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Raccolta di testi in prosa di Maria Grazia Ferraris
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I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Paolina, ovvero… Pisa nel cuore

Paolina, ovvero… Pisa nel cuore
La casa, la magione, il palazzo era grande, freddo, inospitale. I genitori difficili, soprattutto la madre: assente affettivamente, arida, opprimente, sempre ossessiva, coi suoi divieti, le sue pratiche ultrarigoriste religiose e bigotte, cui obbligava tutta la famiglia, le sue proibizioni, ad uscire, a intrattenere rapporti epistolari, i suoi risentiti silenzi, i suoi musi.
Loro tre- Giacomo Paolina e Carlo-, nati a distanza ravvicinata, crescevano insieme, giocavano insieme, studiavano insieme nella grandissima biblioteca paterna. E questo era l’aspetto felice della loro infanzia: un’alleanza di gusti e di intenti, una amicizia che superava la naturale fratellanza, una parità intellettuale che non discriminava Paolina come femmina.
I giochi del resto erano semplici, quotidiani, e la grande magione offriva facili trucchi, finestre infinite che offrivano spunti di visuale sempre nuovi, e nascondimenti. Ci sono esperienze semplici e fantasiose e magiche che fanno gioire i bambini: si guardano le figure fantastiche delle nuvole, si fissa un filo d’erba, una festuca, si soffia via una piuma, e si segue il suo itinerario nell’aria, si contempla una ragnatela e la sua ingegneristica costruzione che il ragno sa riparare, o si contano i ciottoli del selciato…. , un ramoscello staccato per caso da una siepe suscita per la sua forma e la sua vischiosità un rinnovato desiderio di attenzione e di conoscenza. Al mattino il sole gioca sulle coperte del letto imbiancando pian piano la camera. Quelle attenzioni fanno consumare ore intere! Perfino il latino era diventato oggetto di apprendimento piacevole, da quando avevano imparato a gareggiare tra loro.
Giacomo le aveva perfino dedicato una canzoncina divertente di lode: l’erudita signorina/ dei dottori alta regina.
Un’infanzia felice? No. Solo non comune alle altre femmine.
Il padre, chiuso nella sua biblioteca, distratto come sempre, svagato, senza il senso dell’economia e dell’amministrazione, più attratto dal giornalismo e dalla politica, indifferente ai guai e alla conduzione economica della famiglia, cui la moglie supplisce con accanito risentimento, la loda benevolmente per la sua disponibilità, tutta di tutti anche se quella figlia sembrava a lui un po’ troppo virile nella lingua e nella penna, troppo testa e poche chiacchiere. Il che non si addice a una ragazza da marito.
Infatti Paolina è intelligente, acuta e ironica. Sa di non essere bella, e questo è un elemento non da poco da mettere in un contratto matrimoniale - sua madre non fece tempo a sacrificare alle grazie prima di partorirla…- sa di non essere ricca, e la mancanza di dote è un altro elemento decisivo nella scelta del buon partito da sposare, sa di essere intelligente e colta, ma questo non è detto che le possa giovare. Ma non vuole rinunciare all’amore. È una giovane adolescente piena di sogni e di illusioni.
Entra fiduciosa nella vita, sperando di trovare un mondo delizioso, sicura di trovare un cuore, almeno un cuore che l’ ami, e che ritiene di meritare, ma trova presto che questo mondo delizioso si converte in luogo pieno di spini, in cui non basta nemmeno stare immobile per non soffrire…
Giacomo, che da uomo spera di avere un futuro ben diverso, come un buon fratello le ha augurato di sposarsi e di avere figli, ma le ha anche pronosticato.. O miseri o codardi Figliuoli avrai./ Miseri eleggi. Immenso/Tra fortuna e valor dissidio pose….. Non è stato un buon augurio.
Si è innamorata. Un amore ardente, furioso, ma non cieco. Le sembrava di essere vicina alla realizzazione dei suoi sogni, delle sue speranze. Ma gli uomini sono così piccoli, così meschini! Basta una domanda precisa, rigorosa, esigente, impegnativa… e scappano. Le donne così intelligenti, così lucide, autonome, fanno paura.
Paolina tocca con mano quello che è il destino eterno delle donne, anche di quelle che sembrano privilegiate come lei: adattarsi, non chiedere, non esigere, non seccare, tacere. La ribellione è pazzia, non si adatta al loro ruolo sociale, all’educazione ricevuta. I sentimenti devono essere piegati alla ragionevolezza, alla consuetudine, alla volontà dei genitori. Giacomo affettuosamente dice che lei è forte. Lei sa che cosa intende dire. Giacomo, che pensa in latino, traduce al femminile il suo amato aggettivo strenuus: che significa valoroso, coraggioso, forte, appunto, capace di resistere in quella prigione, nella clausura cui è destinata. Forte? O disperata?
