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Raccolta di testi in prosa di Pasqualina Monaco
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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l’ultima primavera (cap. secondo)

CAPITOLO SECONDO

“Lo sai che mi manchi? Che ogni volta che vengo qui, su questa spiaggia, vorrei vederti emergere tra le onde, come quando eri appena una ragazzina e ti piaceva immergerti per troppo tempo, finchè esausta, tirando fuori la testa dall’acqua dovevo aiutarti mentre riprendevi fiato? Che sciocco che sono! Lo sò che non torni, eppure quando le onde si avvicinano, prima che si trasformino in schiuma e tornino in dietro, per un istante il cuore si ferma, gli occhi si chiudono e con le orecchie cerco di sentire i tuoi passi mentre mi vieni incontro. Tu sei sempre qui, lo sento, è per questo che quando le mura di casa diventano asfissianti io torno su questo nostro angolo di paradiso, tra la sabbia, i sassi, i cespugli che ci hanno visti uniti più che mai e che adesso mi accolgono, solo, per cullare i miei pensieri e curare il mio dolore”.

Quando dissero alle rispettive famiglie che presto avrebbero avuto un figlio, la gioia di tanto amore li avvolse, si sentivano come protetti e le paure e i timori che, intanto, nascevano e si alimentavano nei loro cuori, sembravano anestetizzati dall’entusiasmo collettivo che si era generato intorno a loro.
La prima ecografia fu magica. Lucia disse che non se la sentiva di farsi visitare da un uomo, si sarebbe sentita più a suo agio con Natascia, la sua amica delle medie che si era da poco specializzata in ginecologia, ma di cui, nonostante la giovane età, sentiva di potersi fidare. Fu così che, dopo poche settimane, circa otto da quando aveva fatto il test a casa, Lucia aveva il suo primo appuntamento ufficiale con suo figlio, un classico appuntamento al buio, con uno sconosciuto dal quale, però si sa già che non si rimarrà deluse.
Vincenzo si era preso un giorno libero dal lavoro, era teso, emozionato, preoccupato per la paura che qualcosa potesse andare storto; lui che solo qualche giorno prima era stato vittima della paura cronica di dover crescere, che come Peter Pan voleva fuggire sull’isola che non c’è, proprio lui sarebbe diventato padre; proprio non ci si vedeva ma, nello stesso tempo era curioso, elettrizzato.
Lucia era molto più serena. Sembrava che certe paure non la sfiorassero, già si sentiva più adulta, più matura, come se già qualcosa della sua vita di tutti i giorni fosse cambiata, come se quel bambino albergasse, non solo tra i suoi pensieri, già anche tra le sue cose, nei suoi spazi. No, non aveva paure di niente, o forse di tutto. Chi può saperlo veramente quello che succede dentro una donna? E non solamente a livello organico o ormonale; le donne hanno un posto segreto del loro cuore che non viene spesso abitato, neanche da loro stesse, ma che custodisce tutti i loro segreti, i loro pensieri, le loro paure; è quella la parte nascosta che si desta quando un evento nuovo e magico come una gravidanza si verifica. Lucia si sentiva forte come non mai.
Le visite dal medico non le erano mai piaciute, da bambina, ad esempio, aveva escogitato uno stratagemma che impediva a chiunque di poterla visitare; il trucchetto consisteva in una apnea forzata al limite della resistenza finchè non riusciva a provocarsi lo svenimento. Agnese, sua madre, era così turbata da queste reazioni che la bambina aveva di fronte al pediatra che l’aveva voluta portare da un neurologo convinta che la sua figlia fosse affetta da qualche rara malattia. “Furbizia cronica”, fu la diagnosi; il termine tecnico, in realtà era spasmo affettivo, ma, dietro questo parolone altisonante si nascondeva una forma di ricatto che Lucia, ma come lei tanti altri bambini, metteva in atto nei confronti della mamma per ottenere un risultato che, altrimenti, non avrebbe potuto raggiungere.
