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Raccolta di testi in prosa di Nadia Mozflower
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Il ritorno di Micòl

“…l’amore – così se lo immaginava lei – era roba per
gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce… E noi?
Stupidamente onesti entrambi, uguali in tutto per tutto come due gocce d’acqua (e gli uguali non si combattono, credi a me!), avremmo mai potuto sopraffarci l’un l’altro, noi?”
(Il giardino dei Finzi Contini – Giorgio Bassani)



Questa storia inizia dove tutto sembrava esser finito.
Durante la seconda guerra mondiale Micòl, giovane donna ebrea, venne portata con la sua famiglia incontro ad un destino che sembrava essere scritto dalla morte. E si può immaginare come...
Ma in un giorno di tantissimi anni dopo, qualcuno che credeva nell'esistenza dell'amore che non ha limite di tempo e di spazio, riportò alla vita quel "giardino" che abbiamo dentro di noi fin dall'infanzia.
Quel giardino dove correre non stanca, dove sognare non sfinisce e dove amare non c'è fine.
Le leggi razziali che Mussolini fece applicare nel 1938 contro le persone di religione ebraica, furono tutto ad un tratto cancellate perchè venne arrestato in tempo e l'Italia evitò così le conseguenze della guerra e si alleò con gli Stati Uniti e con altre nazioni, riuscendo a sventare la follia hitleriana.
Giorgio, anch'egli ebreo, potè così andare al giardino della famiglia Finzi Contini senza quei problemi che erano sorti dopo certi eventi politici.
Ciò che avviene nella società ripercuote su tutto. Le tensioni date da una possibile guerra rende di certo più insicuro lo stato d’animo della gente. La guerra è la contraddizione della civiltà umana. E la vita in questo mondo sa essere contraddittoria.
Le partite di tennis che Giorgio faceva nel giardino dei fratelli Alberto e Micòl Finzi Contini, continuarono senza sosta. Sarebbero potuti tornare nel circolo del tennis della città, ma il giardino diventò un vero e proprio ritrovo di amici.
Alberto guarì da un male che pareva incurabile. Sembrava che l'abolizione delle leggi razziali lo avessero fatto reagire contro la sua malattia. E sembrò più fiducioso verso gli altri e la vita. Non sembrava più estraneo a quel mondo che tanto vedeva prima da lontano.
Il tempo passava e Giorgio vedeva la sua amicizia per Micòl trasformarsi in qualcosa di grande ed inafferrabile. Quando prendeva la sua bicicletta e attraversava Ferrara, il suo cuore era ricolmo d'amore. Ogni cosa aveva più colore e più profumo. Lui tornava da lei come quando da bambino andava a scuola e imparava cose nuove. Micòl era il suo specchio e l'un l'altro avevano imparato a guardarsi dentro senza più averne paura come una volta.
Si presentò un dicembre insolito, meno freddo degli altri anni, e i fratelli Finzi Contini organizzarono una festa di Capodanno nella loro sontuosa villa. Invitarono Giorgio e tutti gli altri amici. E Giampiero Malnate fu invitato? Si, ma non si sapeva se sarebbe venuto. Giampiero, l'opposto di Giorgio, era tornato a Milano per lavoro, la sua relazione con Micòl si era offuscata.
La neve non cadde in quei giorni natalizi, però lo stesso si sentì l'aria di festa. Ferrara splendeva di sera tra le luci e la gente passeggiava tranquilla per Corso Ercole I d'Este, dopo aver vissuto per anni un'aria fredda dovuta al Fascismo. Gli italiani si accorsero che con Mussolini non tutto era oro quello che luccicava.
Giorgio era più pieno di speranze e Micòl sembrava essere guarita dalla malinconia. Ormai per lei il passato era stato solo un triste ricordo, e non rimpianse più nulla. Lei era legata al sensibilissimo e timido Giorgio da un bene profondo. E lo amava profondamente. Però ancora tra una chiacchierata e l'altra il loro amore non si esprimeva.
Giunse il 31 dicembre e i preparativi per la festa nella villa Finzi Contini furono conclusi. Micòl si svegliò raggiante come il sole che caldo attraversava la finestra di camera sua. I suoi genitori partirono presto per Venezia e raggiunsero i loro parenti per festeggiare l'arrivo del nuovo anno. Alberto preparò tutti i suoi dischi per la serata. E Giorgio passò quelle ultime ore dell'anno pensando a come sarebbe stato bello poter abbracciare a mezzanotte Micòl.
Alle 20 Giorgio arrivò nella villa, e i fratelli Finzi Contini erano eleganti e bellissimi. Micòl lo accolse sorridente e gli occhi di lui brillarono di gioia vedendola. Arrivarono poco dopo tutti gli altri e cenarono nella sala più grande della casa. La cena fu deliziosa e poi andarono nel giardino a giocare un pò a tennis, anche se tutti eran vestiti eleganti.
