro, mettiti il cuore in pace insieme a Margherita,

io e lei ci possiamo arrangiare:per cominciare mi compro due belle ceste

che fanno figura, le riempio di pane fresco di Monreale, mi metto qui sotto,

Margherita di sera mi cala la luce, la domenica e pure i festivi ci sono

tanti gitanti, rientrano e cercano pane, col pane fresco me li faccio clienti,

qualche cosa mi comincio a guadagnare,coraggio,ringrazio il Signore,

che ce la posso fare. E gli altri giorni?

 

Sia come sia, una sera a Margherita gli venne l’infelice idea di dire:

-a che non fai niente, Isidoro vacci tu stasera a prendere il pane-,

e Isidoro ci andò.

E fu bello perché tutti gli fecero festa, banconiste, cassiera, operai,

compreso il principale, tanto che il pane nemmeno se lo fecero pagare,

e gli diedero quello caldo dell’ultima sfornata, che così arrivavo a casa

da Margherita con quel profumo.

Invece Isidoro cambiò strada e arrivò al ponte Corleone, svelto svelto frenò, posteggiò, e si mise a passeggiare rasente il muretto, uno sbalanco a portata

di mano, chè uno arrivava, alzava la gamba e via in cielo se ne volava.

Solo che c’era quella luce della carrettella, con i cappelli e la bandiera

che sventolava, e quel vecchio tunisino seduto che lo guardava,

e in silenzio gli diceva: -ti vuoi sfracellare, sfracellati, tu morto e io vivo-,

e poi gli sorrideva, inshallah, e gli indicava le coppole, come a dire:

-vieni qua, comprati una coppola, che ti faccio uno sconto eccezionale-

 

Dice che quando arrivò a casa che Margherita stava in pensiero,

dov’era stato?che ci faceva con quella coppola in testa che le pareva un altro?,

Isidoro se l’abbracciò stretta stretta, se la baciò tutto furioso

come quando fu la prima volta, amore amore,

tanto che Margherita gli domandò:

-Isidoro,  ch’è successo qualche cosa? dimmi la verità. –

 

Nicola Lo Bianco

 

 

 

 

 

*

Non t’agitare, qui possiamo solo sospirare

Non t’agitare, tanto qui possiamo solo sospirare.

Qua non c’hai niente a che fare cu picciuli e avvocati.

Nudo tu e nuda io, nudi di fronte a Dio.

Quello che non t’ho potuto dire tra i vivi, te lo dico qui,

davanti ai lumini dei morti.

Te ne sei andato dalle magàre, con tutto ch’ero ormai per conto mio, pagasti a “Chicchina a strolaga” p’ affatturari a mia.

Bella figura, tu, che ti sentivi un “uomo d’onore”!

Volevi fare morire tua moglie con le magàrie!La madre dei tuoi figli.

Nove figli, nove peccati capitali, uno all’anno quasi, e quattro aborti,

mi mettevi incinta per forza e senz’amuri: chi lo sa, mischina!, tra parti e aborti, poteva capitare la disgrazia: -Marò! Marò!, quattro lacrime per faccia di mondo, tre mesi di lutto, e il vedovo si nni priò.

Mi dispiace, non t’ho potuto accontentare, ero ancora troppo giovane e forte.

 

 

 

 

 da, In città al tramonto, Come finì la guerra tra Marò e Fifì 

*

le cose da fare di agostino

LE COSE DA FARE DI AGOSTINO

 

Ora che sono disoccupato e libero con tutta la giornata davanti, che faccio?

Che faccio? mi alzo di prima mattina che c’ho l’abitudine, mi lavo, mi vesto,

mi faccio un bello caffè, adagio per non svegliare a Margherita, ed esco.

 

Esco e mi faccio una bella camminata, oppure con la macchina mi faccio

un giro,mi fermo dal gommista, oppure mi sfoglio il giornale dal barbiere,

oppure incontro qualcuno del vicinato: ciao come va?tutto a posto, e mi ritiro.

