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Raccolta di testi in prosa di Maria Teresa Morini
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Venezia in ottobre

A volte il solo " descrivere " non è poi un limite per uno scrittore; vero è che in certuni casi nemmeno una fotografia potrebbe dare un risultato, fissare l'immagine o il momento. Ho fatto la prova. Fotografare Venezia dalla laguna, nella prima foschia densa del mattino, non dà alcun risultato. Nulla, non ne esce nulla. L'occhio umano però vede, e forse vede perché sa dove esattamente si trovano le cose, le linee, il profilo.
Non importa se un'ovatta occlude, se impedisce un chiaro distinguo. Se sappiamo dove "sono" le cose, anche nella nebbia le vedremo.
Questa mattina , dalla laguna, Venezia non si vedeva affatto. Intuivo che c'era, ma era stata come cancellata. Sforzando lo sguardo catturavo appena il grande rotondo della cupola di San Simeon e l'acuta piramide dal campanile di San Marco. Ma era tutto assolutamente velato.
Con la nebbia, la laguna ci prepara a questo ingresso nel senza limite, per cui potremmo partire in barca dalla terraferma per navigare senza destinazione. Dopo un centinaio di metri le grandi " dame " ( ossia le segnalazioni in legno, tre pali riuniti conficcati nel canale per orientare chi naviga) già non si vedono più.
Stamane , in questo panorama di vapore, lo specchio lagunare era piatto e punteggiato qua e là da decine di gabbianelle, che si lasciavano portare dal ritmo lento della corrente. Dondolavano tutte nello stesso verso, con i capini rivolti a ovest. Mi vennero in mente degli origami adagiati a pelo d'acqua. 
Poiché è periodo di bassa marea, riaffiorano lingue di barena e limo che con il tepore del primo autunno si coprono di un'erba verde, tenera come peluria, l'ultima prima dell'inverno. Così pare che delle chiazze di prato galleggino erranti. Mentre spingevo lo sguardo il più possibile, ecco arrivare una caorlina rossa, spinta dalla forza dei remi di sei uomini. Aveva girato l'isola di San Secondo e ora procedeva sicura verso la riva. La caorlina è una grossa barca in legno, da trasporto , ma con l'equipaggio adatto gareggia nelle regate di voga. Davvero una sorpresa vedere questa virgola rossa, dalla prua possente, sbucare dal nulla e sentire nell'aria lo sforzo dei vogatori che con la voce si davano il tempo di battuta per mantenere il ritmo.
L'imbarcazione ha sfilato vicino a tre cigni reali, intenti a cercare cibo, i quali imperterriti hanno continuato il loro lento andare, tenendo il bel collo arcuato come un uncino.
Sopra di me, del tutto invisibile, passava un aereo, già in fase di atterraggio. Un rombo disperso, un tuono meccanico. Sono rimasta nel mio silenzio, a guardare. Non avevo domande né misteri. Rimanevo in attesa di quel tanto di vento bastevole ad alzare la spessa garza dell'aria. 
A mezzogiorno Venezia è apparsa, a salutare il mondo.

 