Era testarda Lucia, ostinata a tal punto che volle essere più forte di se stessa. Il giorno dopo aver fatto il test di gravidanza a casa, si recò in un laboratorio di analisi per verificare, con un prelievo di sangue, di essere veramente incinta. Anna, che lavorava in quel laboratorio, e che conosceva bene Lucia, non si mostrò molto serena nel farle il prelievo, temeva che la sua amica le sarebbe sventuta tra le braccia, ma non riuscì a dissuaderla. Ferma, concentrata, imperturbabile, Lucia le porse il braccio, guardò con aria di sfida l’ago della siringa mentre il metallo violava la sua carne, lo sentì mentre, con decisione perforò la sua vena e, mentre osservava il suo sangue uscire, si sentì forte, più forte della sua paura. Poi fu un attimo: Anna estrasse l’ago, si voltò per versare il sangue nelle provette “il beta è pronto nel pomeriggio, ti telefono io” disse voltandosi verso l’amica e, con grande stupore la trovò completamente distesa sul lettino, con gli occhi chiusi, svenuta per la grande scrica di adrenalina. Lucia si riebbe subito, d’altro canto era ancora digiuna, ma bastò un buon cappuccino e un goloso cornetto alla crema per farle riprndere un colorito decente. Non avrebbero raccontato a nessuno quell’esperienza.
“Il tuo beta è alle stelle, sei incintissima”, le disse Anna al telefono,”sono felice per te, auguri!” Poi, con gli esami fatti, si era sentita pronta ad affrontare anche la prima ecografia e Natascia, per la sua calma e la sua estrema pazienza sarebbe stata la persona giusta. L’appuntamento era per le sedici, Lucia era di fronte allo studio medico con trenta minuti di anticipo, camminava avanti e indietro, mordicchiandosi le unghie delle mani, Vincenzo la osservava a pochi metri di distanza, se avesse provato ad avvicinarsi lei sarebbe andata su tutte le furie, non amava che qualcuno la credesse non capace di affrontare i momenti seri della vita. Vincenzo si limitava a fissarla, nel suo solito silenzio, contemplando allo stesso tempo, la dolcezza e l’armonia della sua donna, ma anche le sue eterne contraddizioni, che la rendevano ancora più magica ai suoi occhi.
Il lettino del ginecologo è il posto più scomodo su cui sedersi, forse è stato progettato insieme alle macchine per le torture, con quei due braccetti di acciaio che ti costringono ad una posizione quantomai imbarazzante:”per i figli si fà questo ed altro” sussurrava Lucia mentre si sottoponeva alla visita, ma non ci credeva molto neppure lei in quello che diceva. Per fortuna fu tutto molto breve e delicato; dopo il primo controllo, dunque, Natascia accese l’ecografo, voltò lo schermo verso Lucia e Vincenzo, che intanto aveva trovato il coraggio di avvicinarsi alla moglie, e disse loro:”Adesso faremo la conoscenza di vostro figlio”.
Il gel sulla pancia era freddissimo, Lucia ebbe un brivido per tutto il corpo; Natascia, con la sua solita delicatezza le posò quello strano oggetto sulla pancia e fece una lieve pressione. La sensazione non fu piacevole nell’immediato; la mano del medico scorreva in avanti e in dietro alla ricerca di qualcosa, poi “ah! Eccoti qui!”, la voce di Natascia squillò decisa nella stanza in cui, in realtà stava regnando un concentrato di silenzio e ansia; Vincenzo e Lucia si guardarono in torno, un po’ sconcertati, poi si misero a fissare sullo schermo del computer quella confusa macchia grigia che Natascia stava indicando loro. “Questo cerchietto che vi sto’ evidenziando si chiama sacchetto vitellino ed è, in pratica, il monolocale che vostro figlio ha preso in affitto per i prossimi nove mesi, qui, lui o lei, potrà crescere e nutrirsi dalla sua mamma attraverso il cordone ombellicale. Allora, che ve ne pare? Che effetto vi fa, siete emozionati?”