Il suo temperamento vivo, appassionato, il suo desiderio intenso, giovane, di vivere può essere solo confidato a un’amica, di nascosto da tutti:
Io voglio ridere e piangere insieme: amare e disperarmi, ma amare sempre, ed essere amata ugualmente, salire al terzo cielo, poi precipitare- ed io sono veramente precipitata…ma al terzo cielo non sono salita mai .
E il suo buon senso? E la sua ironia? Deve rinunciare all’amore? Arrendersi come le donne del suo stato e della sua condizione? Le si presentano altri pretendenti, ma ahimè…: che ne sarebbe di lei se tutte le illusioni che per forza debbono accompagnare quel salto di vita importante non ve n’è alcuna, nemmeno quella del cangiare paese e di montare in un legno con otto cavalli di posta..? …se, un’occhiata della persona amata compensa tutto, se questa occhiata è una felicità tale che pare non vi sia forza per sostenerla, e bisogna chinare gli occhi, bisogna ch’essa sia realmente amata di fatto e non di solo diritto…. Che senso ha sposarsi senza amore, senza illusioni, senza speranza, solo per fuggire alla prigione casalinga?
Sembra anticipi i primi lontani fermenti femministi: gli uomini!
Facciamo loro vedere che non siamo poi tanto infelici quanto essi suppongono, e soprattutto guardiamoci bene dal prestar fede alle loro parole… ma per nostra disgrazia il cuore umano è impenetrabile, e noi povere donne restiamo quasi sempre ingannate e non ci è permesso neppure di lamentarci apertamente e di accusar gli uomini di iniquità, poiché essi hanno il diritto di far tutto! Si rende conto che l’intelligenza non le è di aiuto:
Se io potessi cambiare questa mia testa e questo mio cuore con la più sciocca testa ed il più freddo cuore che fosse al mondo, lo farei volentieri, e certo sarei allora più felice e più lieta.
Curiosa, interessata, vivace vorrebbe vivere e viaggiare, mettersi, pur sola, in un legno di posta, e girare tutto il mondo… vedendo le bellezze e le bruttezze della natura, come le ghiacciaie della Svizzera, il cielo di Napoli, un’aurora boreale e Pietroburgo…., invidierà l’amica che col marito sta per partire per Londra, e che ha provato la beatitudine di un viaggio a Vienna. L’idea di un viaggio simile la farebbe delirare di gioia. Deve invece accontentarsi di vedere il paese dalle finestre della sua casa per le solite assurde proibizioni materne. Invidia non solo le passeggiate a cavallo dell’amica, ma anche quelle a piedi, visto che non esce mai, tanto che le sembra di perdere l’uso delle gambe. Giacomo è partito. È in Toscana, è stato a Firenze, ora è a Pisa.
A lei, e per lei sola, ha indirizzato una lettera gioiosa, e questo la colpisce molto, in modo indelebile. La lettera dice: Sono rimasto incantato di Pisa per il clima: se dura così sarà una beatitudine….L’aspetto di Pisa mi piace assai più di quel di Firenze. Questo lung’Arno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente, che innamora: non ho veduto niente di simile né a Firenze né a Milano né a Roma; e veramente non so se in tutta Europa si trovino molte vedute di questa sorta. Vi si passeggia poi nell’inverno con gran piacere: sicché in certe ore del giorno quella contrada è piena di mondo, piena di carrozze e di pedoni: vi si sentono parlare dieci o venti lingue, vi brilla un sole bellissimo tra le dorature dei caffè, delle botteghe piene di galanterie, e nelle invetriate dei palazzi e delle case, tutte di bella architettura…. Pisa è un misto di città grande e città piccola… un misto così romantico, che non ho mai veduto altrettanto ….
Non lo scorderà più. Tanto da scrivere anni dopo alla solita amica che si trova a Pisa, in Toscana: …hai fatto bene a scegliere il tuo albergo lungo l’Arno, del quale Giacomo mi ha fatto una descrizione incantevole, e di cui mi diceva che non potrà mai dimenticarsi…, e ancora: tu vai ad abitare in una deliziosa città, che per qualche tempo dell’anno prende l’aspetto di Capitale, e che in ogni stagione deve essere un soggiorno incantatore…. Dimmi che vita fai costì… se sei animata,… se ti piace il lung’Arno, se questo sole ti rallegra….. Io riguardo la Toscana come un porto sicuro dalle tempeste…, tanto da pensare che se fosse a Pisa, i suoi pensieri malinconici sarebbero più dolci…
