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Raccolta di testi in prosa di Filippo Di Lella
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Lettera uno

Mi piacerebbe venire a trovarti un giorno, ma per adesso sto così, e quello che dovevo fare non l'ho ancora fatto; e forse non lo voglio ancora.

Probabilmente ci vuole più coraggio di quanto ne ho adesso, o di quanto ne ho avuto finora; non so. È che forse misurarsi con altri significa anzitutto misurarsi con se stessi e non cercare altre scuse, tipo questa. E so quanto non ti piacciano le persone che cercano scuse. Ma forse non è nemmeno una scusa ed è davvero il non volerlo ancora. Non per davvero almeno.

Mi piacerebbe venire a trovarti un giorno ed essere ancora amici, di nuovo, daccapo.

Essere ancora amici, poterci scambiare parole, esperienze, missioni, visioni, battute. Chessò, bere assieme magari.

Mi piacerebbe poter essere alla pari, o all'altezza dell'idea che ho di te. Sì, forse perché è davvero necessario scindere l'idea di un artista dal suo senso umano, personale; in fondo certi tipi di sensibilità sono da custodire come il più intimo dei tesori, dei segreti, o delle armi che possono distruggerci. E non si può doverle condividere. E poi è anche possibile che l'idea dell'artista che uno si fa non sia poi così rassomigliante alla persona in sé, o no? Magari non mi sarebbe piaciuto Caravaggio come persona, pur amandone l'arte.

Chissà, mi chiedo, com'è che si forma un'emozione che da vita all'idea, all'intento stesso prima che al gesto artistico, dove cioè inizia per davvero la genesi di un'opera? Dov'è la vera radice di quella vitalità che chiamiamo spesso con nomi così disperati o altisonanti come creatività?
Disperati, certo: perché se è vero che siamo stati creati o anche solo nati a questo mondo, allora è vero che cerchiamo di riprodurre un mistero di cui non sappiamo ancora nulla, se non nella sua fisiologia, nella sua dinamica, nella sua forma; e allora, mi dico, non è forse quasi troppo pathos per chiunque? Può una persona, chiunque, limitare l'arte alla forma, all'impatto e strapparne via l'interrogativo a suon di tecnica, di scienza, di esattezze; non ha forse l'arte stessa bisogno di mistero e inesattezze, di plausibili imperfezioni piazzate a bella vista benché perfette nell'insieme? Non è forse l'arte stessa un tentativo disperato di sfuggire al baratro?

Mi diresti, credo, che semplice non è mai banale perché è semplice solo ciò che concepisce l'enorme complessità e la rende accettabile, accessibile e fonte di curiosità. Mi diresti che vale un po' tutto, fin quando si sa quel che si sta facendo, anche senza saperne il motivo. Che l'arte non si spiega se non in sé, o meglio, in noi e nel nostro mondo. E che forse credi a questa cosa o forse è una bugia detta così tante volte da rassomigliare a una verità.

Mi piacerebbe venire a trovarti un giorno ed essere ancora amici, più di prima, come se lo fossimo da sempre. Parlare con te di queste e altre cose, e sentire le tue risposte sempre molto semplici, umili. I tuoi non lo so e i tuoi non preoccuparti.

Chissà se sognavi di trovarti lì dove sei o se hai sogni ancora più alti? Se magari ti ci sei ritrovato o se forse hai già ragione sul tuo mondo? Ah, chissà. Se ti spaccassi il cranio per guardarci dentro, probabilmente ci troverei un normalissimo cervello e tutti i suoi allegati e compromessi, nulla di più che becera biologia, triviale materia organica.

Oppure, non so di preciso, venire a trovarti e poi non dire nulla, guardare un po' cosa c'è attorno e non rischiare di fare la figura del fesso, o di quello fuori luogo, o di quello sempre un po' troppo pesante. Ecco, magari essere leggero: parlare del più e del meno, scambiare qualche ricetta, non dover sempre correre con la testa dietro alla tua sapienza e alla saggezza che non ho. Collegare il mio di cervello e assicurarmi di non perdere la presa.

Dovrei fare mille cose e so già che mi diresti di iniziare a farle, di studiare di più e con più intensità; mi diresti di essere intelligente e che per esserlo bisogna saper essere politici e cercare sempre di non offendere più sensibilità del necessario. E che tante affermazioni non meritano una risposta, nemmeno per chiarire la tua contrarietà. Già, ma non sono mai riuscito ad essere così. Non sono mai riuscito ad essere altro da me stesso, e non sempre è un complimento.

E vorrei venire a trovarti un giorno ed essere amici, ma per ora sto così e non ho ancora smesso di cercare ciò che dovrei fare e che ancora non ho fatto, ciò che dovevo e ciò che dovrò. E vorrei saperti amico più che in certi casi, benché ti sappia vicino ancora come un maestro, proprio come tanti anni fa. E sì, dovremmo ancora bere assieme, benché io non sia che un mediocre, un attore, un mucchio di parole e vento tra i denti.
Di rado si trova qualcuno che sopravviva a se stesso e quando lo si trova si rimane storditi dalla sua pacchiana ordinarietà. La gente comune non sopravvive a se stessa per più che un tot, e puoi guardare e guardare e alla fine non trovare che banalità e senso del barocco, del ridicolo, o peggio. E forse rimarresti stupito da quanto ho nascosto bene e a fondo questa cosa nel mio io. E da quanto, negli altri, mi spaventi in realtà la loro eco in me, la mia consapevolezza di avere quel che più detesto in loro.

Eh, ma forse sono tutte scuse anche queste, e ora la smetto.
Però mi sei venuto in mente oggi e mi sono sorpreso a pensarti con nostalgia e con un sorriso un po' amaro, fatto più che altro di silenzio; mi sei venuto in mente oggi e mi sono accorto che non ricordo la tua voce né il tuo viso, e mi sono detto che ha forse poca importanza perché oramai saranno cambiati entrambi, e magari quel tuo sguardo sempre così acuto si sarà smussato sotto il peso di nuove rughe, delle occhiaie che si accumulano, di quel tuo senso di straordinaria irrequietezza che non da posa al tuo spirito nemmeno nel più calmo dei deserti; e persino lì, credo, riusciresti a trovare il modo di pescare.
Ti pensavo, e vorrei venire a trovarti un giorno ed essere amici, ancora un po'.


...Bene!!!!
Quando una gialla blusa protegge l’anima da tanti sguardi!
Bene! Quando scagliati tra i denti del patibolo si grida bevete cacao van Houten!
E quest’attimo bengalico, squillante,
non cambierei con nulla...*


*Citazione da La nuvola in calzoni, Vladimir Majakovskij

*

Morte d’un pendolare

Solita mattina spenta e grigia. Sta pian piano smettendo di piovere. Caffè, bagno, zaino del lavoro e via.

Il campanile che sovrasta la fermata del bus ha il suo solito aspetto marrone. Marrone come le foglie a terra, marrone come i ricci degli ippocastani che lentamente seccano sulle aiuole.
La bacheca funebre riporta: Gianni C., 47... Luisa M., 79... Uber F., 84... Filippo Di Lella, 36, ...ne danno il triste annuncio la moglie, i fratelli e parenti tutti. I funerali si terranno presso... Cazzo! Alla fine è successo: eccomi lì. Almeno hanno messo una foto decente.

Suonano le 7, il bus ha cinque minuti di ritardo; spero di non perdere la metro ché già non è che sia partito benissimo. Timbri, viaggi, scendi, ricomincia. La banchina è strapiena, il vagone di più. Per il quasi tutto il viaggio mi tocca l'ascella di un ragazzino in piedi di fianco a me. Scendi, ritimbra in uscita, cammina, bus, timbra, viaggia. Scendi, fuma, spogliatoio, timbra.

A metà mattina mi cerca il capo, dice che ha sentito la notizia, dice che è sinceramente dispiaciuto, dice che c'è un problemino con l'ultimo stipendio perché il mio conto risulta bloccato, dice che non devo preoccuparmi che appena lo sbloccano... Dice che ha già messo un annuncio, dice che ho il resto della giornata libera e che se voglio posso andare. Dico grazie, dico che capisco, dico che oramai non mi preoccupo più di niente. Do una stretta di mano ai colleghi, timbro, fumo, bus, timbro, viaggio...

A casa non c'è nessuno per pranzo, comunque non ho tutta 'sta gran fame. Inizio a mettere in ordine i miei quaderni iniziando dagli appunti e dai ricettari, poi tocca ai raccoglitori delle ricevute: qui tutte le spese di condominio, lì tutte le bollette della corrente (il gas l'ho tolto anni fa), là le spese mediche e i 7e30, e nel raccoglitore blu tutte le altre sotto al lapidario Varie.
Se non fosse per l'eternità che mi aspetta mi stenderei un attimo a riposare. Toast al prosciutto, doccia e vestiti puliti.

Dovrei confessarmi?
Non credo, e poi, dai, a chi piace un reo confesso dell'ultimo minuto?

Bar, caffè. Frank mi guarda pieno di malinconia. Dice che è troppo presto, dice che terrà una mia foto dietro al banco. Brinda alla mia. Ricambio indicando la tazzina, non so bene ma non credo che dovrei bere per ora. Qualcuno ha mai sentito di un morto sbronzo alle tre di pomeriggio? Suonerebbe tipo il prete bestemmiatore di quella famosa barzelletta o, chessò, la favola dell'asino che stallò controcorrente. Quella è roba da vivi. Ad ogni modo, questo è di sicuro l'ultimo caffè che pago e Franco si è scordato di chiedermi del conto aperto... Sarà meglio cercare una qualsiasi direzione prima che gli torni in mente.

Torno verso la bacheca funebre, siamo ancora tutti lì: io, Gianni, Luisa e Uber. Ma cosa si fa in questi casi? Arriva un taxi, un angelo, qualcuno, o si resta così e bona l'è? Cazzo, prima che si spegnesse il telefono, nessun risultato utile nemmeno da Google (però c'è un botto di pornografia al riguardo). Decido di sedermi e pensarci su, di sicuro mi faranno sapere.

Il tempo di arrivare alla panchina lì vicino ed ecco che mi si avvicina una bella ragazza, se mi vedesse mia moglie... Dice che è una specie di incaricata della Morte, posso chiamarla Rebecca se mi fa piacere, si scusa per il ritardo ma l'utenza è tanta e gli operatori sono pochi. Ha un leggero accento dell'est.

Dice che ci sono un paio di moduli da firmare; dice che abbiamo quasi fatto, giusto il tempo di controllarmi i documenti, operazione che avviene confrontando più volte la mia faccia con la foto sulla c.i.e. Dice che sembro un po' diverso dalla foto, be' ero più giovane e con il naso rotto giusto pochi minuti prima dello scatto, è una storia buffa dico, a ripensarci ora. Pare sia tutto sommato contenta che io abbia ancora i documenti addosso, non potrei capire quanta gente li perde e quanto di conseguenza si allunghi la procedura. Inizio a sospettare che la paghino in base al numero di pratiche chiuse, ma meglio non approfondire; alla fine mi pare abbastanza professionale. Aveva anche la penna.

Mi dà un biglietto e dice che devo aspettare il prossimo bus, sarà qui verso le 16. Mi accompagna alla fermata, ci salutiamo con la manina tipo bimbi e la guardo salire su una macchina scura. Peccato la situazione, aveva davvero un bel culo.

La seduta è ancora bagnata e sta ricominciando a piovere. Adesso un goccio ci vorrebbe.

*

Giorno di sole

Dalla tangenziale passano macchine e furgoni, tanti tir, quasi mai gli autobus. L'asfalto e lo smog, le finestre in lontananza dentro cui poter immaginare risate e pianti di bimbi, un supermercato decrepito, la farmacia deserta all'angolo del controviale. È come se il mondo fosse andato avanti senza questo quartiere. Mi immagino tutta una equipe di ingegneri che si occupa della cosa e a fine riunione dice -Ok, con questo è tutto. Dimenticato qualcosa?- -Non mi sembra, andiamo a pranzo.- E poi eccolo comparire lì, l'incubo strutturale. -Be', oramai è tardi, che si arrangino... E il piano regolatore non prevede modifiche. Stasera calcetto?-

Un paio d'alberi nel parcheggio e un parchetto con giostre arrugginite, l'aroma di cumino dalle case al pian terreno e un mendicante che cerca il miraggio di una moneta. Il sole è alto, la birra mi si scalda in fretta. Un anziano ritira lenzuola e rughe dal balcone prima di farsi inghiottire dall'interno; la facciata con tutta probabilità è sua coetanea.