 

Troppo presto, appena Margherita mi vede, sicuro mi dice: ma che è, già qua sei?qua sono, lo so che sono di disturbo, lo so che il maschio casa casa nemmeno io mi posso vedere, però a camminare strada strada mi sembro uno scimmione, tanto vale allora me ne vado al Centro Commerciale, che ci sono tante cose da guardare, a che ci sono potrei comprare il Vinil per incollare, c’è sempre qualche cosa da incollare, oppure le batterie per l’orologio della cucina che all’improvviso si ferma e lo faccio ripartire.

 

Stai tranquillo che ora te lo trova Margherita il lavoro, potresti pulire la macchina del gas, cambiare il tubo di gomma ch’è consumato, prendo il cacciavite piccolo, allargo le fascette, ma ce l’ho il cacciavite piccolo?, stacco

il vecchio, ci metto il nuovo e stiamo tranquilli, i bruciatori intartarati li metto

a mollo con l’aceto, ci strofino la spugnetta d’acciaio, gli ugelli ci passo un filo di cotone, ci soffio e li libero, la fiamma se esce debole, si deve regolare.

C’è da cambiare il tubo di scarico del lavandino, aggiustare la serranda del gabinetto, le porte cigolìano, il campanello del portone non funziona:ce ne sono cose da fare.

 

Se Margherita lavorasse, io potrei badare alla casa, imparo a cucinare, la pasta coi tenerumi mi piace, la pizza la so fare, mi passo lo straccio, la polvere, stirare no, arriva Margherita, viene e trova tutto ordinato e pulito, mi sorride

e mi dice: bravo Agostino.

Fino a quando speriamo, a Dio piacendo, non riprendo a lavorare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel frattempo potrei andare a fare la spesa un giorno sì e un giorno no

vado a Ballarò che si risparmia, ma però devo stare attento al peso, Margherita è più scaltra di me, quando ci andai quella volta, mi scordai il prezzemolo, la pasta con le patate ci vuole il prezzemolo, ma io mi scrivo l’elenco della spesa su un foglietto e sono a posto.

 

A quest’ora, che ore sono? le sette, sarebbe pronta la prima infornata,

avrei già fatto le prime due ore, brioches bocconcini e millefoglie per la scuola,

ci sono quelli che impastano con la sugna. io mai, sempre ci metto l’olio d’oliva

e un pugno di zucchero è meglio del malto per darci sapore e colore,

le monache di S.Vincenzo dice: signor Agostino, ma che ci fa la benedizione

a questi panini?

Sorella, il pane è come la Santa Messa, ci vuole silenzio e devozione,

altrimenti non cresce, solo che oggi pane buono non ne mangia più nessuno.

 

Mah! dopo più di trentanni che faccio il panettiere, viene il principale

che pure mi dava le chiavi del forno pure la domenica dovevo andare  a impastare il lievito madre, tanto che Margherita mugugnava,

e lui ora dice che gli serve un giovane rosticciere, chè ormai il pane

è l’ultima cosa, dice, tu Agostino sei bravo con in mano la tua maestria ti puoi arrangiare, senza figli, dice, è più facile: grazie, a uno che passa il tempo a guardarsi il portafoglio, che ci vuoi dire?

Meno male che allora ce l’hanno respinto di adottare un bambino,

ch’avevamo tanto combattuto io e Margherita,

ma non siamo in condizioni, dice, non siamo idonei.

 

Allora che cosa ho fatto nella mia vita?

Aveva ragione Margherita a dirmi che sono troppo buono,

per non dire che sono fesso, a cominciare di quando facevo il garzone,

che portavo il pane casa per casa,

ma chissà dov’è finita la signora Floriana mi abbracciava

e mi baciava ch’ero bello e educato, ma la mancia non me la dava

viceversa il marito quando capitava nemmeno mi guardava,

mi dava cinquanta lire e chiudeva la porta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pure mia madre aveva ragione che si lamentava

che stavo alla bontà del principale, che soldi a casa non ne portavo,

solo quelle due lire delle mance e tutto bianco di farina,

ma però ogni sera mi ritiravo con un chilo di pane

a parte che fare il pane mi sembrava una magia di don Masino

che gli spuntava il torcigliato fra le mani e con tre colpi di lametta

si formava la sfogliatella che si apriva come un libro,

solo quell’animale d’Alfonso il mezzo braccio, siccome ch’ero piccolino

di me se ne voleva approfittare.