Per il momento dovrà accontentarsi di viaggiare intorno alla sua camera.
Si annoia, cerca conforto nei libri, che legge con sistematica e quotidiana frequenza, prendendone diligentemente nota e ne è letteralmente affamata, prova a tradurre qualche autore francese contemporaneo che fortunosamente arriva a rimpinguare la biblioteca paterna, piena di tomi in folio di devozione, di ascesi e di teologia, che destano in lei sentimenti di grande rabbia e impotenza contenuta. È lucida e attenta, ma sa anche prendere le distanze e ironizzare sui dibattiti culturali e le polemiche letterarie in corso in cui anche Giacomo si è immerso.
Le piacerebbe essere una come tutte, e scrive all’amica di sempre, di nascosto, come sempre : Oh! come vorrei venire a godere, a sorprenderti una sera al chiaro di luna, quando la mia amica se ne va a diporto tra i boschetti o lungo le sponde del Panaro, tutta immersa nei suoi più dolci sogni!….Ora decidi s’io appartenga ai classici o ai romantici, ma siccome questo è di poca importanza, ti dirò piuttosto: ora vedi ch’io sono sempre la tua amica, se il desiderio di vederti è il mio più vivo desiderio…
Mette a frutto la sua ottima conoscenza del francese e traduce il Viaggio notturno intorno alla mia camera di Xavier De Maistre, che viene perfino pubblicato. Che titolo ironico e leggero ha scelto Paolina per la sua prima impresa di traduttrice: un titolo che ben si addice alla sua vita e ai suoi desideri frustrati! Me la immagino mentre traduce consolandosi di un’esperienza che ben conosce:
Nulla è più attraente, a mio avviso, che seguire le proprie idee passo passo, come il cacciatore segue la selvaggina, senza preoccuparsi di mantenere una direzione. Perciò quando viaggio nella mia camera, di rado seguo una linea retta: vado dal mio tavolo verso un quadro che sta in un angolo; da lì muovo obliquamente per andare alla porta…. Un bel fuoco, dei libri, qualche penna, quali risorse contro la noia! Esiste un teatro che più stimoli l’immaginazione, che più risvegli teneri pensieri… in cui talvolta mi oblio
Seguitemi, voi tutti che un dispiacere d’amore, una negligenza degli amici trattengono in casa, lontano dalle meschinità e dalla perfidia degli uomini. Tutti gli infelici, i malati e gli annoiati del mondo mi seguano! …..Lasciate da parte, vi prego, i cupi pensieri; state perdendo un momento di piacere senza guadagnarne uno di saggezza; vogliate accompagnarmi nel mio viaggio: andremo avanti a piccole tappe, ridendo, lungo il cammino, dei viaggiatori che hanno visto Roma o Parigi- nessun ostacolo potrà fermarci; e, abbandonandoci allegramente alla nostra immaginazione, la seguiremo dovunque vorrà condurci.
Legge con ingordigia i suoi amati autori francesi, Stendhal, Eugène Sue, e soprattutto M.me de Staël, l’autrice di Corinna: un romanzo in gran parte autobiografico.
Corinna è il suo romanzo preferito. La protagonista, nella quale vorrebbe identificarsi, una poetessa romana, un’improvvisatrice romana come si diceva allora, incoronata in Campidoglio, che conduce a Roma un'esistenza brillante e indipendente. Ha straordinarie doti di intelligenza e di sensibilità, di ingegno creativo. Possiede ragione e passione, rigore ed estro, che sono il preludio dell’età romantica. È una protomartire dell’emancipazione femminile, che sa difendere il suo ruolo e la sua posizione con efficacia. Sa anche ragionare politicamente e pronuncia una veemente autodifesa e perorazione a favore di questa sua Italia, nazione sfortunata e delle donne, che in quella società di crisi hanno acquisito libertà, prestigio, e indulgenza perché quando le donne hanno torto.. è per debolezza, non per durezza come succede agli uomini.
Passano gli anni, monotoni fino allo sfinimento, sempre identici a se stessi, con l’accompagnamento degli inevitabili lutti: il padre, la madre, Giacomo, due fratelli, alcuni nipoti… Finalmente è libera e sola. Non rende conto che a se stessa.
Rimodernerà la casa, comprerà vestiti vistosi per andare a teatro e a sentir musica, buffi cappellini. Ma è ormai tardi.
Visiterà le amiche che non ha mai potuto vedere, la tomba di Giacomo, e andrà a vivere gli ultimi suoi anni …a Pisa, in cerca di quel clima confortevole tanto decantato e di quella bellezza cui voleva aspirare, e possedere. Uscirà spesso, anche d’inverno, col freddo, ostinatamente orgogliosa della sua indipendenza e libertà.
Morirà di polmonite nella Pisa dal clima così dolce….
Pubblicato in Da qui e altri testi, Castelfiorentino,
 