Lucia e Vincenzo, in realta’, erano più che altro perplessi, non avevano, poi, capito granchè di tutto quel discorso e non riuscivano a fantasticare poeticamente di fronte alla visione di una macchietta grigia. Natascia capì benissimo quello che i suoi due amici stavano provando senza riuscire ad esprimersi, allora intervenne di nuovo invitandoli ad ascoltare attentamente, poi si voltò verso il suo computer, spinse u pulsante di accensione, ruotò una manopola, come quelle del volume dello stereo e chiese loro “ siete pronti ad emozionarvi?”
Con una lieve pressione sul mouse, ingrandì una sezione di quella macchia grigia, al suo interno si schiarì l’immagine di un punto più scuro che sebrava pulsare ad intermittenza, Natascia cliccò su quel puntino nero ed avvenne la magia: tum, tum, tutum, un ritmo veloce, deciso, incalzante. Non ci fu più bisogno di parole, i due innamorati si fissarono a lungo negli occhi senza riuscire a trattenere le lacrime; avevano appena ascoltato il cuore di una nuova vita battere forte, dentro Lucia, dentro le loro vite.
Quando uscirono dall’ambulatorio il cielo si era già fatto scuro, l’aria era cambiata, faceva più freddo, diverse nuvole a macchie grosse minacciavano un temporale imminente, un vento pungente si stava alzando, spostando polvere e foglie; i due attraversarono a piedi la piazza principale del paese, percorsero in silenzio il lungo viale dei tigli, che in primavera emana il tipico odore pungente dei suoi fiori, ma che, in autunno si trasforma in una immensa distesa di foglie secche. Alcuni bambini correvano davanti a loro, calpestavano le foglie, le raccoglievano a mucchi e se le tiravano addosso, i loro genitori li richiamavano alla compostezza, ma quei monelli non ne volevano sapere di dar retta a quelle raccomandazioni: si sentivano padroni del mondo. Vincezo pensò che avrebbe voluto un maschietto con cui fare giochi simili, ma senza inquietarsi, semplicemente godere del divertimento di suo figlio ed esserne complice; Lucia disse “sarà una bambina, me lo sento”.
Rientrati a casa rimasero a lungo abbracciati, seduti sul divano avvolti in una soffice e calda coperta di lana a fissare le foto dell’ecografia appena fatta, poi fecero l’amore. La notte ebbe per colonna sonora i tuoni di un temporale violentissimo, la pioggia scese giù forte, il vento, filtrando tra le fessure delle finestre, dava voce a fischi e suoni cupi e tetri, una notte inquietante. Lucia, che era solita dormire tutta stesa e rilassata, quella volta si trovò rannicchiata e abbracciata al marito, dolce rifugio di tutte le sue inconfessate paure; si accarezzò la pancia e pensò che di li a poche settimane non avrebbe più potuto accovacciarsi in quel modo perchè il suo pancione non glielo avrebbe permesso.
Quando furono svegli ebbero modo di riflettere che forse tutte le loro ansie, in reltà erano come il temporale, cioè qualcosa che ti turba, può anche durare a lungo, ma ad un certo punto si placa e, la mattina dopo, tutto è di nuovo sereno. Il cielo di novembre era caldo, l’estate di S. Martino avrebbe offerto gli ultimi momenti di tepore prima del lungo inverno; Lucia fece il caffè, come sempre, preparò il latte, la tavola della colazione ma, un attimo prima che la moka eruttasse le prime gocce di caffè, proprio nell’istante del primo sbuffo di profumo, il suo stomaco fù colto da una sensazione di nausea e disgusto, corse in bagno e vi restò chiusa per un bel po’. Quando ebbe finalmente il coraggio di uscire, aprì la porta e si trovò di fronte la sagoma di Vincenzo che ridendo come un matto l’abbracciò e le disse:”sei veramente incinta, fin’ora credevo fosse stata solo una favola!Ti amo”.

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l’ultima primavera (cap. primo)



“Porto stretti nel cuore tutti quei giorni che il tempo non mi ha concesso di vivere con te. Poi c’è la fede, quella in Dio, l’unica spiaggia sicura su cui il mio cuore ferito può naufragare e curarsi dal dolore della tua perdita. Tu hai lasciato un’impronta indelebile nella mia vita, sempre presente come un’ombra dietro di me, ti sento.
