chiudi | stampa

Raccolta di testi in prosa di Carmelo Pirrera
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Un luogo come un altro

Un luogo come un altro, mi appariva nuovo ma non estraneo. Poteva richiamare alla mente l'immagine serale di u n aeroporto. Luci ammiccanti e lontane, un velo di nebbia. Mi pervenne un brusio di voci. Due donne parlavano fitto fitto tra loro, aguzzai lo sguardo senza riuscire a vederle, ma notai che una piccola folla si avvicinava, come fosse venuta ad accogliermi, Cercai tra loro mio padre, lo avrei riconosciuto sebbene fossero passati tanti anni, forse stavolta avrei potuto dirgli le cose che per pudore gli avevo sempre taciuto. I nostri rapporti erano sempre stati buoni, ma tra noi c'era sempre stato come un muro: non per colpa sua, non per colpa mia, lo avevamo costruito insieme. Ecco, avremmo potuto parlare di quel muro oancora una volta non avremmo osato in presenza di altre persone.
Chi erano?
<riconobbi Renzo. La sua storia di emigrato somiglia un po' a tutte le storie d'esilio. "Il mio cuore ama ovunque il suo destino d'esilio" aveva scritto Henry Gaberel, ma Renzo non lo amava. Scriveva lunghe lettere in principi per lamentarsene, lettere che si somigliavano tutte per uncomune denominatore di pena, poi non ne scrisse più né io gliene scrissi, e non per mancanza di tempo, il tempo lo trovavo per fare le cose che ritenevo importanti e lui, Renzo, aveva finito di esserlo. Veniva avanti, quasi zoppicando, assieme al fratello Michele, quello che suonava la chitarra, amava i fiori di plastica che io detestavo, amava una ragaza, Flora. Detestavo pure quella.
Michele suonava la chitarra, quella era la cosa che faceva meglio, e certi pomeriggi d'estate univa la sua voce al coro dei grilli.
- E la chitarra? - gli chiesi quando si fu avicinato.
- Non la suono più.
Ecco, fai una cosa bela, la fai con tanto amore e un bel giorno smetti. Il pane non ti viene dalla chitarra e tu hai bisogno di pane perché hai sposato una ragaza, che magari non è nemmeno Flora, la ragazza ti dà dei figli e anch'essi vogliono pane. Oh, Michele!
Vorrei chiedergli di Ninetta, la sorella più giovane per la quale avevo preso una cotta: l'estate che la conobbi portava un cappello di paglia che la faceva sembrare una bambola, aveva un piccolo neo poco sopra le labbra, i capelli di spighe mature  e qualcosa che non so dire che mi dava, ad un tempo, una gioia e una sofferenza che alla gioia somigliava, talvolta.
Perché non siamo fuggiti insieme quando era tempo di farlo? L'avrei pure sposata per quel neo, quei capelli, quel cappello che la faceva somigliare ad un'altra, a tante altre e mai a lei sola.
Esito: vorrei che la mia sembrasse una domanda come un'altra. Michele legge nei miei pensieri:
- Ninetta è...
- Non dirmelo.

*

Viaggiatori

Trafelati, giungemmo alla stazione proprio mentre il nostro treno si allontanava beffandoci con un lungo fischio. Ci guardammo: - E' colpa tua - è colpa tua.
Colpa nostra, comunque.Sudati e pallidi, non ansanti, rosei e molli come al poeta sarebbe piaciuto: - Cosa facciamo?
Niente di più sciocco che inseguire un treno, infatti non lo inseguimmo. Era ancora vivo nella memoria il ricordo di antenati che per inseguire treni o sogni s'erano definitivamente perduti e non avevano più data notizia di sé. Di un certo zio Domenico, calzolaio insigne che aveva pure messo sopratacchi alle scarpe della defunta regina Margherita, eccelso suonatore di mandolino, si raccontava che dietro un rapido - quello delle nove e quaranta - aveva avuto epilogo la sua avventura di calzolaio e musico, e inizio un'altra che lo vide randagio nel mondo, accertata, anzi testimoniata dalle carte negli archivi della polizia, di cui sarebbe indelicato qui riferirne.
Non potevamo che piangere.
E dove? lì? tra gente indaffarata che sgomita e spinge? Tra suore bestemmianti che inseguono bagagli? tra borsaioli che con aria innocente ti si strofinano addosso, e donne - tutte quelle che amammo - piangenti, che si sporgono ai finestrini mentre le salutiamo per l'ultima volta?
Il capostazione, uomo cortesissimo, con un berretto rosso che lo faceva somigliare a un gallo casalinaro, uomo vissuto che ne aveva viste tante anche se per innato pudore non ne parlava, ci fu d'aiuto:- Al cinema, andate al cinema.
E lì ci recammo ché al buio si piange meglio.Lo facevano in tanti senza fare caso alla pellicola, e i gestori, fattisi furbi,proiettavano sempre lo stesso film: un vecchio western dove solo i cavalli recitavano bene nel ruolo di cavalli. Gli altri, i cow boy. avevano la faccia triste di studenti bocciati, masticavano chewingum e, qualcuno persino tabacco. Ce n'era uno che suonava la chitarra, seduto accanto al fuoco dove, in un pentolino, gemevano dei fagioli. Sempre la stessa lagna, la stessa lagna, la stesa lagna.
C'era anche il solito vecchietto - barba incolta, stolido, sdentato - quello che si rivolge a tutti chiamandoli ragazzi, strilla come un'oca e si accorge per ultimo che arriva la diligenza.
E' inutile che vi racconti il film, tanto una volta o l'altra lo andrete a vedere, danno sempre lo stesso e lo vedrete la volta che vi verrà da piangere e non saprete dove farlo.