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Eloisa

Eloisa.

Caro padre Fulberto, permettetemi ve ne prego di chiamarvi così,benché il nostro vincolo di parentela sia solo quello meno intimo e coinvolgente di zio-nipote…
Davvero riconosco in voi l’atteggiamento e la cura di un padre che si è tanto preoccupato della mia educazione e della mia crescita, cosa di cui vi sono doppiamente grata, come nipote, ma soprattutto come giovane donna, per la quale i tempi in cui vivo non prevedono autonomia ed educazione intellettuale di sorta.
La mia educazione presso il convento di Notre-Dame di Argenteuil, grazie a voi, è stata invece esemplare e ha suscito lo stupore del mondo. Mi ha aperto le vie dello spirito e dell’intelligenza, del gusto letterario e cortese. A soli diciassette anni, giovane e graziosa, colta nelle lettere, nella filosofia e nella teologia, non chiedevo che di approfondire i miei studi con esercizi di logica, dialettica e di retorica…e voi avete generosamente acconsentito, dandomi il maestro migliore, quello più stimato nelle accademie parigine.
Nella mia giovane età, naturalmente predisposta all’amore, avevo tanto meditato sui testi di Andrea Cappellano e sui miti dell’antica Grecia come quello di Eros figlio di Penìa e di Poros…
Penìa: la Mancanza, l’assenza di ogni determinazione, che significa anche potenzialità aperta, e Poros, il guado, il ponte, l’espediente, vale a dire il ponte tra cielo e terra, tra materia e spirito, tra maschile e femminile….un mito di grande fascino.
Il senso di mancanza, come voi sapete, sempre presente in noi, spinge le energie potenziali ad investire in altri campi di attività, in altre relazioni…e ciò è naturale, e particolarmente sentito in età adolescenziale. È la preparazione di ogni vero incontro.
Su questo io meditavo, pur non essendone coinvolta personalmente.
Ero affascinata dalle immagini di Andrea Cappellano che nel suo trattato, De amore, ne parla come di un palazzo al centro del mondo, in cui si raccolgono le donne e in cui troneggia maestoso l’Amore: e tutto ciò che c’è di grande al mondo è da lui nobilitato.
L’Amore vero e profondo, avevo capito, è sperpero, lusso, sovrabbondanza di forze, assoluta gratuità, eppure è semplice e giocondo come una canzone.
Intendo dire che avevo e ben all’erta in me tutte le disponibilità all’incontro amoroso, e non solo a quello teorico e vagheggiato nel pensiero.
voglio che l’amor mio canti…
di mio amor vo’ che s’ammanti
e portine ghirlanda.