Sei la parte incompiuta, il desiderio insoddisfatto, quella vita che nei sogni ho voglia ancora di vivere. Mi addormento col desiderio di una nuova alba e di un nuovo tramonto accanto a te, ma tu non ci sei più, non tornerai. Mi manchi. Vengo tutti i giorni qui, su questa spiaggia dove tutto è avvenuto, il primo bacio, la prima volta, la promessa e l’addio, ma il tempo scorre solo in una direzione, sempre avanti, e anche se mi volto di spalle, lui, il tempo, non torna indietro, e nemmeno tu. Tu non puoi.
La mia mente si contorce, non si arrende, ti cerca nei ricordi, nei rumori, nei suoni e nei colori, poi si ferma e ti trova in un profumo, quello del mare di mattina, in quella brezza che ti carezzava dolcemente, in quel chiarore che solo il cielo dell’alba porta con se. La mia mente ti ritrova proprio li e si ferma a guardarti.
Anima mia, sono un uomo che si è perso."

Lucia era una donna bellissima, i lunghi capelli ricci e castani e il viso roseo facevano da splendida cornice alla luce abbagliante dei suoi occhi azzurri; forte e coraggiosa, la compagna dolce e innamorata di un uomo, Vincenzo, che alla vita non aveva mai chiesto molto, ma che, invece, aveva avuto tutto, aveva avuto lei.
Se c’era una cosa che Lucia amava profondamente era alzarsi all’alba, specialmente in primavera, quando anche suo marito si svegliava per andare al lavoro, una vita semplice, uno spirito umile. Faceva il caffè, lo versava nella tazzina, bollente e fumante,”mi dà energia” diceva sorridente a Vincenzo che tutte le mattine la guardava mentre lei eseguiva quel rito, e la casa si riempiva di quell’energia. C’era vita in lei, vita e amore.
Lui faceva il piastrellista, un lavoro fatto di fatica. Freddo d’inverno e caldo d’estate, si alzava la mattina presto, verso le cinque, quando il resto del mondo ancora dorme profondamente; Una doccia tiepida e veloce lo scuoteva dal torpore del sonno, poi in macchina fino al cantiere dove, coi suoi soci, avrebbe trascorso il resto della giornata tra piastrelle, stucchi, polvere. Dieci ore ininterrotte poi di nuovo a casa dal suo tesoro. Era stato sempre così, anche da fidanzati, lei era stata il suo primo amore, a diciotto anni, quando Lucia ne aveva soltanto tredici, un po’ come Romeo e Giulietta, si erano amati con la tenerezza di due fanciulli e lo avevano capito presto che la loro sarebbe stata una storia lunga, insieme per sempre.
Lucia si occupava di contabilità presso un piccolo ufficio privato del suo paese, Notaresco, a pochi chilometri da Roseto,su una collina che, da casa sua, le permetteva di salutare tui i giorni la grande passione della sua vita: il mare; quella grande distesa di acqua e di sale , di odori e suoni che in nessun altro posto è possibile trovare. Quando poteva, Lucia prendeva la sua auto e fuggiva via, scendeva al mare percorrendo una strada rotta e contorta che solcava la collina attraversando le campagne circostanti, non era comoda quella strada, ma lei amava fare così e nessuno le avrebbe fatto cambiare quella abitudine. Era bella Lucia, bella e testarda.
Un pomeriggio di fine Agosto, di sabato, quando ancora l’età dell’innocenza viveva in loro e nel suo massimo splendore, Vincenzo la convinse a prendere l’autobus per andare in spiaggia, “fà caldo, ho voglia di fare il bagno al mare, vieni con me”, lei era un po’ titubante, i suoi non avrebbero gradito, ma Vinc era così carino e fino ad allora aveva sempre rispettato i limiti di tempo che Lucia aveva per stare con lui, e lei non se la sentì di rifiutare:”ok, rischiamo,vengo con te”.Poi di corsa a comprare i biglietti, fecero appena in tempo a salire sù che l’autobus prese la via della statale che portava a Roseto. Erano giovanissimi, si amavano di un amore tenero, si tenevano sempre per mano, quasi ad impedire che qualcuno o qualcosa potesse dividerli, erano una cosa sola. Si appartenevano.
