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Raccolta di testi in prosa di Luca Gamberini
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Ortodossia

Ci sono notti che le passerei a scrivere di tutto il male e il disagio, ma non so se ne trarrei beneficio nel lasciar sfogare il mio spirito malvagio. Nel rating della vita mi sono proprio oggi declassato, salvare la mia anima dal fallimento equivarrebbe ad un original peccato. Eppure si respira già aria di primavera e tutti i giorni al mattino mi dico cose che neppure arrivano a veder la sera. Di questa vita sono un mendicante, incapace di far male a fiori e piante, figuriamoci poi se prenderei mai a calci un cane o un qualsiasi altro animale, che pure io son da cortile, puoi scegliere se farmi vivere nella stalla o nel porcile lasciandomi a ingrassare di parole. Son venuto fuori male da quel buco, e chissà cosa ho perduto, cosa mi sarà caduto il giorno del mio primo trasloco, che mi sentivo come olio travasato con l'imbuto che si rovescia quasi tutto e ne rimane salvo solo un poco. Fossi stato un aborto so, per esperienza accumulata, che non avrei mai avuto torto, me ne sarei stato comodamente seduto a guardare l'uno che sentenzia all'altro di essere un anticlericale mentre mi dondolo aggrappato a quel cordone che non sono in grado di tagliare. Quando mi metto a nudo mi scambiano spesso per pesce crudo, duro uno, due, tre giorni, poi divento nauseabondo e riprendo così il mio cammino nel disilluso mondo e i suoi dintorni. Abito fisicamente un nulla, imbandito di apparizioni teatrali prive di sipario, non ho mai recitato tenendomi aggrappato ad un Rosario, come fanno certe maschere tra le più comuni, le quali sussurrano per ore tutto quello che non son mai riusciti a fare, se non quel farsi benedire. Lessi tempo fa che gli adulti con scoliosi incorporata nascondono un dolore profondo nella schiena: se allunghi loro la colonna gli si blocca il respiro, rimangono senza fiato poiché nel gibbo vi è una energia ristagnante, ma basta poggiarci sopra le mani ed ascoltare, attendere, e tutto guarisce da sé, ma solo se lo si vuole veramente si può fare, questo. Che scriverei ancora per ore, ma so che così facendo mi farei solo ulteriore male, io non ho una via di scampo e nemmeno posso consolarmi riconciliandomi tramite uno shampoo, sento di essere una persona la quale vive dentro a un corpo che non gli appartiene, di chi sono queste vene? Come mai procuro solo pene? Un tempo ero figlio del gioco, grande privilegio, ero padrone della mia libertà, ero bilancia della mia leggerezza, su di me soffiava sempre una dolce brezza, ora sono figlio di un giogo che trascina stanco il proprio carro di pensieri tribolati, i quali mica se ne stanno in fila ad uno a uno in attesa di essere affrontati, ma si divertono a restarsene ammassati uno sopra l'altro tanto che ormai ci hanno preso l'abitudine a vivere incastrati, come tante cianfrusaglie di bigiotteria che mica ci capisci quale sia la mia e quale sia la mia. Scrivere fa bene, se fossi convinto del contrario non starei certo qui a marcire, in attesa del divenire, che suonato da Einaudi un po' di pelle d'oca, ammettilo, la fa venire. Devo mettermi a cercare lo spartito, e smetterla di mangiare la marmellata con il dito, è molto meglio col cucchiaio, che magari mi ci deglutisco perfino qualche guaio, di quelli ancora da arrivare, perché al peggio non c'è mai fine, e il meglio si presenta, a volte, esclusivamente sotto forma di parole. Quante volte mi son sentito dire che le mie parole fanno male, tremendi esseri capaci di cancellare, con dodici battute, decine di gesti dalla nitidezza esemplare. Sarà per via che mi incontro due, tre volte al mese con un signore cupo e schivo il cui nome è Cesare Pavese, mi siedo ad ascoltare cosa dice nel silenzio di una stanza come fosse il destino ad imporlo dentro me, a fare sì che di comprenderlo non ne abbia mai abbastanza. Ci sono notti che le passerei a dormire, sono quelle che più mi mancano, le meno avare, le più chiare, figlie di saggezza popolare, che se ci pensi bene, sì dico a te lettore che sei riuscito fino a questo punto ad arrivare, dicevo se ci pensi bene quante sono le notti che ti conducono all'alba? Non barare! Saranno sempre un numero che può permettere addirittura ad un analfabeta di riuscirle a contare. Non è mica facile rimanere svegli ad ascoltarsi, ed è comunque insano, i bambini dormono la notte, e sono loro l'esempio da tenere sempre sotto mano, è che spesso il personaggio che abbiamo scelto di essere non corrisponde all'inconscio disinnescato nelle nostre viscere e che di colpo ci obbliga a fermarci, ad ascoltare quella voce interiore, l'unica in grado di aiutarci a discernere il bene dal male. Se non ascoltiamo il nostro inconscio, a divenire o tornare quei bambini giocosi, curiosi, cinici, intransigenti, beffardi, sensibili, presenti, arrendevoli allo stupore, all'incanto, non potremo mai essere felici.