Dei ragazzi giocano con un barattolo sul marciapiede, le loro vecchie magliette mostrano sudore e corpi torniti da chissà quale antica fatica o mestiere, eredità ectoplasmica di una generazione morente. Calzolai, arrotini, manovali, perfino fabbri: la loro dinastia conta al massimo un parrucchiere. Nessun dottore, nessun ingegnere, nessun banchiere.

Mi pare di vederli là, aleggiare assieme ai ragazzi, gli spettri dei loro nonni, zii, dei loro avi, muti e senza denti, con grosse mani callose nei loro abiti rammendati e curvi sotto al peso dell'eternità, al peso del più inquietante peccato stabilito dal mondo: l'anonimato. Guardano e non fanno altro, per loro non più campi da arare o miniere in cui morire, no, per loro l'eterna vergogna del biasimo e l'onta dei vizi; è così, già quasi sbiaditi, che anche quei ragazzi di selvaggia bellezza conoscono anzitempo la legge del vivere, e cioè dello scordarsi e scordarsi finché non si viene dimenticati, ultimi in una gara di primi. Fumano e sanno i doni del sesso, scarpe rotte e schermi accesi; fuochi fatui di un futuro fotocopiato male da ancestrali nulla.

La vicina scuola cattolica che fa da confine al quartiere ha usato il buon gusto di porre i cancelli d'entrata dall'altro lato, cosicché mamme e pargoli non assistano al quotidiano rituale di decadenza e austerità, e il comune, dal canto suo, ha massimizzato l'effetto innalzando palizzate di manifesti elettorali e propagandistici. Nessuno di loro si avventura mai per quelle vie, nemmeno un prete, nemmeno viabilista, forse qualche mamma in cerca d'avventure esotiche o qualche giovanotto a caccia emozioni sintetiche. Nessuno che conosca le vie del lecito o del rispettabile -qualunque cosa sia.

Un uccello volteggia in lontananza, dalle parti del municipio o poco oltre; mi sento bene, finisco la birra e fumo un'altra sigaretta; guardo le spirali vacue perdersi nello stesso vento che fa volare foglie e aquiloni e che si mischia a tutto questo smog. Ho un ragno sulla scarpa e la sensazione di aver sempre vissuto su questa panchina.

Il marciapiede è rimasto vuoto, il barattolo è sparito.

*

I rischi di una colazione non proteica

Caffè.
Spremuta.
Solita brioscina alla crema; non importa quale marca, sono tutte uguali: un tot di pasta, un tot di crema. Il ripieno all'albicocca o quello al cioccolato hanno come risultato il solito, fastidioso, bruciore da gastrite; la crema, curiosa casualità, no. Solo iddio sa il perché.
Il buio alla finestra lo destabilizza, l'aria fresca mentre fuma lo riporta ad altri momenti, luoghi, occasioni, attimi di perpetua nullità nel succedersi dei minuti. Si sente parte della parete dirimpetto, un minuscolo mattoncino, parte di un panorama claustrofobico di umidità condito con un punticino rosso, eredità sbarazzina di milioni d'affacci su Milano.
- Se avessi voluto il tuo perdono lo avrei chiesto a suo tempo, e invece... Sai cosa? Mi sono ridotto ad accettare di andare avanti, vivere con quella macchietta addosso è stato fastidioso per un po', poi, vabbè... -
E il mattoncino lo guarda in silenzio. Il riflesso del caffè dice che non gli importa -deve ancora svegliarsi-, la brioscina sparita -puff!- e la spremuta, beh, che potrebbe mai dire di sensato, cioè con un minimo di tatto, in faccia a tanta stupidità? La spremuta, arancia. Arancia il bicchiere, arancia il palato, arancia le dita contro al vetro. Arancia l'amarezza. Si limita. E arancia -ah, le spremute!
- Ricordo quando riuscivo a innamorarmi di ogni cosa, quando guardavo gli aeroplani passare e pensavo agli addii, alle lacrime e ai baci, ai sorrisoni della gente che parte, ai tassisti senza sonno, alle mani che si stringono. Ricordo di aver visto la morte passeggiare nei corridoi di un ospedale dell'hinterland e un paio di amanti tremare al ritorno del cornuto. Cosa ne farò? -
E il mattoncino sembra assentire, silenzioso ed eterno quanto il mattino che va via via schiarendo nello spazio tra i palazzi in fondo alla strada; roba da saggi, chi mai lo capirebbe?
La spremuta sembra esterrefatta, il caffè chi lo capisce è bravo. Il fantasma della brioche aleggia nella stanza, sillabe mute di un recital stanco che vorrebbero dire non ricordo nulla, per me il mondo era un sacchetto di plastica. Già, cosa può capirne una merendina? Forse non più di ciò che il caffè fa intendere.
- Domattina uova, giusto per cambiare. -
Il cucchiaino apre appena un occhio, questa l'ho già sentita, poi lo richiude e dorme un altro po'.
Non c'è fretta.

*

La battuta è morta, viva la battuta!

«Hai notato che Cristo è sempre triste o glorioso? Hai mai visto la rappresentazione di un Cristo felice?»
«No, in effetti ora che ci penso... A Cuba ho visto il Cristo della pazienza, ma anche lui non sembra molto contento.»
«Già. Che peccato... Il Cristo compagnone di Dogma è forse l'unica visione allegra che l'uomo è riuscito a partorire... Che immagine abbiamo del Signore della gioia?»
«Mah... Mi sembri precipitoso.»
«E perché? In fondo sono circa duemila anni che il Nazareno sta lì a sanguinare... Ma tutto si riduce all'immagine del paradiso che uno si fa. Tu come pensi che sia?»
«Be', mi cogli alla sprovvista... Una donna incinta?!»
«Ahah! L'idea di un Cristo gravido è originale... Però l'idea di un Cristo padre mi sconfinfera. Cioè, non sarà nuovissima... La donna incinta protetta da ogni conflitto, la creazione senza contrasto. Wow, immagino un profeta che insegni la felicità e non il dolore; hai delle idee interessanti. Che sogno sarebbe!»
«Dovresti abbonarti alla mia rivista allora... Sarebbero solo tre euro al mese.»
«Nah, credo che continuerò con Famiglia Cristiana... Mi piace il loro sense of humour e l'attitudine splatter, sembra che l'abbia fondato Lynch...»
«Proprio come la chiesa cattolica...»
«Sì, ma con un budget più basso.»
«Me lo immagino: Pietro questi sono quindici milioni, dovrebbero bastare... Ma Signore, non ho una busta paga per il mutuo... Abbi fede nello IOR, ora và e fonda la mia chiesa e, tanto che ci sei Piè, portati pure a David...»
«E quando giunsero in Sicilia si strafogarono di arancini...»
«E a Napoli di pizze...»
«E a Roma la digestione s'era fatta pesante...»
«Già, ti manca Covatta, dì la verità...»
«Da morire!»
«E a chi non manca? Quello, amico mio, è un fottuto genio.»
«Vero. E Luttazzi, allora?»
«Necessario, anzi, indispensabile.»
«Ma abbiamo Crozza...»
«Hai ragione, non è il momento di pensare a quello che vorremmo, è il momento di fare il meglio con quello che abbiamo...»
«Balasso?»
«Unico, fenomenale»
«Beraian?»
«Questo è un trabocchetto... Comunque... Serio, vero e spietato. Sapessi quanto ho amato Clandestino... Da quando non c'è più Satyricon pensavo che la tv fosse morta...»
«Già, bell'ammasso di marketing e politica.»
«Già... Ma cosa dicevamo di Cristo?»
«Che si è fermato ad Eboli per una bufala al volo...»

*

Lettera di un Cristo nero

Vi ho dato il blues e mi avete fatto schiavo, v'ho coperto d'oro e avete venduto la mia terra, vi ho chiesto aiuto e mi darete la Bossi-Fini.
Sono un Lazzaro che non può alzarsi, una sola mano che applaude, io sono la sconfitta segnata dall'impiccagione.
Bene.
Benissimo.
Lasciatemi solo e io creerò bellissime torri d'avorio, draghi e meravigliosi castelli di fantasia e realtà, coprirò di fiori la foresta; innalzerò monumenti alla solitudine ed estrarrò la moltitudine dei miei sogni, non petrolio, per regalarli all'immortale candore d'un foglio che si stenda oltre i confini del tempo oppure li guarderò spegnersi nell'essenza fumante della loro stessa anima.
Credono di potermi assassinare e invece, nel silenzio, mi lasciano lo spazio per potermi sentire ed espandermi fino a loro tra le zanzare e il buio solitario di questa cella, proprio come una vibrazione che si fa uragano, con la forza spaventosa e misera dell'idea che non può essere sconfitta.
Mi forgiarono nell'altoforno delle passioni, mi temprarono con il loro fare smargiasso e io, per dispetto, li abbraccio tutti con il più grande amore che conosco, in legami più stretti d'un atomo; di più, sarò la loro roccia, un appoggio e un porto sicuro, ho spalle larghe per tutti e li aiuterò come posso, li amerò come figli e fratelli, con un amore forte, d'acciaio, e più mi odieranno, più li amerò, maggiore il silenzio che mi getteranno addosso, tanto più grande la conclamazione del mio affetto per loro.
Avevo fame e mi avete scacciato, avevo sete e avete avvelenato i pozzi, ero nudo e mi avete deriso, pioveva e mi avete mandato via a pedate, ma io vi amerò perché ho visto quel che siete, fratelli, sorelle, padri e madri, e ne avete più bisogno: il grido sordo delle vostre paure non spegnerà il mio titanico desiderio di abbracciarvi tutti.
Che io sia per voi la potenza così pura di un'evocazione da perdersi in un soffio, la brezza, la tempesta, il palpitare di sangue e muscoli, la musica dell'universo... Vivere oltre la fine.
Che io sia per voi la morte del toro nel circo o lo spegnersi di un violino alla fine di un concerto, la lama che lacera con raccapriccio la carne o il riverbero della vastità del mare, che io sia quel che sia, orrore e umanità, vesti barbare o barche di lungo corso, felicità, miseria, gommoni disperati, caldo torrido che assale spegnendo i sensi, sia, purché io sia Vivere e non rimpiangere e dignità anziché onore, respirare e perdersi nella voluttuosa spirale d'un profumo e religione dei riccioli che ricadono sul volto languido della malinconia.
Questo ve lo giuro e ve lo giuro mille volte e diecimila altre ancora con più forza, per gli dèi del Tartaro e su quanto di più sacro esiste: il sangue dei figli che bagna questa terra!
Al futuro il nostro epitaffio riporterà -qui giace- e nei fiori appassiremo come piccoli ricordi sulle ali delle api, compendio minuscolo e mostruoso del nostro meraviglioso essere, persi alla deriva nel mare impossibile del mio immenso amore per la vita, tra lo sciabordare eterno delle onde del desiderio, crocefissi e profumati come una zagara nel deserto perché ciò che uccide il corpo è solo una menzogna dell'indifferenza, ma ciò che fa vivere le idee è il materiale edificato del sacrificio.