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Quando un giudice è solo

Sono chiuso da circa due ore in camera di consiglio. Devo emettere la sentenza per questo caso di rapina. Due udienze di serrato dibattimento, dopo la convalida dell'arresto. Devo dire che il Pubblico Ministero è stato molto convincente; io, però, avevo inizialmente sottovalutato il difensore. Un ragazzo giovane, piuttosto reattivo ma ancora poco esperto di dibattimento. Però ho ascoltato con attenzione anche lui... la sua difesa, poco tecnica, è stata però molto accanita. Si è dato parecchio da fare con le opposizioni.. ma qua non siamo in America. Sono già passate due ore, ho letto e riletto i verbali... Ecco, per esempio, questa teste... molto precisa, puntuale... Ha retto benissimo sia l'esame dell'accusa che il controesame dell'avvocato. Mai una contraddizione. Anzi : ho dovuto persino richiamarla, stava quasi arrivando al diverbio... ci sono testi così, che scattano per un nonnulla, sono sulla difensiva. Si vedeva però che aveva dell'astio contro uno degli imputati ... a riguardo del meno giovane ha detto " aveva l'aria del fannullone"... e ancora " si vedeva che era gente che viveva di espedienti"... Secondo me questi due hanno iniziato con l'idea di commettere un furto, poi la faccenda è sfuggita loro di mano... la vittima è caduta per terra... Ecco qua... l'imputato a nome Mario è un tipo navigato, ha un bel po' di precedenti penali per reati contro il patrimonio; per tutto il processo guardava qua e là, più che seduto, direi che stava stravaccato sulla panca. L'altro, è un ragazzo... incensurato? ... ah no, una violazione per guida in stato di ebbrezza - vedo dalle carte - ma è cosa da poco. Comunque era molto spaventato. Mi guardava con certi occhi, durante il suo interrogatorio... Ha chiesto anche di poter bere un bicchiere d'acqua... più volte s'è fermato, pareva sul punto di scoppiare in pianto...
Il reato di rapina è punito molto duramente... mi sono ritirato dall'aula abbastanza convinto, alla fine, che siano colpevoli entrambi... il giovane però non credo avesse intenzione di rischiare fino alla rapina... In questa stanza si soffoca, fa davvero caldo. Non posso nemmeno aprire le finestre, sono troppo alte. Potrei però sfilarmi un attimo questa toga, che pesa troppo... E sì, ero abbastanza convinto che fosse rapina , quando ho lasciato l'aula.. adesso però che ripenso a mente fredda e non sono sotto lo sguardo della gente... si fa presto a dire, ma un giudice è solo in aula, mentre tutti i presenti lo osservano ed interpretano ogni suo gesto... L'imputato più giovane ha detto di aver frequentato le medie superiori e che da mesi è senza lavoro... guarda te se un ragazzo di vent' anni si doveva inguaiare in una storia del genere!... perchè , c'è poco da dire, ma ad emettere certe sentenze io provo ancora dispiacere... rileggo le carte ancora una volta, vediamo se c'è margine per un furto aggravato... mi prendo ancora un po' di tempo.. peccato non poter fumare, ne ho una gran voglia!

 

