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Raccolta di testi in prosa di Giuliana Campisi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Giulia

Giulia sedeva alla finestra guardando il tramonto, si sentiva stanca.
Mancava poco ormai, il giorno era finito e il sole già sfiorava il mare. Tra poco sarebbe naufragato in esso.
Giulia pensava, esaminava a ritroso il suo passato recente, era stanca, stanca di ascoltare chi le aveva regalato stelle di latta e portata ad un fiume di carta stagnola, di chi le aveva mostrato soltanto la luna nel pozzo.
Stanca di chi, dopo averlo sognato, era caduto dal cielo ed ancora trascinava il suo aquilone nel prato. L’amore a volte è solo una forma, pensava, quella che tu gli vuoi dare.
Era stanca. Stanca di ascoltare parole vuote come barattoli usati, banalità, luoghi comuni, frasi fatte, “tu come stai?”, “lo sai che ti amo!”. L’amore, la comprensione non sono parole e non si nutrono di esse, ma ognuno sa dare nella propria maniera e lei aveva fatto la sua scelta e non sarebbe tornata indietro. L’amore a volte ha la forma di cuore.
Non le restava più molto tempo ormai, il suo autunno era passato. Ne sentiva ancora il profumo acre di terra bagnata, fragrante come pane appena sfornato, di castagne arrostite, di mele e cotogne e i colori intensi della vite americana e del melograno in fiore.
Restava poco ormai, il sole era già immerso a metà dentro il mare.
Doveva fare in fretta, finire le cose lasciate a metà, le parole, i desideri inespressi, le occasioni sprecate, i sogni sognati. Avrebbe messo tutto in un cassetto.
Avrebbe buttato via solo l’esperienza, in fondo, pensava, è solo ciò che ci rimane quando non abbiamo più nulla da dare.
Dove sarebbe andata non le sarebbe servito niente, sarebbe salita leggera, senza bagagli, senza valigie né fagotti e tutto le sembrerà inutile lassù, non avrà bisogno di chincaglierie.
Ma adesso era qui a guardare quel sole di fuoco, di cui sentiva ancora il calore, che in quel mare che profumava ancora di sogni, si stava coricando.
Questo pensava Giulia, guardando quel tramonto. Ma basta pensare, si disse, era giunto il momento di agire. Si alzò dalla sedia quasi con rammarico, con timore, come se stesse abbandonando un porto sicuro. Si scrollò di dosso quella sensazione ed incominciò ad aprire cassetti ed armadi. Tirò fuori qualche indumento, poca roba perché voleva viaggiare leggera, non voleva pesi, ingombri, non voleva scuse ad eventuali ripensamenti. Doveva tirar giù la valigia dal ripostiglio, doveva fare in fretta, non voleva incontrare qualcuno, dare spiegazioni. Avrebbe scritto poi una lettera, forse…
Persa in tutti questi pensieri, evidentemente, non aveva sentito bussare alla porta perché ora sentiva dei piccoli passi salire su per le scale ed avvicinarsi alla sua stanza…
- Nonna, nonna sono qui, sono venuta da te!
La piccola Paola con le sue treccine scure saltellanti le correva incontro e le si gettò addosso abbracciandola.
- Ma, ma … balbettò Giulia, cosa fai qui, che succede?
- Nonna non sei contenta di vedermi? Mamma mi ha portato qui da te per qualche giorno perché deve partire per lavoro. Non ti aveva avvertita?
Si accorse dello sguardo smarrito di Paola e subito l’abbracciò.
- Ma no tesoro, certo che sono felice di averti con me, accade così raramente! Ne sono felice, soltanto che è stata una sorpresa, una piacevole sorpresa!
Poi la bimba vide la valigia e gli indumenti sul letto.
– Nonna, ma devi partire? disse con voce preoccupata.
Giulia si girò, guardò tutta quella roba sparsa un po ovunque e disse:
- no, amore mio, stavo solo mettendo ordine nei cassetti.
- E la valigia? chiese Paola.
Lei pensò un attimo.
-L’ho presa per riporre tutto ciò che non mi serve più. Quel che mi serve l’ho qui davanti a me.
Niente è per sempre, ma niente finisce mai completamente.
Il sole non muore e domani ci sarà un altro giorno per combattere e per amare.

*

Cammino

E continuo a camminare, per raggiungere un traguardo o perché forse sto arrivando alla fine di un viaggio.
Cammino senza fermarmi e senza voltarmi indietro. Il passato non serve, è solo la spinta per andare avanti.
Cammino e cammino finchè il cervello mi dice “basta!”, ma le gambe hanno ancora forza, le ossa mi reggono ancora e continuano ad andare avanti senza chiedersi il perché.
Le scarpe sono oramai consumate, ma continuo ad andare avanti con la sola compagnia delle mie malinconie e delle speranze disilluse.
Cammino ancora, sono stanca, non ricordo più dove sto andando e perché.
Le suole consumate fanno intravedere i piedi ormai sanguinanti, ma continuo ad andare avanti. Non sono i piedi a farmi male.
Vorrei potere capire se la mia partita con la vita l’ho perduta o ancora mi spetta una rivincita. E ne avrò la forza?
Avrò ancora arcobaleni da immaginare e fotografie da mettere lì in bellavista sul cassettone per poterle guardare e vedere come siamo cambiati? Vedere quei sorrisi da posa e i capelli non ancora imbiancati e quella voglia di correre senza nemmeno chiedersi verso cosa.
Ma cammino e cammino, ho buttato via le scarpe, non servono più. I piedi ora sanguinano molto e incominciano a farmi male.
Cerco di guardare se c’è un posto dove possa fermarmi anche per un attimo, per riposare, per riflettere. Guardo avanti a me ma la nebbia non mi fa vedere nulla, per quanto io sforzi la vista vedo solo pallida e traslucida nebbia.

Sono allo stremo, un sottile fiato di vento mi rinfresca il viso, dirada leggermente la nebbia.
Intravedo qualcosa, sembrano sbarre di ferro, Un soffio di vento più forte spazza via la nebbia.
Adesso vedo.
Sono su un viale, chiuso lungo i bordi da una inferriata di ferro che arriva fino al cielo. Sembra una gabbia.
Non c’è via d’uscita, devo andare avanti.
Mi strappo le vesti, ne faccio fasce per i piedi, e cammino.
Vita bastarda non ti concederò la mia sconfitta!