*

Io e Borel, ovvero scimmia chiamata Luigi

Ebbene, eccomi nel mio salotto, seduto sulla poltrona grigia a guardare la facciata dell'edificio di fronte che mi spia dalla finestra; Battiato intona Alexander Platz dalle casse dello stereo e io ci canticchio su leggermente disturbato dal battere dei tasti proveniente dal balcone, pare che la scimmia si stia dando parecchio da fare; probabilmente partorirà uno dei suoi soliti romanzetti banali.
È davvero una bella giornata di sole velata appena da qualche cirro e dal soffio di uno striminzito zefiro che sembra non voglia fermarsi nemmeno per un caffè. La teiera riposa dopo aver bollito e mostra solo l'indizio di qualche sbuffo di vapore a testimonianza di una temperatura che rasenta quella del magma.
Un grasso gatto grigio sbadiglia placido e pacato dal davanzale della Signora Argento, una simpatica vecchina un po' troppo solitaria che mostra l'attitudine a costrutti verbali, per così dire, originali. Mi sento un po' come quel felino, pigro e indolente tra il profumo del gelsomino misto all'oleandro; tra l'altro ho anche messo su un po' di pancetta...
Suona il telefono (che rarità), guardo il numero, è il mio vecchio formatore di comunicazione assertiva e teorie complottiste all'epoca di Verdi; rispondo, chiede come va, bene, tutto bene, dimmi pure, tutto in stile risponderia robotica.
Mi fa: - L'epistemologia è un terreno incerto e scivoloso, ti tengo d'occhio ragazzo. -
- Bene -, gli faccio, - non è che il resto non lo sia... È che del resto mi annoio un po', sarà che mi sono abituato al ronzare delle mosche e a quello dei motorini... -
- Beh, - dice lui tra il sarcastico e l'annoiato, - le mosche ronzano intorno a pochi posti... Per i motorini, invece, non c'è speranza. -
Maledizione, me la sono cercata. Avverto il suo sorriso sornione avanzare nel mio silenzio.
- Ciò implica che o sei morto o sei l'alternativa... - insiste - Come sta la tua signora? - , felice cambio d'argomento.
Un altro bene, benissimo, tutto bene da fare invidia alla risponderia dell' INPS (se non lo avete mai fatto, chiamateli e fatemi sapere) e poi un: - Siamo molto felici, lei è sempre il mio punto fermo. Penso mi stia allungando la vita di un bel po' e non parlo della pancia... - autentico e sentito.
Ride.
Poi, come se dovesse riprendere il filo,: - E la scimmia? Luigi, giusto? Come sta la tua scimmia? -
- Ah, lei, - ecco il perché di tanta attenzione, - Luigi sta bene. Sai, ha le sue fissazioni. Giusto ieri ha buttato giù un paio di idee bislacche sull' Ode alla zuppa di Grongo argomentando che il collegamento con l'importanza di chiamarsi Ernesto dovrebbe risultare palese... Ovvio, c'è sempre l'importanza di chiamarsi Ernesto di mezzo... Ti giuro che se lo riscrive un'altra sola maledetta volta non rispondo più delle mie azioni... Dio, me lo sta facendo odiare! -
- Ahah, - ride, - già, è fatta così. Ti ricordi quando s'era fissata con quel libro di Keller? Come si chiama, la Bibbia aveva ragione, giusto? -
- Oh cavolo, non me lo ricordare... L'avrà scritto almeno dieci volte! Ma dico, almeno avesse riscritto, chessò, Pappagalli Verdi di Gino Strada o Lettere Luterane... No, proprio quello... Beh, si vede che era destino... Ogni Cristo abbracci la sua croce, a quanto sembra Luigi è la mia... Ma poi, no?! Secondo te, puoi stare lì a fumare e a battere sui tasti tutto il giorno? Sai che fa durante le sue pause? -
A questo punto Mr. Formatore sta già ridendo, non so se di me o di Luigi.
- Sta là sul balcone a dare fastidio all'Alpaca; devi vederla, se lo smaneggia tutto, gli schiaccia i peli della testa, le orecchie... Penso però che alla fin fine gli voglia bene davvero. Infondo gli Alpaca possono morire per la solitudine. -
Lo sento moderare il respiro, mi fa:
- Oddio, certo che siete una famiglia strana! Ahahah... Pensavo volessi sapere che ti ho messo in lista per quell'evento di cui parlavamo mese scorso. Dovresti essere il terzo in scaletta, se tutto resta com'è... Che dici, ti va ancora di farlo? -
Oramai il mio tè rosso sarà al massimo tiepido, che spreco.
- Mah, guarda, sinceramente non so se questo sia il periodo adatto, con le mascherine poi... Ti immagini la voce di uno col naso tappato filtrata da tutto quel cotone o quello che diavolo è? Voglio dire, l'effetto Fantozzi con patata e accento svedese è dietro l'angolo... -
Ride. Ma dico, deve sempre ridere? Ebbene, pare sia fatto così...
- Capisco, immaginavo... Per fortuna posso contare su Luigi, no? -
Lo sapevo, cavolo, è la prima cosa a cui ho pensato quando il telefono squillava...
- Sì, non credo ci siano problemi. Più tardi le dico tutto ma tu richiamami domani per i dettagli, intesi? -
- Certo, nessun problema. Salutami la tua signora. -
- Sarà fatto. A domani. -
Click.
Il gatto si stiracchia nel sole che lo abbraccia, nell'aria inizia a diffondersi il profumo di un soffritto.
Mi verso il tè pensando che forse non è troppo tardi, in fondo lo si lascia sempre raffreddare un po'.
Il rumore dei tasti ha perso ritmo ma non volume.
Campanello.
Gianni, il vicino rompiscatole con una stempiatura alla Vegeta.
Certo che posso abbassare il volume, certo che non succederà più, certo che su, certo che giù... Ogni volta la stessa storia, ogni volta a tacere delle grida di sua moglie e di quel loro odioso pappagallo...
Sì, certo la riunione di condominio e la nuova colorazione della tromba delle scale, certo la facciata, certo, certo... Sarà passata mezz'ora tra me che annuisco e Gianni che mi asfissia e intanto il tè sarà davvero da buttare.
Quando finalmente riesco a svicolare con la scusa della lavatrice, Luigi sta là dietro alla porta e mi fissa con l'espressione ebete di un cane che fa la cacca ai giardini di porta Venezia.
La sigaretta rollata a mano le penzola dal lato sinistro della bocca, i fogli me li porge con la destra.
- Per oggi ho finito. -, mi fa e prosegue:
- Gli dai 'na letta e mi dici? Ci sono novità? -
Sbuffo. Poi, annoiato: - Vabbè, basta che non sia ancora tu sai cosa... Ha chiamato D., ha chiesto di te: dice se vuoi partecipare al posto mio a quell'evento; mi richiama domani per i dettagli. Non ci sono problemi, vero? -
- No, no davvero, nessun problema, anzi ho già il materiale pronto. -
Se ne va a dar fastidio all'Alpaca dandomi le spalle mentre rimango lì instupidito; che stronzi, si saranno messi d'accordo già il mese scorso.
Guardo sconsolato la metà spenta del mio ultimo Montecristo che langue nel posacenere vicino alla tazzina sporca di caffè, sarà meglio consumarla in fretta.
Torno alla mia poltrona, guardo i fogli di Luigi: Una mattina come tante, Professore!, saranno circa diecimila battute ad occhio e croce.
Non le avessi mai fatto vedere quei mini racconti! Quel personaggio l'avrò ucciso almeno trenta volte... Cioè, non è che lo odii, però sta sempre lì a ciarlare, a discutere di tutto in maniera inconcludente e nozionistica, con l'arroganza poi...
- Pensavo di presentare anche questo. -, mi fa Luigi.
- Ne sei sicura? Che poi la gente non ti prenderà sul serio... -
- Non mi frega molto, tanto questi eventi servono solo per farsi certe leccate a vicenda che spidocchiarsi in confronto è argomento da biblioteche di lusso. A proposito, mi presterai la tua camicia da bowling? Potrei avere un paio di biglietti omaggio per te e la tua signora... -
- Per la camicia nessun problema, ma io non ci sarò. Lo sai che il giovedì sera ho il corso di ceramiche nucleari e psicopatologia dei palloncini ad elio, formarsi è importante. Comunque in bocca al lupo. -
- Sai che non è gentile dire così a un primate? Se nella parola primate c'è primo è perché... -
Oddio eccola che attacca di nuovo con la solfa... Certo, certo, sì, sono d'accordo, ovvio, chiaro, ecc... Continuo ad annuire, penso al mio tè andato sprecato, al mio sigaro spento e mi pento di non essere nato gatto.

*

Un mattino come tanti, Professore!

- Qualcuno di voi sa dirmi perché non si danno le perle ai porci? -
Dopo qualche istante iniziarono ad alzarsi poche timide mani.
- Prego, signor T., ci illumini. -
T. abbassò il braccio e rispose :
- Sarebbe inutile, Professore. I porci non saprebbero cosa farne se non mangiarle. Bisognerebbe dare le perle a chi sa apprezzarle, magari una bella donna o un gioielliere. -
- Bene signor T. - rispose il Professore - La ringrazio della sua risposta pronta e illuminante. Vorrei però approfondire, se non le spiace far da cavia.
La sua sembra senz'altro la risposta più sensata nonché la più condivisibile ma, ci sarà sempre un ma in questo corso, le proporrei un'altra versione forse meno nobile della sua.
Le perle ai porci non si danno perché essi non sono avvezzi a cacare collane o orecchini. Se i maiali fossero gioiellieri, come diceva poco fa, le perle gliele daremmo eccome! Ora, vede signor T., sappiamo che nessun maiale è gioielliere ma sappiamo anche che qualche gioielliere è di sicuro un porco, come giustificheremmo il fatto che uno dei due ha le sue perle e l'altro rotola nel fango? -
I risolini sparsi tra l'attenzione della classe come chicchi di grano in mezzo all'aia spezzarono per un attimo il silenzio di quell'ora mattutina al principio dell'estate.
Il Professore proseguì:
- Mi faccia spiegare, la prego signor T. di non prenderla sul personale, con altre parole. Lei conosce il paradosso delle scimmie alla macchina da scrivere, meglio noto come paradosso di Borel? -
Presi pochi secondi per ragionare, il signor T. (che di fatto era abbastanza sveglio nonostante fosse poco più di un ragazzo), rispose:
- Se non ricordo male, dovrebbe riguardare la teoria delle probabilità...-
- Molto bene signor T., se vuole una nota di merito, però, dovrà sforzarsi di darmi un po' più di così. Coraggio, non sia timido. -
- Okay, Professore, però non vorrei sbagliarmi... Allora... Ehm, era qualcosa su delle scimmie instancabili che scrivono la Divina Commedia, credo... O Shakespeare e ad un certo punto si arriva ad un enunciato matematico e a qualcosa sulla possibilità che un evento si realizzi... -
Breve silenzio imbarazzato, di nuovo risolini della classe.
- Bene signor T., grazie. Dunque, il paradosso di Borel afferma che sia sempre possibile comporre una qualsiasi opera letteraria digitando casualmente le lettere di una tastiera, ovvero modellando una successione di variabili aleatorie che assumono, con una certa probabilità prefissata, i valori zero o uno; ragazzi, significa che se le lettere dell'alfabeto fossero in codice binario (e tutto può essere tradotto in codice binario) ci sarebbe almeno una possibilità su infinito che persino una scimmia alla macchina da scrivere componga il vostro libro preferito. Per approfondire guardate pure su Google.
Ma (di nuovo il nostro amato/odiato ma) che fine farebbero secoli di evoluzione linguistica, filosofica e grammaticale, la tanto decantata ragione umana, se tale eventualità si realizzasse? Non è forse vero che un tale fatto metterebbe in discussione l'intera cultura alla quale siamo abituati?
Questo, ragazzi miei, signor T., è il vero motivo per cui non si danno perle ai porci e per il quale la cultura è relegata in orribili salotti abitati da gente tronfia e arrogante con la predisposizione ad identificare l'ignoranza come il fango in cui debba rotolare chiunque non sia considerato degno di unirsi al club, il popolo nell'accezione negativa di volgare, additato come ignorante e dunque inferiore; non si possono dare perle ai porci perché l'eventualità che un giorno uno di essi cachi una collana o degli orecchini metterebbe tutti i gioiellieri del mondo nella difficile posizione di trovare un nuovo impiego o di assumere un maiale stipendiato, si potrebbe scoprire che se qualche gioielliere è porco, anche qualche porco è gioielliere e non sia mai, per carità...
Tutti vogliono essere migliori di qualcun'altro, nessuno vuol essere da meno anche se ciò significa sacrificare la parte più vera del proprio io per adeguarsi alle posizioni correnti.
Non sia mai che si metta in discussione nulla, la ragione, ragazzi, sta nel servire il più forte e un calcio in culo all'umanità, come direbbe il Bertoli.
Non sia mai che qualcuno arrivi a livello, bisogna continuamente alzare l'asticella, segnare la differenza tra voi e gli altri, questo, ragazzi miei, signor T., è l'unico modo di piacere.
Quindi, sì signor T., se lei ha intenzione di aver successo, di piacere agli altri con la supposizione di piacere a sé stesso e magari fare fama e fortuna, continui pure a dire che non si danno perle ai porci perché essi non sono in grado di apprezzarle, cerchi con insistenza le belle donne o i gioiellieri a cui donarle ma tenga presente che elevarsi su dei maiali non è una gran vetta e che la possibilità che una di quelle bestie la possa scalzare è provata scientificamente; ragazzi, signor T., se volete davvero piacere, aver successo ecc, tenete le scimmie lontane dalle macchine da scrivere, chessò, buttate loro una banana o schiacciatele con i talloni degli insulti, con gli sputi del discredito, dell'indifferenza; tenete i maiali lontano dalle perle e, ne sono certo, ce la farete. -
L'applauso nacque spontaneo e fragoroso, l'aria rimbombava di giovani mani e sorrisi. Quando, dopo circa tre minuti, l'applauso si spense, il Professore attaccò di nuovo a parlare:
- Bene, grazie signor T. per essersi prestato alla lezione odierna e grazie a tutti voi ragazzi. Per la prossima settimana il tema da sviluppare sarà, aperte virgolette, fattelo piacere o vai a quel paese, un racconto di crudele buon gusto, chiuse virgolette; saranno ammesse anche forme audiovisive, multimediali, teatrali e, in definitiva, qualunque cosa la vostra mente partorirà. Ah, e Di Lella, lei ha una nota di demerito per essersi presentato in ritardo, mi aspetto che la recuperi entro la fine del trimestre. E si lavi PRIMA di venire a lezione, l'igiene è una cosa importante, per l'amor del cielo! -
- Anche una corretta idratazione... -
- Come ha detto, scusi? -
- Niente Professore, dicevo che non mancherò. -
- Bene ragazzi, a settimana prossima. -
L'aula si svuotò piano piano nel lento defluire di gambe, busti e culi attraverso la porta, la mattina non era più così fresca oramai trasformatasi in meriggio.
I giornali dell'edicola riportarono la notizia di un terribile attentato nel centro di una Capitale, il traffico scorreva lento e qualche nube stazionava di un bianco ozioso nell'est azzurro indifferente che avvolgeva il volo basso di qualche gazza; una giornata come moltre altre insomma.