 

Ce ne vuole a dire a un ragazzino stai attento, chè scorrazzavo col motorino,

passavo davanti alla scuola con tutti i compagni che mi chiamavano

m’invidiavano della mia libertà, tutto il giorno a girare per strada

fino a quando non finii in ospedale, trentadue punti, in pericolo di vita

commozione cerebrale.

 

Ora che sono capace di fare diventare il mondo pane addio,

scancellata pure quella sinfonia di mia madre che per qualunque cosa

ripeteva:-estratto e maestria, Agostino, estratto e maestria-,

che non ho mai capito che c’entrava l’estratto,

ma la maestria, cara madre, se mi vedi e se mi senti, ce l’ho messa,

ma a quanto pare tutto questo amore non è servito a niente.

 

A niente per modo di dire chè ancora c’ho mani e piedi

e intanto domani vado da Ciccio Cinà che ci conosciamo da bambini

e siamo come fratelli: -ehi, Ciccio! oh Agostino!, entra, non ti preoccupare,

dammi tempo tre giorni e vieni qui a lavorare.-

A meno che certo dopo tantanni che ci vai a fare questa bella figura

a cinquant’anni mastr’ Avustinu in mezzo alla strada, che cosa vuoi?

Devi fare solo mea culpa ché Ciccio Cinà me lo disse seduti al bar Trestelle,

te lo ricordi? :- Agostino, siamo sotto questa coppola di cielo,

facciamo una società Pizz’e  Sfincioni, tu ci metti l’arte e io la parte,

metà e metà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vaglielo a dire ora che lo chiamano don Ciccio e si porta la pancia

che non c’ è meglio del pane di grano, capace che ti ride in faccia,

ti batte la spalla e ti fa preparare due belle pizze da portare a casa

con i saluti a Margherita.

 

Purtroppo è vero, ti sei illuso con questa prosopopea del pane,

che sulla tavola dei cristiani ci puoi mettere o levare tante porcherie,

ma il pane, fresco, inciminato, appena sfornato, non glielo puoi levare,

che te l’adori come se fosse l’ultimo trofeo:dillo chiaro:ti sei ingannato.

 

Ma però se volevo, me la potevo cavare, dal forno alla padella,

ce la potevo fare, invece di sfornare grissini, rosette, toscanini,

friggevo calzoni, ravazzate, spiedini, alla fin fine che male c’è

a fare il rosticciere?

 

Quanto meno piangevo con un occhio, ammesso che il principale

se mi teneva a lavorare come rosticciere, dovevo tornare indietro

a cambiarmi i connotati, a fare finta ch’ero un apprendista,

ch’era normale a pagarmi la metà, che ringraziavo di quello che imparavo,

come un malato mentale che ripete le mosse di quello che fu,

di quand’ero un ragazzo che ancora sognava mentre mangiavo pane e latte

insieme a mia madre che forse sognava per conto suo di farmi studiare,

ah, la maestra Montini a quest’ora sicuro ch’è morta,

che sempre mi guardava negli occhi, e un giorno mi disse:-Agostino,

tu sei un guercio tra i ciechi- , e vero fu, sempre le cose a metà,

senza padre, mezzo figlio, senza figli, mezzo padre, senza lavoro alla mezz’età,

ch’è pure vergogna mettersi a piangere, pace all’anima della mia maestra,

anche con un occhio solo.

 

Che voglio fare ?Tanto per cominciare mi nascondo a Margherita,

che quando mi vede a lei gli deve allargare il cuore,

deve vedere che sono forte e in piena salute, che cosa mi manca?

Si chiude una porta e si apre una finestra, per uscire mi metto una maschera risolente e mi faccio il giro dei fornai conoscenti, che tanti lo sanno

chi sono e dove ho lavorato, da Filano e Martino una vita,

 

 

 

 

 

sono sicuro che mi prendono, a uno come me non se lo lasciano scappare, mastr’Avustinu al pane ci fa il quadro, anzi, forse forse sono troppo preciso,

che sto attento, dice, al punto e virgola, invece mi devo fare l’operaio,

io sono un operaio, e se mi danno la farina ucruìna, tu lavori con la farina ucraìna, senza storie, senza fare come facevi coll’ex principale,

che smorfiava per dire ch’erano cose inutili, che con l’età mi facevo strammo,

che all’atto del benservito ora capisco perché mi strinse la mano e mi disse:

-grazie, ma il mondo è cambiato-.