L’incontro con Abelardo, che aveva percorso la mia stessa strada, e già gran maestro di retorica, di grande fama e fascino, non fu altro che il naturale esprimersi delle rispettive potenzialità d’amore.
Ho cercato con insistenza di vederlo, ascoltarlo, incontrarlo…
Anche lui fu conquistato dalla mia fama, dalla mia giovinezza, e cercò il tuo appoggio, padre, per starmi vicino come maestro, lusingando la tua vanità. La nostra intesa fu subito totale.
Aveva due abilità in particolare che me lo resero subito caro: la grazia dei suoi magnifici versi e il fascino dei suoi canti dolci nelle parole e belli ed armoniosi nel ritmo musicale. Scriveva:
Quest’opere son frali
al lungo andar, ma il nostro
studio è quello
che fa per fama
gli uomini immortali.

Il piacere che ho conosciuto è stato così forte che qualunque cosa ne sia seguita poi, non ha potuto cambiare il mio modo di essere e di ricordare. Nel nostro ardore vivemmo tutte le fasi dell’amore, noi inventavamo l’amore, se in amore è possibile inventare qualcosa di nuovo…. Non mi stancavo mai di questo piacere che non avevo mai conosciuto.
Invidia ed ostilità, maldicenze cominciarono a diffondersi intorno a noi, finché anche tu ne fosti consapevole e …decidesti di separarci.
Soffrimmo indicibilmente: nessuno di noi pensava a se stesso, ma ognuno soffriva per quello che era successo all’altro: ciascuno di noi piangeva la sventura dell’altro, non la propria.
Ma questa separazione dei corpi non fece altro che avvicinare ancor più i nostri cuori e l’impossibilità stessa di soddisfare il nostro amore lo infiammava ancor più e perfino la consapevolezza dell’irrimediabilità dello scandalo ci aveva resi insensibili allo scandalo stesso: il senso di colpa, del resto, era tanto minore quanto più dolce era stato il piacere del possesso reciproco.
Quando seppi di aspettare un figlio ne fui felice,mentre tu, padre,quasi impazzito dalla vergogna, eri nella disperazione più totale.
Mosso da compassione e sentendosi colpevole, Abelardo decise di rimediare proponendo di sposarmi in segreto. Io mi opposi, tanto avevo fiducia nell’ideale puro dell’amore, disinteressato, che non ha bisogno di istituzionalizzazione. Ho desiderato solo il mio uomo, non i suoi beni o le sue ricchezze. Non ho chiesto patti nuziali. Il nome di amante e amica mi è parso sempre più dolce di quello di sposa. Ma tu insistevi tanto… che alla fine accettai.
Purtroppo questo matrimonio mi aveva riportato nella tua dipendenza, padre.
E tu volevi dare divulgazione alla nostra nuova situazione per rispetto del mondo; dovetti rifugiarmi ad Argenteuil, dove mi fu consigliato di prendere le vesti di novizia per sfuggire al mondo e a te, padre, così infuriato ed offeso che decidesti di punire Abelardo col massimo delle punizioni: la castrazione. Ah, padre, dove giunge l’ira, l’orgoglio che non conosce misericordia! Quale dolore, pur nella comprensione umana della tua ira per la fiducia tradita, nella mia disperazione!
Stremata, angosciata, desolata, disperata pensai ad Abelardo, così ferito ed irriso, solo ed isolato, decisi di espiare la mia colpa e mi legai per sempre alla vita monastica. Era l’unico modo per non rinunciare al suo amore, pur rinunciando a lui, che era tutto l’universo possibile di affetti e l’ideale.
Rimasi sola senza sapere, a lungo, nulla di lui.
Ma ora ho bisogno di una conferma del mio sacrificio, di dare un senso alla mia vita. Da Dio non mi aspetto nessuna ricompensa, perché so che per amore di lui finora non ho fatto assolutamente nulla. La mia anima da tempo non era più con me, ma con lui. E anche ora, se non è lì con lui, non è da nessuna parte…
Chi è quell’uomo o quella donna che per ostile e nemica che sia, ora non proverebbe un senso di giusta compassione nei miei confronti?
Anche a te, padre, chiedo conforto: se il maligno ha potuto servirsi del mio amore per i suoi tristi fini, non ha potuto tuttavia trascinarmi nella colpa col mio consenso.
Ho deciso di porre un freno al libero sfogo del mio dolore. D’ora in poi tacerò.
Manterrò il silenzio perché il cuore sfugge al nostro controllo e al controllo della parola e purtroppo al cuore non si comanda.
So anche oramai però che la parola è potenza creativa e che pochi uomini sarebbero innamorati se non avessero mai sentito parlare d’amore!
Non chiedo perdono di nulla, padre mio.
Questa è l’ultima mia lettera, amato padre: d’ora in poi per me sarà solo silenzio e desiderio, desiderio del mio grande amore perduto…..

