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Raccolta di testi in prosa di Gaetano Guerrieri
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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I giovedì di Sissi - 01

I
Dovevo fare oltre mille chilometri, percorrere tutta quella strada, l’Italia intera, andare dall’altra parte dello stivale, lasciare il mio amato e caldo sud e giungere nel freddo e umido nord per realizzare il mio destino.
Dovevo partire da Matera, la città dei sassi, e arrivare sino a Torino, la città dell’automobile, per incontrare il vero affetto, l’amore della mia vita, la donna che avevo sempre cercato, quella di cui avevo sempre saputo l’esistenza e che avevo cercato per tutta la mia vita ma che, nonostante i miei sforzi, non ero ancora riuscito a trovare.
Non avevo mai dubitato che lei esistesse, nonostante le tante delusioni, amarezze, errori e sbagli. Ne avevo conosciute tante prima e, ognuna di loro, per qualche tempo, m’era sembrata fosse lei, quella giusta.
Ho cercato per tutta la vita e in tanti posti perché certo che c’era, perché ero sicuro che esisteva. In qualche parte del mondo lei viveva, soffriva, piangeva, sbagliava e mi aspettava. Mi cercava, sapeva di me, che esistevo e che anche io la cercavo. Bastava solo trovarla, bastava solo incontrarci, bastava solo arrivare dove lei viveva, oppure andare nel posto ove lei andava.
Sarebbe bastato incontrarla, come e perché, in quale occasione o in quale maniera non aveva importanza, e saremmo stati insieme perché, lo sapevo e lei lo sapeva, lei aspettava e cercava me come io cercavo lei.
Io e lei eravamo stati fatti per stare insieme e ci saremmo stati perché io ero il suo uomo e lei la mia donna. E, prima o poi, ci saremmo incontrati.
E lei viveva là, proprio lì, a Torino, tra la stazione centrale e via Rivaldi, in un appartamento appena ristrutturato con un uomo, un cane e una figlia.
Se non fosse successo a me e qualcuno me lo avesse raccontato, probabilmente non ci avrei mai creduto che il mio amore si potesse trovare in quella città, così lontana dalla mia; in un posto così diverso e distante.
Ancora oggi, quando ricordo e ripenso a quello che avvenne dopo, mi sembra di vivere un sogno. E, invece, non era un sogno perché è una realtà che sto ancora vivendo. Lei cambiò per sempre la mia vita.
Prima, quando ancora non l’avevo incontrata e la cercavo, spesso mi chiedevo perché il mondo e la gente fosse così brutta e meschina e, ogni volta, mi rispondevo che la vita e la gente è così ma che non dovevo rinunciare a sperare perché la vita, il mondo e la gente può essere anche diversa.
Anche l’amore è fatto così e, di solito, va a finire male ma una volta ogni tanto può essere diverso e può anche andare a finire bene.

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I napoletani rubano

"Le Leghe non sono razziste, siamo noi che siamo meridionali"

Tutti noi meridionali e, in particolare, tutti i napoletani rubiamo. Rubiamo per abitudine, attitudine e tradizione.
Rubiamo tutti, sempre. Rubiamo tutto e a tutti.
Noi meridionali, specie se napoletani, ci svegliamo la mattina, scendiamo di casa e scassiamo il finestrino della macchina parcheggiata; non contenti di rubare lo stereo, scassiamo il blocco dell’accensione, mettiamo in moto direttamente coi fili e rubiamo tutta la macchina anche se, in realtà, è la nostra. Lo facciamo per istinto, non riusciamo a farne a meno. Anche i ricchi se meridionali, specie se napoletani, rubano. Anche quelli vestiti bene, eleganti e pieni di soldi. Noi meridionali, tutti noi meridionali, specie se napoletani, rubiamo.
Scassiamo i vetri delle finestre e scavalchiamo anche per andare a casa nostra. È più forte di noi, non possiamo farne a meno. Anche le donne meridionali, specie se napoletane, rubano.
Le donne meridionali, specie se napoletane, le calze non le indossano come le altre donne, quando vanno a fare la spesa le mettono in faccia.
Noi meridionali, specie se napoletani, rubiamo tutti, è vero, ma non rubiamo a te come individuo singolo ma a te come società, a livello di essere umano perché sei tu che ti fai rubare e perché vieni al meridione e a Napoli in particolare.
Per evitarlo basta che non vieni da noi, in meridione e, in particolare, a Napoli.

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Alba rotta (Lento, lentissimo, mesto)

Tra noi è finita. Lo capisco dal vuoto, dal silenzio e da questo grigio cielo triste.
Non è colpa del tempo, né dei miei vestiti logori o del tuo cappello di lana tirato giù, sino agli occhi.
C’è inquietudine in noi, sulla pelle e in questa calma apparente fatta di sguardi assopiti e distratti che girano intorno e rimangono distanti.
Non è cessata la pioggia e il cielo, più grigio del solito, è adeguato a noi, al nostro umore, al tuo sguardo che fissa lontano, all’orizzonte, quei cirri di nubi sfiancate alla mercé del vento.
E’ finita. Doveva pur finire, prima o poi. Meglio prima, meglio adesso che ancora conserviamo rispetto e stima. Avverto la mano che vorrebbe raggiungere la tua ma che rimane ferma intuendo i tuoi pensieri in riserva. Identici ai miei.
E’ finita, lo capisco e lo capisci. Sono il vuoto e il silenzio, non le parole a dircelo. È soprattutto l’alba.
Quest’alba, uguale e differente da tutte le altre, con le sue tracce fresche, le sue lunghe trecce e quel colore che disegna di profilo i nostri sguardi vuoti e la flebile angoscia. Accenni e trattieni un ultimo singhiozzo.
Mi volto a guardare i fiori di plastica sul davanzale della finestra, concentrandomi per catturare il rumore del vento e di respirare l’aria che percorrono gli occhi.
E’ finita, lo capisci e lo capisco.
Il tuo vuoto è uguale identico al mio. Sono i tuoi occhi e il mio braccio, la cenere sul pavimento e questa nostra alba, rotta.

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La rotondità chiamata gluteo

Il gluteo, da non confondere con il glutine (sostanza che si trova nei cereali, specie nel frumento, e che è usato per arricchire il potere nutritivo di alcuni alimenti) è il muscolo della natica o, più in generale, la natica stessa.
La natica (ognuna delle due rotondità carnose che costituiscono la parte inferiore, e posteriore, del tronco umano), al plurale volgarmente chiamate culo, è una delle zone erogene più amate ed apprezzate non solo dagli uomini ma anche dalle donne. Per essere ritenuto attraente un culo deve risultare sodo, rotondo ma non troppo sporgente (e, sopra tutto, senza spigoli vivi), alto e totalmente privo di anomalie visibili ad occhio nudo (pelle a buccia d’arancia, di gallina, a pois etc). Sistemato sotto le spalle, tra la vita e le cosce, si compone di due parti convesse e arrotondate separate da una fessura all’interno della quale si trova un buco elastico di modeste dimensioni chiamato ano.
Se, pertanto, improvvisamente vi chiedono “quanti ani hai?” non rispondete “35”, altrimenti giustamente tutti si metteranno a ridere. Scientificamente l'ano (dal latino anus “cerchio, orifizio”) è la parte terminale del canale digerente costituito dalla terminazione del retto e dallo sfintere interno ed esterno.
Metaforicamente può essere paragonato alla marmitta della macchina poiché, proprio come questa, serve per espellere i residui gassosi e della digestione che, nel caso del corpo umano, possono essere solidi, molli o molto molli in caso di diarrea. Per i residui gassosi, a differenza della marmitta l’ano non ha il terminale, detto anche silenziatore e, di conseguenza quando sentite un peso allo stomaco e la necessità di espellere aria dalla pancia è bene che prima vi accertiate di essere da soli e di trovarsi in luoghi insonorizzati, meglio all’aperto. Solitamente i residui umani, gassosi e solidi, sono accompagnati da odori non proprio “gradevoli” ed é anche, e sopra tutto, per questo motivo che questa parte del corpo richiede una igiene più accurata e viene lavata più spesso. Operazione che viene eseguita in apparecchi bianchi di vetrochina a forma di chitarra o cono arrotondato, di colore quasi sempre bianco chiamati bidet (da non confondere con il W.C. perché con il buco di scarico più piccolo).
Andare di corpo è sintomo di salute giacché per farla significa che avete mangiato ma se durante l’operazione avvertite bruciore o, peggio, dolore significa che qualcosa non và o che avete utilizzato troppo peperoncino da condimento. Anche scoreggiare è benefico se avete mangiato troppi fagioli o cavoli con le cotiche ma è anche di pessima abitudine, specie se vi trovate in ascensore o in luoghi piccoli e poco arieggiati. E’ utile anche ricordare che sia la cacca che le scoregge non sono segni distintivi del solo maschio giacché anche le donne hanno identiche necessità che assolvono in maniera più discreta.
L’ano, il suffisso del culo, oltre ad essere un importantissimo ed indispensabile organo umano indica anche:
- mestieri: ortolano, francescano, mondano;
- abitanti di città, paesi e regioni: napoletano, emiliano, romano, campano, toscano, molisano, valdostano, padano e siciliano;
- idrocarburi: propano, butano e metano.
Detto anche deretano (probabilmente dalla composizione delle due parole didietro e ano) e anche sedere (perché indica quella parte posteriore con la quale ci si siede) è anche utilizzato per indicare fatti, particolari caratteristiche, abitudini, usi e costumi della gente.
“Prendere per il culo”, ad esempio:
- se riferito ad una persona indica o una presa in giro, o per i fondelli (da non confondere con la presa dai fornelli, che è una pratica culinaria che richiede l’utilizzo di guanti di stoffa per evitare scottature) o una pratica sessuale praticata anche dalle coppie miste oltre che dai gay;
- se riferito ad oggetti la parte per la quale è stato afferrato o, più genericamente, quella inferiore, per il “culo”, appunto ( il culo della bottiglia, della damigiana, del sacco, etc).
- se riferito ad una strada, o a un vicolo si dice che è a “cul di sacco” se è senza uscita.
Per quanto riguarda gli aggettivi si dice:
“culetto”, “culettino” o “culino” (da non confondere con il colino, strumento per “colare” liquidi) se è grazioso, piccolino o di un bambino;
“culone” se di proprietà della donna cannone o di un suo parente prossimo.
Frequente, e di cattiva educazione, l’abitudine di esprimere il proprio “dissenso” ad una persona dicendo “vai a fare in culo!” o, il più abbreviato, “vaffanculo!”.
Dire, invece, che una persona ha “culo” in senso figurato significa che ha fortuna. Come per la pancia (chi ha pancia ha creanza) anche il culo è spesso associato ad un fatto positivo.
A differenza della pancia il culo ce lo abbiamo tutti anche se solo fisicamente; per la fortuna bisognerà attrezzarsi, giocare la schedina e sperare.
Il sedere, o deretano, o natica è solitamente contenuto in indumenti chiamati mutande perché bisognerebbe cambiarseli spesso. Se non lo fate almeno una volta al giorno siete degli sporcaccioni. Esistono diverse categorie di mutande. Mutande maschili, femminili, normali e rinforzate, classiche e moderne , aristocratiche o plebee, sexy o comiche, grosse o piccole, minuscole o piccolissime, doppie o trasparenti etc.
Le mutande classiche maschili sono del tipo normale, un poco plebee, a volte comiche, di misura intermedia e non trasparenti. Si caratterizzano per l’apertura obliqua sul davanti e dal tipo di materiale, di solito cotone a costina bianco.
Quelle classiche femminili sono del tipo normale, un poco aristocratiche per la presenza di parti in acrilico lavorato, di misura intermedia e in parte trasparente. Si caratterizzano per l’assenza totale di aperture e per il tipo di materiale, solitamente cotone liscio con bordino. Le mutande femminili sono di gran lunga migliori per qualità, disegno e tessuto e, in generale, sia nella versione grande che piccola (per non parlare di quella minuscola, sottile e trasparente) sono sempre, o quasi sempre, molto sexy. Ciò dipende anche dalla tizia che si trova dentro.
Le mutande maschili, invece, se non rientranti nella categoria classica e normale sono quasi sempre ridicole o comiche, specie se in versione ridotta o trasparente. Il massimo effetto della comicità si raggiunge con quelle leopardate o a macchia di ghepardo, specie se rinforzate avanti. Esistono poi i boxer che sono mutande come pantaloncini e che possono essere aderenti o larghe. Come per le altre mutande maschili possono ridicolizzare ogni tentativo di approccio se arricchite da disegni o scritte sul davanti o sul retro.
La culottes, invece, non è né la traduzione del volgare culo (la cosiddetta cula) e nemmeno più culi in francese ma una mutanda da donna, una specie di boxer femminile, molto utilizzata in passato ed oggi catalogata tra gli indumenti sexy di una certa raffinatezza.
Di solito è indossata da donne non giovanissime che non possono permettersi la mutanda modello filo interdentale.
La mutanda per eccellenza è “Roberta” perché modella il culo, lo alza e lo rende sodo. E’ un articolo da donna ma se riuscite ad entrarci vuol dire che siete già quel tipo di donna che farebbe impazzire qualsiasi uomo.
Le natiche, o culo, o sedere, o deretano sono e resteranno comunque una parte importantissima del corpo umano sia per la funzione fisiologica che per quella erotica.
Se sulla prima funzione innumerevoli aziende hanno fatto “rotoli” e “rotoloni” di affari (e intorno “all’evento” campano migliaia di operai, pubblicitari e quant’altro) la seconda è descritta come “innaturale” oltre che essere quella meno preferita dalle donne. Toccare il fondoschiena, palparlo è operazione piacevole, oltre che eccitante, mentre il violarlo, penetrarlo, oltre che dolore, provoca anche qualche remora, risentimento. L’espressione “Te lo ha messo nel….” Difatti, é quasi sempre utilizzata per descrivere una situazione poco piacevole per chi la subisce.