Nell'atmosfera c'era una serenità che sembrava essere sparita fino a pochi mesi prima, c'era la pienezza della vita che riempiva quei giovani tra un bicchiere e l'altro di vino. Giorgio vedeva Micòl parlare con le amiche e la osservava come si osserva un'opera d'arte. Avrebbe voluto stringerla subito.
Dal grammofono di Alberto uscirono per tutta le serata note romantiche e allegre. Mancava qualche ora alla mezzanotte e tutti quanti preparono tutto l'occorente per brindare. Giorgio era seduto e guardava Micòl parlar con suo fratello. Ammirava entrambi. Tra lui e loro le differenze sociali non esistevano, anche se per le convenzioni si.
L'orologio diceva che mancavan 10 minuti e tutti si ritrovarono dentro il salone, dove nell'800 si tenevano dei balli. L'aria antica di quella casa rendeva tutto più particolare. Alberto prese con sè una bottiglia di champagne e appena scoccò la mezzanotte la stappò e tutti esultarono e brindarono. Giorgio si accorse che Micòl era vicina a lui e l'abbracciò subito come se non avesse avuto mai modo di stringerla a sè e fu così forte il loro abbraccio che il tempo sembrava che si era fermato.
Continuò la festa e Giorgio si ritrovò solo e andò nel giardino. Mentre camminò vide Micòl spuntar dal buio e la riabbracciò di nuovo. Lui durante la serata aveva bevuto parecchio e gli fu d'aiuto. Lei lo guardò teneramente e lo strinse. Giorgio in quel momento si sentì libero. Non c'erano parole che potevano bloccarlo e non c'era altro che poteva ostacolarlo. Le diede un bacio sulla sua spalla nuda scoperta da un vestito nero e ne assaporò tutto il suo profumo. E poi d'improvviso le sfiorò le labbra con un bacio soffice come se volesse baciar anche la sua anima.
Lei stupita lo guardò dentro gli occhi.
Tutto ad un tratto lei si voltò e tornò dagli altri.
Giorgio era stupefatto da ciò che era accaduto. Rise e pianse. Pensò al passato, a quanto tempo aveva impiegato per mostrare i suoi reali sentimenti. Pensava pure come la loro particolare amicizia li aveva tenuti attaccati e allontanati.
Poco dopo Alberto si avvicinò a lui e chiese che gli succedeva e cominciarono a parlare delle tante cose della vita.
Dopo qualche ora dalla mezzanotte giunse insieme al vento sciroccoso Giampiero Malnate e Micòl guardò Giorgio con un'espressione che lui non seppe interpretare.
Tutti si misero a ballare e Giorgio di nuovo uscì fuori in giardino, sentiva l'aria della casa estranea a lui in quel momento in cui vide Micòl vicina a Giampiero.
Fino a pochi momenti prima Giorgio aveva gioito, e si sentì di nuovo triste come in quei momenti in cui si sentiva solo e smarrito. In fondo, le persone su cui contiamo non sono altro che le nostre bussole.
Fece una passeggiata e da lontano sentiva le note malinconiche di "I'm gettin' sentimental over you" che piaceva tanto a Micòl. Quella musica gli struggeva il cuore come un tempo. Gli ricordò quei momenti in cui lei gli sembrava impossibile da raggiungere.
Il giardino dei Finzi Contini era immenso e ricco di tanti alberi e di tante piante. Micòl gli aveva illustrato ogni singola cosa e Giorgio ne era sempre affascinato da quel luogo che apparteneva alla sua speciale amica d'infanzia. E ricordò pure quegli sguardi complici che si scambiavano da piccini in sinagoga durante i riti.
C'era un punto del giardino dove loro due giocavano particolarmente e lui si fermò lì e si sdraiò con gli occhi rivolti al cielo stellato di un inverno mite. Ascoltava il fruscio dell'erba e ne sentiva l'odore. Adorava la natura, si sentiva come cullato da essa in quel momento. Sembrava in procinto di addormentarsi fin quando non fu colto di sorpresa da qualcuno... Ed era lei... Micòl...con i suoi occhi chiari imbronciati che svegliarono subito il dolce e triste Giorgio e gli sorrisero poco dopo.
L'aria si era d’improvviso raffreddata e lei aveva uno scialle di lana bianco come la sua pelle candida, si chinò verso di lui e gli diede la mano per consolarlo, e lui le chiese se era un sogno, e quasi subito dopo le diede un bacio sulla fronte e poi sulla mano, per rendersi conto che lei era reale e viva.
E dopo non si sa come le loro labbra si unirono e si baciarono intensamente.
L'amore non poteva sopraffarli e dividerli. E si amarono per sempre in quella notte del nuovo anno.