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Non mi chiamo Mario

Ci siamo lasciati con Gina. È la terza morosa con cui non funziona. Mi sono chiesto se non dipenda da me, questa incapacità a mantenere a lungo una relazione. Direi di no, non dipende del tutto da me. Gina mi piaceva e molto, anche. Ne ero preso, ma alla fine il suo carattere mutevole mi aveva stancato. In questo non era diversa dalla altre donne che ho avuto. Sino ad oggi tre, diciamo quelle vere che mi hanno davvero coinvolto. Solo la Ines era sempre serena e solare. Incontrarla e stare con lei era sempre piacevole, mai problematico. Con la Ines mi rilassavo proprio. Non era una cima, scuole ne aveva fatte poche, però aveva quel tal modo di appoggiarsi e di stringersi a me, che mi riscaldava il sangue. La Ines l'ho lasciata per noia. Dopo un primo periodo in cui non pensavamo altro che a fare l'amore in qualsiasi posto possibile, mi accorsi che con lei non riuscivo a parlare di nulla e mi cominciava a filare discorsi vuoti, colmi di abiti, villaggi turistici e cene con la sua famiglia. Stop. In un primo tempo pensai pure di tenermi la Ines solo per le sue belle coscie, ma non sono il tipo d'uomo che utilizza una donna alla lunga. Quindi con la Ines finì in modo rapido.
Con le altre, invece, prima o poi appariva questo problema del carattere. È vero che a me piacciono le donne determinate. Anche avere un contraddittorio è importante. Non voglio la donna che mi dica sempre sì sì. E in amore un po' di battaglia ci vuole. Mi ricordo la Rossana! Disfare il letto era diventato un rito. Ma poi quando la prendevo si acquietava e affrettava il respiro come fosse un animale catturato. Tuttavia un carattere forte è a rischio, altissimo rischio di liti. E non si può sempre stare a rintuzzare. La polemica mi stanca e le donne sembrano non smettere mai, quando ingranano la marcia.
Per non parlare della gelosia! La Doris era tremenda, dopo un mese l'avevo salutata. Se mentre ero con lei ricevevo un messaggino, apriti cielo! Se al cinema appoggiavo l'occhio sulla vicina, ma solo così, di sguincio, musi per tutta la serata. E non aveva nessun motivo, ma davvero nessuno. Io se mi metto con una, sto con lei al cento per cento... non sono proprio attratto da altre. Oddio se passa una bella gnocca posso anche apprezzare, ma così ... tra me e me. Che poi certe donne a me mi intimoriscono pure. Troppo convinte di essere irresistibili, il che mi spegne ogni velleità. So già in partenza che farei brutta figura. Le tipe così le evito. Sono solo innamorate di se stesse e vogliono il maschio adorante. Sono quelle che in amore " si concedono", ti fanno quasi un piacere. Manca poco che dopo aver fatto l'amore si accendano una sigaretta e ti fumino in faccia, pensando alla prossima partita di caccia.
Invece chi ho sempre rimpianto è stata la Marta. Una bellezza particolare, forse irregolare. Ma occhi molto eloquenti. Intelligente, estroversa... mi trascinava in giro per i suoi luoghi culturali sperando mi piacesse. No, non mi piaceva. Non sono mai stato un intellettuale, le mostre artistiche mi stufano. Mai capito nulla di quadri. Preferisco la natura, andare al mare, in montagna, stravaccarmi su di un prato e baciare la morosa. A parte ciò, la Marta era di una vivacità incontenibile, sempre con mille cose da fare. E poi è stata la sola ad avermi baciato, la prima volta, di sua iniziativa. Un bacio lungo da lasciarmi senza fiato. Nemmeno mi aveva abbracciato.
Quando si staccò , io ero quasi tramortito, mi disse : " Scusami Mario, ma mi piaci proprio tanto".
Il fatto è che non mi chiamo Mario.

 

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Barbagia

Jeanne si chiedeva se si potesse trovare in natura la dimensione della solitudine. Non indagava più in merito a che cosa l'avesse provocata. Aveva bisogno di un criterio di misura. La qual cosa non coincide con il silenzio. Per la persona sola il vero silenzio non esiste mai; essa ode e ascolta moltissimo, perché cerca un suono di richiamo, non un suono qualsiasi. Jeanne s'era posta davanti al mare, ma scoprì che il movimento non collima con la solitudine. La solitudine è immobile. Già l'imponenza di una montagna, con le sue rupi, i suoi ghiacciai, il sibilare dei venti, è vicina alla impenetrabilità della solitudine. Così Jeanne, a quasi sessant'anni, partì per un viaggio ed iniziò la sua ricerca. Un luogo nel mondo che potesse darle il " senso" visivo della solitudine interiore. Cercò molto e lo trovò. Il cuore della Barbagia è un luogo di solitudine assoluta, laddove segni fugaci di vita umana si scorgono, ma non c'è traccia apparente di uomini in movimento. Perché la solitudine è questo: un vasto luogo in cui l'uomo " è stato" , ha messo una radice, un suo segno e poi ha lasciato un abbandono. La solitudine è tale solo se preceduta da un lontano abbandono. Nessuno nasce solo, in origine. Lo sguardo di Jeanne scorreva su strade che si perdono contro costoni, greggi che vagano lenti, accompagnati dai cani; muretti a secco che serpeggiano come nervi della mano abbronzata di un vecchio e poche, pochissime case, lontane, simili a punti senza ragione. Boscaglie estese a macchia ruggine, avide anche del terreno vizzo che attende la pioggia da mesi. Le creste calcaree dei monti , con fessure percorse da licheni e muschi secchi. Nessuna voce, se non il lemme pendolìo dei campanacci che le pecore muovono all'unisono, come assieme chinano la testa a strappare erbe. E poi il vento, un forte maestrale che scorazza e dilata ogni pertugio, pronto a portare voci dal mare, magari quello stesso mormorio che si tramuta in pioggia e che nel petto umano è il suono del ricordo di persone amate. E cieli stellati, di notte, come non è possibile vederne altrove. Stelle, alcune, vibranti ed intermittenti che bucano la volta oscura. Jeanne rimase molte sere ad ammirare quel punto estremo del tramonto, in cui un nastro di luce si incendia dietro ai monti, prima del calare delle tenebre. Perché in Barbagia la notte non è solo tale, ma è autentica tenebra.