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Il pene quella stupida testa di

Il pene, chiamato anche pistolino (forse per le dimensioni ridotte), uccello (ma le ali?), pesce (probabilmente per l’odore che, solitamente, emana) o, più comunemente e semplicemente, cazzo, ha una dimensione variabile (secondo la temperatura, della compagnia e dell’uso).
Al pene, in Sicilia e a Milano chiamato al femminile rispettivamente "minchia" e “pirla”, sono attribuite misure esagerate e, spesso, leggendarie. Nei cessi, negli ascensori e sui muri delle scuole, per esempio, è disegnato come una specie di siluro a testata multipla. Disegni che inducono in errore le femmine che non lo hanno ancora mai visto nella realtà e che poi, alla prima esperienza reale, rimarranno irrimediabilmente deluse. Una leggenda popolare stabilisce che la lunghezza del pene sia inversamente proporzionale all’altezza dell’individuo, ragione per cui si ritiene, a torto o a ragione, che i più dotati, da questo punto di vista, siano i bassi in generale e i nani.
Il pene, detto anche "mazza", è stato ed è ancora oggetto di confronti e gara fra i possessori sin dalla tenera età e sino alla vecchiaia. E’ misurato col righello e col centimetro (a scuola, dai piccoli) per gareggiare a chi l’ha più lungo o più grosso (al contrario dei telefonini per i quali vale la misura opposta), con lo spessimetro a chi l’ha più duro (nei giardini pubblici, dai vecchi), nell’età intermedia interessa e ci si vanta, specialmente, di avercelo più resistente, a una certa età per come si usa e, dopo, solo per averlo ancora funzionante.
Probabilmente i primi uomini ne avevano più di uno; ciò spiegherebbe l’espressione "che cazzo vuoi?".
Espressione tramandata sino ai giorni nostri e ancora usata, nonostante oggi la scelta non sia consentita e tutti ci dobbiamo accontentare di quello che gli passa il convento.
Il pene è anche chiamato fallo (nome scientifico che ad alcuni sembra il più scemo tra tutti). Io credo, piuttosto, che questo sia il nome più indicato perché, il sesso, secondo me, più che studiato o raccontato, va fatto e praticato.
La chiesa, invece, ha proibito di usare questo nome e consiglia di sostituirlo con un altro: non-farlo. A meno che non s’intenda mettere al mondo qualcuno.
Fra i dieci peccati, difatti, c’è anche il divieto di fornicare, ovvero di uccidere le formiche, toccarsi da soli, farsi toccare o toccare qualcun altro.
In generale (ma anche in tenente, soldato semplice, caporale, sergente e caporale maggiore) tutti sanno che il pene è la zona erogena per eccellenza dell’uomo. Basta avvicinarlo, accarezzarlo, baciarlo e, nei casi più difficili, succhiarlo, per provocare ottimi risultati, anche se talvolta spropositati e, in qualche caso, addirittura disastrosi.
Dell’uso del pene si potrebbero scrivere molte pagine poiché quest’attrezzo è utilizzato in modo differente secondo dei gusti, dell’emancipazione della donna e dal tempo a disposizione. L’utilizzo più comune rimane, in ogni caso, quello classico anche se, in realtà, la manipolazione solitaria, specie in una certa età, resta quella più frequente e quella che comporta meno controindicazioni.
Calcisticamente parlando si ricorda il famoso fallo di mano (con il quale s’intende uno che si è organizzato da solo) e il meno famoso fallo laterale ma, quest’ultimo, è sicuramente molto più scomodo perciò di solito si ricorre di solito al più pratico ed efficiente fallo centrale.
E’ anche molto apprezzata, soprattutto in alcune regioni d’Italia, la cosiddetta "spagnoletta" e, la più diffusa, per territorio, usi e costumi, "fellazio".
Pratica molto gradita dall’uomo ma non altrettanto dalla donna.
Solo a Bari il pene è acquistato al forno ed è consumato sulle tavole, ma si tratta di una particolarità casereccia cui è bene non fare nessuna allusione.
Sotto al pene ci sono i testicoli (comunemente chiamati coglioni) che sono due palline di solito tondeggianti e, molto più spesso, a forma di pera sfatta.
I testicoli possono essere paragonati alle tette delle donne solo che, mentre per queste ultime, per gonfiarle si usa il silicone per i primi il “gonfi aggio” o il “giramento” è automatico e naturale. In giro ce ne sono tantissimi ma gli uomini ne hanno solo due e, di solito, si scassano pure molto e troppo facilmente e frequentemente.
I testicoli producono gli spermatozoi, che sono uguali ai girini ma arrecano molto più danno. Specie se la femmina è minorenne o sposata con un altro.
Gli spermatozoi possono mettere incinta una donna che le provoca nausea. Anche all’uomo la provoca, però subito dopo, appena la tizia glielo comunica.
Potremmo dire tante altre cose ma in considerazione che questo è un discorso “del cazzo” credo che, per il momento, sia meglio farlo terminare così.






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A me -mi- piace Perluskony

A me, Sivvio Perluskony, piace e non me ne vergogno.
Lo affermo con orgoglio, me ne vanto e sono fiero e soddisfatto per averlo votato.
Vi sono almeno venticinque motivi per i quali il grande e inimitabile Sivvio mi piace:
1. È un uomo che si è fatto tutto da solo, senza l’aiuto di nessuno; tanto meno della magistratura (e nemmeno di tutti gli altri).
2. Sa il fatto suo e non chiede mai pareri a nessuno. Figuriamoci ai sindacati!
3. Non si è mai contraddetto, neppure quando ha rifatto l’alleanza con Fossi (o quando è costretto a “rivedere” le dichiarazioni fatte “tanto per”).
4. È intelligentissimo perché è riuscito a creare un partito politico e a vincere le elezioni partendo da una squadra di calcio e da un contratto unilaterale con gli italiani. E ha rivinto e ritornato al potere per ben tre volte nonostante fosse quello che è: il padrone quasi di tutto (televisioni, banche, assicurazioni, editoria, etc);
5. Ha affrontato la legge sulle rogatorie come se si trattasse di una rotatoria, il falso in bilancio come un reato veniale e, ogni altra legge, secondo i propri punti di vista. E di convenienza.
6. E’ circondato da persone perbene, capaci e sincere come Prebiti, Brondi e Mandolino. Ha fatto Ministro tutti ma proprio tutti, rimanendo fedele persino a Ciullo Tvemonti.
7. Non ha limiti di sorta ed è convinto che si può fare di tutto se si ha una maggioranza che glielo consenta (e, in ogni caso, ha dimostrato che è vero che a questo mondo si può comprare tutto e tutti).
8. Ha sempre la bontà e l’onestà di pensare solo al bene degli italiani badando al suo esclusivo interesse e, tutto sommato, ci sta convincendo che ha anche ragione.
9. È riuscito a mettere d’accordo persino Fino e Bossolo su quasi tutto. Persino su come espellere tutti gli immigrati cattivi ed evitare che ne arrivino altri e, in caso di bisogno, far convivere tutti e tutto.
10. È riuscito ad addomesticare e a tirare dalla sua parte un “grosso” opinionista come Ciuliano Ferraro e a cacciare dalla Rai bolschevichi di parte come Enzo Piaci.
11. É riuscito a dimostrare che il conflitto d’interessi, più che un problema per la democrazia, è un ottimo motivo per restare al potere. Tanto agli italiani interessano solo altre cose e vanno dietro alle promesse.
12 Ha amministrato l’Italia come una sua azienda dimostrando che i suoi interessi possono essere assimilati a quelli della Nazione.
13. Ha fatto tantissime leggi nel suo esclusivo interesse salvaguardando i diritti di tutti gli indagati.
14 Ha creato migliaia di posti di lavoro rendendoli tutti precari.
15 Ha “migliorato” la scuola distruggendo quella pubblica in favore di quella privata. (ed è del tutto inutile che gli studenti e gli insegnanti protestino tanto non cambia opinione).
16 Ha provato a riformare la superata costituzione Itagliana in favore di tante Italie diverse e differenti ove ognuna, in totale autonomia, leciferi (da Lucifero,passione presente del verbo luciferare) quel "cazzo che gli pare".
17 Ha eliminato molti reati degli imprenditori “distratti” come il falso in bilancio.
18 Dice sempre quello che pensa senza dare troppa importanza al ruolo che riveste (tanto poi può sempre smentire).
19 Ha reso noto che molti dei giudici sono dei bolscevichi con la toga e che, da anni, invece di fare il proprio dovere, cercano esclusivamente di sostituirsi al potere politico per ribaltare il voto popolare.
20 Ha scelto Ministri autorevoli e competenti tanto che siamo diventati il paese che più di tutti rispetta le tradizioni sui conti (che non tornano).
21 Ha ridotto le tasse (dei ricchi) e aumentato i prezzi con l’euro. In compenso ha mantenuto immutato lo stipendio ai dipendenti (che nel frattempo sono diventati nullafacenti oltre che nella tenenti e nulla caporali).
22 Si è fatto il lifting (tanto che dimostra un’età tra i quaranta e i sessanta, però ha nuovamente i capelli ed è sempre abbronzato) e a noi ha lasciato lo zapping.
23 Ha sostenuto Triple Bush nell’occupazione all’Iraq smentendo la costituzione e persino quei comunisti di Rondella e Mastello (Falce e Mastella? No,grazie!).
24 Ha dimostrato, contro ogni tradizione, che ogni gioco è bello quando dura per sempre, o almeno per parecchio a colpi di fiducia (in barba ai franchi tiratori).
25 E’ riuscito a farsi fare da tutti gli italiani quello che Clinton è riuscito a farsi fare solo da Monica Lewinsky.

Ps: a me piace tantissimo anche il professore Brodo, Rondella, Talema e molti altri del centro sinistra. A me, in verità, piacciono tantissimissimo tutti i politici, da Perluskony e Didietro. Specie i politici e la politica di oggi.



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Hagher, Mogol e Lucio Battisti

Molti anni fa, quand'ero più giovane e meno bello di adesso per qualche tempo lavorai part-time (si scrive così?) presso una pompa di benzina.
Avevo bisogno di tirare su qualche lira e, quel lavoro, fu l'unica occupazione che riuscii a trovare per recuperare i soldi che mi servivano per andare in vacanza a Rimini.
Poiché ero anche l'unico tra i miei amici che ci andava da solo, cercavo di rimorchiare tutte le donne che mi capitavano a tiro e, lavorando otto ore in quel posto, tutte quelle che venivano a fare rifornimento.
Un giorno venne a fare rifornimento una donna stupenda a bordo di una porche decapottabile.
Era meravigliosa, la donna più bella e più bona che avessi visto durante tutta la mia vita. Decisi che ci avrei provato nonostante quello era il tipo di donna che non dà confidenza a un ragazzo che mette la benzina e lava i vetri in una stazione di rifornimento. Infatti, da quando era arrivata sino a quando non provai a farmi notare, non mi aveva degnato di uno sguardo.
Non avendo molto tempo a disposizione, poichè s'era fermata per mettere solo la benzina, utilizzai la scusa più banale e scontata che mi procurò la sua radio accesa: una canzone di Lucio Battisti.
"Battisti!...L'adoro!... Io e lei, signora, abbiamo molte cose in comune..."
Lei, senza nemmeno voltarsi, rispose " Ah? Anche a lei scocciano i ragazzini in calore?"
"No, dicevo Lucio Battisti" - risposi.
"Ah, Battisti, lo conosce molto bene?
- Oh si, praticamente più di me stesso - risposi e affondai la mia stoccata preferita, quella che mi aveva regalto sempre un successo strepitoso ogni volta che l'avevo tirata fuori e che mi aveva anche fatto guadagnare il titolo di "lampadario*" dagli amici.
- Questo pezzo, per esempio, "Non è Francesca" era il brano preferito da Hagler...
- Hagher? Il noto psicoanalista? Tu conosci Hagher?
Aveva abboccato, lo capii immediatamente e affondai il colpo decisivo.
- Molti ritengono che Hagher sia stato uno che rendeva nevrotici i topolini ma noi sappiamo bene che lui è stato molto di più...
Due ore dopo ero al suo fianco, sulla sua porche coi sedili in pelle e stavamo tirando dritto verso Palinuro.
- Che razza di balordo che sei... - Mi aveva detto sorridendo dopo che la conversazione era arrivata a Michail Alexandrovič Bakunin passando il materialismo storico di Friedrich Engels, Heghel e Andrej Liudvig Fojerbach - vuoi venire in vacanza con me? –
- Mi aspetti due minuti? - Le avevo risposto - Chiamo Mogol e l'avviso che stasera sono impegnato e non vado a cena da lui...


* Lampadario perché "avevo" le lampadine, ovvero trovate luminose, geniali.

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A Calliani non far sapere quant’è buono il ca(l)ci