*

Collezione semi seria di piccole crudeltà

Il ragazzo stava morendo sul ciglio di una provinciale, intorno a lui qualche trifoglio, ghiaia e ciuffi d'erba.
Guardava il cielo stando sdraiato, sdraiato come un crocefisso.
Non c'era più il rumore delle auto, la notte sembrava aver assorbito tutto l'assurdo rumore della vita ad eccezione di un battito che andava tuttavia scemando e il canto intermittente d'un grillo perso tra i campi.
Muoveva un solo dito, stava morendo solo, con la compagnia di un laccio e delle stelle che andavano pian piano a spegnersi nei suoi occhi che custodivano, ancora per poco, i troppi sogni nelle sue vene.
- Ci vuole il coraggio d'un leone per morire così a venticinque anni, eccomi mondo! -, disse con le sue ultime forze mentre tutte quelle cose passeggere si disperdevano nell'umidità e nel freddo della solitudine eterna.

Una partecipata dello Stato fa causa allo Stato e vince, il Tribunale stabilisce un risarcimento da capogiro.

La vecchina stava seduta nel cortile di mattoni davanti casa, la sedia di plastica bianca sembrava non sentire quasi nessun peso.
La vecchina guadava il cielo blu rigato dalle poche nuvole di un maggio generoso, pensava che se il paradiso esiste dev'essere un posto dove gli stormi volano, dove con tutta la loro grazia disegnando forme armoniose in un cielo come quello e i bimbi ti sorridono ed è Natale tre volte l'anno.
La vecchina guardava il cielo, pensava e intanto una sottile lacrima le bagnava quelle rughe figlie d'una antica magnificenza, custodi d'un cuore incatorcito e di tutta quella benevola saggezza che un giorno sarebbe stata trascinata via dal vento per non ritornare mai più, persa a danzare per sempre tra i pianeti più felici, senza avere più paura.

Lazzaro divenne il primo broker della storia, Giuseppe il primo desaparecido. Quando si dice vivere alla giornata...

I due giovani discutevano in cantina, l'aria era satura di fumo e odor di vino.
Dalla finestrella ad altezza strada compariva un timido accenno di sole velato di tanto in tanto dal passo frettoloso di un passante.
In un angolo ronzava una vecchia radio che trasmetteva John Denver sulle note di Take me home, country roads. Contro la parete vicino alla scala stava abbandonato il terzo giovane, svenuto perché ubriaco fradicio e stanco dopo il suo turno di quindici ore giù alla nuova Fabbrica.
Sul tavolino contro parete opposta c'era quel raro mix di frutta secca, salatini, posacenere strapieno, foto, appunti, bicchieri vuoti e perfino un salvadanaio.
I due giovani parlavano da ore, oramai le chiacchiere avevano assunto questa piega:
- ...Non posso credere che l'abbia fatto davvero! Sarebbe come a dire che il pallone è suo e il gioco finisce quando vuole lui. -, diceva il più giovane e l'altro, di rimando, - E che vuoi farci?! Non puoi nulla contro un senso del buon gusto antiquato quanto fascistoide, è applicando un principio così che da redattori si diventa censuratori... Che poi, non dico che la libertà di espressione sia la scusa per offendere gratuitamente, dico che la scelta dei vocaboli dev'essere contestualizzata con consapevolezza e con consapevolezza del contesto e del contenuto dev'essere valutata: non è offensivo dire che un orso è un orso, sarebbe offensivo dire che un orso è un orso di merda secca spiattellata da uno schiacciasassi anche se quell'orso non ha ucciso nessuno. -
- Quindi, correggimi se sbaglio, nel dire troia invece che prostituta o cortigiana o capinera non ci sarebbe peccato se contestualizzato in un ambiente volgare e/o animalesco? -
Il breve silenzio che seguiva a questo scambio era rotto solo dalla radio e da un russare plateale che avrebbe ispirato invidia a molte persone.
- È un guaio cercare di rispondere senza esporre un punto di vista che sa un po' di estremismo libera tutti, possiamo però permetterci di azzardare, bada bene azzardare, - facendo segno con le mani - che un certo tipo di volgarità contestualizzata è nota e utilizzata sin da tempi antichi, ad esempio potremmo argomentare che le antiche rappresentazioni dei satiri prima, di Pan poi, erano basate su attribuzioni bestiali come un grosso zoccolo caprino utile a spaccare il terreno e un grandissimo fallo sempre eretto utile a fecondare, ciò potrebbe, bada bene potrebbe, significare che attingere ad un lato bestiale serve all'uomo per rompere le convenzioni, le banalità, il terreno su cui si muovono i passi scontati delle insulsaggini quotidiane e fecondare idee nuove, altri punti di vista, piantare il seme insomma, cosa che non puoi fare senza applicare almeno la forza necessaria per creare un buco. Ho risposto? -
- Scusa ma non ti seguo bene... -
- Questo perché sei un asino vestito da carnevale ed è evidente che hanno fatto bene a censurarti! Ma la tua ignoranza non può essere un mio difetto, così è difficile difenderti... Mettiamola così: il linguaggio volgare, le parolacce, non sono mai state del tutto accolte nei componimenti in versi, tuttavia hanno da sempre almeno accostato quel particolare tipo di espressione, basti pensare ai sonetti erotici attribuiti a Machiavelli (guai a scriverlo con due c, sbagliare non è ammissibile, la distrazione tanto meno) in cui si cita la parola Cazzo al posto di membro o fallo, a certe opere di Esenin in cui la parola Puttanella appare più volte, sino ad arrivare a tempi relativamente recenti dove l'accostamento si fa più evidente sin quasi a sfiorare l'accoglimento. È più chiaro così? -
- Non credo di capire fino in fondo ma mi sembra abbastanza chiaro. Comunque ancora non riesco a credere che l'abbia fatto davvero... -
La sera scendeva piano e avrebbero potuto benissimo andare avanti così per giorni senza tuttavia giungere ad una conclusione. Il terzo giovane continuava a dormire accasciato sul fianco sinistro, sognava cose magnifiche come veleggiare in un mare di papaveri a bordo di un sabot olandese ridendo a squarciagola; nessuno aveva mai avuto una faccia più beata.

Ralph Winchester de I Simpsons viene eletto primo ministro di una piccola regione del Nord senza affaccio sul mare, l'opposizione critica i troppi Ohi Ohi nel primo disegno di legge presentato al parlamento.

Ogni anno si festeggia il rito del passaggio oltre, ovvero la strage di neonati di un popolo che non è il nostro derivata da una lite tra due popoli eletti di cui uno schiavizzava l'altro, e poi dicono che non c'è più par condicio creditorum...

Il Prete parlava con il Laico a proposito del Libro; il Laico sosteneva che fosse comodo da parte del Culto non prendere in considerazione il Vangelo dell'infanzia del Profeta, dimenticando di insegnare parte di quella vita che così tante altre ne avrebbe influenzate e altresì comodo non citare né il dodicesimo né il tredicesimo comandamento, cioè Non rompere i coglioni e Sii libero di odiare.
Il Prete ribatteva che l'insegnamento non stava nella mera conoscenza nozionistica ma dall'esempio e dall'esercizio della Virtù.
I due venivano alle mani da lì a poco se non interveniva il Filosofo a far da capro espiatorio: i primi due, infatti, se la presero con lui prima ancora che aprisse bocca.
È così che la Chiesa e la Politica tacciano la Scienza e il Pensiero ingannandosi di poterli piegare al Profitto (il quale, oltre ad una sintassi e un'ortografia perfette, rimane l'unico vero Dio).

Anche Beppe Fiorello era uno dei Kiss.

Un orso si arrampica sui balconi di un condominio in Trentino, in risposta la Cina svela al mondo di aver conservato le scoregge di Mao in appositi barattoli.

La legge di Pareto mi dice che l'ottanta percento degli effetti è frutto del venti percento delle cause, in questo modo si determina che l'ottanta percento di un discorso viene dimenticato perciò, forse, è arrivato il momento di chiudere qui.
Buon venti percento a tutti noi.

*

Epistemologia d’un riverbero, forse.

Il sole sempre guardò benigno la terra e le sue messi...

Le tirò un gran pacca sulla chiappa destra aggiungendo un sonoro:
- Bella strappona! -
e l'eco si sparse tra i portici e rimbalzò qua e là tra le facciate dei palazzi, talvolta entrando da una finestra aperta e scivolando poi sulle scale dalla fessura di una vecchia porta, talvolta sui portoni, sui balconi e sulle saracinesche abbassate di una domenica pomeriggio persa nel mare dei giorni qualunque di una qualsiasi città.
Ma l'eco, un po' stanca, non si fermò ai sorrisetti vicini di chi la sentì e nemmeno alle lacrime di una puttana in periferia, non si fermò ai magazzini chiusi di una grande multinazionale del tabacco e nemmeno si disperse nel grande campo di mais vicino al fiume; a volte succede che un evento riduca tantissimo la sua risonanza pur di rimanere intatto nella sua sostanza e così fu per quell'eco in quella data circostanza, in quell'ora precisa tra la precessione astrale degli assi, ridusse cioè il suo riverbero fino a divenire una piccola vibrazione quasi impercettibile in tutto questo simulato silenzio che è la vita.
E ridotta, rimpicciolita, conservò intatto quel suo messaggio e aumentò la sua velocità e con essa il suo raggio d'azione e in virtù della legge che tanto governa, aumentò la sua energia che risultò essere uguale alla sua massa moltiplicata per l'accelerazione alla seconda potenza.
In virtù d'un altro fatto ecumenico, ovvero che nessuna energia è sprecata o spenta nell'universo fisico, trasformò la sua essenza e con tali simili forze a giovarle causa, non poté che vincere la grande corsa che caratterizza ogni aspetto tangibile del nostro essere: continuare ed evolvere.
La precisione chirurgica del caso non cadde mai vana dall'inizio dei secoli né mai lo farà, d'altro canto non ci è dato di continuare a postulare regole per poi cambiarle o ignorarle quando ci torna comodo, fermo restando che (cito) la chiamano [fisica], prende in giro se stessa e non sa nemmeno come (fine citazione) quindi, amico lettore, da Marzo a Febbraio sarà sempre vera una regola e una soltanto:
Tutto ciò che fai riecheggia per sempre e l'universo sorride solo quando ne ha davvero voglia (o magari quando si sente un sonoro -Bella strappona!- che sorvola le lacrime più amare sulle città degli uomini) o quando finalmente materializza un arto proprio lì dove serve, provare per credere.

*

Epifania!

Mi arrendo.

Mi arrendo, hanno ragione e riconosco di aver sempre sbagliato.

Confiteor fratres quia peccavi nimis cogitatione, verbo et opere.

Ho sempre avuto una visione errata e ora, nel momento della mia resa, ammetto e riconosco la supremazia assoluta della bellezza in tutti gli ambiti, in ogni dove.

Riconosco, contrito, i miei errori, le bestemmie e i falsi idoli ai quali mi protesi in adorazione.

Ne assumo piena responsabilità e ne accetto le conseguenze e i castighi.

Riconosco la bellezza in ogni dove, dalle lanterne della sera ai prati in primavera,

dal sorriso alla gioia.