4 gennaio 2010



*

La camera di crisantemi

In un bel giorno di autunno del 1895, Federico fu vittima di un incidente con il destino. Nonostante lui avesse fatto di tutto per non incontrarlo, lo scontrò fatalmente e perse l’unico fiore che sembrava non potesse appassire mai: l’amore.
Ma iniziamo dal giorno in cui egli incontrò colei che tinse di nuovi colori le sue giornate. Su un treno la vide la prima volta e fu come una visione di altri tempi. Lei poteva avere circa 25 anni e aveva un triste sorriso. Sembrava uscita da un dipinto preraffaellita. Si sedette proprio di fronte a lui. Il viaggio era lungo e li avrebbe però divisi in un certo punto della Sicilia, e Federico noncurante degli altri passeggeri vicino a loro, cominciò a rivolgerle la parola e lei, Maria, questo era il suo nome, ricambiò anche se stentamente. Non era infastidita ma celava un turbamento il suo volto. E dopo gli rivelò che andava a trovare una sua zia che stava poco bene.
Federico aveva iniziato la sperata conversazione dicendole quanto fosse bello viaggiare in treno di giorno e lei dopo un po’ gli svelò quanto temeva poco prima di parlare con uno sconosciuto, però poi le piacque poter conversare con lui di cose che fan bene all’anima.
Tuttavia il loro incontro che sembrava destinato ad interrompersi in quel vagone, ebbe modo di svilupparsi in un altro incontro che avvenne dopo nella città di Palermo.
Federico quando vide scendere dal treno Maria, capì quanto l’amore sia come un treno che passa via e sperò di rivederla di nuovo.
Durante la conversazione seppe che lavorava presso un’atelier come sarta a Palermo in una zona del centro che conosceva bene, dato che lui era medico e tante volte andava a casa dei suoi pazienti.
Rivederla quasi un mese dopo, fu per Federico uno dei momenti più felici della sua vita. Maria non era tanto sorpresa dalla sua visita e timidamente lui le chiese di poterla rivedere, ancora, ancora e ancora…
E le scrisse delle poesie che lei apprezzò come i fiori più belli di questo mondo, ed un verso in particolare se lo portò sempre con sè: “Ella splende in me come il cielo del paradiso."
Nacque così il loro amore, tra una conversazione e l’altra, e tra le risate di giovani adulti che si ritrovano come due amici d’infanzia.
Federico aveva 30 anni, e da qualche anno si era stabilito a Palermo dopo avere studiato medicina. Proveniva da un paesino vicino Palermo e viveva ormai da solo in quella che era definita la più grande città siciliana.
Aveva qualche conoscenza ma Maria diventò la sua famiglia.
In breve tempo il loro legame era diventato qualcosa d’indistruttibile e desideravano sposarsi pochi mesi dopo.
Ma d’improvviso lei fu colpita da una febbre violenta che Federico non potè curare e lei perse la vita.
Rapidamente quest’evento così spiacevole tolse a Federico l’amore e la sua vita si tramutò in qualcosa di oscuro. Si sentì in colpa e cercò nella mente un modo per non perdere la sua Maria per sempre dalla sua vista. Il loro amore non si era consumato in vita, Federico l’amò sempre come una Madonna.
E volle usare tutte le sue capacità di medico per imbalsamarla. Nessuno doveva sapere quello che aveva intenzione di fare. Studiò ulteriormente come si faceva un’imbalsamazione di un corpo umano. Durante i suoi studi all'università aveva già appreso delle nozioni e aveva visto come avveniva questo strano trapasso. Aveva perfino seguito con tanto interesse dei medici alle Catacombe della città e così gli tornarono questi studi utili anche se crudelmente.
Dopo il funerale, tutti i parenti lasciarono Federico nella casa dove avrebbe dovuto trascorrere il futuro con la sua più grande felicità.
Il funerale per lui suonò nella sua mente fragile come un matrimonio, perché sapeva che Maria sarebbe stata lo stesso a casa sua, nella camera dove avrebbero dovuto consumare il loro amore se la morte non si fosse messa in mezzo.
Si avvicinò lentamente la notte e Federico tornò al cimitero. Tornare lì non fu per lui un problema, si sentiva come a casa anche se era ormai buio e le tombe potevan arrecargli paura. Arrivato davanti la lapide della sua adorata defunta, agì subito e cercò di tirarla fuori da quella terra che sembrava risucchiarla in un viaggio senza ritorno. Quando aprì la tomba si sentì più vivo e prese tra le sue forti braccia Maria. La sua carrozza era a pochi passi da loro e subito sparirono come fantasmi dal più silenzioso dei luoghi.
La camera da letto era pronta e Federico prese tutto l’occorrente per imbalsamare la sua amata e ridarle un’altra forma di vita. Una vita fatta solo d’immagine. Passò tutta la notte e concluse il suo lavoro perfettamente.
Maria anche se morta aveva una luce straordinaria sul volto. Sembrava davvero una Madonna e Federico pianse come se non la vedeva da moltissimo tempo. Lei sarebbe stata sempre sdraiata in quel letto con attorno i suoi fiori preferiti: i crisantemi. Quei tipi di fiori che beffardamente si usano particolarmente per le persone che non ci sono più.
Mai nessuno sarebbe entrato in quella camera. Solo colui che per timore di non vederla mai più, usò magistralmente la pazzia per compiere un atto estremo ma di profondissimo amore.
Federico la curò come se era in vita e non si separò mai più dalla sua Maria.