 

Cambiato per quanto sia, qualche cosa la devo fare,

mi potevo fare carabiniere insieme a mio cognato

che ora è Appuntato e nessuno lo tocca e lo smuove,

ma io, però, che lasciavo a Margherita?

Che già l’adoravo quando veniva d’inverno ch’entrava:

- mih!  che bel calduccio che c’è vicino al forno, mastr’Agostino!

che bello profumo di pane caldo di primo mattino apre l’appetito!

che quando l’abbracciavo, amore amore, mi pareva che pure lei

odorava di pane e farina, che non mi sembrava l’ora di sposarmela,

che già guadagnavo la  mia buona mesata, chè allora era vero il Padre Nostro che dice “dacci oggi il nostro pane quotidiano”,

che oggi invece dice che tutta la specie di pane la fanno in queste navi crociere:

mi potrei imbarcare qualificato panettiere, si guadagna bene,

mi vedo un poco di mondo, vitto e alloggio gratis, solo che però a Margherita me la fanno portare?

 

Invece di sognare con questo pane che mi sembrava eterno,

vedi piuttosto che devi fare con tutto quello che ti rimane

tira la somma, un anno assai assai due anni ci puoi campare,

e questo è l’estratto, madre mia, che mi giro e non so dove andare,

e vedo a Filippo “il bambolone” quello che non dovevo frequentare

che ora gli basta calare il panaro colle bustine, e spende e spande,

e quando mi vede passare mi schiaccia l’occhio e mi getta un sorriso

che forse gli faccio pena:chi sei?un mentecatto che cammina,

una figura di nullità, a chi la vuoi raccontare?!

senza arte né parte lo so conto quanto il due di briscola,

ma se mi prendo di coraggio, mi scordo chi sono, nome cognome numero e via

da panettiere a spacciatore, da farina a cocaina, entro nel giro, con la speranza di non farmi arrestare, ma di fare questa fine, onestamente, non me lo potevo immaginare.

 

 

 

 

Te l’immagini a Margherita che smette di cantare“dove sta zazà,o bellezza mia

e mi guarda con gli occhi risolenti e mi dice: - Agostino, com’è che t’è venuto in testa? siediti, hai fatto una bella pensata, bravo, pane di casa e cocaina,

tu sforni bocconcini, e io, zitto tu e zitta io, ci metto le bustine:

ci scomputiamo la casa, ci passiamo qualche capriccio, apriamo una piccola pizzeria, un gruzzoletto per la vecchiaia, bello, a meno che il “bambolone”

non vuole farci la spia, allora lo prendiamo, lo ammazziamo, ci prendiamo tutti i suoi clienti e ci arricchiamo: che dici? –

Se glielo dico Margherita canta e continua a cantare e mentre canta mi dice: - Agostino, lo vuoi il caffè? –

 

 

Prima il caffè me lo prendevo senza pensieri col mio tempo,

me lo sorsavo fino all’ultima goccia con il piacere del risucchio,

ora meno male che non ho figli, ch’avessi un figlio maschio

oppure una figlia femmina oppure tutt’e due, un maschio e una femmina

che vengono e mi dicono: - caro padre, chi ti ha pregato di metterci al mondo?

per fare che? per farci mortificare? - , a questi figli che gli dovrei dire?

Niente, Agostino, mettiti il cuore in pace insieme a Margherita,

io e lei ci possiamo arrangiare:per cominciare mi compro due belle ceste

che fanno figura, le riempio di pane fresco di Monreale, mi metto qui sotto,

Margherita di sera mi cala la luce, la domenica e pure i festivi ci sono

tanti gitanti, rientrano e cercano pane, col pane fresco me li faccio clienti,

qualche cosa mi comincio a guadagnare,coraggio, ringrazio il Signore,

che ce la posso fare. E gli altri giorni?

 

Sia come sia, una sera a Margherita gli venne l’infelice idea di dire:

-a che non fai niente, Agostino,  vacci tu stasera a prendere il pane-,

e Agostino ci andò.