Mea culpa, ho sempre pensato di vivere in un mondo profondamente ingiusto, scorretto e perlopiù scortese in cui avvengono stupri, omicidi, rapine, guerre; un mondo dove la povertà è tale che un tot percento dell'umanità non ha accesso a cure mediche, acqua (anche solo minimamente) potabile, istruzione, un mondo che dalle macerie di un conflitto fa nascere bimbi morti o malformi da madri malate e mal nutrite (vedi la moglie di Mansoor, cuoco afghano) o feti prematuri da madri negre costrette a disfarsene in un secchio di latta mentre attraversano il Mediterraneo ( vedi Lara, mia amica lavapiatti nigeriana stuprata in Libia).

Ho sempre pensato di vivere in un mondo in cui un togolese viene quasi ucciso di botte perché sospettato di essere frocio da un branco di mafiosi ( vedi Sophienne, amico rifugiato, tsè che parola grossa ), in un mondo dove la mafia uccide tuo figlio, scioglie il cadavere nell'acido e ti fa ritrovare uno dei femori davanti all'uscio di casa nel ventennale della sua scomparsa (vedi Roberto, fotografo ricoverato in una casa di cura).

Ho sempre pensato ciò ma oggi scopro che solo chi è bello vede il bello.

Mea maxima culpa, ho sempre visto il brutto perché sono brutto non certo per via del mio approccio alla vita ma sto cercando di cambiare; ho sempre puzzato di frittura perché sono brutto non perché non avevo altre alternative ma mi pento.

Ho scoperto che il brutto puzza perché lontano dal bello.

Mi pento, miserere Deus a peccato meo munda me.

Ammetto che in questo mondo i tossicodipendenti non sono dei bugiardi ladri, la bellezza è in loro: i tossicodipendenti sono dei sognatori incompresi.

De profundis clamavi ad te, Domine.

Ammetto che i bambini stuprati dai preti non sono vittime di violenza, la bellezza è nella purezza dell'atto.

Si iniquitates observaveris, Domine, Domine, quis sustinebit?

Poi ti dicono che la Bellezza sarebbe quella interiore ma io devo essere davvero nato sotto la stella della disgrazia.

Ammetto, ammetto tutto, ammetto di aver fallito, fallito come uomo, come cuoco, come scrittore, musicista, ho fallito persino nel fallire e voglio fare ammenda: ho fallito perché sono brutto e puzzo.

E ora vado a quel paese accompagnato dallo sputo beffardo del reo confesso, non sarà certo una novità.

*

Prelavaggio o, meglio, scusami vicino!

C'è un cane sul limite del finito, mi osserva e mi fa:
- Guardati dai poeti, brutta razza... Brutta razza davvero. Loro sono i peggiori, sempre troppo allegri, troppo tristi, poco questo, tanto quello... -
Resto un pelo basito, penso d'essere diventato pallido per un paio di secondi.
Il cane è sempre lì e mi fissa, continua:
- Quelli sono gente feroce, venderebbero anche la camicia pur di sapere che qualcuno li guarda, li sogna, li sta a sentire... Sono prostitute dell'attenzione... Sono parole e sogni marci, vorrebbero trasformare la vita ma, alla fine, è sempre la vita che trasforma loro. In peggio. Sta in guardia. -
Gli dedico un semplice
- Fottiti. - del mio tempo.
Lui mi guarda, piega la testa da un lato e chiude il discorso con un:
- Bau?! -
Faccio per andarmene sul sentiero dei sogni, giro la schiena e subito un liquido caldo mi scorre sulla gamba: quel bastardo m'ha pisciato addosso e si è incamminato con calma poco oltre il limite del finito.
Penso che la colpa sia mia, che ci parlo a fare con un cane, non sarebbe meglio dormire e basta?!
Speriamo che la lavatrice non sia occupata, chi ha gli occhi pieni di sogni spesso finisce per sporcarsi le mani di sangue... Penso che imposterò un prelavaggio con candeggina , spero che i vicini non se la prendano per la centrifuga e nel caso una botta e via alla vita, tanto siamo anime da niente.
La notte và, i treni dormono e nei miei sogni tornerò a parlare con un cane dispettoso.

*

Anatomia d’un romanzetto banale

Così:
Il nostro protagonista, lo chiameremo Giancarlo, ha circa cinquant'anni, fa il ragioniere, è sposato con la ragazza che conobbe al liceo, hanno due figli adolescenti un po' ribelli ma molto educati, tutti vivono nel loro appartamento appena fuori Città, nella periferia-bene dove non avviene nulla di nuovo.
Il nostro Giancarlo ha un po' l'occhio lungo per le ballerine della tivù, pensa a dove andare in vacanza ad agosto (mi sa che torneranno in Riviera, la cameriera ai piani dell'albergo lo guardava in modo, come dire...diverso), a dove passare la settimana bianca a dicembre (di nuovo Cortina?) e a tornare velocemente a casa dopo l'ufficio; i suoi più grandi problemi sono il traffico (chissà quando riuscirò a prendere quel nuovo modello di SUV?) e le emorroidi che non gli danno tregua soprattutto durante le riunioni col capo. Naturalmente la forfora fa da contorno a questo quieto tran-tran.
Un protagonista con pochi aggettivi.

Il secondo capitolo vede la descrizione dettagliata di una giornata-tipo del nostro beniamino e una timida introduzione dei protagonisti secondari come il suo capo-ufficio (sempre un po' antipatico e tirato a lucido), un suo collega e amico di infanzia (non abitano troppo distante) con cui organizza barbeque domenicali, la sua famiglia (mamma e suoceri un po' dispotici e dal braccio corto, moglie e figli non proprio perfetti, un lontano zio vedovo che abita nella villetta al mare) e un misterioso nuovo vicino (abbronzato, tiene feste chiassose fino a tarda sera ma comunque simpatico, un bell'uomo sui cinquant'anni).

Nel terzo capitolo la morte del lontano zio vedovo, i primi litigi in famiglia, una veloce introspezione sui sentimenti contrastanti del nostro eroe e il vicino (un misterioso e attraente Marco) che ne consola la moglie (Claudiana) piangente sul balcone in comune del palazzo.

Nel quarto capitolo il funerale dello zio si conclude tra le lacrime del solo Giancarlo e la lettura del testamento in cui il morto annuncia il lascito della villetta al suo nipote preferito...Gianca!
Il capitolo si chiude con la misteriosa sparizione della moglie dal cimitero e con la famiglia che si avvia verso casa un po' frastornata ma con segreti progetti su vacanze in un posto nuovo.

Capitolo cinque: il tramonto della normalità.
Rincasato, un Giancarlo esausto crolla sul divano, i suoi figli vanno in discoteca; verso le due, il Nostro, si sveglia per via di rumori provenienti dal pianerottolo, dove scopre la moglie impegnata in attività oral/ricreative con Marco.
Il giorno dopo divorziano, i figli restano con la mamma, la casa pure e i soldi...anche.
Gianca, al colmo della disperazione, scopre che Marco è il nuovo socio del suo capo, viene licenziato in tronco e inizia a bere vino del discount.
La scena si coclude con Giancarlo che si addormenta ubriaco fradicio in autogrill.
Fine prima parte.

-Parte seconda-

Capitolo primo: sono passati tre mesi, la primavera incombe.
Claudiana e i ragazzi convivono stabilmente con Marco, il capo-ufficio vede il fatturato in netto aumento.
Giancarlo, trasferitosi alla villetta sul mare, lavora come manutentore al villaggio turistico poco distante e la sera si ubriaca piangendo il suo destino.

Capitolo secondo:
Profonda introspezione del protagonista, restrospettiva della sua vita e indagine sui suoi fallimenti.
Un dubbio posto sulla possibilità di non averci mai capito molto e dell'impossibilità del destino, la risposta sta nella leggerezza.
Incontro con Maria, barista del villaggio oramai aperto.

Nel terzo capitolo assistiamo alla svolta possibilista: Maria ha 27 anni, Giancarlo se ne innamora, intrecciano una relazione semi-clandestina, dubbi e contrasti sulle età differenti risolti: il Nostro si tatua un'ancora sulle chiappe durante una notte brava con Maria.
La notte finisce col suono delle risate ma l'alba porta con sé un'ombra rappresentata da una station-wagon che parcheggia alla reception.

È nel quarto capitolo che avviene lo scontro-incontro tra le due vite di Giancarlo, la famiglia (ora guidata da Marco) è in vacanza proprio in quel villaggio. Giancarlo cerca di nascondere la sua storia a Maria, poi crolla; litigio e rottura.
Acquisto di una pistola al campo rom poco lontano da lì, tentativo di suicidio fallisce tra lacrime e sudore.
Rabbia.

Quinto capitolo, la resa dei conti.
Un oramai irriconoscibile Giancarlo, privo di scrupoli e motivato alla vendetta, fa irruzione nel bungalow di Marco armato, lo trova a letto con Maria e Claudiana; rissa.
Giancarlo ha la meglio di un soffio, spara a Marco colpendolo all'inguine e al petto, poi spara alle donne.
Rivolge la pistola alla propria tempia, entrano i figli.

Epilogo:
I pezzetti di cranio sono sparsi in tutto il bungalow e su la faccia dei figli, Giancarlo giace al suolo.
L'ispettore Gianni archivia le pratiche come omicidio-suicidio e affida i ragazzi al capo-ufficio.
Il tramonto porta con sé il sangue della sera e una nuova speranza: il capo-ufficio e i ragazzi si trasferiscono in una villetta al mare dove, pare, vi abitasse un tipo simpatico venuto da un paese della periferia-bene.
Fine.

*

Ancora un altro sogno, Professore!

Il silenzioso volo degli aquiloni si arrossava nel vento tiepido delle sette, sotto di essi la fragrante aria di margerite e non-ti-scordar-di-me contribuiva a colorare la discesa di morbido prato di una collina alla periferia del Trentino; le risa di alcuni bimbi cristallizzavano i momenti rendendo più chiaro il senso della vita.
Poco distante il fiume gorgheggiava i rimasugli del giorno mandando tenui riflessi a sbattere sui ciuffi di paretaria e sulle macchie di muschio di alcune rocce.
Il Professore ammirava quell'ora seduto sulla cima della collina, si chiedeva come potesse esistere tutta quella pace in tempi come i suoi, l'ultima staffetta riferiva di truppe naziste in avvicinamento dell'Austria e i rifornimenti iniziavano a scarseggiare; sedeva fumando da quel poco tabacco rimastogli e, distratto dal panorama, tentava di scribacchiare un'ode su un'agenda lisa con la copertina rossa.
La mente del Professore cercava le parole adatte, parole magnifiche, parole di grandiosa estasi fiammeggiante rivolta resistente, parole di pace, parole di vita, ma deviava di continuo sulle macerie della sua vecchia esistenza, sulla mano della moglie che spuntava dai resti della loro casa bombordata, sulla nostalgia di quella pace che, tuttavia, non lo abbandonava abbracciandolo con tutta la forza della sua illusione.

Quando calava la notte, il Professore si infilava nella sua branda grondante lacrime e sudori freddi; la mattina s'alzava di buon'ora nella grotta dove offriva asilo e teneva lezione a dei bambini così adulti da scordare i balocchi e il latte caldo delle madri seppellite non solo dai loro pianti; si svegliava mantenendo per pochi preziosi istanti le immagini di un mattino felice in una villeggiatura lontana sull'isola dei Sardi. Quella visione di mare, amore e profumi di mirto lo spronava ad un sorriso passeggero subito cancellato dalla sensazione aliena ed umida del suo vedovo riparo.
Quando arrivava il pomeriggio, tutta la comitiva si spostava a godere il sole e l'aria aperta ad eccezione della Vecchia Signora che rimaneva a preparare il solo pasto giornaliero presso la grotta; era in quei momenti che la morte aleggiava intorno alle montagne su ali invisibili e banali stringendo giorno dopo giorno il cerchio sempre più labile della vita, o almeno di una vita ragionevole fatta di scuola e aquiloni, innaffiata solo dal sangue rappreso sui ginocchi e quello di un sole che percepiva la rivolta silente d'una terra ingiusta e, alcune sere, da quel poco vino che ancora si trovava.