11 dicembre 2010

*

L’amore non ci dividerà di nuovo

A Ian Curtis (Cantante dei Joy Division)
che scrisse “Love will tear us apart”

Il giradischi aveva finito di suonare l’ultimo pezzo della tua vita e si era incantato dove gli idioti sognano.
Era stato solo un brutto sogno e la luce immensa di una nuova giornata ti aveva svegliato. Sentivi che la città si svegliava insieme a te e ti sorprendeva tutto, come se ti risvegliavi dopo secoli di sonno.
Nel frigo c’era tanto cibo e la fame ti chiedeva in ginocchio di mangiar tutto.
Non erano ancora le 7 e non sapevi in quale posto dovevi recarti…Forse a scuola? Oppure in un posto di lavoro? Ti sentivi come uno che ha perso la memoria, che non ricorda nulla del suo passato e percepisce la sua esistenza in base il presente che gli sta attorno, e si chiede infinitamente chi è nel buio dei suoi ricordi.
Appena ti eri imbattuto nello specchio del bagno, avevi sentito una voce dentro di te che diceva di non guardarti e invece tu fissavi quel volto, lo trovavi diverso da come lo avevi immaginato. Forse una doccia fredda avrebbe chiarito che ci facevi in quel corpo.
Quando ti eri rivestito con degli indumenti sconosciuti, i tuoi occhi si posarono rapidamente su una macchina da scrivere e pensavi che avresti trovato lì una risposta. L’unico foglio che c’era doveva essere ancora battuto. Era bianco e pensavi “come me”.
Allora ti venne in mente di scrivere qualcosa. Magari così avresti ritrovato il tuo passato, ma pensavi pure che forse era meglio di NO.
Il tuo cuore t’implorava di non pensare più a quello che eri e chi avevi amato.
Tanta gente farebbe di tutto per rimuovere certi dolori che segnano l’anima, perchè neanche il tempo che passa riesce a cancellarli.
Poi una forte curiosità di chi potevi essere, ti portava a voler sapere di te.
La casa in cui ti trovavi era semi spoglia. Era occupata da pochi mobili. E tu con fare frenetico setacciavi in ogni angolo un pezzo del puzzle della tua vita, e non trovavi che il niente.
Ti chiedevi, mentre fissavi un telefono che comparve per caso: “Cosa devo cercare? E chi? Nemmeno ricordo nessun numero di telefono!” Durante le tue mille domande, suonò il campanello. Eri agitato come se un ladro ti avesse chiesto il permesso di entrare…Quando hai chiesto chi era, qualcuno ti disse “sono io”.
La voce ti suonò familiareIl tuo viso si illuminò e un sorriso spalancò quella porta.
Era buio, non era più giorno. Tu dormivi beatamente, e accanto a te c’era il tuo amore.
E il giradischi cantava “L’amore non ci dividerà di nuovo”.