Quel pomeriggio fecero il bagno insieme, nuotarono fino agli scogli, rimasero a lungo sdraiati uno accanto all’altro a godere di quel caldo estivo così intenso che ti riempie il cuore, ma forse non era solo il caldo che saziava i loro cuori, e fù proprio quel pomeriggio che Vinc un po’ timido e impacciato le si avvicinò un po’ di più, le sussurrò i suoi sentimenti e la baciò. La prima volta, delicatamente, proprio come Lucia aveva sempre sognato. Poi gli anni passarono in fretta ma Lucia sembrava sempre troppo fanciulla vicino a quell’uomo che ,invece, sembrava sempre troppo maturo. Si volevano sposare. Lui col suo lavoro guadagnava abbastanza bene da poterle garantire una vita serena e d’altronde ormai anche i genitori di Lucia non potevano che accettare una storia che durava da quasi dieci anni.
Vincenzo aveva organizzato tutto in maniera impeccabile, glielo avrebbe chiesto in spiaggia come aveva fatto quella volta che le aveva rubato il primo bacio e lei avrebbe detto sì. Dunque si era presentato a casa di lei , come ogni sera da dieci anni ormai, e l’aveva invitata a salire in macchina:”ti devo parlare, vieni con me”. Poi durante il viaggio fino a Roseto lui non aveva più detto una parola e Lucia aveva cominciato a nutrire il timore che forse c’era qualcosa che non andava, ma Vinc era fatto strano, non diceva mai tante parole, era lei quella estroversa, chiacchierona, quella che doveva sempre raccontare ogni cosa. Lui no, lui era silenzioso, non si capiva mai cosa gli frullasse in testa, non gli si riusciva mai neppure a carpire un segreto, e dunque fino all’ultimo minuto lei non aveva capito nulla.
“Dove mi stai portando?”
“Stai zitta, aspetta”. Le sue uniche parole.
Quando furono giunti in spiaggia Vincenzo cercò un posto abbastanza appartato, con la sua macchina si spinse fino ad un punto isolato della riviera, dove la strada si perdeva tra cumuli di sabbia e cespugli incolti, si stava facendo buio, una lieve brezza cominciò ad alzarsi dal mare, tutt’intorno il silenzio rotto soltanto dal frangersi delLe onde sugli scogli a pochi metri da loro. Vincenzo parcheggiò l’auto, poi scese per aprirle lo sportello, le tese la mano per aiutarla a scende, proprio come si conviene ad una principessa, le accarezzò il viso, la baciò. Lui aveva negli occhi una luce magica, era commosso dalla bellezza di quella ragazza che mai avrebbe creduto potesse amare uno come lui, così comune, con poche pretese, ma anche con poche prospettive; lui, un uomo normale con accanto una donna tanto speciale.
Tutt’intorno il cielo imbruniva, l’atmosfera era quella giusta, il momento era quello giusto e la musica pure, una salsa di Gloria Esthefan, “Hoj”, una melodia dolce e sensuale, romantica e appassionata. Vincenzo l’abbracciò, le avvolse la vita con le sue braccia e cominciò a ballare dolcemente. Forse era proprio questo che aveva fatto innamorare Lucia, quel modo che aveva Vinc di ballare con lei; la sua presa era forte, vigorosa,calda e potente, mentre ballavano lei si sentiva turbare l’anima per il senso di trasporto che quei lenti passi le procuravano, si perdeva tra le sue braccia e rimaneva lì avvolta nel turbinio della sue emozioni. La musica finì e loro rimasero stretti l’uno all’altra, il respiro lento, immobili nei corpi ma stravoti nell’anima dal desiderio di amarsi;”sposami”.
Poi fecero l’amore, a lungo, intensamente, non era la prima volta, ma, come se lo fosse stata, l'avrebbero ricordata per sempre. “Si, ti sposerò”.