Non si sa come accadde, se uno dei bambini o la Vecchia Signora, fatto sta che qualcuno o qualcosa, forse il Destino o l'ala nera mietitrice, lasciò accesa l'unica lampada a cherosene fuori da quel rifugio durante il passaggio di alcuni aeroplani.
Tutto finì una notte in cui il Professore sognava una scuola vera per quei bambini camuffati da uomini con lo sguardo della fine tatuato nelle rètine, lontano dal fragore delle bombe che scaldavano la notte circostante col calore di lacrime rapprese, lontano dall'orrore di una finta pace fatta di miseria, lontano, molto lontano da tutti i fanstasmi dei non-ti-scordar-di-me e dei passati sorrisi caldi che ora tornavano ad accoglierlo nel buio di un nulla, tra un abbecedario distrutto e il ricordo sbiadito di un'estate al mare.

Il nuovo giorno scoprì una terra più leggera che ancora sperava nel ritorno dell'infanzia, sognando di elefanti e giraffe disegnati su lavagne intonse o nelle forme buffe delle nuvole di passaggio.

*

Strage di passaggio

Lungo il fiume l'acqua scorre tra rocce e fango, gli alberi sembrano dipinti sullo sfondo di alcuni campi abbandonati a loro stessi.
Due cani sul balcone abbaiano ai piccioni, una tenda sventola, qualche dio ha appeso un'arancia matura al finire dell'orizzonte.
La dolce malinconia di fine estate si riflette negli occhi di una ragazzina vergine capitata in questo angolo di bar chissà per quale caso, quella malinconia s'avverte come un venticello fresco che fa venire un brivido e un accenno di pelle d'oca.
Il vecchio giacca-blu sta seduto nell'angolo tra la parete e un frigo-vetrina così vuoto da richiamare i demoni della miseria, ha la testa reclinata e russa stringendo in una mano il calice di rosso mezzo pieno che l'ha steso, sul suo viso le lacrime di tempi felici e i solchi d'una vita fatta d'attese e rimpianti.
Mi sembra di vagare, mi sembra che le facce siano paesaggi, so che c'hanno maledetti, so che c'hanno maledetti.

Volano le mosche, cola tempo aracione sulle pareti.
Il terzo giro mi pesa come una montagna d'amianto sulle mie spalle d'argilla; nella veranda l'aria gira poco, accendo una sigaretta.
Non mi abituerò mai a vedere la camionetta dei militari all'angolo della piazza, poco lontano dalla magnolia, la stessa magnolia che un giorno venne rubata, ma quella è un'altra storia...
Poi succede, è un attimo: un bimbo corre verso i militari, li raggiunge e poi l'esplosione; in un attimo la scena s'infuoca non solo di tramonto, volano schegge di vetro, finisco seduto col culo sulla sedia coprendomi gl'occhi, mi fischiano le orecchie, tutto il mondo è un fischio e la ragazzina vergine s'è infilata sotto al tavolo così in fretta che nemmeno un fulmine. In mezza piazza ci sono arti mozzi, sangue e rottami vari, quel che resta della camionetta brucia con la dovuta calma. La magnolia ha perso qualche ramo e un paio di foglie fumano esauste sul bordo marmoreo e scheggiato del vaso.
Si sentono sirene da lontano.
Rientro, prendo un'altra birra, giacca-blu ha riaperto gl'occhi e sembra c'abbia visto l'abisso d'un inverno russo di cinquant'anni fa; Frank mi chiede se questa ho intenzione di pagarla, gli rispondo che prima è meglio se vado a vomitare.

A quanto ne so tutti muoiono, a quanto ne so poche cose sono a prova d'esplosione e se devi pagare il conto è meglio farlo a cuor leggero, in fondo, il fiume scorre sempre limpido tra rocce e fango, tra gl'alberi dipinti sullo sfondo di campi abbandonati e, se hai fortuna, te ne vai nella dolce malinconia di fine estate che si riflette negl'occhi d'una vergine col ricordo di bei tempi che cola con le lacrime d'un vecchio mentre il mondo s'infiamma d'un fischio e dell'oro d'un tramonto.
In fondo siamo solo ciò che siamo e il cielo c'ha già maledetto col suo peso a tener su il mondo degli dèi.

Vorrei solo non dover segnare anche questa sera. Vorrei solo non arrugginire, vorrei non aver veduto.

Il vecchio s'alza piano e se ne va, dietro ai suoi passi una ragazzina vergine capitata là per chissà quale caso, va così e scende il buio riscaldato per davvero dal fuoco dei bambini.

*

Morte d’uno stronzo

Sono morto.
Sono morto una mattina di giugno sotto qualche goccia di pioggia leggera e sulla poca, poca luce delle sei.
Sono morto a incalcolabili chilometri da casa.
Sono morto in una guerra stupida voluta da chi ha più soldi, potere e ambizioni di quante io ne abbia mai possedute o di quante ne avrei mai volute; sono morto in nome della mia terra, dicono, dicono che sono morto per il mio popolo, faranno di me un esempio, un martire, forse una statua in qualche piazza imboscata chissà dove.
Manca solo lo sfottò d'essere morto per la libertà...la libertà non è prendere un fucile e sparare per primi...poi dicono...fanno, pianificano...intanto io sto qui, steso, pacifico e sorrido sangue dopo tanta strage.
Il mio reggimento è stato annientato da un raid notturno delle milizie di resistenza, hanno attaccato nelle ore più buie della notte, hanno aspettato un cielo nuvoloso affinché nessun astro li tradisse con la sua luce indiscreta e spietata, hanno pianificato con la freddezza d'un lupo, sapevano dove colpire e come.
Non c'era scampo da nessuna parte, solo proiettili, solo fuoco, solo morte.
Combattevano per la libertà?
Combattevano per il loro dio dalle sei teste di scimmia?
Che importa per cosa combattessero, combattono o combatteranno, io sono morto e si muore con la testa piena di domande stupide, piena della consapevolezza inutile della stupidità del tempo.
Mi manca mia madre, mia moglie, mi manca perfino il sorriso cattivo del barista quando saldo il conto e mi mancano le mattine fresche di quando ero bimbo, un bicchiere di chinotto col ghiaccio, il volo leggiadro ed etereo d'una libellula verde.
Che cos'è la libertà?
Dove sono andate a finire tutte le cicale e il loro canto?
Voglio tornare vergine, forse riuscirei a capire che cosa cazzo è la aperte virgolette bellezza chiuse virgolette di cui tutti si riempiono la bocca a sproposito, vorrei vivere da stupido, vorrei vivere.
Che importa? Mi aspetta una bara e dei funerali di stato, mi aspetta una medaglia, mi aspetta un'eternità fatta di nulla.

Sono morto in un mattino di giugno sotto una pioggia leggera con in mano un fucile e un ricciolo di sole, sono morto dopo una vita del cazzo.

*

Buon natale, scarpe rotte!(un altro giorno)

L'uomo con la bombetta lascia cadere un mozzicone sul marmo del portico prima di confondersi tra i semafori e la folla, un barbone lo raccoglie ancora acceso e si tira le ultime boccate beccandosi anche un po' di filtro.
Una prostituta batte i tacchi sotto la gonna corta, un'auto rallenta, un tizio fischia e riparte col rosso; per poco non avviene un incidente: pare esista un solo buco del culo.

Il ficca-vecchie sorride alla finestra, indossa solo un pigiama rosso di lanella malandata e pensa di saperla lunga, lu-u-unga; una volta l'hanno visto piangere e svenire, un'altra volta pare sia scappato a gambe levate da certi tizi...ma quella è un'altra storia. Per il momento il ficca-vecchie resta alla finestra mentre la sua ultima fiamma (cinquantenne abbondante con seni e chiappe flosce e l'alito di cammello) finisce di rivestirsi in anticamera cantando una canzoncina sconcia tra i denti.

La puttana passeggia ancora vicino ai portici, la signora del sesto piano piange suo figlio morto di sifilide; pare esista una vera e propria epidemia di sifilide e, pare, sia dovuta a quella storia delle fellatio non protette...ci sono dei posti in cui ti prendono del sangue e della saliva e ti dicono se hai qualcuna di quelle malattie veneree così demode' e se sei sano ti lasciano andare con delle raccomandazioni, se non lo sei ti asportano il sesso con delle cesoie sterili.
-L'igiene è importante in certe situazioni!...- , sbotta il vecchietto al bar; il barista bofonchia delle bestemmie tra i denti, passa una spugna sul banco e si gira a servire il caffè al Filosofo.
Il Filosofo pensa di saperla lunga, lu-u-u-unga: per tutti è così da quando, per soddisfare il proprio ego e sopperire alla mancanza di un vero impiego, fondò un'associazione giovanile di piccoli Filosofi dell'esistere. Da allora vive di rendita deviando fondi, ma questa è un'altra storia...pare che anche il Filosofo sia stato visto parcheggiare in doppia fila...ad ogni modo, Egli, resta in silenzio, paga il barista e se ne va.
Il silenzio di certe persone è eloquente, quello di altre è soltanto arrogante.
Il pescivendolo sorride nel piccolo antro della sua bottega, gl'affari sono andati bene quest'anno anche se una fetta spetta all'ispettore della sanità (tutta una musica sbagliata) , potrà permettersi una o due scopate d'alto bordo per capodanno.
Il ficca-vecchie ora è sceso in strada, la pelata gli sbrilluccica nell'aria fredda come un piccolo diamante dono d'amore disperato in tempi tardi.
L'unica cosa che confonde gli uomini tra loro è una piccola lacrima scesa in luoghi nascosti lontano dallo spettacolare danzare di bacini freddi in lenzuola calde, scesa e subito scordata.
La puttana è sparita a bordo d'una familiare, il tizio che la guida è sulla quarantina, anonimo e un po' agitato; lei verrà ritrovata più tardi tra i cespugli di rosa canina di un parco di periferia, le mani mozzate, un seno morsicato a sangue e tracce di cloroformio nel sangue.

L'assassino è a casa, guarda sua moglie, bacia suo figlio e, stappando uno spumante escalma:
-buon Natale!-.
E non è che la vita sia poi così orribile, è solo che bisogna allontanare tutto ciò che ci accumuna e nasconderlo ben bene sotto al cuscino o in fondo ad una risata.

L'epilogo è presto fatto: il ficca-vecchie fa il mantenuto oramai da un annetto intessendo storielle qua e la, la puttana lascia tre figli (la quarta non conta perché nata in un secchio a bordo nave) e il Filosofo, beh, Egli sogna ancora di conoscere se stesso.
In quanto al pescivendolo e al barista, bisogna sempre ricordarsi che natale è alle porte, il barbone dormirà sereno nei suoi portici addobbati a triste festività e l'uomo con la bombetta prese il suo treno in perfetto orario.
In perfetto orario la sigla Tv del programma preferito di tutto il sesto piano, la vita va negli spot.

Sono le 15, il mondo gira ancora e qualcuno avrà da ridire sulla sintassi, sull'arredamento e ancora sul vestiario; vecchie storie, vecchi palazzi, stessa gente.
Ah-ah!

*

Breve storia del Maestro e della Luna

Il Maestro e la luna conversavano alla luce d'una candela alla vaniglia posta nel centro d'un tavolo in mezzo al nulla, tra loro, oltre alla candela, il tempo scandito dal fondo d'una bottiglia di vino a buon mercato.
-...come si fa, dunque, ad essere cattivi?-
-si fa del male.-
-e poi?-
-poi? Poi si tradisce il male facendo del bene-
-capisco...si fa del bene per far male, cioè si accresce la distanza, ci si porta in alto solo per precipitare più a lungo, per fare un botto più forte, insomma.-
-non proprio, no. Si tradisce il male facendo del bene per tradire il tradimento stesso e poi lo si fa ancora e ancora ed è per questo che gli uomini sono malvagi-
-ma è diabolico...-
-...solo se fatto con intenzionalità, il resto sono solo azioni alternate. Il resto non val nulla.-
-E non se ne può uscire?-
-certo ma la risposta sarebbe un altro tradimento, il tradimento supremo, il tradimento dei tradimenti, la fine stessa del tradimento sarebbe una nuova nascita di malvagità forse ancora superiore, forse ancora più ardita. Si uscirebbe da un circolo per entrare in un altro.-
-Maestro, come posso discostarmi da ciò?-
-non conoscendo né il bene né il male, non avendo coscienza e non intervenendo. La vita è già tradire.-
-è difficile trovare l'inizio in una nuova fine.-

Il vino finì.
Detto questo si separarono per sempre e nessuno più li rivide su questo mondo, la luna lassù e il Maestro morì in un ospedale di periferia; né, per ciò, il sole smise di battere la terra col suo flagello né il mare smise di violentare le stelle coi suoi riflessi.
Il cielo si richiuse dietro loro ed apparve la Verità perché è così che accade: la verità segue i nostri passi senza farsi vedere e si svela solo dopo di noi, dopo lunghissimo tempo.
E la Verità sa ballare, ridere e vibrare. La Verità è sempre bella, non sempre ci piace, ma di sicuro ha classe e la classe non te la insegna nessuno.