4 marzo 2007

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Ad occhi aperti

Avevo finalmente deciso cosa fare. Avrei cercato il modo di eliminarla una volte e per tutte. Non c’era più niente che poteva farmi ritornare indietro, neanche i ricordi più belli. Dovevo agire in ogni caso. Dovevo farlo per me e per tutti coloro che non capivano il senso di ciò che mi legava a lei. Negli occhi dei miei amici scorgevo più di quanto riuscivano a dirmi e molto più di quanto volevano persuadermi. Il loro affetto col tempo aveva perso il colore e il calore di quelle memorabili giornate, quando la mia esistenza brillava costantemente di speranze.
Se non l’avessi fatto, non avrei più vissuto come prima. Lo sentivo fino alle viscere che ogni cosa sarebbe cambiata per sempre, se avessi scelto di togliermela di mezzo. L’amavo sì, come si ama qualcuno di cui non se ne può fare a meno. Però, il mio amore si confondeva con l’odio. Tutti e due i sentimenti si fondevano diventando una cosa sola. E pure ancora non hanno trovato la definizione per questo unico e impossibile sentimento così sublimato ed eccessivo. Forse non ci sarà mai una parola che conterrà queste due cose talmente cruciali e determinanti nell’animo di un essere umano.
Non sarebbe stato difficile trovare la maniera per annientarla per sempre. Come una malattia dovevo sconfiggerla e debellarla. Era il mio cancro. Sì, avevo un cancro all’anima.
Incontrai, colei che volevo che non esistesse più sulla faccia di questa terra, poco dopo l’adolescenza. Fu fatale e me ne innamorai subito. Mi colpì la sua radiosità, la sua forza, la sua bellezza imperfetta. Trovavo in lei quel che negli anni precedenti non avevo mai trovato nelle vite degli altri. Sembrava come se la conoscessi sin dall’infanzia. Era la visione di un sogno diventato realtà. Non avevo gelosia per lei. Per me poteva contagiare chiunque con la sua luce. Apparteneva a me e a tutti quelli che ne assaporavano solo con lo sguardo il suo succoso e nutriente nettare.
Può un amore così forte tramutarsi in qualcosa di negativo e sbagliato? Forse perché l’avevo persa già da tempo. Mi aveva tradito con le sue paure e i suoi timori. Sì, aveva tradito le mie aspettative e quello che avevo sperato per il futuro. Io e lei non potevamo separarci come è di consueto per altri. Il nostro destino era scritto fin dal principio, quando mi colpì con i suoi raggi di sole. Era tutto il mio mondo. Non poteva andarsene senza dirmelo, non ancora. Dovevo essere io a fermarla.