Mi piace, più che altro mi diverte, quel giuoco, o gioco (da non confondere col giogo, attrezzo agricolo di legno che si pone sul collo dei buoi quando vengono attaccati al carro oppure con la schiavitù, l’oppressione, la tirannia o con la sommità del monte che si distende e s’incurva similmente all’attrezzo agricolo) chiamato genericamente “calcio”, nel quale ventidue uomini in mutande, calzettoni e maglietta in tinta corrono dietro una sfera di cuoio, chiamata anche semplicemente palla o pallone, cercando di mandarla “dentro” a dei pali chiusi alle spalle da una rete, chiamata porta.
Il calcio, o foot-ball, è un gioco sportivo, chiamato/a anche semplicemente partita, disputato da due squadre di undici giocatori ciascuna per novanta minuti, suddivisa in un primo e un secondo tempo, ognuno di quarantacinque minuti, oltre al recupero e ai tempi supplementari (ove ve ne sia la necessità) durante i quali dei giocatori, chiamati calciatori, si contendono un pallone di cuoio colpendolo soprattutto coi piedi o con le altre parti del corpo, fatta eccezione che con le mani e le braccia, per infilarlo nella porta avversaria. In realtà le persone “impegnate” in una partita di calcio sono almeno venticinque (senza contare le riserve, gli allenatori e i tifosi) giacché in campo, o nelle immediate vicinanze, ci sono l’arbitro e due segnalinee,il quarto uomo, numerosi giornalisti e cameraman, almeno un telecronista e altri vari figuri presenti a vario titolo.
Il calcio, singolare maschile (al plurale calci), indica un colpo dato con un piede ed è coniugato coi verbi dare, tirare, assestare, menare e prendere, ovvero colpire con uno, o più, piedi, dare calci a uno o a una cosa.
Il calcio, come molti degli altri termini della lingua italiana, indica anche altre cose come, a esempio, la parte posteriore del fucile o l’impugnatura di una pistola e il metallo alcalino bianco argenteo, tenero e diffuso in natura come sale in molte rocce e nello scheletro degli animali.
Dalla parola calciare che indica l’atto di colpire la palla (da distinguere dal calcare che è una roccia sedimentaria, ricca di carbonato di calcio, usata per fabbricare la calce e come materiale per costruzioni edili, da una camminata su un terreno, o su una qualsiasi altra superficie e anche, metaforicamente, dal ripercorrere strade, temi o contenuti affrontati in precedenza da altri) sono derivati i sostantivi calciatore, giocatore di calcio di sesso maschile e calciatrice (che non è la fidanzata, la concubina o la moglie del calciatore ma una donna che, al pari dell’uomo, gioca stranamente con il pallone).
Sarà buona regola anche non confondere questo termine calcistico con scalciare, termine più generico che indica il colpire coi piedi, prendere a calci una cosa qualsiasi ma mai un pallone, a meno che con questo termine non si voglia aggettivare negativamente l’atto di un calciatore di dubbie qualità tecniche o scarso, detto pure schiappa.
Calcificare invece non indica in nessun caso giocare a calcio ma in medicina significa, con riferimento al processo fisiologico o patologico, ricoprire di sali di calcio un tessuto dell’organismo (a eccezione di quello osseo dove dovrà usarsi il termine calcificarsi).
Si ricorda anche che calce non è la compagna, l’amica o la femmina del calcio ma o il prodotto che si ottiene dalla cottura, in forni speciali, del calcare (calce viva) unita con l’acqua (calce spenta) e che serve essenzialmente come materiale per costruzioni edilizie oppure una locuzione, per lo più burocratica, per indicare il fondo della pagina, o di uno scritto, come la firma che è messa sempre in fondo alla domanda o alla lettera.
Se con il diminutivo “calcino” si può indicare un piccolo calcio la calcina non è un calcio minuto sferrato da un calciatore donna, detta calciatrice, ma un impasto di calce spenta e sabbia impiegata per murare.
Per una ragione differente il calcione e il calciaccio (da non confondere con calcinaccio, pezzo di intonaco che si stacca dal muro) non sono aggettivi del gioco del calcio, ma dell’atto del calcio in generale ma possono anche essere utilizzate per descrivere calci sferrati durante una partita di gioco ma soltanto quando i calciatori sbagliano facendo una bruttissima figura o smettono di giocare e si picchiano veramente utilizzando i piedi.
Il calcio è, dunque, un giuoco ma anche un termine per indicare un atto nel quale viene usato un piede o cose e materia presente in natura e negli animali.
Nel giuoco del calcio vi sono vari tipi di calcio, azioni e operazioni effettuato usando uno o entrambi i piedi.
Il “calcio di inizio”, per esempio, è l’operazione con la quale si apre ciascuno dei due tempi della partita di calcio e consiste nel primo “passaggio” della palla ad un giocatore della stessa squadra.
Il calcio di rinvio quello effettuato per riprendere il gioco dopo un’interruzione, ad esempio dopo un fallo (da non confondere con l’attributo maschile chiamato più comunemente cazzo e col quale può anche essere aggettivato un fallo effettuato da un giocatore senza uno scopo preciso, per esempio quando l’azione dell’avversario avviene al centro del campo o non è pericolosa, un fallo del cazzo, appunto) e può essere effettuato da ogni parte del campo (ad esempio il calcio di rinvio da fondo campo è quello effettuato dal portiere o da un altro giocatore quando la palla supera la linea di fondo del campo da giuoco).
Il “calcio d’angolo”, detto anche corner, non è un calcio sferrato all’incrocio tra due muri ma quello calciato dall’angolo del campo di calcio dalla squadra che attacca quando un giocatore della squadra che si difende calcia il pallone oltre la linea di delimitazione del campo.
Il “calcio di punizione” non è un calcio sferrato nel sedere di un calciatore che ha commesso una scorrettezza o è stato maleducato ma il calcio con il quale viene ripresa un’azione interrotta dall’arbitro dopo un fallo.
Il “calcio di rigore” non è un calcio sferrato per il freddo intenso ma la massima punizione contro una squadra per un fallo commesso da uno dei suoi giocatori su un avversario lanciato a rete nella zona antistante la porta (chiamata appunto area di rigore) o quando, sempre all’interno della stessa area, un giocatore, diverso dal portiere, tocca la palla con le mani e, in quest’ultimo caso, se il pallone non era indirizzato nella porta e avrebbe certamente fatto goal, è il classico fallo “del cazzo” e, più d’ogni altro, il termine risulta attinente giacché effettuato con le mani.
Tale punizione comporta che venga eseguito un calcio battuto direttamente verso la porta, dalla distanza di undici metri, al quale solo il portiere può opporsi.
Il calcio di rigore è un tiro piazzato, di solito sulla destra o sulla sinistra del portiere e che se non entra fa incazzare i compagni, l’allenatore e i tifosi della squadra di chi l’ha tirato e se entra quelli dell’altra.
Per quanto riguarda i falli questi possono essere di diverso genere e chiamati differentemente a seconda della posizione e della pericolosità.
Il fallo laterale non indica se il calciatore porta il membro a destra o a sinistra del corpo ma quando la palla, finita fuori da una delle due linee di delimitazione laterali rimessa in gioco dalla parte dalla quale è uscita.
Il fallo tattico non quando un calciatore si tocca o si gratta in presenza dell’arbitro o degli altri calciatori ma quando, per guadagnare tempo e consentire ai compagni di ritornare in difesa, commette una scorrettezza.
Fra tutti i falli quello più pericoloso è certamente quello centrale poiché da quella posizione il calciatore ha più possibilità di centrare la porta e “infilare” il pallone nella porta avversaria facendo goal.
Particolarmente pericolosi e puniti con maggiore severità sono i falli da dietro per i quali può scattare il cartellino rosso anche al primo fallo mentre per quelli da davanti e laterali, se privi di particolare accanimento o di cattiveria, sono considerati contrasti e puniti la prima volta solo con l’ammonizione.
La regola è che se un giocatore commette fallo la prima volta viene ammonito, mostrandogli il cartellino giallo, la seconda espulso con il rosso.
Il giudice di ogni partita e quello che fa rispettare il regolamento assegnando i falli e le ammonizioni è il ventitreesimo uomo presente in campo chiamato arbitro.
In passato era sempre vestito di nero ma oggi indossa indumenti di vario colori, diversi da quelli dei calciatori, ed è coadiuvato, oltre che di soliti due guardalinee, da terzo uomo che sta fuori dal campo e gli suggerisce quanti minuti vanno recuperati a termine partita.
E’ il meno simpatico di tutti e quello sul quale possono inveire i giocatori, l’allenatore, il presidente e tutti i tifosi quando la squadra gioca male e perde.
Messo in campo per fischiare l’inizio (con uno) e la fine (con tre) della partita, prende appunti sulle scorrettezze dei giocatori e li ammonisce, sulle reti fatte può espellere chiunque dal campo, talvolta anche dalla panchina e decretare la sospensione della partita o il suo rinvio in caso di cattivo tempo o pericolo.
Particolarmente odiato dalle tifoserie di tutte le squadre di calcio spesso è chiamato “cornuto” e con tutte le altre più brutte parole esistenti in tutte le lingue della terra ma sta in campo per essere giusto ed imparziale e far applicare le regole del calcio. Qualche volta ci riesce veramente e spesso commette gli errori più clamorosi, quasi sempre a favore delle squadre più forti ed è anche per questo motivo che sono in molti i tifosi che gli gridano “venduto” e gli tirano monetine e oggetti di ogni genere.
Per giocare al foot-ball, che è il gioco del calcio in inglese (da distinguere dal footing che è un allenamento sportivo, anche praticato dai giocatori del foot-ball, e che consiste nel correre o marciare senza avere nessuna, o troppa, fretta), occorrono oltre ai giocatori e all’arbitro, il pallone che non è solo un aggettivo per indicare una dimensione più grande della palla (ed evitiamo, per questioni di spazio, di tempo e di opportunità, di descrivere la palla) ma una termine che indica proprio la sfera utilizzata dall’uomo per giocare. Il pallone, può essere di diverse forme e dimensioni a seconda se utilizzato per il calcio o per altri sport e, di conseguenza, ci sono i palloni da calcio (che è una grossa palla a spicchi di cuoio con all’interno una camera d’aria che si può gonfiare) quelli per la palla a volo e per il basket (che sono più leggeri o di peso inferiore) quelli per il basebol, gioco americano per eccellenza (che hanno una forma allungata) e altri con una propria caratteristica e peso a seconda dell’utilizzo.
Per il tennis e il ping pong sono usate palle molto più piccole, chiamate palline e per le donne che hanno carattere si dice che “hanno le palle”.
Il sostenitore di una squadra di calcio è chiamato “tifoso” se segue le partite di calcio spesso e “ultrà” se le segue tutte e va anche allo stadio ed in trasferta.
Il “tifoso” dunque, pur derivando dalla parola “tifo” (singolare maschile indicante uno stato morboso di malattia caratterizzata da sintomi comuni) non é uno che ha contratto il tifo ma un’altra malattia, talvolta più pericolosa, e che si riconosce da un esagerato ed esasperato attaccamento ad una squadra o ad un campione sportivo e che lo sostiene con troppa passione, spesso anche con stupidità e violenza. Il tifoso infatti qualche arriva allo stadio armato sino i denti e se ne esce con le ossa rotte.
Il tifo e i tifosi comunque fanno girare, oltre alle scatole (quando li ascolti o li vedi comportarsi da deficienti, peggio se scadono nella loro stupida e particolare violenza) l’economia. Li riconosci immediatamente perché sono gli unici che la domenica, invece di riposarsi o andare al mare, lasciano moglie e fidanzate a casa e, bardati da sciarpe, bandiere e striscioni coi colori della propria squadra, fanno centinaia di chilometri in autobus e file interminabili per recarsi allo stadio spendendo milioni in calendari, quotidiani sportivi e mascotte. Sono sempre loro che discutono per ore su un fallo, un rigore, sull’opportunità o meno di acquistare un giocatore e di tutte quelle altre migliaia di stronzate che diventano interminabili e incredibili trasmissioni televisive durante le quali tutti urlano e ognuno esprime un parere a volte tecnico, più spesso di facciata, su tutto quello che riguarda una squadra di calcio o un avvenimento sportivo. Sono questi la fortuna di certi giornalisti e conduttori di programmi sportivi (o sarebbe meglio definirli “di tifo”?).
Le partite di calcio si disputano nello stadio.
Lo stadio é un’arena per gare sportive in erba sintetica circondata da gradinate dove trovano posto gli spettatori (che non sono quelli che aspettano i tori ma, in senso figurato, quelli che aspettano una competizione) o una fase, un periodo o ciascuno dei segmenti di un missile che si staccano da questo ancorché il propellente è terminato, o esaurito.
Gli stadi dei campi di calcio rassomigliano al Colosseo con la differenza che mentre in quest’ultimo erano gli spettatori che pagavano per osservare i gladiatori mentre si scannavano nei primi sono i calciatori che sono strapagati per tirare due calci ad un pallone e guardare i tifosi che hanno pagato e si scannano per un fallo non fischiato.
Ma ritorniamo alla competizione ed ai protagonisti della competizione sportiva: i calciatori (che come gli spettatori non sono quelli che danno calci ai tori e non hanno niente a che fare con i toreri).
I calciatori sono suddivisi in ruoli a seconda della posizione e dai compiti che dovrebbero avere sul campo e sono chiamati portieri, difensori, centrocampisti e attaccanti.
I portieri sono quelli che difendono la porta, ovvero che stanno sul campo per cercare d’impedire che il pallone s’infili nella rete. Sono dei calciatori privilegiati perché si stancano di meno perché stanno fermi per tutta la partita e, a differenza di tutti gli altri possono e devono usare le mani.
Hanno il numero uno ma, solitamente, sono quelli più scarsi perché non sanno giocare coi piedi, nelle squadrette rionali o in quelle delle classiche sfide tra scapoli e ammogliati sono quelli che non sanno “scartare” o sono i proprietari del pallone.
I difensori si distinguono in terzini, liberi e mediani e sono quelli che più che giocare a pallone sanno marcare, nel senso che riempiono di calci e spintoni gli attaccanti della squadra avversaria. Solitamente sono di grande stazza e si distinguono in mancini e non se giocano a sinistra o dalla parte opposta del campo.
Sono quelli che in genere fanno i falli, strappano le magliette agli attaccanti della squadra avversaria e nei contrasti si caratterizzano dagli altri per il gioco “maschio” o da “trappari”.
I centrocampisti sono quelli che solitamente stazionano a centrocampo e lavorano più di tutti gli altri giacché hanno il duplice incarico di bloccare le iniziative degli avversari e cercare di costruire le proprie. In generale sono quelli più bravi perché hanno piedi buoni e forza fisica ma sempre incazzati perché devono preparare il gioco e, una volta che hanno faticato come scemi, dare la palla agli attaccanti che segnando si prendono tutti i meriti.
Gli attaccanti sono quelli che riescono a racimolare tutti gli oneri e gli onori in caso di vittoria e ricevono le maggiori scusanti se si sperde, a meno che la squadra gli fornisca migliaia di palloni e loro non ne riescono a infilarne dentro nemmeno uno.
Il gioco del calcio oggi più che un gioco è un vero e proprio affare; intorno girano interessi e miliardi ed è fonte di discussioni, litigi, programmi televisivi e interessi che vanno ben oltre che il semplice spettacolo.
I calciatori sono pagati meglio e di più di qualsiasi altro lavoratore e considerati dei veri e propri divi. Inoltre sono gli unici che riescono a trombare con quelle bellissime donne che ai comuni mortali è concesso solo guardare sui calendari dei gommisti e dei meccanici.
Sapere dare calci, dunque, può ritornare molto utile.
Dare un calcio al mondo, alla ricchezza è meno intelligente che darlo alla sfortuna; darlo ad un pallone rende molto di più, specie se lo si fa per mestiere.
Per concludere se avete giudicato che questo testo è stato scritto coi piedi non mi rattristerò eccessivamente. Parlando di calcio potevo trascurare i piedi e, come al solito, ho fatto solo un poco di confusione. Anche quando gioco a calcio la faccio, non sono mai stato molto bravo; solitamente gioco con la testa proprio come in genere scrivo coi piedi. Devo fare più allenamento ed abituarmi ad invertire le due cose imparando a giocare si con la testa ma anche ad utilizzare meglio i piedi durante una partita di calcio e a parlare meno di piedi e ad utilizzare più la testa quando scrivo del gioco del calcio.
Devo consultarmi più spesso con il mio allenatore ed accettare facendo meno resistenza le variazioni del mio correttore di bozze.
Usare la testa è uguale ad usare i piedi, qualche volta è conveniente muoversi secondo gli schemi suggeriti dall’allenatore e dalle circostanze.

*

50 mosse 88 passi 99 Posse

*versione in prosa della poesia-non poesia “99posse 88passi 50mosse”

Sono quasi pronto.
Devo solo fare la doccia, lavarmi i denti, pettinarmi, vestirmi, mettere qualche goccia di profumo, prendere le chiavi della Porche Carrera di papà e sarò perfetto, pronto per davvero.
Non è tardi, sono appena le diciannove e dieci e ho tutto il tempo che mi serve ma non l’ho ancora chiamata per chiederle di uscire e, sopra tutto, non ho ancora deciso cosa proporle: una cena, una pizza o un film in prima visione? Per il ristorante andrebbe bene "Mario" che serve pesce fresco, per la pizza "Ciro" che ha il forno a legna e, per il film, la multisala "Sigma" per farle scegliere tra un film d’azione, uno dell’orrore o uno romantico.
Se a decidere fossi io, invece, sceglierei una passeggiata sulla spiaggia, mano nella mano sotto le stelle con il blu scuro del cielo notturno trapuntato di stelle e il rumore delle onde sulla battigia. Le camminerei accanto senza parlare, carezzandole la mano con dolcezza. Ogni tanto mi fermerei per guardarla negli occhi e lascerei al mare, alla luna e alle stelle il compito di dirle quanto mi piace e la desidero. Mi piacerebbe fermarmi poi sulla spiaggia, accendere un bel falò, tenerle le mani, guardarla negli occhi e fare l’amore sino all’alba ma, probabilmente, sono uno dei pochissimi romantici sopravvissuti alla generazione degli anni cinquanta e lei, quasi sicuramente, preferirà un pasto caldo e costoso a base di pesce fritto con sesso finale sul ribaltabile dell’auto senza complicazioni sentimentali.
Come le altre anche lei verosimilmente é una romantica concreta e preferirà “i fatti” alle smancerie e rimarrebbe delusa se non ci provassi subito.
Neanche questa ipotesi mi spiace e, tutto sommato, è quella che preferisco.
Non la conosco a sufficienza per sapere cosa accadrà. Sono tanto cambiate le abitudini, il ruolo e le aspettative delle donne che uscire con una nuova è sempre diverso, salvo la conclusione. Per me va bene tutto, tanto è il finale che cerco. Fare sesso e poi chi si è visto si è visto.
Non sono un tipo che s’innamora. Amo le donne, le adoro, con loro mi piace fare sesso e farci anche l’amore ma solo e soltanto per qualche ora.
Non mi stupirei se lei fosse il tipo di donna che va bene per me; una che ha gli stessi interessi e le stesse aspirazioni che ho io, una che non crea troppi problemi e te la dà senza fare troppe manfrine e, sopra tutto, senza aspettare le calende greche.
Le donne, d’altronde, non sono più quelle di una volta; la maggior parte sono diventate concrete e non ci fanno più dannare per fare sesso. Sono senz’altro più mature o si sono solo stancate di rinunciare e di aspettare il principe azzurro e io sono un decisionista che preferisce prendere l’iniziativa e seguire il copione classico. Appartengo a quella categoria, infatti, singolare e rara, che non ha mai creduto al femminismo. Roba taroccata come la frutta, la carne e gli altri generi di consumo in commercio da qualche tempo. D’altronde sarebbe meglio se andasse proprio così invece del solito. Generalmente non ci provo mai la prima sera e tento di conoscerle meglio prima d’andarci a letto così va a finire che passo una serata di merda, aspettando che lei mi faccia capire e, alla fine, quando è tardi e bisogna tornare a casa, rimango deluso e tormentato dal pensiero che avrei dovuto provarci sapendo che, probabilmente, non mi sarà concessa una seconda occasione. Sarò retrogrado e maschilista ma preferisco la donna assennata a quella leggera e penso che “aspettare e desiderare” sia un piacere al quale sia stupido rinunciare.
Provo a telefonarle, il telefono squilla, sono emozionato e tremo come un ragazzino alla sua prima cotta. Suona una seconda volta, una terza, una quarta e poi s’attacca la segreteria e m’invita a lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.
Chiudo, chiamerò dopo la doccia.