Solo briciole...

*

nuvole d’ottobre dentro al bar

Il mese buio fece capolino dall'oblò della mia camera singola illuminando di grigio le foto appese e il comodino sempre in disordine di fianco al letto.
Il freddo fuori dalla coperta era più uno stato d'animo che non una condizione fisica; il profumo di un caffè raffreddatosi troppo velocemente saliva dalle scale portando un buongiorno sbiascicato dai rami dell'oleandro mezzo congelato.
Eseguii tutti i miei riti mattutini non rendendomi quasi conto dello sciabordio del lavandino mentre mi radevo.
Misi su una camicia. Scura.
Indossai pantaloni, scarpe e giacca. Scuri.

La chiesa non era molto distante, per strada mi fermai a comprare le sigarette e a bere un caffè.
Freddo. Freddo nell'aria, freddo nelle nuvole, freddo nel mio sguardo intristito.
Quando arrivai il sagrato era semi deserto e gli addetti delle pompe funebri si sfregavano le mani nei loro guanti spegnendo una sigaretta sotto le suole eleganti.
Entrai avvertendo il sempre fastidioso odore di incenso e strage proprio di simili occasioni.
Il prete recitò tutto il suo sermone invitando i fedeli alla preghiera e gli amici a stringersi al cordoglio del marito.
Stavo per andare via quando, contro ogni aspettativa, il Flavio fece cenno al prete il quale annuì invitandolo a salire.
Non era lui. Non era il solito Flavio del bar. Erano sparite tutte le chiacchiere, le spacconate, le battute e i discorsi sullo sport ai quali tutti erano abituati.
Il suo viso di tranquillo sessantacinquenne era scavato e pallido e illuminato all'altezza degli occhi dal fluire sincero delle sue passioni.
Tossi' nel microfono.
Prese fiato e attaccò:
- Addio.
Addio, addio dolce compagna, amica, amante...addio.
Saluto te e l'amore che m'hai insegnato, i sorrisi per i quali mi guidasti in questo tuo tempo mortale, le tue mani, saluto te e tutti i melograni ricchi che possedeva il tuo umore, saluto tutte le stagioni in cui m'hai stretto e quelle in cui t'ho tenuta per i fianchi e accarezzata, sfiorata, tutti quei giorni in cui salivi le scale aprendo poi la porta del mio quotidiano regalando vita ai miei giorni, alle ore, ai minuti brevi come istanti di un bacio che non basta mai.
Addio, addio mia sposa, addio ai tuoi golfini troppo pudichi, alle tue canotte giovanili, alle tue gonne e ai tuoi capelli spettinati tra le federe, addio al tuo volto affacciato al balcone minuscolo su quel viale dai troppi semafori, addio a tutta la morbidezza del tuo seno e alle rughe del tuo ridere, addio ai tuoi silenzi.
Amore...-
Qui fece una pausa, il silenzio era irreale ma il suo piangere composto no; quel fiume del quale le sorgenti erano cementate nel cuore non s'arrestava e tutta la chiesa sembrava essere attraversata da una corrente, nessuno aveva più fiato...l'avevano tutti dato a lui affinché potesse continuare senza rimanerne senza.
Un tremore invase per qualche secondo la sua mano macchiata di nicotina e nei e lentiggini e ricordi di mestieri pesanti, di scintille e martelli, di acciaio fuso e fuoco vivo.
Un tremore invase per qualche secondo la sua mano e sembrò che il campanile tremasse insieme alla sua pena immensa, alla sua mano divenuta solitaria e senza appoggio proprio come la casa delle campane sposata alle nuvole per sempre.

-Addio- ricominciò, -Addio mia maestra e alunna, addio mia complice.
Qui seppelliscono le tue spoglie carni svuotate dell'anima che mi hai instillato, qui cadono le mie lacrime salate e qui sbatterà il mio pugno di rabbia per i giorni che mi restano.
Tu sei...tu eri il motivo per cui avere un salotto, una tv, un cane... Non volevo di più, non volevo di più... Eri le mie birre, eri l'eco del mio cuore che risuona come l'onda delle pozze solitarie quando cade la pioggia ed eri l'esplosione del temporale in esse, il loro tracimare, l'allagamento nelle mie vene e la foresta che le circonda.
Eri le montagne che orientavano il mio polo.
Dolce sposa, potrei respirare ancora solo nel tuo abbraccio e crescere, ma...ma tu dovevi andare e questa vita non ci è bastata, non mi è bastata.
Questa vita, vita mia, non è stata abbastanza per poterci separare...
Ti saluto nella tua pace con lo strazio che cresce e mi ricopre e col più grande dei sorrisi nel mio intimo per aver avuto l'onore di dividere il tuo fianco...
Sei stata lo scorrere delle mie lancette e il ritmo dei miei respiri, sei stata la luce che entra dalle finestre nelle prime giornate tiepide di primavera e quel venticello leggero che muove la tenda durante tutti i giorni che abbiamo diviso.
Oggi che dio ti porta via da me so che non ci sarà più l'estate e anche se non credo al paradiso prometto che sarò buono.-
Detto ciò semplicemente scese per la scaletta laterale senza più proferire parola nemmeno con dio per tutto il resto dei suoi giorni e asciugandosi lacrime, muco e sudore sulla manica della giacca lisa.

Girai le spalle e mi incamminai uscendo dalla chiesa verso la vita che m'aspettava ancora da quelle parti, presi il marciapiede accendendomi una sigaretta verso lacrime e sorrisi non ancora conosciuti in quel freddo giorno d'ottobre con la vaga sensazione che avrebbe piovuto presto.
Ebbi la sensazione di non aver nulla tra le mani, non avevo mai davvero avuto nulla tra le mani, era stato tutta una storia nel mio piccolo cranio ossuto e senza capelli o cuoio, era solo tutto un hallelujah.
Nessun ricordo, nessuna persona, niente.
C'era qualcosa...
Era l'hallelujah di tutti i drogati, un cantico di buio, luce e stridore d'ossa che risuonava passando dai ponti delle statali, dalle auto in corsa lenta, le piazze fuori mano e gli usci scordati anche dalla miseria; la voce stridula d'un mondo alterato con luci strane, mani fuori posto, vicoli e divani, sorrisi e occhi sfatti, tradimenti, giochi strani mentre ti rubano il portafoglio...strani modi, strano tutto...un la fuori posto nella melodia del tutto come una dissonanza non voluta, un'assonanza di misteri e strumenti utili e truffe intellettuali.
Poi tutto si spense in peristalsi golose, rilassate. Sonni gravi, sogni grevi, amori andati e finiti a prostituirsi nell'appartamento del pusher o in auto, al parco, per strada, ovunque nascondere nudità a sguardi indiscreti e invidiosi.
Prostitute all'angolo della via...
Un ospedale ha sentito mille canzoni spente chiudendo i loro occhi in attimi di vera pace.
Hallelujah, hallelujah...hallelujah!
Era la sigla di un cartone animato con aghi infetti, draghi sozzi, vene che palpitano e pazzia.
Non c'era nulla nelle mie mani, non c'era mai stato nulla nelle mie mani...tutto precipitava nelle percezioni sconquassate dei turbini di ghiaccio.
Il cantico di un respiro soffocato, un -ahhhh!- soddisfatto e un viaggio che si chiudeva per ricominciare al prossimo incrocio, era parlare di ciò che davvero sai, degli incubi veloci, di quelli moderati, era il culo sporco dei delfini che stramazzavano in un hallelujah dalla santità bruciata, la redenzione negata, le auto di lusso nei quartieri bene...
L'hallelujah contagioso.
L'hallelujah sifilitico e contorto della sera, niente pace.
Denti rotti e graffi mascellari, la punta di un diamante senza reni.
Pianti al buio e lacci ai polsi, il disegno dei morsi di cani urlanti, povertà... Ricchezza, sciacquone...
Disgusto, orgasmi, origami di lacrime e buchi, tagli, lividi e storte alle caviglie.
Voci storte, voci rotte... L'hallelujah dei drogati era una pace che sa di morte.
Non era niente mio, non lo era mai stato.
Riprendi i sensi, ti ripulisci dal vomito sui pantaloni e ti rialzi ancora confuso e barcollante deciso ad essere sconfitto per l'ultima volta.
La sconfitta...eterna compagna senza requie, quando mi capitano delle cose buone resto a chiedermi dove sia la fregatura.

Una sera spensi la luce, presi un coltello dal cassetto e incisi il mio polso sinistro.
La vita, sapete, è forte. È più forte di quanto potreste pensare.
Fermai la mano, riprovai.
Niente.
Ero ancora lì, sudato, sporco e avevo fallito anche col fallimento.
È un mondo duro, davvero un mondo duro.
Era passato tanto da allora...
Ahahahah!

E poi...poi accadde: in un bel luglio mi innamorai di nuovo contro ad ogni proposito e aspettativa.
Dapprima fu gioia e spericolatezza, venne l'amicizia, poi l'affetto e poi...poi incominciai ad amarla come se l'amore non fosse mai esistito prima, come se fosse l'unico amore possibile al mondo e tutti gli altri ne sarebbero stati esclusi, iniziai ad amarla e a morire in lei e fu il primo passo.
Quell'hallelujah rotto e disincantato iniziò a mutare battito e ritmica, lei vestiva di colori come abiti troppo corti per contenerla e leggera muoveva i suoi lenti passi nella mia direzione disorientandomi ad ogni ondeggiare di un sorriso luminoso e della rugiada ingiallita che avvertivo talvolta nella sua anima riservata.
Tutto passava sciacquando il mondo che da così tanto era coperto dal grigio nei miei occhi.
Una canzone nuova e sottotono prese pian piano a sostituire l'altra fino a coprire di insulti un ego e un cosmo precedentemente affittato a quattro lire, v'erano fiori nei tombini e quattro spicci di sogni a cui credere, un parco pulito e nessun pericolo.
Avevamo tutto, era tutto nelle nostre mani e non lo sapevamo, era tutto lì ma forse la realtà era semplice: non c'era mai stata davvero una scelta, nessun ritorno né alternativa.
La notte non era poi più così fredda.
Le mattinate non erano sempre così luminose né allegre ma ci incollavano senza colpa né peccato anche nelle camere a noleggio o nei letti rubati ai tempi vuoti.
Era alba e tramonto, era un minuetto e non più un hallelujah.
Cercammo la nostra estate in capo ad un volo di quattro ore, cercammo le nostre risate e i nostri abbracci nello scorrere di noi uno nell'altra.
Tagliò via i capelli della mia disperazione.

E così nel mio abito scuro scacciai ciò che dovevo mettendolo da parte.
Mi amò.
Mi amò e mi sembrò che un minuetto battesse sulla testa di tutti i cani ritardati ponendo finalmente un freno alla pazza, folle e immotivata corsa del mondo.
Tutto si placò.

Rifeci i passi verso casa fumando con calma sotto la pioggia fredda di quel mese.
Tutto bene, tutto okay e lacrime nascoste dalla pioggia e sommerse da un sorriso.

*

la cura del Pisano

Nei suoi incubi, l'uomo-scarafaggio, sapeva che l'uomo-biscia divorava coccodrilli mordicchiandoli piano partendo dalle orecchie sussurrando con denti aguzzi.
L'uomo farfalla, intanto, mesceva nettare dionisiaco al ritmo tremulo d'una candela infondo ad un fosso; i ragionieri sfilavano via tra piogge d'occhialini che filtravano dal tempo ballonzolando di qua e di la senza una costante precisa o di origine atomica.
L'atmosfera di gomma richiamava ratti e pidocchi dai covi delle zanzare fino al termine della marea. Il termine della marea, dal canto suo, fischiettava un valzerino di poco conto appoggiato alla finestra demolita in un paese in guerra e aspettava con un mozzicone tra le dita l'arrivo delle schiere amate.
L'amore stava a casa col pigiama a divorar sorrisi e tempi lieti accompagnati dai biscotti e djambe a ritmo blando.