Avevo un lavoro che poteva assicurarmi una cifra ragguardevole per ingaggiare un sicario che avrebbe portato a termine quello che non avrei mai fatto io. Non potevo ucciderla con le mie mani, non ne ero capace. Sarebbe stato un atto vigliacco e, allo stesso tempo, coraggioso. Nessuno poteva immaginarsi che l’avrei fatto io come un disperato qualunque. Non volevo la pietà di nessuno.
In fondo l’amavo ancora, forse era quello che mi tormentava di più. Non l’avrei mai più rivista. Ma vederla ancora significava soffrire e patire di un amore ormai giunto all’estrema unzione. Potevo rischiare di bruciare in questo inferno fino agli ultimi giorni che mi restavano? No, dovevo farlo per me e per lei. Dopo aver pensato fino a scoppiare di pensieri senza senso, avevo trovato la conferma a quel che stavo per fare. Non avevo mai pensato mai così lucidamente. Era quello che più sentivo.

Trascorse un pò di tempo e arrivò il fatidico giorno. L’uomo che ingaggiai era di poche parole e mi disse soltanto che era insolita questa mia commissione. Io dentro di me mi chiedevo che differenza c’era dagli omicidi che aveva compiuto prima. Doveva semplicemente premere il grilletto e sparare ad una persona qualunque.

Gli attimi eterni passavano e raggelavano tutto il mio corpo. Aveva sparato bene il colpo. Aveva colpito dritto dritto al cuore. Lei, la mia vita mi stava abbandonando una volta e per sempre.
Finalmente i giorni precedenti si sarebbero cancellati e anche quelli futuri. Ogni mio pensiero non sarebbe più tornato. Ogni cosa non si sarebbe più ripetuta.
Non avrei più rivisto questo mondo che tanto avevo amato. Ma ancora il mio amore per lei mi accecava come un innamorato possessivo e furibondo. Non mi accorsi nonostante tutto che l’amore riusciva a pulsare più del mio corpo in fin di vita. Ad occhi aperti vedevo il suo volto chiaramente e sentivo che l’avrei incontrata di nuovo. Magari in un posto dove l’avrei amata realmente.