Le loro anime si erano incontrate, i loro corpi si erano uniti, le loro mani si erano intrecciate nella sabbia accarezzando i corpi nudi e le promesse avevano sugellato il loro amore. Si sposarono pochi mesi dopo, giusto il tempo di organizzare l’indispensabile, anche se i genitori di Lucia avrebbero voluto fare delle nozze più sfarzose per la loro unica figlia femmina; ma seppero limitarsi senza invadere con le proteste le scelte dei due innamorati. La festa degli amici fu calorosa e briosa, tutti sapevano quanto Vincenzo fosse cambiato per quell’amore e tutti furono felici quando li videro finalmente sposi.
Poi la vita riprese con i ritmi di sempre, sveglia all’alba, doccia e di corsa a lavorare, ma adesso c’era lei li con lui, lei che lo svegliava con u bacio, lei che preparava il caffè, lei che farciva il suo panino per il pranzo, lei che lo aspettava alla finestra quando rientrava dal cantiere. La vita sempre uguale di tutti i giorni non era mai parsa tanto speciale.




Lucia era molto religiosa, andava a messa tutte le domeniche e insegnava il catechismo ai bambini della prima comunione; Vincenzo non era mai stato un praticante, una volta si ricordava di essere andato al catechismo, ma non si ricordava se per la comunione o la cresima, e, comunque, per lui non faceva molta differenza. Lucia lo fece innamorare, non solo di sè, ma anche del suo modo di vivere la vita e così, giorno dopo giorno, Vincenzo scoprì che aveva molto in comune con quel modo di essere cristiano che non conosceva o che forse non ricordava più. Lui, a pochi giorni dall’aver compiuto diciotto anni e appena sette mesi prima di conoscere Lucia, era andato via di casa per inseguire il sogno della libertà in Spagna, con alcuni coetanei era partito, zaino in spalla e con poche centinaia di lire in tasca, credeva di poter affrontare un’esperienza fatta di avventura, canne ed elemosina. Il suo sogno si era trasformato ben presto in un incubo: i soldi finirono prima del previsto, un po’ perchè il fumo costava caro anche in Spagna, contrariamente a quanto avevano raccontato quelli che ci erano stati prima di lui, e poi perchè senza lavoro e nessuna voglia di cercarne uno difficilmente sarebbe stato sufficiente quello che si racimolava con l’accattonaggio.
Per la prima volta in vita sua Vincenzo telefonò alla madre per chiederle scusa del suo comportamento infantile, ma anche duecentomila lire per il biglietto aereo. Quattro ore di volo più tardi, un nuovo Vincenzo atterrava a Roma, sfatto, non più fatto, stanco delle utopie e delle cazzate da adolescente; poche settimane lo separavano dall’ incontro che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.
Vincenzo si era messo a lavorare seriamente, appassionandosi ad un settore dell’edilizia che riteneva alla sua portata; all’inizio aveva cominciato solo per compiacere la madre, ma era bastato poco perchè si accorgesse che fare il piastrellista, in realtà gli piaceva.
La paga non era granchè, ma lui non sapeva fare niente; poi, però, il suo capo, un pò perchè se l’era meritato, un pò per non farlo andare via, aveva aggiunto qualcosa e lo stipendio cominciava a dare le sue soddisfazioni. Il sabato sera restava sacro, dedicato completamente al relax prima e allo svago poi. Ci si incontrava con gli amici al bar di Antonio, in piazzetta proprio di fronte alla chiesa e si beveva qualcosa prima di andare a cena tutti insieme e poi a ballare in discoteca fino all’alba. Tutti i sabato sempre allo stesso modo finchè un pomeriggio di metà autunno gli era capitato di incrociare con lo sguardo gli occhi più belli che avesse mai visto. Lucia usciva dalla chiesa dopo la messa e per tornare a casa attraversava la piazzetta proprio all’altezza del bar in cui Vincenzo era solito incontrarsi con gli amici. Uno sguardo e basta, lui rimase fulminato, lei rapita, il resto è storia, tra mille difficoltà, con tanta pazienza di lui e coraggio di lei dopo ben dieci anni sarebbero riusciti a sposarsi.