Che bell’invenzione il cronotermostato, l’acqua con la temperatura giusta. E’ un piacere irrinunciabile. Mi lavo bene dappertutto, sul petto, sotto le ascelle, là, la spalla, le cosce, tra le dita dei piedi e, per ultimo, i capelli.
Esco, accappatoio pulito e soffice che è una delizia, qualche minuto disteso con un altro asciutto dentro il letto e la richiamo.
Identica sorte, gli stessi squilli, la stessa segreteria.
Richiamo ancora e lei insiste, non risponde neanche quest’altra volta.

Sul divano nel soggiorno accendo una Brera, sono confuso e non riesco a fermare i pensieri.
Provo a ricomporli, dove sarà?
Guardo l’orologio sono le venti, dovrebbe essere a casa.
Chiamo, segreteria telefonica, cazzo! Possibile non ci sia nessuno?
Passano i minuti e sono contratto, decido di non pensarci e penso a tutt’altro.
Sono perfetto e deciso, non mi serve altro, stasera faccio centro e mi diverto come un matto.
Mi vesto. Ho scelto la camicia azzurra che mi risalta gli occhi, la giacca scura ché snellisce e un jeans aderente che evidenzia il culo e le cosce. Scarpe nere, elegantissime, e boxer, rigorosamente bianco.
Per il profumo ho scelto il solito, quello delle occasioni importanti, Antheus di Chanel, bello, forte e maschio, proprio adatto alla serata e alle intenzioni.
Ecco, sono pronto e bello come il sole e lo specchio me lo conferma. Un ultimo momento sulla bilancia elettronica.
Cazzo 80 kg.! Ho messo un chilo e dovrò rimettermi a dieta. Mangerò meno la sera ché la palestra è faticosa e impegnativa, oltre che costare troppo.

Il rumore dell’auto è a posto e anche lo stereo ha la cassetta giusta. Orchestra Baobab per dare ritmo, speriamo le piaccia altrimenti dovrò rimediare con Battisti.
E’ una palla ma so che le piace, me lo sono procurato prendendolo in prestito dal padre che lo ha sempre amato.
Percorro il viale e mi sento a posto, ho benzina e soldi a sufficienza e anche per l’orario non ho problemi: ho superato un altro esame e il ventotto ha convinto i vecchi a regalarmi questa serata che sento giusta.
Cazzo non l’ho ancora chiamata ma non c’è problema mi fermo all’angolo e, alla cabina, rimedio in fretta.
Faccio il numero velocemente, lo sbaglio, lo rifaccio, questa volta giusto, ma lei non risponde ancora e s’attacca la segreteria. M’invita a lasciare un messaggio, penso a un bel “vaffanculo” ma non lo lascio, chiudo accigliato e ritorno in auto.
Mi vengono in mente strani pensieri ma non devo temere, sono preparato e attrezzato, sono sicuro che è tutto a posto e anche che lei è quella giusta.
Prima o poi risponderà, sono sicuro, per intanto accendo lo stereo e fumo un’altra Brera.
Lei è una di quelle che nella vita, se sei fortunato, incontri almeno una volta ché talmente é bella che potrebbe fare calendari per camionisti.
Alta, almeno un metro e settanta però con i tacchi, magra e, di reggiseno, porta almeno una terza. Culo sodo e alto su due cosce lunghe e diritte. Il tipo mio, quella fatta apposta.
L’ho conosciuta l’altra sera a una festa, appena l’ho vista ho avuto un mezzo infarto. Le ho parlato per tutta la sera e, quando le ho chiesto di rivederci, ha sussurrato un bel si che mi ha mandato in estasi.
Il numero di casa l’ho avuto da Michele, mi è costato cento euro ma ne valeva la pena.
Stasera ho dato buca agli amici del Jakie, il bar all’angolo, tanto li ritrovo quando voglio. Stanno sempre là a parlare di calcio e di donne e una come questa solo se la sognano. Quando gliela presenterò moriranno dall’invidia, già li vedo che le sbavano addosso.

La chiamo da una cabina per risparmiare.
Suona una, due volte, tre, quattro poi s’attacca la segreteria, la solita musica e la solita voce m’invita a lasciare il solito messaggio. Chiudo.
Vado in giro senza una meta, ascolto la radio e fumo come un pazzo.
Ogni tanto mi fermo, telefono, non risponde e m’incazzo.
Mi fermo e chiamo a più non posso.
Non mi risponde e comincio ad andare da matto.
Sono fottuto e sfatto, continuo a fumare e a bestemmiare come un coatto.

Chiamo di continuo senza ritegno a profusione ma è sempre la solita solfa della segreteria a ripetizione.

E’ tardi e sono distrutto.
L’ho chamata tutta la sera e non mi ha nemmeno risposto. Ho fumato due pacchetti di sigarette e ho un gran mal di testa e tutte e due le palle rotte.
Cazzo che sfiga, diamine che jella, adesso piove anche a dirotto e non ho nemmeno l’ombrello.
Ascolto da solo lo stereo e sono distratto sotto la sua finestra buia ho passato la notte.
Continuo a chiamarla col cellulare ma è tutto inutile, sono sicuro, mi è andata buca e sono depresso: ho perso una serata, una diversa e speciale e ho telefonato 998.850 volte.

All’angolo della strada vedo il manifesto del concerto dei 99 Posse che mi son perso.
Sono 88 i passi che non ho fatto per raggiungere il Jakie e gli amici che a sapere di quest’avventura rideranno da matti e sono almeno 50 i punti in cui avevo immaginato di toccarla per indurla a fare sesso.
Sono uno stronzo e, tutto sfatto, ho perso un’occasione unica e consumato un pieno per una botta che non ho fatto.
Metto in moto e ritorno a casa senza aver fatto un cazzo, alle quattro.

Ringraziamenti sfusi (come scriverebbe il grande Peppe Soprani):
Ringrazio me stesso, nella versione Billy The Kidd, per aver scritto la poesia “ 99 Posse 88 Passi 50 Mosse” senza la quale non avrei mai avuto l’idea di rifare questa versione in prosa.
Ringrazio quelli che, dopo averla pubblicata su Scrittura Fresca, le assegnarono il cool giacché, se non l’avessero fatto, probabilmente non l’avrei mai apprezzata e, di conseguenza, non avrei mai avuto l’idea di scrivere una versione in prosa.
Ringrazio il simpaticissimo Dario Carta che, all’epoca, la commentò con le seguenti parole “E’ un peccato che una bella idea cosi' non sia sviluppata in un racconto piu' lungo e coinvolgente. ...finisce trooooppo presto ” senza il quale non avrei mai avuto l’idea di scrivere la presente versione in prosa.
Ringrazio la mia compagna per aver avuto pazienza ed avermi aspettato mentre scrivevo il testo giacchè, se non l’avesse avuta, avrei trascorso una splendida serata sotto le stelle ma non avrei scritto quest’opera epica, scientifica e claustofrobica.
Ringrazio il signor Daniele Pighin per aver costruito, realizzato e posto a disposizione dell’umanità intera questo sito senza il quale “Billy The Kidd” non avrebbe avuto la possibilità di postare la poesia, gli altri non l’avrebbero coollato, Dario non l’avrebbe commentato e io non avrei avuto la splendida idea di riscriverla in prosa.
Ringrazio gli editor tutti e, in particolare, Francesco Bais per non aver killato la poesia giacché, se l’avesse fatto, non avrei avuto l’idea di riscriverla in prosa.
Ringrazio, infine, tutti quelli che hanno avuto, hanno e avranno il tempo e la curiosità di aprire il mio testo nonché la pazienza di leggerlo. Magari anche la sfrontatezza di lasciare un parere.


*

Partita di calcio su un letto a due piazze

Siete collegati, gentili signori e signore, con la camera da letto di una coppia che ha raggiunto e superato i fatidici sette anni di matrimonio dove, tra non molto, sarà disputato l’attesissimo incontro di apertura di questo campionato di calcio tra la blasonata squadra del babbo e la squadra rivelazione di questo campionato, la mamma.
Data l’importanza dell’evento la partita è trasmessa in diretta su tutte e tre le reti nazionali, dalle altre emittenti private e, in mondovisione, in tutti i paesi europei e in buona parte degli altri stati del mondo.
Dai microfoni di questa splendida postazione, sistemata tra l’armadio e il comodino destro, vi parla Sandro Martellino coadiuvato dai noti esperti Sicco Roffredi e Lina Ciccio ai quali chiediamo subito un giudizio ed una previsione sull’incontro.
S.R. – Sarà sicuramente un bellissimo incontro, tutte e due le squadre sono in splendida forma ed anche se la squadra del babbo sembra essere quella dotata di una migliore tecnica il risultato é incerto poiché la squadra della mamma possiede grande carattere e sorprendente determinazione.
L.C.- La squadra del babbo è quella dotata di un centrocampo più vivace e riuscendo a mantenere il possesso della palla a centrocampo cercherà di sferrare ripetuti attacchi nell’area della squadra della mamma ma, quest’ultima é dotata di una migliore difesa e potrebbe non correre grossi rischi soprattutto se riuscirà a controllare l’attaccante più pericoloso del Babbo che, in questo periodo, non sembra nella sua forma migliore.
Giustamente i nostri ospiti non hanno voluto azzardare una previsione su questo straordinario incontro il cui esito appare quanto mai incerto.
Molti scommettitori, difatti, sulla schedina hanno apposto tutte e tre i segni.
Ma ritorniamo al letto di giuoco che stasera è in buone condizioni, nonostante le lenzuola non siano state cambiate da almeno una settimana; ottima è, invece, la temperatura che si aggira intorno ai diciassette gradi centigradi, ideali per questo tipo d’incontro.
Lo stadio da letto è al gran completo, tutti i posti a sedere e quelli in piedi sono occupati. Spettatori paganti 1.250, non paganti 38.225 per un incasso che ha di poco superato le diciottomilaseicento lire pari a 9,61 dei nuovi euro. Tutto l’incasso sarà devoluto in favore dei supersiti ai bombardamenti anglo-americani nel mondo e chi volesse, da casa, inviare la propria offerta potrà farlo mandando un sms al numero indicato in sovrimpressione con la scritta “La pace è un bene che bisogna difendere anche con la guerra” se volete donare 50 centesimi e “Che figo che è il Presidente Bush” se volete donare 1,0 euro. Inoltre presso tutte le banche e gli uffici postali potrete versare quanto vi pare giacché la spesa potrà essere detratta nella prossima dichiarazione dei redditi con l’indicazione al rigo E21- Spese a sostegno della libertà nel mondo. Infine non resta che ricordare che tutti quelli che manderanno la propria offerta riceveranno gratuitamente due bandiere, una americana e una inglese da esporre sui balconi in segno di Pace, amicizia, libertà e tolleranza.
Tra il pubblico, in tribuna d’onore, sono presenti il presidente del senato Pera e della camera Casini, il Presidente del consiglio Berla, la moglie Veronica, il vice presidente Fino e il ministro Bossolo. Quest’ultimo si è offerto di sostituire il Babbo in caso di problemi di erezione.
Ma diamo un’occhiata a questo bellissimo stadio stracolmo.
Gli acari da una parte e le mosche, gli scarafaggi e le zanzare dall’altra stanno scaldando il letto con cori, inni e cartelloni. Nella festa generale che precede l’incontro notiamo alcuni cartelloni particolarmente fantasiosi. Fra i tanti “Dacce dentro”, “Tieni duro”, “Mollala”, “Voi non avete le palle” e “Falla gridare” sono esposti dai tifosi del babbo sistemati nella curva sud mente nella curva nord, dove sono stati sistemati i tifosi della mamma, notiamo le scritte “Te la devi da guadagnà”, “Tanto resta moscio”, “Non arrivi al 90°”, “Te devi rassegnà”, “E’ meglio fare da sola” e “Non ce la fai”.
I più facinorosi, un centinaio d’ultrà delle due tifoserie particolarmente pericolosi, sono stati isolati dal cordone di sicurezza della polizia e sistemati sotto il letto; si dovranno accontentare di sentire la partita invece che vederla.
Vi ricordo che questa è la gara numero uno di andata del campionato di sesso più bello del mondo al quale partecipano quattro squadre, il babbo, l’amante del babbo, la mamma e l’amante della mamma. Due le partite che saranno disputate tra il babbo, vincitore dello scudetto dell’anno passato, e la mamma, vincitrice della coppa Italia, una di andata e una di ritorno alla distanza di sei mesi l’una dall’altra, mentre tra il papà e l’amante del papà, la mamma e l’amante della mamma le gare potranno variare da un minimo di una partita ogni quindici giorni ad un massimo di una al giorno preliminari compresi. Il terreno di giuoco per queste partite raramente sarà la camera da letto ma i sedili di un’auto e luoghi improvvisati quali la scrivania di un ufficio, la casa di un amico, la toilette di un bagno etc.
Ma ecco che entrano in campo le due squadre. Formazioni.
Papà: pigiama verde militare in flanella, canottiera vogatore bianca a costine, mutanda bianca con apertura centrale e calzettoni di lana bianchi corti.
Mamma: bigodini e crema da notte, vestaglione di pile misto flanella colorato a rombi bianchi e rossi del clan scozzese “non te la do manco se la paghi”, camicia da notte in lana merinos colore giallo ocra con fiori verdi e rossi, reggiseno bianco con chiusura a vista a sei ganci, mutandone bianco con rinforzi laterali e panciera.
Dirige la gara l’arbitro zanzara Trepunture da Siena, segnalinee la zanzara Sbandiero Unfuorigioco Pervolta e Noncivedo Mancoaun Centimetro di Distanza, quarta zanzara Segnoipuntiunoa Uno.
Ed ecco che parte l’Inno nazionale “Coniugi d’Italia” e entrambe le squadre fanno finta di cantarla insieme al pubblico sugli spalti. Ne approfittiamo per mandare un minuto di pubblicità ricordandovi che chi cambia canale o non sa che sugli altri c’è la stessa partita o perché vuole mantenersi in allenamento…

Consigli dalla regia

Settemezzo, il profilattico super resistente che si rompe quasi immediatamente, se non riuscite a metterla incinta con questo….