da Lettere mai spedite, ed. Montedit




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Daria a Giulio. Un amore che non muore

Daria a Giulio. Un amore che non muore..

Oh Giulio, dalle urticanti maniere, dalle sontuose baruffe,gran ballerino,gran fumatore, gran pensatore,stravagante viaggiatore, genio di suo,col quale ho iniziato la mia vita di coppia,d’amore, studiando,viaggiando!,tempi felici.
Felici? dunque fu in un’altra vita.
Udivo sulle prime ore del giorno i rumori della vita di mare,echi di partenze,richiami, disposizioni sintetiche,ordini vibrati, marinari e…il vento che ci girava intorno indolente,il cielo alto,cose perdute,lontane. Non morte.Ci passavamo di corsa, di gran carriera…
Ero alla ricerca idillica, bucolica (ingenua) della serenità, mai conseguita con te, irrequieto compagno,infelice e zingaro. Tu eri invece alla ricerca di te stesso e della tua coerenza di pensatore, sempre in discussione, bellum omnium contra omnes,indagante la vicenda dell'uomo che poggia sulla sua concreta umanità, irriducibile spirito critico, …un bisogno di trovare piani di discorso e metodi più positivi, più intersoggettivi, di poter fare della filosofia un onesto mestiere e non un modo per urlare le proprie passioni o, peggio, sfogare una specie di personale libido loquendi…dicevi.
Un amore difficile il nostro, dolcissimo e feroce….Un mondo problematico e sconosciuto, …il tuo modo di esprimerti,corrosivo e paradossale,la tua intelligenza,che m’incantò a lungo…..Fitte di felicità, al ricordo.
Sono stata in tanti luoghi nei primi tempi di matrimonio…che nemmeno me ne ricordo: monti e vallate del Nord. …Io dicevo:- Vorrei coltivare la terra. Fermiamoci qui.-
Tu …gridavi:- Alzati. Il mare è bagnato e la sabbia sabbiosa- E ricominciavamo a scappare.
Viaggiare, andare, cercare, scappare di nuovo,la marca della tua vasta inquietudine. L’altro aspetto della libertà. Ma anche i momenti salienti della nostra crisi.
Incomprensioni e consonanze impreviste,stupefacenti. Una felicità momentanea, una tregua, solo momenti silenziosi di pace,di luce tremante, difficili come “una spina che duole”
Fossi restato qui con me fino alla squillante perfezione d’autunno…, saremmo ancora qui a guardare il sole tutto grondante del lago. Ma avevi cominciato ad annoiarti.
-Troppa acqua, dicevi, niente bar: sigarette italiane svampite.-
Ancora acqua e luce sui paesaggi immemori,incantati, quasi miracolosi,ma paesaggio illusorio a rappresentare un rapporto d’amore- il nostro- mai banale, difficile come la vita di un fiore senza stelo che galleggia sull’acqua.
L’acqua nasconde e ombre, i fiori abbandonati a quella improvvisata culla galleggiano quasi come fosse una danza solitaria. La mia poesia- unica via di scampo alla disperazione- è diventata meditazione e lucida sofferenza.
Il nostro discorso non riprende,inghiotte silenzio e parole,il nostro discorso,che non s’avvia….
Quante sere sono state mute,così! Quante sere – con amara pietà mi ripeto –furono vere così ed ora sono solo ricordo che si abbella, che si fa quiete.
Che cosa è successo ai nostri sogni? Alla nostra vita? Ora viviamo una qui uno là e ci scagliamo lettere con fredda premeditazione, gelida cortesia.
Ah, vecchio Don Giovanni, tenero e stanco, ghermitore quasi senza impegno di soffici colombe!, lodatore delle altre ... Non tornerò con te. È finita la guerra in un aristocratico silenzio. Non voglio essere complice.
Ho pregato e ripregato la mia saggia ironia di salvarmi. Sono troppo civile per urlare. La decenza delle belle maniere!...Così la mia mente illuminista si scontra spesso con le irrazionali pretese dell’involontario muscolo che mi batte stancamente in petto.
M'alzo e m'avvio, calzo alle dita fredde guanti casuali e intanto–addio- dico, addio con le sole labbra. Non ritornerò con te per lo strazio veloce delle recriminazioni,ai tuoi sì avari,ai modi sbrigativi,mai adulanti, alla tua eterna inquietudine. Perciò ti scrivo….di quassù.
Ti scrivo tutto quello che ancora mi è rimasto:l’infinita stanchezza le curiosità inesplorate.
Sono una donna vecchia, ma non fatta più saggia. Dopo tanto odio ti ricordo infine con animo fraterno. E ti perdono: mi hai fatto certo del bene.
Il coltello dell’abbandono è crudele, come la sorte di un albero strappato dalla sua terra.
Io dolevo in ogni radice. Ero colei che infine si diserta dopo infinita guerra.
Ora non mi occorre più nulla. Davvero. Il tempo mi è stato amico.Che pace!
Eppure non sei felice. Perciò ti dico: a casa hai sempre un luogo,i tuoi libri,i tuoi dischi E la stanza più grande di tutta la mia casa.
Ma non credo che tornerai. Questo non me lo aspetto. Di tutte le mie cause perse tu, caro, sempre sei stato la causa più persa di tutte.