6 aprile 2005

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La triste rondine

Alla professoressa
Dangelo

Sopra gli alti palazzi della città risplende ancora un cielo pieno di speranze. La vita come un treno in corsa, conserva sempre quella sostanza vitale che tutti definiamo in una piccola parola amore. Esso, nonostante tutto, esiste.
L’amore è come un vento! Attraversa le anime e le bea di una musica senza tempo.
In un giorno d’estate una piccola rondine decise che era arrivato il momento di volare via dal suo nido. Il nido che la custodiva si trovava in un palazzo vicino ad un paese la cui bellezza affascinava particolarmente la rondine. Il suo più grande desiderio era poterlo raggiungere.
Per la rondine poter volare lontano significava realizzare i suoi sogni. Sognare era diventato per lei quasi una sofferenza. Quando si svegliava e si rendeva conto di aver solo sognato finiva per piangere e la tristezza l’accompagnava per tutta la giornata.
I sogni, si sa, sono belli, ma ancor di più lo sono se si possono vivere nella realtà.
Nel nido le cose erano cambiate, e la rondine non si sentiva più a casa. Si sentiva a volte prigioniera di chi l’aveva generata. Il tempo poi passava e le pesava dentro il cuore.
Lei sentiva che per crescere doveva andare via dal suo nido. Però c’era una cosa che la bloccava: la paura.
La paura la terrorizzava e le faceva credere che da sola non sarebbe stata in grado di spiccare il volo. Al nido la proteggevano così tanto a tal punto da farle temere il mondo esterno.
Nelle sere d’estate le capitava di sentir freddo, e non voleva che la vita fosse così crudele con lei.
Desiderava amare la vita per quella che era: non temendola ma vivendola.
Mentre una notte pensava e ripensava a come poter prendere il volo, sentì che era giunto il momento di volare via…Non volle salutare nessuno perché sapeva già che potevano fermarla. E allora col cuore che le batteva più forte di un cuore innamorato, cercò di lanciarsi in un volo che mai nessuno avrebbe fermato. Così fece e sembrò perfetto quel volo, ma, poco dopo, qualcosa nella rondine riemerse fuori: la sua paura più profonda. Non sentiva più forza nelle sue ali e per non rischiare di cadere giù schiacciata, cercò di tirar fuori tutta la forza che prima l’aveva animata. Debolmente cadde dentro un balcone e pianse subito perché c’era buio fitto, e si sentiva più sola di quanto mai si era mai sentita.
Le luci dell’alba inondarono di calore la rondine che si era addormentata dopo avere pianto a lungo. Nella sua lunga notte si era distesa a terra tremante in mezzo a dei vasi con varie piante. Si svegliò insieme al nuovo giorno, era fragile ed ebbe tanta sete. Dopo un po’ si accorse che dentro la casa c’era qualcuno. Questa cosa la spaventò, ma sentiva anche che poteva essere aiutata.
Nel balcone giunse una donna che vide quasi subito la rondine. Evidentemente sentì in quegli attimi i suoi timidi lamenti e pensò subito che poteva esser caduta dal suo nido. Vide che muoveva a stento un’ala. Poi andò in cucina a prenderle dell’acqua. La rondine cercò, mentre la donna si era allontanata, di volare, ma non ci riusciva perché si era davvero fatta male ad una ala. La donna tornò da lei e le diede l’acqua. Per la rondine fu un gesto meraviglioso e lesse nel suo sorriso un amore infinito per tutti. Quel sorriso era come un raggio di sole, e si sentì come rincuorata. Tremava ancora, ma per la contentezza. Si trema anche nel provare una gioia. Quando un’emozione attraversa il cuore e l’anima, la vita sembra più viva.
In quel momento la rondine provò una sana felicità. Era come quando da piccina guardava tutta l’immensità del cielo e sognava di volar tra le nuvole di panna con altri amici.
La donna si prese cura di lei e la chiamò rondinella. Cercò di darle del cibo e sperò in cuor suo di guarirla. Desiderava vederla volare.
I giorni passavano e rondinella si sentiva amata e coccolata da una creatura umana con le caratteristiche di un angelo. Dentro di sé pensava che pure la donna possedeva delle ali. Delle ali che servivano per raggiungere chi sembrava distante dalla vita e aveva bisogno di aiuto.
Scoprì che la donna era una professoressa. Lo capì dai libri e dai compiti che teneva sul tavolo dove la vedeva lavorare sempre durante quei magici pomeriggi.
Un pomeriggio rondinella si accorse che c’era un’alunna che ripeteva delle cose con difficoltà alla cara professoressa. Notò che era timida, impacciata e impaurita come lei. E ascoltò dopo il suo pianto, il pianto di chi non riesce a credere in se stessa e nella vita…Era come una triste melodia che strugge il cuore nel buio. Le ricordò il motivo per cui cercò giorni prima di volare via dal suo nido. La rondine così sentì in quell’istante di star meglio. La sua tenera ala sembrava guarita e pensò che doveva riprendere la sua vita e volar via. Però pensò a quanto si era affezionata alla professoressa che amorevolmente l’aveva curata come una bambina trascurata e abbandonata. Rondinella le sarebbe stata per sempre grata di ciò che era riuscita a donarle: fiducia e amore.
Quindi decise che avrebbe di nuovo spiccato il volo. Stavolta scelse di farlo all’alba e non di notte come una fuggiasca. Salutò la professoressa lasciandole una sua piccolissima penna come ricordo e dormì serena.
L’indomani rondinella si sentì pronta per partire, e prima di andare via da quel balcone che era diventato il suo rifugio, espresse un desiderio: che la triste alunna riuscisse a volare come lei! Sapeva bene che la paura era frutto di una realtà fatta di incomprensione e priva di lotta. E aveva così finalmente imparato a superarla. Anche grazie alla vicinanza della dolce professoressa.
D’improvviso, si sentì la rondine leggera, come se una mano la tenesse, e si ritrovò a volare in alto, più in alto di quanto aveva mai immaginato nei suoi giorni trascorsi in solitudine.
Qualcuno da lassù l’accompagnò nel suo viaggio e raggiunse in poco tempo il paese che tanto ammirava da lontano.
Rondinella trovò lì poi degli amici e un amore. E sognò di nuovo, notte e giorno, senza più tristezza.

17 luglio 2008