Cirami la legge che non solo vi fa scegliere il giudice ma anche il posto dove preferite farvi assolvere. Scegliete con calma, tanto abbiamo tempo e spazio per proporvi splendidi luoghi ove trascorrere anche una salutare vacanza…

Alitravia la linea che vi stupisce portandovi dove non avete prenotato. L’unica che vi garantisce l’emozione del dirottamento in diretta…

Ritorniamo in diretta dallo stadio da letto dove le squadre hanno preso posizione e tutto è pronto per l’inizio della partita
La monetina ha affidato al papà l’inizio della gara che, dopo aver lungamente palleggiato la palla a sinistra, si distende sul letto e, allungata l’ala destra, tenta di toccare quella della mamma. Quest’ultima, eseguendo un rapido giramento su se stessa, si allontana, spenge la luce e dice “Buona notte”.
La donna finge di dormire mentre l’uomo, per nulla rinunciatario, insiste nella sua manovra d’avvicinamento e, avanzando compatto con le ali e i centrocampisti, porta l’anteriore destro a toccare il posteriore sinistro dell’avversaria. Si tratta della famosa “medina” che, oltre che a far guadagnare tempo alla squadra che la pratica, intimorisce all’avversario. A questo punto il babbo si fa più intraprendente e si toglie la parte inferiore del pigiama; con l’ala destra cerca di toccare la zinna sinistra della mamma che, con un movimento brusco, evita il contatto e si sposta ai bordi estremi del campo.
La squadra del babbo a questo punto capisce che se vuole buttarlo dentro deve darsi da fare e, con una manovra avvolgente, con l’ala sinistra raggiunge la difesa alta della donna e la ubriaca con dribbling e finte a ripetizione su lei stessa mentre con l’ala destra prova a raggiungere il centro dell’area. Fra pochissimo, difatti, farà entrare in campo il suo giocatore migliore che, nel frattempo, si sta riscaldando a bordo campo coadiuvato dal massaggiatore personale. E’ questa una vecchia tecnica calcistica che ha dato spesso buoni risultati. In pratica si tratta di confondere le idee dell’avversario e stancarlo per poi fare entrare in campo il giocatore più potente. Anche il centrocampo si sta preparando adeguatamente per dare la giusta e definitiva spinta all’offensiva e, una volta che il giocatore sarà pronto farà ricorso a tutta la sua vitalità per dare la maggiore spinta offensiva cercando di metterlo nelle condizioni di penetrare le difese nemiche e, raggiunta la porta, entrarci. Ed ecco che, difatti, una volta che la squadra ha effettuato tutte le manovre di avvicinamento e di disorientamento previste entra in gioco il numero nove, l’uomo più pericoloso della squadra del babbo, il famoso e temutissimo Fallo.
Giocatore che però, nonostante la prolungata preparazione del massaggiatore, non vediamo nella sua forma migliore. Tra l’altro il giocatore, essendo un tantino falloso e più volte ammonito, deve stare attento sia a non rimanere troppo in campo sia a non rimanerci troppo poco.
A questo punto della partita il papà sembra avere la partita in mano e si avvicina con tutta la squadra nella metà campo della mamma che sembra attendere l’avversario per niente impaurita. Ecco che il centravanti è nell’area di rigore della mamma, gli danno una mano le due ali laterali che marcano stretto entrambe le zinne e i due piedoni di spinta che controllano i polpacci. Ed ecco che entrano in gioco i difensori estremi della donna che iniziano a marcare stretto le ali laterali e che poi, con una spinta allontanano l’intero attacco dell’uomo oltre la linea di centrocampo.
Alcuni giocatori della squadra del papà protestano vivacemente con l’arbitro invocando la punizione ma questi, ritenendo l’azione regolare, fa segno che si deve proseguire ed ammonisce il calciatore che ha protestato più degli altri. L’allenatore di papà è su tutte le furie e se la prende anche con quarto uomo il quale lo avverte che se continuerà a fare casino decreterà il 2 a 0 a tavolino. L’azione riprende con una punizione assegnata alla squadra della mamma che cerca di allontanare la palla dall’area piccola ma i giocatori della squadra del babbo sembrano essere maggiormente in forma e decisi a giocarsi il tutto per tutto e, riconquistata la palla, stanno tentando manovre avvolgenti. L’ala destra e la sinistra salgono per tutto il campo avversario cercando punti strategici dai quali sferrare un attacco decisivo mentre il mediano di spinta cerca di sostenere l’azione marcando stretto il suo diretto avversario.
L’arbitro fischia un fallo di mano, si tratta di una fallo laterale.
Il numero nove della squadra di papà non è d’accordo perché ritiene che si tratti di un fallo centrale e protesta vivacemente. E’ ammonito col cartellino giallo e, siccome nello scontro ha subito anche una contusione, è trasportato ai bordi del campo. Immediatamente soccorso e medicato rientra in campo con una cuffietta di plastica che gli servirà per evitare altri danni.
Siamo quasi al quarantesimo del primo tempo e le squadre sono ancora sul punteggio di parità. Ad una maggiore vivacità del papà la mamma ha saputo, sino ad adesso, opporre una tenace ed efficace difesa. Nonostante l’orgoglio e l’intraprendenza dell’uomo ancora non è riuscito a sfondare le difese della donna che, con tutta calma, ha saputo resistere agli attacchi frenetici ma confusionari e poco incisivi. Ma ecco che organizzati i giocatori, la squadra del papà tenta un ultimo disperato attacco; sa che deve tentare il tutto per tutto e sta cercando di concentrare tutte le ultime residue risorse nei punti più deboli dell’avversario. Non essendo riuscito ad arrivare in porta con il numero nove cerca di arrivarci con l’ala destra creando una certa confusione nella squadra della mamma. E’ evidente che sta cercando di posizionarsi e consentire al numero nove di entrare nell’area di rigore della mamma per metterlo dentro. La manovra è molto bella e tutto lo stadio è in piedi e segue con grande attenzione l’ubriacante azione della squadra del babbo ma proprio quando l’azione sembra concretizzarsi la mamma si alza con tutta la squadra per andare a bere un poco d’acqua e pisciare.
L’arbitro fischia tre volte e manda le due squadre negli spogliatoi.

L’uomo resta qualche attimo attonito. Poi capisce che qualcosa deve essere andato storto e da la colpa alla sfortuna ed all’allenatore che è immediatamente sostituito con un altro più intraprendente.
Il modulo 4 5 1 adottato si è rivelato, difatti, poco offensivo.
Il modulo 4 4 2 sembra una giusta soluzione. Nel primo, difatti, un solo attaccante non è stato in grado di portare grandi pericoli nella difesa avversaria. Con due attaccanti le cose dovrebbero andare meglio.

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Amare e ammirare

Credo che, anzi ne sono sicuro, ammirare una persona è diverso che amarla. Si può ammirare una persona anche da lontano ma per amarla è indispensabile esserle vicino, magari nella stessa stanza, sullo stesso letto o, almeno, nella stessa autovettura.

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Amare e credere

Per amare, penso, bisogna credere; credere e sperare. Sperare che sia realmente e umanamente possibile che, nonostante i nostri palesi difetti, non solo fisici, ci sia qualcuno disposto, capace, disponibile e talmente buono da volerci comunque bene al punto da arrivare ad amarci.
Amare è, anche per questo, più che credere. Il più delle volte, purtroppo, è solo credere. Credere di amare.

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I just called to say i love you

Primi giorni di aprile col cielo tornato sereno dopo un’interminabile pioggia; il sole è tramontato da poco e ha ceduto il passo alla fresca e pallida sera.
Sono le diciotto e trenta, dalla finestra dell’albergo “Oriente” osservo uno splendido paesaggio che mi riempie il cuore e mi distoglie dai cattivi pensieri.

Dalla mia postazione riesco a vedere, di fronte, una buona quantità di mare, un pezzo di riva e parte della montagna che li domina, sulla destra.
Il cielo è quasi tutto grigio, come il mare, mentre la montagna è al buio. In alto, nel cielo sereno, grasse e lunghe nubi scure, alternate ad altre grigie, più piccole e snelle, sono evidenziate da una lunga, sottile, disomogenea e tenue striscia di rosso. Più in basso, nuvole più chiare, quasi bianche, sembrano poggiare su un’altra striscia, più lunga e meno sottile della prima, di un rosso più corposo e intenso.
Ancora più in basso, altre nuvole, leggermente più cupe di quelle precedenti ma non quanto quelle più in alto, confinano e si perdono in un’ulteriore fascia rosso porpora più ampia e più lunga delle altre. Così il rosso finale del cielo sembra toccare e colorare di rosso il mare per un po’ per poi lasciarlo al suo cupo grigio sino gli scogli. Questi ultimi, quasi completamente al buio, a prima vista appaiono irrilevanti e quasi estranei alla bellezza del cielo e del mare ma è soltanto una momentanea impressione, poiché mi rendo immediatamente conto della loro funzione di completamento e di raccordo tra il mare e la montagna.
Il mare è quasi completamente immobile all’orizzonte tanto da trasmettermi una penetrante sensazione di calma e di tranquillità; poi, man mano che lo sguardo viene verso la riva, l’acqua prende lentamente vita in piccole e bianche increspature che sembrano ansimare prima di trasformarsi in onde sempre più visibili, chiare e alte, come a mostrare un’anima inquieta.
Il rosso purpureo dell’orizzonte si trasforma prima in un grigio intenso per poi sfumare sino al bianco delle onde.
Queste, prossime alla riva, in un primo momento sembrano voler dolcemente accarezzare la riva, ma poi, improvvisamente, si gonfiano e paiono quasi ruggire prima di infrangersi, con inaudita violenza, contro i grossi massi perdendosi poi tra le rocce degli scogli.
Sulla destra, a un centinaio di metri dal mare riesco a vedere l’imponente montagna scura e silenziosa e, in essa, come una grave e dolorosa ferita, la tortuosa e stretta strada asfaltata che corre tra rocce tagliate quasi verticalmente. Dopo un corto rettilineo il tracciato si nasconde dietro un tornante per poi ricomparire e ritornare nuovamente a perdersi dietro il successivo. Al di sotto del piccolo guardrail in lamiera che la delimita, c’è un corto pendio ricoperto da piccoli alberi e, immediatamente più a valle, una stradina alberata, pavimentata in bianco selciato che si snoda lungo tutta la scogliera. Ancora più a valle grandi e disomogenee rocce scure e numerosi, grossi e regolari massi chiari completano il paesaggio sino al mare.

E’ un posto da sogno, quasi irreale; i colori del cielo, del mare e della montagna si fondono e si mischiano creando un’atmosfera da favola e l’animo, di fronte a questa esagerata e prepotente bellezza, non può che restare in muto silenzio per meglio ammirare, estasiato, la perfezione di questa natura, rasserenandosi e predisponendosi per buoni e grandi pensieri. E ritorno con la mente alle ore che hanno preceduto quest’incanto.

“Non aspettarmi stasera, rientrerò molto tardi, forse resterò fuori tutta la notte. Ti chiamo appena possibile.” E’ il messaggio che ho lasciato a Carla, sul tavolo della cucina, uscendo cinque ore fa da casa.
Da quel momento ho guidato la mia potente Porche per circa quattrocento chilometri fermandomi solo per fare rifornimento, andare in bagno, mangiare un panino e bere un caffè.
Partendo non avevo in mente di arrivare tanto lontano, né previsto che mi sarei fermato in questo posto di cui ignoravo, sino a oggi, persino l’esistenza. E’ successo che mi sono ritrovato a casa da solo, lei era a un pranzo di lavoro e io non avevo nessuna voglia di prepararmi qualcosa da mangiare. Ero, inoltre, senza sigarette e andare a trovare mamma mi forniva l’occasione per comprarle, mangiare qualcosa di buono senza utilizzare la cucina e, sopra tutto, riabbracciare i miei vecchi che non vedo ormai da troppo tempo. Quando vado da mamma non riesco quasi mai a rientrare prima delle ventitré; da qualche anno ho riscoperto il piacere di stare con loro, il tempo trascorre sempre troppo velocemente e non mi basta mai.
Inoltre li vedo raramente sia a causa della distanza che ci separa sia per il palese disaccordo tra Carla e mamma; non sono mai riuscite ad affezionarsi veramente e, per mia moglie, è stato sempre un sacrificio accompagnarmi.
Così, ogni tanto, ci vado da solo e, nelle ricorrenze e nelle festività, con Carla. Quando succede mamma è sempre tanto felice e qualche volta, sapendo che ci tengo, chiede di mia moglie, così è abituata a chiamarla quando non c’è.
Ogni volta mi ripete che sono sciupato, che non mangio a sufficienza e mi prepara piatti abbondanti che, per non farle dispiacere, mangio senza discutere. Poi, quando si fa tardi, e da mamma si fa sempre tardi, mi suggerisce di rimanere la notte a dormire “ tanto il tuo letto è uguale a quando l’hai lasciato” afferma “ così non hai bisogno di viaggiare col buio” aggiunge ed è sempre tanto felice quando mi fermo. Al contrario di Carla.
Mia moglie, difatti, è sempre poco entusiasta quando vado da mamma e, quando poi mi fermo a dormire, diventa stranamente anche molto ironica e un pochino cattiva. Per questo, pensando alla possibilità di ricambiare l’antipatica ironia le ho lasciato un messaggio ambiguo.
Queste erano le intenzioni ma era destino che tutto andasse diversamente; me ne accorsi subito quando, appena entrato sull’autostrada, già al primo distributore dimenticai di comprare le sigarette e me ne convinsi poco dopo quando tirai diritto all’uscita per il paese ove vivono i miei. Nel tratto di strada che separava il distributore dall’uscita ricordai che là l’unico tabacchi, ammesso di trovarlo aperto prima delle diciotto, non vende le sigarette che fumo e, soprattutto, che non avevo avvisato mamma e quindi, il mio inaspettato arrivo, avrebbe potuto crearle problemi e metterle strani pensieri. Era accaduto già un’altra volta ed era stato difficilissimo farle capire che non era successo niente, che non avevo litigato con Carla e che ero lì solo perché avevo voglia di vederli e di stare un po’ con loro. In quella occasione fui costretto a farla parlare con mia moglie e così smise di farmi domande ma cominciò a parlare di lei e del suo brutto carattere.
- Tua moglie è sempre più scostante e misteriosa - disse – ha un carattere decisamente pessimo, ogni volta che le parlo mi convinco sempre di più che non è una donna che va bene per te che sei tanto buono… Ma oramai l’hai sposata e non ci puoi più fare niente. Non so come fai a sopportarla figlio mio… Non mi stupirei se, un giorno o l’altro, tra voi dovessero sorgere dei problemi… Non avete ancora nemmeno deciso di darmi un nipotino… E la colpa è sicuramente sua, le donne moderne non vogliono troppi problemi e tua moglie non ne vuole nessuno - concluse.
Mi spaventava l’idea che Mamma, una volta saputo che non avevo pranzato e dell’assenza di Carla da casa, potesse sottopormi a un altro interrogatorio ed ero terrorizzato dalla probabilità che la mia visita potesse poi diventare un lungo e antipatico monologo sui palesi e incontestabili difetti di Carla per concludersi con l’inevitabile contestazione sul “nipotino che non arrivava”.
Decisi, pertanto, che era meglio evitare ogni problema e che un bel giro lungo e un po’ d’aria mi avrebbero certamente fatto bene e continuai, così, a guidare senza una meta sino a quando avvertii la stanchezza e uscii dall’autostrada.
Percorsi ancora qualche chilometro poi svoltai verso il primo paese. Dopo una decina di curve e altrettanti tornanti mi accorsi che stavo guidando verso il mare perché lo vedevo in lontananza e, dopo nemmeno una ventina di chilometri, arrivai proprio davanti l’albergo.
Notai immediatamente la straordinaria bellezza del posto e, senza pormi altri pensieri, decisi che era il posto ideale per passare la sera e la notte.
Ho parcheggiato così l’auto in un piccolo spazio appositamente destinato agli ospiti dell’albergo, preso una camera singola con bagno, fatto una doccia, rivestito e affacciato alla finestra per osservare il tramonto.
Da almeno una trentina di minuti sto qui a guardare le onde del mare infrangersi sugli scogli e odo chiaramente il frastuono del loro fragore; mi sento sereno, felice di una gioia leggera eppure tanto intensa e avvolgente.
I pensieri tornano nuovamente a Carla; a quest'ora dovrebbe essere rientrata a casa e aver letto il messaggio, mi chiedo cosa avrà pensato.
In un primo momento ne sarà rimasta sorpresa e, incredula, avrà pensato a “uno dei miei soliti stupidi scherzi”, come ama definirli; poi sarà andata su tutte le furie e cercato di capire dove fossi finito. Sicuramente non ha chiamato mamma per chiedere, non lo avrebbe mai fatto; forse crede persino che sia da lei e, in questo caso, starà aspettando che la chiami io. E’ improbabile che si sia ricordata che da tempo le ripeto di sentirmi stanco e di quella volta che le ho confessato la voglia di andarmene da solo da qualche parte per rilassarmi e riflettere… Difficile, non credo che possa ricordarsene, non ha dato mai troppo peso alle mie fantasie. Probabilmente avrà provato a chiamarmi sul cellulare; sono sicuro che a quest’ora sarà preoccupata e, soprattutto, arrabbiata e, magari, sta continuando a chiamarmi e continuerà a farlo sin quando non le avrò risposto. L’ho spento quando mi sono fermato all’ultima stazione di servizio, temendo proprio una sua chiamata; non ho voglia di darle spiegazioni o inventarmi strane scuse, forse la chiamerò più tardi e comunque non prima d’aver costruito una storia credibile e sostenibile.
Mi stupisco di quanto sia sereno nonostante conosca bene il suo carattere, decisamente irascibile e vendicativo; non so perché ma ora non mi preoccupo nemmeno per le sicure conseguenze che mi deriveranno da questo inspiegabile e inconsueto comportamento.
Già, dovrò inventarmi qualcosa… Trovare una scusa plausibile… Un motivo credibile per questa gita, per questo posto, questa sera e questa notte. Sarà sicuramente difficile trovarne, vorrà sapere e capire tutto e non si accontenterà certamente di una spiegazione semplice.
So che vorrà sapere dove sono stato, che ho fatto e non potrò dirle di essere stato da parenti o amici che conosce, li avrà senz’altro chiamati già tutti o lo farebbe per controllare, e non posso nemmeno inventarmi d’essere stato da mamma; prima o poi potrebbe venir fuori che non è vero e allora sì che mi ritroverei in guai ancora peggiori…
Nemmeno mamma scherza in queste cose e, per molti versi, è molto più categorica e severa di Carla.
Non oso nemmeno inventarmi nuovi o vecchi amici che lei non conosce, non ci crederebbe mai e vorrebbe sicuramente controllare con la scusa di conoscerli e, anche in questo caso, mi potrei ritrovare in guai peggiori .
La soluzione sarebbe dirle la verità ma come spiegarle la mia partenza, questo posto e, soprattutto, la permanenza per la notte? No, non capirebbe di certo; da quando l’ho sposata non le ho mai dato motivo per dubitare di me ma non ha mai dimenticato una mia piccola storia con una sua amica ed è ancora talmente gelosa che penserebbe a un altro tradimento. Dovrò, pertanto, confessarle che sono stato in questo posto perché pretenderà, sicuramente, di vedere le ricevute dell’albergo e del ristorante ma per la verità dubito molto che riuscirò a trovare spiegazioni credibili perché la situazione è veramente fuori da tutte le mie abitudini e da ogni logica. Mi chiedo ancora perché non riesco a confessarle, sinceramente, che da tempo avverto un po’ di stanchezza fisica e mentale e che ho solo bisogno di starmene un po’ per i fatti miei, vedere posti e gente nuova e di immergermi in una realtà differente per provare a rimettere insieme i pensieri.
So che queste sono spiegazioni che Carla non capirà né giustificherà mai e, in fondo, posso anche capirla; è che la mia vita è sin troppo normale e gratificante per spiegare questa specie di fuga senza preavviso.
In famiglia godiamo tutti di buona salute, con lei va tutto sin troppo bene, ci amiamo tantissimo e stiamo benissimo insieme nonostante i dodici anni di matrimonio, i miei affari sono più che buoni e non ho preoccupazioni finanziarie e anche i nostri amici sono tanti e simpatici.
In realtà credo che sia proprio questo il problema: al benessere e allo stare troppo bene ci si abitua in fretta e se non nascono nuovi e continui interessi alla lunga, questa situazione apparentemente invidiabile, ristagna al punto da essere vissuta come noia insopportabile; il bisogno di nuovo e diverso, specie per un carattere inquieto ed estroverso come il mio, prevale su tutto, così si sente il bisogno di fare una bravata, anche solo per ritornare a sentirsi vivi. Capisco che questi pensieri, in qualche maniera, possono rovinarmi lo stato di benessere generale che sto vivendo così decido di non lasciarmi condizionare dalla ricerca di spiegazioni o scuse che per il momento non m’interessano, mi ripeto che ormai è fatta e che sto troppo bene per pensarci. Decido che voglio, per il momento, solo godermi il posto e questa sensazione rimandando a poi tutto il resto.
Sorrido pensandolo e, guardandomi allo specchio, mi dico che sono forte, che va tutto bene e che, in ogni caso, saprò trarmi dall’impaccio. E’ da un sacco di tempo che mi sentivo in gabbia: ne avevo bisogno, non sto facendo niente di male; sono soltanto felice e sereno e se Carla mi vorrà capire farà bene altrimenti… Andrà come andrà, tanto non posso più farci niente e anche se rinunciassi ora sarebbe lo stesso.