Non sono triste. Milano con le sue nebbie ovattate e consolanti mi conforta.
La casa è quella di sempre,le piante, il filodendro,salgono a stella su per la parete tra libri e quadri. Fuchs ronfa sul cuscino, silenzioso. Vive il suo lutto domestico.
Col cuore in festa vedo alzarsi un sole bianco e ricciuto come un crisantemo dalle nebbie del corso. Da dietro le nebbie autunnali e se ne va la tenera notte di sghembo
Sono in pace con la stagione E non mi aspetto nulla. Ho chiuso,con le parole-tra tanti eloquentissimi vuoti contenitori- e gridi d’amicizia eterna.
Irti e sottili all’aria albina della luna stanno i marmorei santi del duomo; fitti e bianchi su per guglie e vette dentro le ali strettamente involti -di esili pietre. Stanno, in ascolto!
In punta di piedi,ciascuno dal suo pinnacolo pronto,quei pallidi santi del duomo,in ascolto.

Vivo in questa città, mi è facile farmi una cadenza a tutte le cose qua attorno,alberi, case, rumori…
Le patisco a volte,ma più spesso ne sono beata.
Siedo ed ascolto, sono tanti e così lievi messaggi di cose che mi attorniano perpetuamente.E vivo, se non il mio, quel loro ritmo d’arnia. Il decanto del vissuto.
Me ne vado in giro come un cirro silenzioso. Mi piace stare alto sui tetti a galleggiare guardando.
Mi sento il palloncino fuggito dal suo grappolo: una cosa. Una dispari, felice di bere alla brocca della sua solitudine.

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