E fu bello perché tutti gli fecero festa, banconiste, cassiera, operai,

compreso il principale, tanto che il pane nemmeno se lo fecero pagare,

e gli diedero quello caldo dell’ultima sfornata, che così arrivavo a casa

da Margherita con quel profumo.

Invece Agostino cambiò strada e arrivò al ponte Corleone, svelto svelto frenò, posteggiò, e si mise a passeggiare rasente il muretto, uno sbalanco a portata

di mano, chè uno arrivava, alzava la gamba e via in cielo se ne volava.

Solo che c’era quella luce della carrettella, con i cappelli e la bandiera

che sventolava, e quel vecchio tunisino seduto che lo guardava,

 

 

 

 

e in silenzio gli diceva: -ti vuoi sfracellare, sfracellati, tu morto e io vivo-,

e poi gli sorrideva, inshallah, e gli indicava le coppole, come a dire:

-vieni qua, comprati una coppola, che ti faccio uno sconto eccezionale-

 

Dice che quando arrivò a casa che Margherita stava in pensiero,

dov’era stato?che ci faceva con quella coppola in testa che le pareva un altro?,

Agostino se l’abbracciò stretta stretta, se la baciò tutto furioso

come quando fu la prima volta, amore amore,

tanto che Margherita gli domandò:

-Agostino,  ch’è successo qualche cosa? dimmi la verità. –

 

Nicola Lo Bianco

 

 

 

 

 

*

Sorreggersi agli appositi sostegni

Alto là!

         (sputa e striscia)

         La mia vita coniugale è stata molto infelice

         per il carattere di mia moglie dissipatrice(soffocatrice) del mio cuore

         la goccia l’ho fatto traboccare

         durante la notte li volevo scannare

         i miei figli

         la casa volevo incendiare.

         Ma però come che fu io ce lo dissi bello chiaro

         guardate signorina che io è tre anni che amoreggiamo indifferentemente

         dicendomi mi fai un sangue straordinario

         ma temo unperdire che ti dovessi(volessi) pentire

         come qualmente(difatti)  mi ha sputato in pubblica piazza

         perché il verbo transitivo attivo “amore”

         non esiste in nessun vocabolario

         come qualmente che (io) rappresenta (o) la schifezza dello schifo

         della schifezza dello schifo

         dell’umanità totale

         che come mi guardava mi sembravo un re

         e oggi con la grazia di Dio sarei un gran signore

         no ca sugnu iccatu cca comu un saccu ri merda!

 

da  Sorreggersi agli appositi sostegni, monologo 

*

Elogio del silenzio

 

ELOGIO DEL SILENZIO

Siamo così immersi nel frastuono che abbiamo perso la nozione e il gusto del silenzio.

Così tanto che la propensione al silenzio appare, soprattutto ai più giovani, una specie di nostalgia del passato, un anacronismo improponibile.

Ma che cos’è veramente il silenzio?

Non è solo “cessazione di ogni suono o rumore”, è esso stesso un “linguaggio”, un altro modo di comunicare tra gli uomini:certe volte, come sappiamo, si dicono molte più cose con il silenzio che con le parole.

Ed è vero che ciascuna epoca ha i suoi rumori(odori, sapori, ecc …) caratteristici ed ineliminabili.Ma anche i suoi silenzi che potremmo definire dominanti.

Insomma, il valore del silenzio o, al contrario,del rumore,potrebbe benissimo raffigurare il profilo di una civiltà .

In questa nostra epoca sembra che il silenzio non riusciamo a sopportarlo, lo rifuggiamo come se ne avessimo paura, come una caduta nel vuoto.

E potrebbe apparire ozioso parlare di silenzio in un periodo in cui ci dibattiamo tra barbarie e imbarbarimento, a cominciare dalla guerra che mai non cessa, a finire alla violenza fisica e morale, visibile e invisibile, che si annida tra le pieghe del nostro vivere quotidiano.

E anch’io rimango in dubbio, ma mi faccio forte della convinzione che dobbiamo ripensare al nostro stile di vita, dobbiamo rifare i conti con noi stessi, se davvero vogliamo tentare di uscire dal marasma:pensare, ad es., che il silenzio è un valore da cercare, scegliere, coltivare, e se è il caso, da pretendere.