Lascio la stanza, scendo per le scale, raggiungo il portiere e gli chiedo cosa ha da offrirmi il posto per la sera.
- Non è la stagione ideale ma il paese è proprio carino; in centro ci sarà sicuramente gente per strada, i negozi restano aperti sino a tardi, non sono ancora aperte le discoteche ma c’è un cinema che funziona tutto l’anno. Può, se gli interessa, vedere il paese: c’è il Duomo che è molto interessante ma non so se sarà aperto a quest’ora, potrà magari vederlo domani, se resta anche domani e ha tempo… Per stasera può anche arrivare sino alla scogliera, è molto bella e anche laggiù troverà gente… Oppure può andare in qualche locale, dipende dai sui gusti…
Lo ringrazio ed esco lasciandogli la chiave della stanza.
Attraverso la strada asfaltata adiacente l’albergo sino alla piccola piazzetta in pietra naturale dove mi fermo, per un attimo, ad osservare.
La piazza, circolare sul lato più lontano, è delimitata da un muretto, non più alto di una sessantina di centimetri, sul quale è montata una ringhiera in ferro di tipo tradizionale, alta almeno una cinquantina di centimetri.
Ogni cinque-sei metri il basso muro è prolungato sino all’altezza della ringhiera e sulla sua sommità, costituita da una pietra naturale quadrata leggermente sporgente, è sistemato un vaso in cotto nel quale vi sono piantine fiorite.
Prima della protezione, a qualche metro di distanza, si trovano sei alberi di notevoli dimensioni intorno ai quali sono sistemate altrettante aiuole rettangolari; davanti e dietro a ogni albero c’è sistemata una panchina, una rivolta verso la strada, l’altra a valle sulla scogliera.
Al centro, tra le aiuole, c’è una fontana in ferro battuto, probabilmente antica, vicino alla quale giocano tre ragazzini rincorrendosi.
Raggiungo la ringhiera, m’affaccio e rimango incantato dalla bellezza del paesaggio a valle: un vero e proprio spettacolo della natura.
Dopo uno strapiombo di una trentina di metri e una piccola scarpata, ricoperta di piccole piante verdi e ben curate, c’è la piccola stradina di selciato bianco che avevo già ammirato dalla finestra dell’albergo.
L’illuminazione del viale è assicurata da piccoli lampioni a luce gialla posti a una distanza regolare; la strada è delimitata da alberi in entrambi i lati e, ogni tanto, rivolta verso il mare, c’è una panchina in legno.
Più a valle, per almeno centocinquanta-duecento metri, c’è una piccola spiaggia a sabbia bianca che si estende tra due grosse montagne che la delimitano e la proteggono dai venti e dalla vista.
A destra, leggermente più indietro dalla spiaggia, in corrispondenza della fine della stradina bianca c’è un’altra piccola insenatura, nella montagna, come una sorta di buco a sabbia scura nella quale è ben visibile un piccolo fuoco con molti giovani intorno.
Avverto chiaramente il rumore delle onde che si spengono sul bagnasciuga e il canto delle voci accanto al fuoco accompagnate da una chitarra.
Mi fermo per un po’ ad ascoltare e a guardare e sento la serenità e la felicità che mi pulsano nell’anima; sono commosso da tanta bellezza, mi viene quasi voglia di piangere e, per non farlo veramente, m’avvio per una stradina in salita che mi hanno detto dovrebbe portare al centro del paese.
I gradini sono leggermente in pendenza, costituiti da pietra naturale e delimitati da cordolature in porfido bianco bucciardato; le case, ai due lati, sono di diversa altezza, tutte bianche con finestre e porte in legno.
Ogni tanto incontro qualche casa molto più alta delle altre, le scalinate e i gradini di ingresso sono tutti di dimensioni variabili, alcune porte sono arricchite da grossi portali in pietra e, sui molti balconi, è stesa biancheria ad asciugare; odo voci di bambini all’interno delle case e altre di adulti che discutono, queste ultime confuse e, a tratti, coperte da altre probabilmente provenienti dai televisori sintonizzati sul telegiornale.
Raggiungo la strada superiore e mi ritrovo in un’altra piazzetta del tutto simile a quella lasciata più a valle; mi affaccio sul muretto che la delimita e, oltre i tetti, ritrovo parte della piazzetta adiacente l’albergo e, più a valle, il mare sul quale adesso giganteggia una splendida, rotonda e bianchissima luna che l’illumina e lo rende meno scuro del cielo. Da questa postazione non riesco a vedere il fuoco e i ragazzi sulla spiaggia, è scomparso, purtroppo, anche il rosso purpureo del tramonto e il colore dominante è, adesso, il nero della montagna e della spiaggia alternato al grigio cupo del mare e a quello più chiaro del cielo.
Su tutto giganteggia la pallidissima luna, signora e padrona incontrastata.
M’avvio per la strada principale, una stretta e diritta strada delimitata da due ampi marciapiedi arricchiti da grandi alberi, da aiuole circolari ben curate e da piccoli lampioni in ferro battuto che sorreggono lampade colorate.
Sono le venti e trenta ma i negozi sono ancora aperti nonostante la stagione; non fa freddo e c’è ancora parecchia gente per strada.
Cammino osservando le case, alcune bianche e basse, altre alte e colorate.
Mi fermo a comprare le sigarette a un tabacchino poi ritorno per strada, ne accendo una e m’avvio lungo una strada leggermente più larga della precedente con fabbricati più uniformi e chiedo a due passanti le indicazioni per raggiungere un ristorante o una pizzeria.
Con molta gentilezza mi dicono che molti sono ancora chiusi ma che uno dei migliori è aperto tutto l’anno – Al “Muro della Papera” si mangia bene e non si spende tanto… - e mi indicano il percorso per arrivarci.
Ci arrivo dopo una quindicina di minuti chiedendo altre informazioni e tutti sono gentili e cortesi, non è sulla strada principale e per vederlo bisogna attraversare un basso portico fra due grossi fabbricati.
Il ristorante è all’angolo di una piccola piazza chiusa su tre lati da fabbricati che, per una favorevole e straordinaria conformazione del luogo, domina uno strapiombo e una piccolissima spiaggia nascosta fra due rocce che s’estendono per alcune centinaia di metri più avanti nel mare.
- E’ il paradiso terrestre questo posto – penso e m’avvio verso la porta del ristorante.
Il locale si compone di una sola sala rettangolare lunga con i muri fuori squadro, il soffitto in legno e pareti bianche intonacate a rustico; sulla sinistra c’è un grande bancone e, più in la, sempre sul lato sinistro, una parete in legno che suddivide e nasconde una parte della sala probabilmente destinata ai servizi igienici.
Ci sono molti tavoli apparecchiati e ordinati per gruppi da quattro e superiori, molti sono vuoti: almeno una quindicina di persone stanno cenando e si voltano a guardarmi.
Una bella ragazza mi fa sedere a un tavolo posto sulla destra della sala e, dopo avermi regalato uno splendido sorriso, mi chiede cosa voglio mangiare.
- Qualcosa di particolare, un piatto del posto, lei cosa mi consiglia?
Mi chiede quanta fame ho e mi suggerisce di assaggiare un po’ di tutto.
- No, solo un antipasto e un primo - pesce - non voglio mangiare molto
- un antipasto mare e delle linguine al cartoccio vanno bene?
- Si, mi porti anche del pinot grigio e una bottiglia di acqua, grazie.

