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Raccolta di testi in prosa di Luca Tegoni
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Barcelona inizio

Più invecchio e più persone conosco quindi sono sempre di più i nomi che non voglio usare come personaggi delle storie che scrivo. Non vorrei che qualcuno pensasse che abbia rubato una storia intima.

 

Pasquale Cafiero nacque a Bolzano e conobbe Carolina Schmid, che invece nacque a Palermo, durante una vacanza a Barcellona.

In quello stesso periodo vivevano a Barcellona Dimitri Costadinos, nato in Grecia, e Fionnula Flanagan, nata in Irlanda. Vivevano insieme da qualche anno.

Paquale Cafiero, che parlava un poco di Inglese, conobbe Fionnula in un bar vicino al mercato della Boqueria. Fionnula stava pranzando con qulache tapas e beveva un calice di cava. Distrattamente rovesciò un piattino vuoto addosso a Pasquale che era lì accanto e che stava scegliendo che cosa mangiare. L’urto del gomito contro il piattino fece girare Fionnula verso Pasquale che avvertì nel contempo una scossa al gomito ovvero dove il piattino l’aveva colpito. Due gomiti e un piattino. L’attenzione di entrambi si rivolse verso il basso dove cadde il piattino, poi gli occhi si alzarono a conoscere i protagonisti. E si fissarono, poco ma bastò per conoscersi. Fionnula si scusò in Spagnolo e Pasquale, dal momento che si trovava all’estero, per riflesso condizionato, si schernì in Inglese. Allora Fionnula chiese si presentò parlando in Inglese e Pasquale rispose spaventato che, si parlava qualche parola di Inglese ma che era Italiano e parlava benissimo il tedesco. Fionnula sorrise senza capire granchè e allora cominciò a parlare lentamente in Spagnolo. Allora Pasquale che aveva avvertito una lingua non tanto ostile iniziò lentamente a parlare Italiano con lentezza. Le carte si gettano a terra a ridosso del bancone, così come i piattini. I due decisero di pranzare insieme ma per essere più comodi, vista la reciproca simpatia nata da quello sguardo istantaneo, si sedettero ad un tavolino all’aperto sotto il sole delle belle giornate di Barcellona.

Carolina Schmid era già arrivata al Parc Guell arrivando a piedi da Plaza Catalunia salendo per il Paseo da Gracia. Non aveva fretta e camminando lentamente. assaporò la confusione della gente e la confusione creativa delle case di Gaudì. Carolina viaggiava insieme ad un’amica, Olga, anche lei di Palermo. Era la sua amica più recente, con la quale aveva stretto amicizia per caso, ad una cena con amici alla quale si erano aggiunti amici degli amici tra le quali Olga. Anche ad Olga piaceva passeggiare e quindi senza fatica raggiunsero il Parco progettato da Gaudì. In origine avrebbe dovuto essere una specie di Parco privato per qualche decina di abitazioni. Alla fine non ci abitò mai nessuno. La lucertola brillante accoglie all’ingresso del parco i visitatori. Dimitri Kostadinos veniva abbastanza spesso al parco Guell per fare disegni. Ogni tanto ritraeva anche i visitatori di nascosto, magari quando erano assorti a leggere o stavano riposando a d occhi chiusi. Si sedette come al solito sulla panchina ergonomica della piazza rialzata e osservò la gente intorno a lui. Carolina e Olga erano poco distanti da lui e stavano armeggiando con una macchina fotografica. Chiesero a Dimitri se poteva fare loro una foto. Dimitri le guardò con un bel sorriso, guardò in alto il sole e accettò in Spagnolo, che poi è come l’italiano. Poi Dimitri, dopo aver scattato la foto chiese loro da dove venissero. Loro risposero Italia. Allora Dimitri, parlando lentamente in Spagnolo, storpiando un poco le c e le z disse:- Io dalla Grecia. Nos pueblos, Una facia una rasa. Usted se recuerdan de la pelicula Mediterraneo?- e rise senza fare rumore. Le due ragazze, sorprese, risero con buon umore. Allora Dimitri le indirizzò verso altri scorci per fare altre foto. Una gentilezza ospitale.

Sotto il cielo di Barcellona vibrano corde che esprimono suoni per cui non ci si sente mai soli. Come i torrenti che arrivano al mare si arriva alla Rambla Central per scendere verso Colon e tra le statue viventi, buskers e le bancarelle i protagonisti di questa storia si incontrano.

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Histoire d’Irene

L’espressione di sollievo illumina inaspettata lo sguardo di Irene fino ad allora triste e preoccupato. Le sue mani si cercano e si toccano, le sue dita si intrecciano e si stropicciano e poi Irene si abbraccia, incrocia le braccia sul seno e stringe se stessa per amarsi un po’ di più.

La tensione accumulata viene meno e le sue labbra si distendono in un ampio sorriso, i suoi occhi si socchiudono appena, non sono più aperti, come contratti, senza vedere, in attesa ma ridono partecipi delle espressioni compiaciute del volto intero.

Irene abbassa il capo, stanco, cerca un sostegno dove sedersi, dove rilassare la fatica del corpo intero irrigidito da troppo tempo e si abbandona sulla sedia . Con una mano sposta i capelli, scesi sparsi davanti agli occhi e li accomoda portandoli dietro con il gesto pieno e fermo della mano. Il suo sorriso si apre e i suoi occhi si riempiono di luce che riflette il proprio sentimento di benessere compiuto. I piedi si uniscono mentre le ginocchia sono piegate con i calcagni appoggiati al suolo e gli alluci pareggiati, poi Irene flette le gambe, le distende e le divarica. La gonna le scende formando un’onda di tessuto tra le gambe e gioca ripetendo il movimento, come, bambina, con i capelli intrecciati, soleva fare. Pur scomoda e traballante la sedia assolve al piacere fisico e mentale di rilassamento del suo corpo ancora leggermente contratto.

Irene si alza e, equilibrando il peso del corpo con l’oscillazione delle braccia, ondeggia danzante, muove passi e rotea la testa; i capelli, sciolti , si slanciano e si ritraggono in movimenti ondulatori, rotatori, sussultori. Irene aumenta il ritmo come mossa da tamburi percossi, ride, libera la grazia e l’accompagna alla frenesia, al piacere del corpo che si muove, esaltato da fluidi positivi che irrorano le membra poco prima immobili e quasi percepite come inutili. La vita ritorna e i dispiaceri diventano memoria.

Irene saluta il vento che le vortica attorno, bacia la pioggia che la illumina, ride e così si toglie l’ultimo velo d’ombra e anche le gote risplendono, mirabilmente, come pomelli porpora, impreziositi dalle ciocche di capelli neri che le si adagiano, istante per istante, sul volto.

Irene si toglie, languida e sola nella stanza, gli abiti che appesantiscono la danza e intralciano i movimenti, si ammira nella sua visione di un giorno e si apprezza, si sente finalmente se stessa. Irene volteggia e cerca la sua ombra, cerca di osservare i movimenti della sua ombra e immaginarsi come segni di matita leggeri che disegnano le tracce armoniose del suo corpo. Un gesto di un pittore l’avrebbe fatta felice, per grazia e passione se avesse scelto lei.

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La Distanza »
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