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Schizofrenia

Ricordarsi di te  è ripercorrere una lunga malattia, la peggiore,ossia quella che veniva chiamata “   dimente”. Chi erano   ,  fino a cinquant’ anni fa ,  i malati dimente? Forse oggi persone che verrebbero ritenute appena appena  “spostati”  ,  “strambi”…ma al  tempo degli ospedalipsichiatrici, dei manicomi  chiusi, eradiverso.  Ci si entrava molto facilmente!E i medici, allora, potevano anche attestare la “ pericolosità” sociale di unindividuo. Una marchiatura  a fuoco pertutta la vita.

Tu cominciasti ad ammalarti daragazzo. Sempre molto nervoso, polemico;  avevi scatti di  nervi che tua  madre non capiva. Ricordo come guardavi  unpunto fisso,con le iridi chiare  , fermecome pietre  dure,  su cose che vedevi  solo tu e diventavi livido in volto. Fumavisempre, in  continuazione,  una   Nazionalevia l’altra, avevi  forse  vent’anni,  credo. In poco  tempo la nicotinati segnò le dita scarne sino all’attaccatura del palmo.  Prendesti l’abitudine di fumare in cameratua, e l’aria lì era ammorbante. Dormivi la notte,  dentro al tuo fumo ,  poichè proibivi   chequalcuno aprisse le finestre della camera. Una camera che  s’affacciava su diuna calle, quindi senza luce per gran parte del giorno.  Ti ricordo con i capelli biondi sempre ispidie ritti; nei momenti della  tua   silenziosa disperazione, ficcavi dentro lemani nei capelli ed essi ti spuntavano  tra le nocche. Stavi ore in silenzio , così , nella tua camera.

I primi   ricoveri li hai conosciuti in  una clinicaprivata ,  in collina. La famiglia provòun trattamento meno duro  di quellodei  reparti ospedalieri  ordinari. Venimmo a trovarti  a Feltre in  una giornata fredda dimarzo;  io  ero adolescente, e camminavo dietro aiparenti, ultima della fila , nel lungo corridoio pittato di  bianco, sovrastato alla fine da  un grande crocifisso ligneo. Alle finestre  della vecchia villa che ospitava la  clinica, confusa in un magnifico parco, erano apposte  sbarre laccate .Sbarre a tutte le  finestre e per entrarenella tua stanza  un infermiere aprì latua porta  con una chiave, dall’esterno.Ricordo che ti intravidi seduto sulla sponda del letto,  in pigiama. Le imposte erano  socchiuse. Io non entrai.

Dopo  un breve periodo di cura,  tornasti a casa inebetito dalla  “ cura del sonno”, così la chiamavamo. Credosi trattasse di somministrazioni  dipotenti  psicofarmaci. Cercavano di  calmarti facendoti dormire.  In casa siviveva sempre  in  silenzio, sussurrando le parole perché tu passavi ore  nel sonno.   Un sonno buio , assurdo e senza  sogni.  Qualche volta tua madre salivaalla tua stanza,  bussava,  ti lasciava del te e dei biscotti su di unvassoio, davanti alla porta. Ritornava  senza dire una parola. Uscivi dalla camera  solo qualche volta, per lavarti. Tua madrepaziente, in cucina  ,  ti  faceva sedere davanti alla  finestra, ti insaponava il  viso e ti faceva la barba, con pennello erasoio. Mentre  facevo i  compiti, nel salottino,  sentivo che ti rivolgeva domande, ma  tu rispondevi a monosillabi.