Mi alzo, raggiungo il bagno, mi lavo le mani e nel ritornare a sedere m’accorgo di un’altra sala posta al lato di quella principale. Passando intravedo, in un angolo sulla sinistra, un uomo e una donna che stanno cenando e noto in lei una strana ed esagerata rassomiglianza con Carla.
Mi fermo qualche minuto a osservarla poi impacciato, temendo di essere stato notato, ritorno velocemente al tavolo, chiamo la ragazza a cui prima avevo ordinato il pranzo, invento una scusa e le chiedo di cambiare tavolo e mi faccio sistemare a un altro, dal quale riesco a vedere l’altra sala.
Mi siedo in modo da rimanere in parte coperto da altri avventori in maniera da poterli osservare senza essere visto cercando di vedere chiaramente il viso dei due.
Nonostante la distanza e la parziale copertura di un grasso e irrequieto signore riesco a scorgere il viso dei due che, rispetto a me, sono posti di lato: più la guardo e più riconosco in lei mia moglie Carla che dovrebbe essere a casa, disperata e preoccupata per la mia assenza.
- Non può essere, non può essere lei…. – mi dico, mentre i pensieri diventano sempre più irrequieti e angosciati - ma che ci fa qui? E lui chi è? – mi chiedo notando che fra i due c’è un chiarissimo atteggiamento confidenziale.
Vorrei alzarmi e avvicinarmi per accertarmi dell’identità di lei ma sono come inchiodato alla sedia e temo di non avere la forza e il coraggio di farlo.
- E se mi sbagliassi? Se si trattasse di un’allucinazione, di un sogno o, più verosimilmente, di una semplice straordinaria rassomiglianza? Non è possibile che sia lei… No, non è possibile, forse è la distanza o la luce particolare della sala che… O forse è soltanto la coscienza e il rimorso che mi fa vedere Carla… No, non può essere…. Ma cazzo quanto le rassomiglia….. – Questo penso sempre mantenendo fisso lo sguardo su quel visino tondo che ora sorride e tiene la mano all’uomo.
La ragazza mi porta l’antipasto di mare, il pane, il vino e l’acqua, forse vuole chiedermi qualcosa ma s’accorge che sono in preda ai pensieri e s’allontana augurandomi buon appetito.
Cerco di darmi coraggio e, sempre tenendo sotto attenta osservazione la tizia, mangio un paio di bocconi, bevo un bicchiere d’acqua e quando arriva il primo, dopo una buona mezz’oretta, la ragazza, preoccupata, mi chiede se il piatto non è stato di mio gradimento.
- No, tutt’altro, è molto buono –le rispondo - è che ho ricevuto delle brutte notizie … Mangerò le linguine… Grazie…
L’odore e il sapore è straordinario, come per l’antipasto, ma mi si è chiuso lo stomaco e fatico a ingoiare, bevo un poco di vino per mandare giù il boccone che mi si è fermato in gola e capisco che mangiare tutto il piatto per compiacere la cameriera non è una saggia scelta così la chiamo e chiedo il conto.
Pago, chiedo scusa ed esco.
Appena fuori mi fermo perché mi tremano le gambe e le mani: il sogno si è trasformato velocemente in un incubo.
Mi riavvio in preda al panico e trascinando i piedi attraverso la piazza e il porticato, mi riporto sulla strada principale ove mi fermo per riflettere; decido d’aspettare che escano per eliminare ogni dubbio e scegliere cosa fare.
Cerco il cellulare, l’accendo e faccio il numero di Carla, è spento; faccio il numero di casa, è libero ma non risponde nessuno, lo faccio squillare ancora, ancora e poi ancora ma non risponde ancora nessuno.
- Che succede? - Mi chiedo cercando un posto dove aspettare la coppia all’uscita in maniera da osservarli bene senza essere visti e lo trovo sul marciapiede di fronte in un angolo poco illuminato da dove sarò sicuramente in grado di vedere bene in faccia i due - Non può essere, devo essermi per forza sbagliato – penso – che scemo, è meglio che torni in albergo e vada a dormire…. – penso ancora guardando l’orologio che segna le ventidue e trentacinque.
Accendo un’altra sigaretta e provo a rifare i numeri del cellulare e di casa, il primo è spento, il secondo non risponde nonostante l’abbia fatto squillare fino a far cadere la linea.
- Ma dov’è, perché non risponde? – mi chiedo – Per forza è qui con un altro – mi rispondo incredulo – Non è possibile…. Sto sognando – concludo ma poi mi rendo conto che sono qui ed è tutto reale e i pensieri continuano ad alternarsi mischiandosi, fondendosi e creando angoscia e confusione.
E’ passata un’altra mezz’ora e i due non sono ancora usciti. Inizio a dare evidenti segni di stanchezza e pazzia, riprovo a chiamarla sul cellulare e a casa ma non cambia il risultato così decido di rientrare nel ristorante e avvicinarmi ma, proprio quando sto per farlo, i due escono e guardo bene la signora che sorride tenendo la mano all’uomo.
E’ Carla o è una sorella gemella, non ci sono dubbi.
- Solo che Carla non ha nessuna sorella gemella….- dico quasi singhiozzando - Brutta zoccola, puttana! – aggiungo mentre una lacrima mi bagna una guancia e si ferma sulle labbra.
Li seguo restando a una certa distanza per non essere notato e ripercorro la strada percorsa all’andata. Entrano in un bar e bevono un caffè poi escono e proseguono per una scalinata tenendosi per mano poi si fermano, s’abbracciano e si baciano.
Ho mille pensieri nella mente ma non riesco a fermarne nessuno, avverto solo un dolore terrificante che mi prende ogni parte del corpo che mi fa soffrire terribilmente.
Continuo a seguirli per le scalinate sino alla seconda piazzetta, la stessa dalla quale è iniziata la mia gita turistica, raggiungono il muretto ai bordi e si fermano a osservare il mare, si tengono la mano, si baciano…
Li osservo da lontano ma anche se gli fossi accanto, presi come sono del loro amore, credo non se ne accorgerebbero nemmeno.
La mia mente è come chiusa in un barattolo di latta nel quale rimbombano sempre le stesse domande e le stesse risposte. È tutto chiaro ma, nonostante l’evidenza dei fatti, ancora cerco disperatamente di aggrapparmi a qualcosa inventandomi qualche residuo appiglio per non soccombere.
- Potrebbe anche essere una che le rassomiglia, un’altra donna precisa, identica a Carla… Uno scherzo del destino… Potrebbe anche essere… A questo mondo niente è impossibile… Lei magari è a casa e non mi risponde perché è arrabbiata…. Magari è proprio così…. – penso
Riprendo il cellulare e rifaccio il numero del suo cellulare, è spento, rifaccio quello di casa, squilla, lo lascio squillare, mi tremano le gambe, squilla ancora poi smette, nessuna risposta, si avviano vanno verso l’albergo “Oriente” ed entrano.
Li guardo attraversare la piazza, la strada e salire i gradini d’ingresso poi aspetto qualche minuto ed entro anch’io. Invento una scusa e chiedo al portiere di Carla ma lui non ci casca.
- Non si potrebbe sa? Non potrei darle queste notizie…
Gli allungo cinquanta Euro
- Camera 31… Vediamo…. Carla Tonoli, nata a …, il … residente a ….., è arrivata oggi pomeriggio, molto prima di lei, con Guido Badini, nato a….., il…. Residente a….
Gli ultimi dubbi scompaiono, è Carla, mia moglie.
- Qualcosa non va? Si sente bene signore? – chiede il portiere notando il pallore sul mio viso e un leggero tremito alle mani
- Va tutto bene… - Rispondo – Sto bene… Buonanotte – e m’avvio per le scale.
Sono in preda a mille domande e a una confusione spaventosa e, raggiunta la stanza l’apro, entro e senza accendere la luce, mi siedo su una sedia accanto alla finestra.

La sera se ne è andata già da un po’ ed ha lasciato posto alla notte. La luna, ancora più bianca e rotonda di prima, illumina proprio quella parte di mondo e di mare che posso vedere dal punto in cui sono e il rumore delle onde del mare che s’infrangono sugli scogli ora è appena percettibile ma ogni non mi sembra più bella e straordinaria come prima.
Mi viene in mente la canzone di Stevie Wonder “i just called to say i love you” forse perché era quella che cantavano i ragazzi sulla spiaggia accanto al fuoco o forse solo perché è stata per tanto tempo la sua preferita e, per questo mi riporta ai tempi belli con lei, quando mi amava e la vita andava ancora per il verso giusto.

Resto così per un tempo imprecisato in preda a pensieri terribili alternati ad altri dolci durante il quale ripercorro alcuni momenti felici del passato e del presente poi, come una folgorazione, mi assale un dubbio, metto la mano nella tasca dei pantaloni e tiro fuori un bigliettino bianco, lo apro e leggo il messaggio trovato oggi, sul tavolo della cucina, rientrando a casa dal lavoro.
E’ di Carla e dice: “Non aspettarmi stasera, non rientrerò, resterò fuori tutta la notte. Non tornerò nemmeno domani e mai più. Ho fatto quanto mi è stato possibile, ma è stato tutto inutile, ti voglio un sacco di bene ma non posso, non riesco più a mediare, non posso continuare a ingannarti e a ingannarmi: amo Guido, lo sai, non l’ho mai dimenticato e, da circa un anno, ho ripreso a frequentarlo. Non ne posso fare a meno, è un amore al quale non posso e non so rinunciare e ormai ho deciso, ti lascio, vado a vivere con lui, lo amo, non posso farci niente, perdonami se puoi e dimenticami. Spero che un giorno potremo diventare buoni amici e scusami se te lo faccio sapere con un messaggio ma a voce sarebbe stato impossibile e non ne sarei stata capace. Il mio avvocato ti darà notizie circa le cose da farsi, ti prego di non cercarmi e di non fare niente perché sarebbe tutto inutile non ti amo più.”
Mi ritorna tutto in mente, si, ricordo perfettamente tutto. La lettera l’avevo trovata io, ieri pomeriggio, rientrando a casa. Mi tornano alla mente il suo cambiamento, due anni fa, la storia con Guido che lei stessa mi aveva confessato una sera piangendo, la settimana terribile di urla e pianti, le liti furiose, gli schiaffi, i silenzi e poi, una sera, il suo pianto e la richiesta di perdono.
- Ho capito che amo te… Se puoi perdonarmi possiamo riprovare…. – disse piangendo con gli occhi bassi ed io che non risposi; l’abbracciai e restammo per tutta la notte a piangere così, senza dire una parola.
I ricordi ora mi portano alla nostra gita qui, l’anno scorso, proprio in questo paese e in quest’albergo, alla cena al ristorante “Il muro della Papera”… e poi il ritorno a casa e alla normalità, almeno così sembrava; rivedo i silenzi e la tristezza alcune volte nei suoi occhi e gli altri, quelli di grande serenità , di allegria e di passione…
- Illuso, quando una storia si rompe non si può riparare…- mi dico - Ci siamo sforzati di mandare avanti un amore che sapevamo entrambi finito… Provando a vivere come se niente fosse successo… Ma prima o poi arriva la resa dei conti…
Mi ritornano chiarissime anche le ore che mi hanno portato qui; il rientro a casa, il messaggio, i terribili minuti di silenzio poi la mia fuga lontano… Sin qui e poi, chissà come, dimenticare completamente tutto e… Si, inventarmi proprio un’altra realtà, completamente diversa…

Esco dalla camera, scendo dal portiere e pago il conto, inventando una scusa per giustificare la mia partenza improvvisa nella notte.
- Devo urgentemente rientrare… - spiego senza troppa convinzione.
Poi esco, percorro la stradina deserta laterale e raggiungo, in fondo, l’auto in parcheggio, entro, la metto in moto e m’avvio, lentamente sino ad arrivare sotto l’albero, mi fermo e mi volto a guardarlo e mi sembra di vedere lei dietro una finestra al secondo piano, non solo: ho anche l’impressione che mi abbia visto e riconosciuto…
- Se ha guardato da questa parte ha sicuramente riconosciuto almeno la macchina – penso ma ho come paura di accertarmene e ciò non ha più, ormai, nessuna importanza così m’avvio per la stretta e tortuosa strada sulla scogliera.
Ho il cuore in panne, accelero, accelero ancora e la strada sembra essermi amica e volermi portare via lontano, per dimenticare, per non pensare più a questa brutta realtà e a questa stupida casualità
- Ritrovarsi nello stesso posto, nello stesso ristorante e nello stesso albergo proprio il giorno che è andata via…. Cosa può significare? –
Ma è tardi per dare una risposta e non ho nessun interesse a farlo tanto che il rumore delle onde è così forte e penetrante che è nella mia mente sopra ogni altro pensiero.
Il mare, quel mare cupo e grigio, sotto di me, con le sue onde…, proprio sotto di me…, dietro quella curva, a qualche centinaio di metri…, dopo la stradina bianca…
Sorrido al pensiero che proprio un anno fa stipulai una polizza sulla vita in suo favore che la renderebbe ricca in caso di un incidente mortale…
- Che strano pensarci adesso… Proprio questa notte…
E’ uno stupendo pensiero d’amore che si mischia, ora, col rumore delle onde sugli scogli e accelero a tavoletta provando a fare la curva senza frenare…



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Una due cavalli di nome Camilla

Non so ricordate una canzone che nei primi anni settanta andava forte...
Primo posto in Hit Parade e sempre nei juke-boxe......
Si trattava di "Piccolo grande amore" di Claudio Baglioni, quella della "...tua maglietta fina, tanto stretta al punto che m'immaginavo tutto..." si ?
All'epoca aveva consentito al cantante di ottenere una popolarità incredibile, tanto da essere diventato un modello da imitare.
Claudio Baglioni all'epoca aveva un'auto, una Citroen, quella che quando prendevi una curva oltre dieci chilometri l'ora sembrava che si ribaltasse, ma era solo un'impressione in quanto per farla ribaltare veramente dovevi andare almeno a sessanta (cosa assai difficile per quella macchina, a meno che non la tiravi sino a farla scoppiare e ti trovavi in una discesa con una pendenza superiore al 50%) ....Una due cavalli che lui chiamava vezzosamente con il nome di una donna, per la precisione "Camilla"... Beh, Claudio Baglioni a me non piaceva tanto, anzi non piaceva proprio, ma era diventato così famoso quando io avevo 18 anni che tutti quelli che avevano la stessa macchina la chiamavano "Camilla".
A quell'età, io non avevo un'auto e, tanto meno, una due cavalli ma, in compenso, stavo con una ragazza che, per fortuna, si chiamava Camilla ...E io la chiamavo scherzosamente due cavalli..
Camilla, difatti, era veramente una "Due Cavalli"!

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Scriversi addosso - PrefaZione

Non è con amore, e nemmeno con grande piacere, semmai è anche, e non solo, per far passare il tempo che ho accettato, piuttosto ho dovuto, scrivere questa prefazione, parola composta dalle parole pre e fazione (pre da pre e fazione da divisione, non moltiplicazione, sottrazione o aggiunzione).

In verità è che non sono riuscito a trovare un cristiano (ma neanche un ateo, un mussulmano, un induista, un seguace di Geova, cristiano metodista, avventista, anglicano, emiliano, padovano e leghista) che voleva farlo così ho deciso di scrivermela da me medesimo pirsonalmente di pirsona. Una specie di autoprefazione (autoprefazione parola composta da auto mobbila e prefazione come sopra) che fa rima con masturbazione e che, per come è stata scritta, in parte vi somiglia; insomma una specie di sega, però solo mentale.

C’era d’aspettarselo, o d’aspettarmelo, “dats ke” questo mio scritto non è un racconto, non è un testo, non è un giallo, un “noir”, un rosa, tanto meno un verde, sole che ride o leghista, insomma si tratta di un non di tutto, o di niente, se preferite.

Trattasi, infatti, o difatti (o di fatti) di una raccolta, o antologia, di alcuni dei miei pensieri, più scemi, o dementi (o deficienti) nulla tenenti e nemmeno nulla generali, nulla soldati, semplici o sergenti, caporali e caporali maggiori.

In verità, ma anche per bugia, si tratta soltanto di una piccolissima parte dei pensieri (o dei pinzieri) che ho avuto negli ultimi tempi, ovvero negli ultimi minuti, tra il terzo e il quarto, verso il tre e mezzo (da non confondere con il sette e mezzo, gioco d’azzardo, meno rischioso dell’asso e piglia tutto e meno complicato dello scopone, scientifico).

E’ stato molto divertente e spero che in qualche maniera lo sia anche per gli improbabili lettori e lettrici che avranno la bontà e l’ardire di aprire e leggere anche solo la curiosità di “vedere” come andrà a finire e dove andrò a “pararare”. E’ anche stato emozionante, o quasi, più che altro inutile se non addirittura deprimente.

Ho perso l’abitudine, o la consuetudine, il vizio insomma, di camminare, mangiare, lavorare, dormire, scopare e fare qualsiasi altra cosa sempre con un block notes in tasca ed una biro di colore, rigorosamente nera.

Scrivere a mano, oltre che aiutare a mantenere in allenamento l’arto che solitamente uso per scopi più piacevoli, aiuta a pensare.

Lo faccio perché il pc è rotto (prima è stato impegnato) più che altro s’è incazzato, per dire la vera verità ha contratto un virus e non funziona. Meglio sia successo a lui che a me, o ad altri, meglio a lui che a quello.

Ciò mi consola anche se non sono riuscito a comprendere come sia successo giacché è sempre rimasto a casa, dentro il soggiorno, sopra la sua bella scrivania in noce di legno e di colore e non ha avuto alcun contatto esterno.

Scrivere a mano con una biro nera è alquanto divertente, oltre che faticoso. Specie per me che non lo facevo più da tempo; beh, da qualche giorno, a dire il vero (o la verità) da ieri, anzi da ieri sera.

Scrivere con una penna biro su carta bianca a righe, è come sollevare il tempo e andargli dentro ripercorrendo, anche fisicamente, i sentieri della mia infanzia ma anche della mia giovinezza e, ahimè, della mia maturità, o vecchiezza (o vecchiaia).

I pensieri, tra l’altro, specie i miei, soprattutto (o sopra tutto) in questo periodo rassomigliano a formiche, o insetti, rigorosamente neri come le lettere rapidi e veloci e vanno dappertutto (o dovunque, in qualsiasi luogo, o posto).

Quest’esercizio mi costringe, più che altro mi stimola anche la mente, perché quando scrivo è come se avessi dei tappi nelle orecchie e le pagine diventano come foglietti ripiegati; sono parole contro parole, una sorta di vento vociante o un fiume con mille affluenti che vanno in piena e urlano, se gravidi.

Le mie parole sono grosse, in soprappeso, pesanti e rompono gli argini, il silenzio del tempo e dello spazio nel quale erano rimaste bloccate, come incantate e soggiogate.

Cappero quante parole riesco a scrivere!

Con tutte le parole che uso normalmente potrei riempire le facciate del mio palazzo e anche dei fabbricati difronte (o di fronte) di spalle e di lato.

Sono parole che borbottano come fossero solleticate e torturate dalla storia della mia storia che non è la storia che si scrive e si studia ma che è pur sempre una storia singola nella storia più grande.

Le mie parole ridono, hanno una propria voce, una faccia, s’emozionano e m’emozionano; al massimo mi lasciano del tutto indifferente.

Sono un personaggio, non solo fisico.