C’è un periodo dell’anno in cui, tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, quando ancora le foglie non cominciano a cadere dagli alberi, non si sà bene perchè, ma già se ne sente il rumore. Cambiano i colori, tutto rallenta, è come se da un momento all’altro qualcosa debba accadere; si aspetta immobili, in silenzio. Si sente il bisogno di un po’ di tepore, del lieve calore della lana; allora metti la prima coperta sul letto, frughi nell’armadio per cercare una maglia più pesante, una stasi, ma paradossalmente inquieta. Vincenzo, che la vita non aveva dotato di tante parole, si sentiva irrequieto, una condizione, questa, che non gli apparteneva e che, quindi, non riusciva a comprendere. Restava spesso chiuso in bagno, dopo il lavoro faceva una lunga doccia e rimaneva lì, in una solitudine che mai gli era parsa così affascinante; si fissava nello specchio in attasa di una risposta, ma , com’è ovvio, non otteneva nulla se non altre domande. Si sentiva uno stupido, un’ingrato, ma nonostantente questi senzi di colpa non poteva fare a meno di ammettere, almeno con se stesso e nell’intimità della sua nudità, che temeva di aver perso qualcosa della sua vita e che sentiva il bisogno di recuperare. Poi, se si trattasse di una fuga vera e propria, o semplicemente del bisogno di un po’ di tempo per sè, questo non gli era ancora chiaro. Decise che avrebbe seguito il suo istinto, senza parlare, com’era nel suo stile, per paura di ferire Lucia con frasi che non avrebbe saputo controllare e perchè, in fondo non sapeva che cosa dire.
In effetti il matrimonio con Lucia era bello, sereno, a tratti pieno e appagante, ma quel ragazzaccio che dormiva in lui, quello della Spagna e delle canne, per intenderci, non voleva arrendersi ad un cambio di stagione, non voleva essere nascosto sotto una coperta troppo pesante, non voleva rimanere piegato in un cassetto come una t-shirt troppo leggera. La mattina seguente Vincenzo uscì di casa all’alba, come sempre, quando il cielo è ancora scuro del blu notturno ma già, se ci si volta ad est, si può intravedere un barlume di luce nuova. Prese l’auto, come sempre, e si avviò lungo la strada che porta fuori dal paese; lentamente percorreva l’asfalto che curvava e poi fi fletteva nel senso opposto, lui era come ipnotizzato dai suoi pensieri e seguiva la strada senza vederla, ad intuito,tante le volte che l’aveva percorsa da conoscerne le caratteridtiche a memoria. Poi, ad un tratto, voltò, prese l’autostrada, accelerò, chiuse gli occhi per un istante e poi di nuovo via, lungo la strada della fuga. Si sentiva soffocare dalla rabbia, ma non poteva controllarsi, quella paura che sentiva dentro gli si stava stringendo intorno al collo e più si allontanava maggiore diveniva la sua convinzione di potersi liberare di quella morsa.
La sera sopraggiunse silenziosa, Lucia, che era abitudinaria, si accostò alla finestra per aspettare che il suo uomo tornasse da lei. La cena era calda nel forno, la tavola apparecchiata con dei fiori al centro; un lieve profumo di vaniglia si spandeva per la casa, delicatamente, erano i pout-puorrie che Lucia confezionava con le sue mani. Si fece notte, le ore stavano scivolando via e di Vincenzo neppure l’ombra, Lucia si era rassegnata ad aspettarlo rannicchiata sul divano, avvolta in un plaid di lana leggera. I suoi occhi erano fissi alla finesta nell’attesa di vedere il riverbero dei fari dell’auto del marito, non sapeva se piangere o chiamare qualcuno, magari la madre che stava al piano di sopra ignara di tutto; preferì tacere e continuare ad aspettare, poi si addormentò.
Sentì un rumore provenire dal portone, si destò con un balzo, l’alba era sopraggiunta, la stanza era quasi tutta illuminata, Vincenzo aprì la porta e la fissò a lungo, teneva una foglia secca in mano, “ormai è ufficiale, l’autunno è arrivato. L’estate tornerà fra nove mesi”. Lucia lo fissò negli occhi, lo baciò con quella dolcezza di cui solo lei era capace, poi gli strinse le mani e avvicinandosi di più gli sussurrò: “fra nove mesi saremo in tre.

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