La tv becerava inutili frattaglie, le quali frattaglie intanto, venivano processate per sfruttamento della prostituzione e divani squallidi.
Il ritorno della sera nel suo impermeabile di spugna gialla preannunciava il riposo delle anime pie e stanchezza o scimmie focalizzate, per il resto...l'erba continuava a crescere a dismisura e dai prati falciati s'udiva un labile lamento che finiva con lo schiantarsi di testa contro i muri delle case-gabbie e poi rimaneva lì, immoto, sdraiato e con peritonite immensa.
L'uomo-furia immergeva la testa nel lavabo nero e un gatto di passaggio si lamentava di continuo dei titoli del giornale scritto da un coleottero troppo moderno e disinvolto.
Si diceva che fosse giunta in paese un'altra squadra di malesseri e miserie ma il governo negava e, comunque, non ci sarebbe stato un posto dove infilarla: i magazzini erano già pieni e il piano quinquennale al varo del consiglio dei ministri prevedeva una diminuzione di ricchezza generale. Aprivi un cassetto e...voilat! Un paio miserie saltavano fuori come spinti da una molla, a privi un armadio, giravi un angolo e...fraaac! Un gruppo di malesseri t'assaliva lasciandoti in quel mood da gatto delle nevi.

C'eran poeti, ma che dico...Poeti! Poeti ovunque, nei parchi, nei musei, nelle aule, sulle teste di scimmia allo zoo, negli scivoli degli acqua park e in ogni fottuto pulviscolo di materia rosa putrefatta dall'amianto e dalla lenta decomposizione delle foglie nei pavimenti bagnati di piscio dei cessi pubblici nel pieno centro del vomito del mondo; la legge, scaltra, prevedeva però un simile reato d'obbrobbrio nei riguardi di natura, costume e società... La SOCIETÀ! La società e i fazzoletti bianchi col bordo rosa o fucsia o verde, adamascati, arabescati o debosciati ed esagitati e rutilanti ex della vita che s'abbandonavano in orge d'eroina e sabba di sfregi a basso costo tra gli abiti distinti degli acidi da batteria industriale.
La legge puniva tramite detenzione e trattamento coercitivo-estetico-sedentario tali poeti e loro vittime o seguaci; non c'era differenza tra gli idioti né tra gli idolatri in quest'epoca di passione mai vissuta.
Intanto, seduta sullo scoglio al centro del suo salotto, la luna si domandava che o chi fagocitare per cena senza per questo minimamente preoccuparsi né della legge né dei poeti, la luna (maledetta ipocrisia!) si sentiva troppo democratica e (ahimè) troppo questo e quello e troppo seria e troppo annoiata o faceta e disinvolta come una amante che si perde in discorsi da puttana davanti alla bistecca offertale dal suo cane senza più il bastone nodoso del comando.
Le braci dei libri illuminavano le notti nelle spiagge tetre disertate dai turisti-pirati e il Professore si curava solo spremendo un piano con mani gialle. La cosa non andò in porto e non gli riuscì altro che scalfirsi le unghie (peraltro già corte e un po' smangiucchiate) prima di tornarsene in pace nella piazza a chiedere sei grammi di tonica a prezzo di favore e senza anticipo.
Il tizio verde con la lunga lingua bianca che serviva abitualmente il Professore si lamentò distrattamente d'un vecchio debito ma alla fine diede con impellenza la dose al nonnetto pur di levarselo davanti.

Il tizio verde tornò a lavarsi, era la quinta doccia di quel giorno sconsacrato.

*

ho sentito un minuetto battere sulla testa dei cani ritardat

Strade calde e deserte nel buio della sera trapanato solo da qualche debole luce che filtra di nascosto dai lampioni, dalle nuvole, da qualche casa.
Niente autobus. Comunque l'avrei perso...
Perdere, vincere... Una storia finisce, una storia comincia.
I musicisti suonavano nei club, lontani dal rumore dei tram.

È quasi disarmante l'attaccamento maniacale delle abitudini alle carcasse spente colme di muco e progetti che si annidano nelle loro tane; quell'odore di fieno sembrava fosse sempre stato lì, quel bruciore nelle vene proveniva da un misterioso istinto di oppressione nascosto nelle carceri del pensiero cosciente e si diffondeva come una nebbia priva di colore e colma di sostanza infettando gli angoli più remoti, penetrando nelle foglie dei tigli e nelle spine dei cactus sui davanzali.
Il macchinista del treno era sceso a fumare e sostava di fianco alla locomotiva del leviatano in attesa che esso ingoiasse enormi quantità d'aria e persone per poi rivomitarle a chilometri (ferrati) di distanza. Non era che un macchinista.
Il boy d'una ragazzina guardava tutti con aria torva e stringeva lei tra le braccia lasciandole appena lo spazio di respirare, si sarebbe fuso in lei, l'avrebbe assimilata, la voleva possedere come si possiede un paio di scarpe, l'avrebbe menata anche stasera e i suoi lividi nascosti avrebbero ballato un altro minuetto d'amore e disincanto delle ossa.
E la notte filava via liscia e il fieno sembrava il miasma di anime bruciate dal mal di testa del mattino o solo un po' di catarro sputato per errore dal sole giù, dritto sui campi e in faccia alla periferia.
Un debole sottofondo arioso intonato dai cavi dell'alta tensione informava i viventi di non sostare, di non sperare altro che l'arrivo dei mostri di latta, forse d'una amichetta o una sgualdrina dallo sguardo dolce veloce ad aprir le cosce e a riassettarsi la parrucca, forse d'un dio che li salvasse tutti o li annegasse tutti in un mare fatto dei loro guai, delle loro idee, di cavi d'acciaio e isole stampate sui poster nelle agenzie di viaggi.
Sarebbero tutti soffocati nella logica deriva tecnologica-plutarchica e mediamente schizoide dei loro tempi o sarebbero assurti a felici vittime d'un destino elettrico ed impazzito come un treno deragliato.
La festa sarebbe dilagata.
Tutta la ditta del consumo ne avrebbe in ogni caso gioito.
Tutta la cricca dei -sarebbe meglio...- avrebbe brindato con sorrisi da squalo falsi e superficiali quanto i propri ragionamenti moralistici.
Tutto quel fieno avrebbe preso a puzzare di putrefazione e incenso per coprirla.
Un tossico si grattava nervosamente appoggiato ad un palo, aveva lo sguardo assente che vedeva chissà chi o cosa stampato nella tela delle cose, forse si sarebbe fatto rimorchiare da uno spacciatore grigio e marcio per soddisfare la sua sete di anima ed ectoplasmi...forse, l'astinenza era lontana in quel momento e pareva che gli orologi segnassero tutti delle ore diverse.
Sembrava che la fonte dell'umanità non fosse mai stata così nascosta.
Una signora sembrava agitata alla finestra di un caseggiato dotato di troppe antenne e poca facciata, ma forse era solo la noia liquida di quel paesaggio a creare il suo arredamento passeggero.

Nel cuore di quel sanguinamento osceno mi ritrovai con un mazzo di leggeri sorrisi impressi nella testa dal quale scegliere ricordi come carte da giocarsi al momento giusto nell'immensa partita che mi stavo giocando (come tutti) in corsa per la salvezza, per una redenzione ridicola e provvisoria in attesa dei conti e dell'oste. L'Oste.
Avrei comunque perso l'autobus e ad ogni modo non ne giravano più.
Trovai il solito bar.
L'allucinazione concreta al fondo delle cose stava nei fondi di bottiglia e puzzava di sudore stantio, sigarette, stivali da muratore e si confondeva col volo polveroso di mosche troppo pigre e smangiate per definirsi libere.

-Non ti si vede da un bel po', buco di culo-, il buonasera del barista che nessuno chiamava per nome risuonò.

Ordinai il solito giro di birra, non parlai quasi per nulla: il caldo mi fiaccava le gambe e i piedi stavano per esplodere nelle scarpe come salterebbe una mina di profondità in contatto con uno squalo o con una sirena distratta.
O con un buco di culo...

La ventola...la ventola!
Niente aria condizionata, il bar incassava così poco da potersi a mala pena rifornire; quasi tutti avevano un conto stellare che nessuno sembrava intenzionato a saldare e così, il barista, riscuoteva in favori e cortesie varie ciò che gli era possibile senza ricorrere a metodi più bruschi. Era un buon diavolo ma senza aria condizionata.

In quel forno mezzo spento una peristalsi incancrenita spingeva i minuti ad inesorabili compromessi con la dignità, così ad ogni istante le facce smagrivano immarronendosi come vecchi papiri rattrappiti dalle sfere di eoni emesse dal tempo eterno e senza pietà; era solo la noia, era solo il clima, era solo la vita che passavano planando attraverso le finestre fino a sfiorarci un braccio ma senza davvero mai toccarci, a toccarci davvero c'erano già le ipocrisie della povertà e lo scandire ritmato dei tamburi alla radio che passava Nina Simone come un vecchio rosario fatto d'ossa.
E il sudore.
Il sudore era reale quanto il più pesante degli schiaffi e colava giù fino al cuore, penetrava attraverso la pelle fino a raggiungere il fegato dell'anima e straziava scaldando i brandelli meticci e bastardi che ancora vi trovava conservati all'interno come tesori di antiche scorrerie e liquori distillati di risate.
Qualcuno aveva appeso un fallo di gomma verde ad una parete.
Sembrava il west in un vecchio film di terzo ordine con falli finti al posto delle pistole.
Stavo lì a chiedermi che fine avesse fatto la parte migliore di noi e quale importanza potesse avere, in fondo, (la gente dimentica sempre più in fretta!) se ci era stata rapinata dall'infanzia, dall'indifferenza o dalla nostalgica malinconia della felicità effimera di emozioni sintetiche e plastiche da consumo...Stavo lì e il caldo ci avvolse tutti con le sue lunghe dita di ghiaccio implacabili per l'anima facendoci sudare le supporazioni delle nostre cicatrici; gli spifferi entravano come intrusi non richiesti dalla porta principale. Il Cipolla mormorò qualcosa sul vago del fatto che col tempo atmosferico non si capiva più niente.
Rise. Rise ad un volume isterico ed allegro, poi strappò il fallo finto dalla parete gettandolo nel cestino ai miei piedi e se ne andò per la sua strada agitando un dito medio da quella sua minaccia troppo grossa.

La raggiunsi.
Finalmente la raggiunsi e il tempo...
Il tempo...

*

graffi d’un giorno senza sole.

Giornata buia, senza cuore.
Le impressioni si sovrappongono come in un quadro di Bosch, di Brueghel... Sembra che i cani possano strappare carni dai cadaveri di uomini-gatto trascinati al suolo dalla loro insolenza, dal suono discutibile e imperioso che proviene dal fondo alienato delle cose e dei desideri.
In mezzo al massacro quotidiano, all'omicidio premeditato delle idee e dei sogni, lì in un angolo un po' scuro e illuminato da una flebile candela, c'è un musicista senza più note, pare le abbia spese tutte, sembra che abbia regalato il suo intero spirito in cambio d'un bicchiere, due noccioline amare e un po' di lanugine proveniente da chissà quale tasca; il cielo sembra essere marrone con venature verdastre.
Una moneta fuori corso rotola piano in direzione di un tombino già allagato, ha smesso di piovere da poco ma forse ricomincerà a breve.
Uno specchio rosso rimanda immagini di devastazione e compromessi, una stretta di mano tra il banchiere pingue e il prete sazio sancisce il definitivo passaggio dalla povera tenebra del mattino alla vergogna della sera; si farà un festino con banchetto d'ossa e caramelle, scorrerà vino sulla croce di Cristo e si copriranno d'oro le immagini dei santi.
Il non-musicista senz'anima, dal suo angolo, osserva con ottusa curiosità da dottore miope l'impressionante serie di ammazzamenti che si stende sui campi, egli è ancora poco più d'un bimbo e il pelo ha appena iniziato ad adombrarne i lineamenti del viso, ma conosce l'esattezza equa del girare delle ruote: il sangue degli uomini servirà ad oliarne l'asse, il patto è stretto, i muscoli dei morti saranno carogne da dare in pasto a cavalli marci.
I pochi vivi rimasti sulla scena s'accalcano nella stessa direzione, cercano pane per il loro io, solo il non-musicista sta in disparte.
La condensa che si forma sulla cima dei palazzi assume una nota di azzuro-giallognolo, il nero è il ricordo di roghi più antichi, un palo conficcato nella clavicola dei beni passeggeri, tra cui la vita del pianeta, svetta issando una bandiera fatta di spine.
Cadrà ancora pioggia, come una manto o una coperta fredda, cadrà ancora per coprire la triste consapevolezza degli incubi atroci mentre il mare resterà a guardare come sempre.
Giornata buia, senza cuore e si è spento un altro pezzo del nulla che colorava colando la mia infanzia.