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La pianura

La pianura è complicata. Non vedi mai una fine se guardi l'orizzonte da una pianura, non ti addormenti, ti spegni a occhi aperti e labbra che si abbracciano ai denti. I silenzi sono accesi, privi di eco ma costanti, senza soluzione di continuità. La notte pare di sentire rantolare le stelle o di udire sbadigliare la luna, il giorno non puoi nemmeno aggrapparti alla terra o, a quel che è rimasto di essa, difficile trovare terra che non abbia detriti di vizi umani sparsi sul corpo o conficcati nel cuore. Anche la terra ha una voce e quando parla fa danni, diciamo che è atroce, ci sballotta a piacimento, ci sposta le cose, ci toglie il respiro. Chi l'ha avvertita gridare ne porta ancora il rumore negli occhi quando ne parla, son parole sudate che ancora vibrano e sussultano. Eppure la terra sa attendere senza proferire parola, l'acqua è il suo sangue che scorre, a volte deviato, a volte fluttuante. Io non somiglio alla terra, neppure so se ho un sangue che scorre e se mai ce l'avessi mi sorge il dubbio di non aver mai dipinto nulla con esso. Sono un pittore mancato, un poeta inventato, un musicista scordato, uno scultore abbronzato, un uomo finito mai cominciato. Eterno bambino alla prima esperienza, soffocato dall'adolescenza, succedaneo di sconosciuta forma, sono un'ombra che non segue la propria orma. La pianura è complicata, inghiotte luce e buio, ti copre di nebbia, su una distesa pianura non sei mai al sicuro, papaveri e girasoli, barbabietole e pomodori e poi peri innestati, campi di soia geneticamente modificati, vigneti dai grappoli pianificati, terreni, infiltrati da flebo, i quali giocano a fare i morti resuscitati. La pianura è un film comico, dal messaggio tragico. E' un "Amici miei", un "Radiofreccia", un "Compagni di scuola", è una risata con la morte in gola, è fredda, afosa, umida, scontrosa. La pianura non finisce mai di non stupire, se chiudi gli occhi continui a vederla, piena di spigoli d'aria che torcono la speranza. Io sono pianura, complicato, senza fine e senza inizio, aggrappato sull'orlo di un precipizio che non esiste, se non nello sguardo di un bambino quando è triste.

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Dopo scena

Finisco di ruminare la cena per poi stravaccarmi sull'amaca ad apparecchiare il cielo. L'estate è come un dolore, portato da una notizia, il suo crepuscolo ne è il messaggero. Da ragazzo mi dicevano che ho occhi grandi abbastanza per sopportare il dolore, per riconoscere perfino la foglia che non si muove, mi dicevano che più buia è la terra e più stelle stanno nel cielo. Le osservo, le stelle, mentre ostentano il loro brillare che è solo illusione per i miei occhi grandi di cui uno più piccolo. Ci stanno tutti i miei sogni ad imbandire quel cielo lungo quanto un buffet dove il dolce si mischia al salato. Ci sono vassoi di stelle scondite, caraffe di lacrime che mai arrivarono a toccare pelle, ossa di satelliti dimenticate, mai strette, abbracciate, avvinghiate. All'improvviso un gregge di nubi chiude il sipario, lo spettacolo dovrà proseguire senza il cielo, la terra ha smesso di tremare, solo qualche brivido, di miseria. Se provo a chiudere gli occhi grandi si accenderà una luce, la quale giace negli occhi di un mare che in lei si riflette. La natura costruisce demolendo, l'uomo demolisce costruendo. Forse è per questo che di quando uno muore si dice vada in cielo, solo le anime delle bestie sono di questa terra, della terra. L'uomo crede di essersi talmente elevato che perfino il cielo non lo è abbastanza e pensa in cuor suo che la propria anima andrà ancora più su, che gli spetterà di più, una volta pentito.

 

Da: Racconti per bambini adulti ( Lettere animate 2013/ Youcanprint 2017)

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Agnello di Dio

La mia generazione sarà la prima a non accompagnare i nipoti alla messa, benedizioni virtuali e ostie consacrate da tatuaggi tribali, catechisti afrodisiaci, scampi soporiferi, dettagli immatricolati da serpenti a sonagli, Biancaneve e i sette cani, la carica degli infedeli, che poi infedeltà non è mica il tradimento, piuttosto è, a relazione finita, conservare il proprio posto. Quello è tradire, quando il sentimento va a farsi benedire, quando la comodità prevale, quando a stento sopporti il fastidio che ti procura sentirlo masticare, a bocca aperta, labbra scalamitate interagiscono solo con bicchieri e posate, cibo di traverso, la manovra del controsenso, il contro esodo delle questue, mani bucate, orazioni indigeste, peculiarità della familiarità, coriandoli di cera, luci finte per pianificare l'atmosfera. Alla destra del padre siede il figlio dell'amante di lei, alla sinistra di lei siede il figlio dell'amante del padre, confessioni tragicomiche, penitenze antiallergiche, panchine allo stato brado, tonache sovrapposte fino all'angolo retto, da dove tutto fuoriesce. Puzzo di prece marcia, porgi l'altra mancia, nei secondi dei secondi, ora e sempre.