*

Fratelli

Frequentavano la stessa scuola che era quella detta dei Cappuccini, in viale Regina Margherita. Forse uno dei due era ripetente. Come li pettinava male la loro mamma! Il più piccolo aveva un buon carattere o non ne aveva, prestava volentieri i pastelli o la gommina, disegnava carri armati che sembravano formichine e piccoli soldati. Una volta disegnò un elmo romano e lo colorò di rosso. Il maestro gli disse che sembrava un pomodoro, si mise a piangere. Non era raro che piangesse. Disegnava soldatini dappertutto, anche a margine dei problemi di aritmetica che risolveva con l'aiuto del fratello, apparentemente più egoista, svogliato e litigioso. Il maestro spesso gliele suonava e lo chiamava alla lavagna solo per fargli fare figuracce e per prenderlo in giro davanti a tutta la classe. Finiva spesso dietro la lavagna, in castigo, da dove per non darsi per vinto, continuava a fare smorfie e sberleffi.
Con la fine delle elementari e l'incalzare degli eventi bellici li perdetti di vista - la guerra fu come un vento, e ci disperdemmo un po'tutti per ritrovarci cambiati, quelli che ci ritrovammo, se non proprio più vecchi.
Li rividi anni dopo che la guerra era finita: il più piccolo sembrava il più vecchio dei due, non disegnava più carri armati o soldati-formiche e aveva aperto assieme al fratello un piccolo negozio di articoli di elettricità. Nel negozio c'era spesso una donna, moglie dell'uno o dell'altro.
Non so chi dei due, il più grande o il più piccolo, finì in galera per una storia di cambiali, assegni a vuoto e femmine. Opinerei per il maggiore di cui ho detto il triste carattere, ma ormai li confondevo e li confondeva anche la gente nella stessa indistinta disistima, anche prima del fattacio di cui parlarono persino i giornali, nella cronaca di una provincia povera di eventi.
Scontata la pena, emigrarono assieme all'estero, alla ricerca di una fortuna che non trovarono e uno dei due - quale? - morì in un incidente di macchine, qualcuno insinuò si trattasse del fratello più grande e che la macchina fosse stata rubata. Dicerie. Nessuno più al paese frequentava il loro negozio, e la donna - vedova dell'uno o dell'altro - inutilmente toglieva ogni giorno la polvere.

*

Acacie

A Marta Bener, in memoria

Ventoso l'aprile quell'anno. Giocava il vento con le onde del mare, con la rua gonna. Spettinava la chioma delle palme a Mazara del Vallo, cioè a metà strada tra Europa ed Africa. Giocava con la tua gonna: belle gambe.
Se cerco ti ritrovo in una foto, in jeans, con un maglione rosso sulle spalle, posato come uno scialle. L'altro, al tuo fianco,è un poeta un po' folle, non fa che citare i suoi versi.
Nella hall dell'albergo ti ho visto baciare un ragazzo del luogo: la solita avventura, tu non sai che sarai il suo racconto per i prossimi lunghi inverni; nessuno di noi sa niente degli inverni futuri, tanto è vero che lasciandoci all'aeroporto di Punta Raisi ci diciamo arrivederci. Per strada ci siamo fermati a raccogliere rametti di acacie, poi sei diventata triste e hai parlato della tua bambina che ha un nome di stella: ti senti in colpa, ma passa. Nessuno sa niente degli inverni futuri. Arrivederci.
Ma il nostro amico, quello che guidava l'automobile e che ci fece fare un giro più lungo per visitare la tomba di un barone, morì d'infarto dopo qualche anno. Insegnava in una scuola in Puglia. Viveva solo:un pessimo rapporto con la moglie e non certo migliore con la vita. Che ne sarà del poeta? Che ne sarà di tutti gli altri? Già in tanti dormono, "dormono sulla collina".
Le palme spettinate dal vento, come allora, mi inducono al ricordo: Per qualcuno sarà ancora primavera, spero lo sia anche per te, per la bambina dal nome di stella, per quanti rimasti a vegliare nel lungo inverno che ti vide da donna mutarti in racconto, poi in sogno.

E' notizia recente. per te non è più primavera. E allora resistimi nel cuore, nel ricordo come il mare resiste alle stagioni, giovane come il vento che giocava con la tua veste.