In questa consapevolezza far crescere i nostri giovani:è il nostro comportamento, in definitiva, che rende l’ambiente più solidale, più umano.

Il silenzio non è inerzia, assenza, vuoto, può esserlo qualche volta, ma più spesso è vero il contrario.

Il silenzio, se non è quello dell’inganno, è ristoro, accrescimento, cognizione più intima, possibilità di dialogo, socialità:proprio quello che non viviamo, che in genere non cerchiamo.

Il modo di ascoltare la musica, ad es., nei grandi concerti di musica leggera o nelle discoteche, o anche in spazi ristretti, è un segno dei tempi, una falsa socializzazione:si è in migliaia, ma ciascuno si rinchiude in un involucro assordante, solo con se stesso, a stabilire, tutt’alpiù, rapporti effimeri, intermittenti, privi di effettiva comunicazione.

D’altro canto, la misura della baraonda ce la dà la TV, che già da tempo ha preso a insegnare lo schiamazzo, la gazzarra, la rissa.

Nei Telegiornali poi, non in tutti, ma quasi in tutti, prevale il “gridato”, le notizie scagliate in tono aggressivo, come se volessero afferrare per la collottola e strattonare il malcapitato, schiaffi sonori che non lasciano il tempo di riflettere.

Il clamore, il vociare fuori misura è anch’essa una sottile invisibile violenza, perché oltre a frastornare la mente, sollecita reazioni nervose ed emotive.

Se devo immaginare un tenore di vita meno irruente, non posso escludere un’attenuazione del rumore, la ricerca di un silenzio che sia voce ed espressione di sobrietà.

Cioè, di propensione alla riflessione, di rispetto degli altri e dell’ambiente, di ponderata valutazione di ciò che il passato ci ha lasciato in eredità.

Stiamo dicendo di una civiltà eticamente più consapevole, dove preminente è la possibilità di ascoltare, senza la quale la conoscenza non può che essere superficiale, distorta, distratta.

Come faccio a riconoscere i miei sentimenti, a entrare in sintonia coi miei interlocutori, con ciò che mi trasmette la natura o il luogo in cui vivo, se non trovo il tempo e lo spazio per soffermarmi su ciò che mi circonda?

La nevrastenia collettiva ormai è un modo di essere, di comportarsi, come se fossimo incessantemente sospinti a muoverci come che sia, a smaniare senza ragione, tralasciando quelle pause di silenzio che in genere ci riconciliano con la realtà.

Si capisce che il silenzio che qui stiamo descrivendo, è l’elogio di un ritmo diverso da dare alla nostra vita, l’aspirazione a una condizione più vicina alle esigenze vitali dell’uomo.

Non a caso, Gandhi, il fondatore della nonviolenza, metteva in relazione l’impulso alla violenza con la frenesìa, questo rumoreggiare interiore senza pace, che non consente di godere appieno, ad es., della bellezza che ci riserva il silenzio dedicato alla contemplazione.

E’ così grande il valore del silenzio in armonia con la sussistenza della vita, che esso è a fondamento delle diverse religioni.

Che cosa è la preghiera se non una pausa di raccoglimento di sé, un tempo/ spazio dedicato alla ricreazione spirituale, al desiderio di elevare la bruta realtà ad istanza metafisica, a percezione del divino?

In questo senso il genio di Dante ha sempre qualcosa da suggerirci:

il “tumulto infernale”, legato alla dissolutezza, alla frode, alla “matta bestialità”; il cammino del Purgatorio, legato al silenzio, alla sobrietà, alla solidarietà;l’ascesa al Paradiso, luce, bellezza, bene comune.

Ecco, vorrei augurare a me stesso, a chi legge queste righe, un “buon silenzio”, quello della notte dei Re Magi che s’incamminano per mettersi in preghiera,  quello della riflessione che ci impegna alla solidarietà con chi ha bisogno del nostro aiuto civile e morale.

A non dimenticarci, per l’appunto, delle parole di Gesù Maestro che esalta il silenzio della benevolenza, dal quale infine ho preso ispirazione:

<il tuo parlare sia sì sì no no, il di più è del diavolo>.

NICOLA LO BIANCO