Ho un inizio e, probabilmente, avrò anche una fine, spero la più lontana possibile e un fine, spero nobile, o almeno utile se non a me almeno alla collettività.

Mi piacerebbe elogiarmi e, in verità, lo faccio spesso, in continuazione e per davvero, specialmente quando apparentemente parlo male di me. Ciò nonostante non ho parole d’elogio, è piuttosto (non più tosto, magari!) il racconto che si elogia come un incanto di parole per me, dense come un ragù rimasto troppo sul fuoco, ballerino come un budino poco cotto, pieno di parole che si rassomigliano a voci che si allungano e si perdono.

Le mie parole hanno un dentro e un fuori, come le patatine sono croccanti, scrocchiano, hanno un sopra e un sotto, un laterale destro e uno sinistro, un fondo e un tetto.

Le mie parole risalgono, scendono, si fermano a bere un caffè e ripartono, schiantano e sprofondano perché sono fatte di abisso e di cima, di acme e di imo, di colore e di bianchi, di pieni e di vuoti, di profumo e di puzze, di luci e di buio, di sospiri e di urla, di piccoli universi e di grandissime speranze.

Le mie parole sono quadri, canzoni, poesie, se le portassi dal ginecologo scoprirei che sono gravide (o incinte, o pregne) e che partoriranno altre parole, ancora più gravide e già pronte a partorire altre e altre ancora e così via.

Nelle parole ritrovi la mia e la vita degli altri, tutti i suoni e i rumori, le emozioni e le inemozioni, tutto e niente. La mia vita, quella degli altri, meglio se di altri , meglio ancora se mia e di altri, tanti, tantissimi altri, più sono e più mi diverto.

Erano parole che covavo da sempre come una chioggia con i pulcini, le tenevo in caldo aspettando questo momento e, man mano che le scriverò, sarà come restituirle o regalarle al mondo.

Sarà come accendere migliaia di luci nella stanza del cuore e raccontare le emozioni senza l’ipocrisia della vita.

La mia scrittura dicono ( io e me medesimo) colpisce nel segno.

Far centro (magari!). Potrei vantarmi anche di questo oltre che di altri centri.

Ho timore (sono sicuro) che a questo punto sarete preoccupati e posso comprendervi. La mia scrittura oggi è come un’incontinenza addomesticata, me ne rendo conto, per fortuna ho raggiunto il limite di questa pagina (le altre le ho finite prima) e della mia discrezione.

Non dubito che prima o poi riuscirò ad abbracciare l’intero universo con i miei nuovi personaggi ed anche con tutti quelli che voi già conoscete.

Sono uscito dal seminato? Ho perso il controllo, il senso e la misura? Beh, avete i commenti per dissentire, per lasciare critiche ed eventuali reclami.

Anche i complimenti.

Sono un democratico sebbene non cristiano, per il vero solo non praticante, meglio ancora non sono mai stato un democristiano.

Ho sempre pensato che i sogni siano la fantasia e che entrambi debbano rimanere, a differenza della vita, coi piedi per aria giacché ci garantiscono la nostra quota di stelle.

Io sono il tipo di uomo che sogna per creare e realizza per sognare.

Sono un tizio speciale, lo sono sempre stato sin da bambino.

Ho sempre pensato d’essere una lenticchia in uno scatolo di fagioli. Ho scoperto, poi, d’essere un borlotto in un barattolo di cannellini ed oggi so d’essere solo un chicco di riso fra migliaia d’altri tutti uguali e cotti, in qualche caso anche stracotti.

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Io e il mio pc

“…I testi di Gaetano Guerrieri sono autentici gioielli che rimarranno nella storia della letteratura italiana… “ (Gaetano Guerrieri)



Line 0 – uno



Questo racconto è stato scritto col computer.

E’ un Pentium IV a 1800 Mhz e 300 Mb di Ram dotato di masterizzatore, lettore DVD, schermo ultrapiatto a cristalli liquidi da quindici pollici e di tutto l’occorrente per funzionare, collegarsi ad internet e navigare. Valore commerciale 1.500,00 €. pari a circa tre milioni delle vecchie lire.

Per comprarlo ho dovuto contrarre un piccolo prestito.

Facendolo ho compreso come nella vita si possa ottenere qualsiasi cosa ma anche che non basta desiderarla.

Per l’acquisto del pc è stato necessario firmare dodici cambiali che mi consentiranno di pagare l’importo in piccole rate mensili ma appesantite dall’interesse.

Nessuno ti regala niente a questo mondo ed i venditori di computer non fanno certo eccezione.

Il mio, gentilissimo e, apparentemente, più disponibile di altri, si è accontentato di un piccolo anticipo e di qualche fotocopia.

Carta d’identità e busta paga. Inoltre mi ha regalato una scatola da dieci floppy disk già formattati e tre cd nuovi da 700 mb di cui uno riscrivibile.

In compenso si è completamente disinteressato del trasporto e del montaggio. Prestazioni che avrei dovuto pagare a parte.

Scrivo con Word "Professional" dotato di correzione automatica. Pacchetto software compreso nel prezzo ma senza licenza d’uso. Mi perdonerete, di conseguenza, se in questo racconto troverete grossolani errori o delle parole fuori d’ogni logica e periodo che niente, o pochissimo, hanno a che fare con tutto il resto.

Oltre alla nota incapacità di scrivere correttamente, dovuta alla mia sterminata ignoranza grammaticale, ed agli inevitabili errori di battitura, dovuti alla mia proverbiale distrazione, il Word "Professional", che ragiona e scrive proprio come me, apporta al testo, indipendentemente dalla mia volontà, modifiche alla cazzo di cane cercando di correggere quelli che interpreta come sbagli. Facendolo a volte mi è d’aiuto e altre no. Spesso, difatti, è proprio lui che crea strafalcioni. Ha in dotazione un vocabolario limitato e il suo giudizio è, in genere, quanto meno superficiale. Il risultato più evidente e meno piacevole, almeno per me, è che sono costretto a rileggere innumerevoli volte i testi che scrivo sino ad arrendermi quando finalmente m’accorgo che anche alle modifiche delle correzioni apporta ulteriori rettifiche. Il Word è uno spirito libero, proprio come me, con l’aggravante d’essere un “professional”. Questa condizione lo rende talmente testardo e presuntuoso che é del tutto inutile provare a fargli cambiare opinione ed atteggiamento.

E’ anche e, soprattutto, per questo motivo che tra me e il mio pc è subito nato un grande amore destinato a durare ed a consolidarsi nel tempo. Si è trattato del famigerato colpo di fulmine che, in passato, a me non era mai successo. Al cuor non si comanda, dicono. L’amore è un sentimento talmente vasto e assoluto che non bada al sesso, alla religione, alle convinzioni politiche, alle etnie e ancora meno alla sostanza. C’è gente, difatti, che ama il denaro, il potere, l’auto o altre cose che non hanno vita e sono meno utili di un pc ed io, che probabilmente non ho amato mai nessun altro oltre me stesso, mi sono follemente innamorato di uno schermo, un mouse ed una tastiera. Per fortuna sono ricambiato. E di questo sono grato alla vita.

D’altronde per una persona complicata e sfigata come me trovare qualcuno, o qualcosa, disponibile è già di per se straordinario. Specie di questi tempi. La nostra, a differenza di altre, è una storia felice anche se non abbiamo ancora fatto sesso.

Eventualità, quest’ultima, sufficientemente imbarazzante giacché, per farlo, dovremmo ricorrere al virtuale. Il solo pensarlo mi crea imbarazzo e mi riporta alla mente spiacevoli momenti. In gioventù, e per qualche tempo, infatti, come tutti i miei coetanei, fui dedito a questa stressante e solitaria attività dell’immaginazione che come il fumo provoca assuefazione e anche qualche brufolo. Imparai a mie spese così che il brufolo è come il cane che dorme e che per combatterlo non bastano costose creme o saponi allo zolfo. Per fortuna con l’avanzare dell’età e con l’indispensabile aiuto di qualche ingenua e disponibile fanciulla riuscii poi a conoscere e ad apprezzare esercizi fisici più concreti e, senza dubbio, più soddisfacenti. Attività fisica tutt’altro che scontata o semplice giacché consequenziale a quella più complicata e impegnativa del corteggiamento. Ma come ogni cosa gradevole anche questa piacevolissima attività che migliora lo status fisico e mentale presenta delle controindicazioni per cui è buona norma non abusarne. Il suo uso e consumo massiccio difatti, specie nei lunghi periodi, può causare cefalee, pianto e terribili complicazioni affettive che possono indurre a scelte irresponsabili quali il matrimonio e la convivenza. In sostanza se il sesso non può che far bene, l’amore, che in realtà non è che l’invenzione più subdola dell’uomo per far sesso, comporta infide trappole nelle quali, volenti o nolenti, si rischia di rimanere impigliati. Ciò nonostante l’idea di far sesso con la persona amata stimola talmente tanto la fantasia umana che in molti differenziano il sesso vero dall’amore. Le donne più degli uomini per far sesso hanno bisogno d’amare. Saranno bugiarde o raffinate però è consigliabile darle corda altrimenti si rischia di ritornare alle vecchie abitudini. Per fortuna tra me e il mio computer non ci sono queste complicazioni sentimentali e tutto sembra filare liscio. Almeno per il momento. Come tutte le storie d’amore forti e passionali, però, anche la nostra è costellata da piccole incomprensioni che scatenano stupide liti e portano a grandi silenzi. Da quando l’ho conosciuto passo tantissimo tempo con lui ma anche l’amore più grande, da solo, non può riempire la vita di un uomo. Accade così che, ogni tanto, gli preferisco la televisione, un buon libro, una passeggiata o lo stereo e lui non capisce e, soprattutto non gradisce. Quando succede diventa talmente dispettoso che riesce a farsi odiare. E’ talmente stupido e meschino che a volte penso di lasciarlo per ritornare con la mia vecchia ma affidabile macchina per scrivere. Lei che, sono certo ancora m’ama, m’aspetta, senza protestare, sul quarto ripiano dello scaffale in cantina. Lei che è stata il primo e uno tra i miei più grandi amori non mi ha mai dato i problemi di questa splendida ma inaffidabile macchina. Difatti il mio pc non solo nasconde e fa sparire testi e poesie (per farmeli ricomparire quando non mi servono più) ma, talvolta, è talmente fastidioso e ridicolo che, pur di farmi soffrire arriva persino ad infettarsi con strani, subdoli e persistenti virus. Ho dovuto così, più volte formattarlo perdendo per sempre alcuni dei miei migliori scritti. Capolavori che sarebbero rimasti nella letteratura italiana e che avrebbero arricchito l’umanità della loro straordinaria passione ma che sono andati perduti dietro i suoi stupidi capricci d’amore. Lui è così, mi vuole tutto per sé ed è gelosissimo, persino degli uomini. Sono sicuro, infatti, che odia Santoro, l’ex conduttore dell’epurato programma televisivo “Suscià” perché teme mi piaccia fisicamente. Naturalmente si sbaglia. Io Santoro lo stimo moltissimo ma fisicamente non lo trovo per niente attraente. La televisione non mi ha mai entusiasmato però la trasmissione di Santoro la seguivo volentieri. Con Socci guardo ancora meno televisione e il mio pc. è felice, proprio come il presidente del consiglio perché ora ho più tempo da dedicargli. Socci come giornalista (e anche come uomo) è inguardabile e mi fa venire da piangere. Non é solo un caso e il mio pc riesce a capirlo. Solo che travisa i fatti e confonde l’intelligenza con l’amore proprio come il presidente del consiglio confonde e mischia l’interesse personale con quello degli italiani. Per molti versi il mio pc e Berlusconi si rassomigliano. Entrambi pretendono tutte le attenzioni, cambiano a proprio piacimento le carte in tavola, vendono fischi per fiaschi, fanno quel cazzo che gli pare senza dar conto a niente e a nessuno e sono convinti d’essere talmente importanti ed al di sopra d’ogni regola e legge che possono permettersi tutto. Ciò nonostante tra i due vi sono delle evidenti differenze. Il primo è utile, nonostante i palesi difetti, mentre il secondo non solo è antipatico ma anche, e soprattutto, dannoso. Il mio pc, inoltre, può essere reso innocuo semplicemente spegnendolo mentre per l’altro è più complicato.
Bisogna comprendere che interesse e politica non sono attività troppo diverse dall’amore ma che qualche volta coincidono. Nel caso di Berlusconi sono un tutt’uno.

E anche per il mio pc. Infatti ogni volta che l’accendo mi chiede se e quanto lo amo. Per non scatenare rappresaglie e non creargli dispiaceri a volte faccio finta di non averlo sentito ma quando non posso proprio farne a meno gli rispondo che lo amo tantissimo. In fondo lui non nasconde biechi interessi ma é soltanto presuntuoso e stupido e proprio come ogni essere insicuro cerca di sopperire le incertezze con la gelosia.

A differenza delle donne a lui riesco a perdonare questo difetto. E poi il mio pc è anche più stupido che qualsiasi donna perché é geloso persino dei libri pur sapendo che sono la mia più grande passione e che io amo ed utilizzo lui esclusivamente cercando di scriverne. Lui, che mi aiuta a scrivere i miei e che me li raccoglie e conserva non li sopporta, gli sono antipatici. Li trova noiosi e presuntuosi. Secondo me conosce solo i miei che, effettivamente, sono scontati, banali e scorretti. Di libri veri, con storie che fanno sognare e fantasticare, di quelli che sono scritti benissimo e che sono o resteranno nella storia della letteratura italiana non ne ha letto, temo, nemmeno uno. E questo credo sia il motivo principale della sua posizione nei confronti di questi straordinari prodotti della mente.

Che volete il mio computer è tale e quale a mia moglie ed a molte delle altre donne che ho avuto la fortuna e la sfortuna di conoscere. Tutte mi avrebbero voluto tutto e solo per loro incapaci di comprendere la mia profonda e radicata antipatia alla proprietà ed a qualsiasi altra forma di dipendenza. Io nella vita ho sempre scelto, o mi sono illuso, delle cose piuttosto che altre. La libertà di avere idee, più di quella fisica, è sempre stata immune da qualsiasi tentazione terrena. Provengo da una stirpe esercitata all’orgoglio e alla libertà totale e il nome che porto ne conserva la testimonianza. La libertà per gente della mia razza non è mai stata solo quella di spostarsi liberamente o di restare immobili su un trespolo ad ordinare ma quella di correre sempre contro il vento che trascina e ingabbia. Regole che sono riuscito a conservare e, spero, a trasmettere nonostante i molteplici errori, le mode e i cambiamenti di questo mondo.

Ciò nonostante posso capire mia moglie e il mio pc.

Chiunque, al loro posto, sarebbe portato ad agire nella stessa maniera. Un tipo come me non s’incontra tutti i giorni ed è naturale che vogliano avermi in esclusiva. Per le cose che valgono veramente, inoltre, è giusto lottare e combattere anche se, nel mio caso, è una guerra persa in partenza. Per avermi è sbagliato e controproducente provare a mozzarmi le ali.

Nonostante questi piccoli grandi difetti trovo che il mio pc sia davvero straordinario. Ha un masterizzatore velocissimo e copia i cd in tempo record riuscendo a contenere, oltre ai miei scritti e tutti i database delle mie innumerevoli cose, anche tutti i giochini e gli mp3 dei miei figli. Gli amici me lo invidiano, soprattutto il mouse e la tastiera senza fili.

Per la cronaca il vecchio Pentium II a 350 Mhz e 130 MB di Ram non solo non ho nemmeno provato a venderlo ma giace, in una scatola nella cantina, assieme ad altre cose usate e che dovrei buttare ma delle quali mi spiace, come tutte le altre con le quali ho diviso sensazioni ed emozioni, disfarmi completamente.