Ti portarono da moltiprofessori,  veri luminari. I loro  nomi venivano mormorati appena,  erano  medici dei pazzi, la cosa  era risaputa.

 Avevi crisi sempre più  frequenti e la  parola schizofrenia  prese il sopravvento .  Non c’era  modo di tenerti in casa .  Ti avventavi contro la serva, la insultavi;tentasti  più  volte di soffocarti con  dei fazzoletti, che qualcuno  ti strappò di bocca,  e poi piangevi disperato. Avevi anche iniziatoa  grattarti furiosamente una cavigliae  in poco tempo eri tutto piagato. Tuamadre ti  medicava ogni giorno,implorandoti di smetterla chè  eri già incarne viva. Io assistevo ogni tanto a queste medicazioni: la tua piaga mi era  famigliare, un giorno era blustra, unaltro  rosso vivo.  Camminavi in continuazione, malgrado le  bende ,  e fumavi. Fumavi pacchetti interi e tossivi fino al vomito.   Dormivi  vestito,  buttato sopra  le coperte,  e accumulavi giornali   e  ritagli nella camera. Alla fine impedisti achiunque di entrarci.  Ogni   tanto  lanciavi  grandi urla che finivano  in un silenzio inumano.  Iniziasti così ,  seppur  giovane,  il tuo viaggio senza  ritorno dentro gli ospedali psichiatrici. Lalegge Basaglia era di là da venire.   Imanicomi erano  carceri. Carceri  dentro vastissimi  parchi  dove gli ammalati , in pigiami a  righe, maglioni e ciabatte, giravano a vuotocon le loro fissazioni, guardati a vista dagli infermieri. Laospedalizzazione  consisteva nella  costrizione fisica del malato  di mente. Lettidi contenzione, camicie  con lacci ,elettroshock.

 

Venni una  volta a trovarti, assieme a tua madre, inuno  di questi ospedali.  Avevamo fatto un  lungo viaggio in treno. Tua madre tiportò  dei panini  dolci, imbottiti di ottimo prosciutto  san Daniele.  Da quand’ eri ricoverato, tua madre vestiva sempre di nero e, religiosa come era,aveva fatto svariati voti alla Vergine, donando i pochi  “ ori”  che aveva , alla Chiesa.

Chiedemmo  di  tead un grosso  infermiere ;  ci rispose  che eri in giardino con gli altri. Itranquilli.   Ricordo quando, dopo  un  breve girovagare,  ti trovammo,  solo,  seduto su   di una  panchina. Avevi  perso parte dei capelli  ed eri molto dimagrito. Eri privo dei denti incisivi superiori.  Te li eri tolti da te.  Era una giornata soleggiata e  tu sembravi rilassato. Sembravi….sapevamo che ti facevano iniezioni calmanti tuttii  giorni.  Tua  mamma   , traendoli dalla  borsa,  ti mise davanti ,  in  fila, i   panini, guardandoti sorridente:  “ Li vuoi Antonio?  Sono  buoni , il prosciutto  è dolce”.

Tu la fissasti , fissasti ipanini e con  un gesto  deciso li gettasti a terra, tra i sassolini.  Si aprirono e il finissimo prosciutto  crudofinì sotto la panca : “  Portami  via da qua, io non sono matto ” dicesti,  riprendendo a fumare. Guardavi i passeri  mangiare il pane e non parlasti più.

Sei morto all’età di 44 anni,senza  riprendere  più  laragione. La  ragione intesa come la  intendiamo tutti. Ma la  tua ragione , forse, non  l’ha ascoltata nessuno. In qualche raromomento  di lucidità mi domandavi come andavoa scuola o se avevo un  moroso, ma nonattendevi mai la mia  risposta. Tidistraevi immediatamente e  in pochi  minuti già eri rientrato nel  tuo mondo.

 

Sei sepolto  in un piccolo cimitero  del Friuli, perso in mezzo alle  vigne di  merlot.  Vicino a tuo padre e a tua madre. Lapiccola  foto della lapide ti mostra conle braccia strette al petto, sulla difensiva, assomigli  vagamente a Cesare Pavese.