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Raccolta di testi in prosa di Francesca Luzzio
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Mi vendo

MI VENDO

Giulia è una ragazza alta,magra con gli occhi azzurri e la carnagione rosea. E’ bella, glielo dicono anche i suoi compagni di classe ; Marco un giorno le ha detto che rassomiglia alla Madonna . Lei è felice di questo e, nonostante abbia appena sedici anni e frequenti il terzo liceo scientifico, gli altri le danno una consapevolezza della sua bellezza che prima non aveva. Così la sera,quando dopo cena si ritira nella sua camera per studiare ,di fatto passa ore davanti allo specchio: trucca i suoi occhi, le sue guance e l’ombretta azzurra rende ancora più azzurri i suoi occhi ,la cipria più rosea le sue rosee guance . Poi comincia a spogliarsi e ammira il suo corpo sempre più bello: palpa i suoi seni sempre più turgidi e tondi, i suoi fianchi sempre più arcuati,le sue morbide anche, le cosce tornite,le gambe esili e lunghe. A questo punto le viene spontaneo muoversi sinuosa, come se ballasse la danza del ventre al suono di una immaginifica musica orientale. - Dio quanto ti amo! - dice alla sua immagine riflessa nello specchio. Tutto ciò dura finchè l’incedere dei passi della madre che sale a rilento le scale ,non la inducono ad indossare velocemente il pigiama e a fingere di studiare. La madre infatti ha l’abitudine di passare dalla sua camera e darle la buona notte. Ha sempre fatto così e considera la figlia ancora una tenera bambina, nonostante lei si senta ormai una donna. Della madre Giulia ha ereditato l’avvenenza fisica, infatti anche lei è alta e slanciata, con gli occhi azzurri, ma forse mai nessuno ha valorizzato la sua bellezza, neanche suo padre che l’ha sposata. Giulia non ama suo padre, un uomo alto e bruno, violento e nervoso,che non tollera contraddittorio: bisogna obbedirgli e basta, in caso contrario,è pronto a sollevare le mani. La precarietà del suo lavoro di muratore lo rende ancora più irascibile e sono frequenti le occasioni in cui anziché soldi ,dispensa alla sua famiglia urla e legnate. La moglie lo ama nonostante tutto e, per soddisfare la figlia nelle sue esigenze , quando le capita va a servizio presso le famiglie benestanti,ora con funzione di giardiniera, ora di cameriera o di beby- sitter . Desidera che la figlia consegua una laurea, desidera che lei possa avere un futuro migliore del suo e fa di tutto perché la sua Giulia non sia inferiore alle altre sue amiche. La madre considera tali le sue compagne, ma Giulia non ha amiche, solo compagne che accettano la sua presenza nel gruppo solo perché lei è bravissima in latino e abitualmente passa loro le versioni; in realtà la invidiano ed odiano perché le attenzioni dei ragazzi sono rivolte tutte verso di lei. Il passare le serate ad ammirare il suo viso, il suo corpo sempre più attraente e sensuale è diventata un’abitudine per Giulia che ormai trova anche naturale parlare con la sua immagine riflessa che diviene la sua più grande amica: era lei la sua confidente ,era lei che capiva i palpiti del suo cuore,le sue gioie e i suoi dolori. – Ciao Giulia,- dice, salutando la sua immagine – oggi durante l’assemblea d’istituto sono stata grande : ho preso la parola, ho parlato al microfono,capisci? Tutti mi ascoltavano come se dicessi cose trascendentali, quando di fatto ,come tu sai , non ho fatto altro che ripetere quello che tutti dicono contro la riforma della scuola. Sembravo una devasta! Ma tu lo sai è la mia bellezza che inchioda tutti , non c’è giorno che qualcuno non mi accosti e non mi dica che vuole mettersi con me ed io sono confusa ,molto confusa ,non so che fare: mi inorgoglisco per la mia bellezza e dico di no, a nessuno di loro mi sento di dare il mio cuore pieno d’amore; ho voglia di darmi di dare , ma a chi , chi di loro nutre sentimenti veri verso di me? Forse sono invaghiti solo di te, immagine. Sai che ti dico, ti vendo,così guadagni e stiamo entrambi meglio e non chiederò più soldi a quella poveretta di mia madre, che non sa come fare per farmi contenta. Sai, adesso ho anch’io il cellulare: mamma ha aiutato il conte Bellonce a fare il trasloco ed ha guadagnato tanto da potermi comprare il telofonino che io desideravo da tempo . Ti farò delle foto: nuda, seminuda ,in pose particolarmente sensuali e poi le invierò ,sì le invierò a coloro che ci provano e …… se vogliono di più devono pagare!
Così Giulia inizierà un percosso di vita senza ritorno. Inizialmente il gioco le pare divertente e fruttuoso, infatti i suoi spasimanti, sempre più numerosi , ricambiano le ardite e gradite foto con ricariche del cellulare, con inviti a cena . Ma non sempre questi inviti rimangono solo tali, spesso divengono ordini, costrizioni; il suo desiderio di darsi, imposizione a darsi senza desiderio, piacere, alone sbiadito di sentimento, sempre e dovunque: i bagni della scuola, dei ristoranti, la nuda erba dei parchi…… Né è più possibile il pirandelliano sdoppiamento dell’io , perché l’io ne rimane prima leso nella sua integrità, poi ucciso nella sua essenza.
FRANCESCA LUZZIO

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Buttiamocela!

BUTTIAMOCELA!
-Ciao, mamma!- Giovanni ,salutata la madre, esce veloce da casa.
“ Cazzo,l’ascensore è occupato, scendo a piedi è meglio” corre così veloce per la scala, attraversa velocemente il lungo androne e finalmente, acceso il motore posteggiato sotto casa, via di corsa verso la scuola,anzi verso Alice con la quale ogni giorno s’incontra prima dell’inizio delle lezioni.
La strada su cui si affaccia il suo liceo è già piena di ragazzi : alcuni posteggiano il motore, i più studiosi, seduti ai margini dell’ampia gradinata d’ingresso, ripassano, le coppiette si stringono e si sbaciucchiano, altri fanno crocchio e discutono, fumando. Alice è lì e anche lei in disparte fuma, sfogando così l’ansia dell’attesa.
Vedendo Giovanni, Alice emette un sospiro di sollievo, gli corre incontro,ostenta un sorriso smagliante, gli butta le braccia al collo e dice:
-Tutto bene,perché hai tardato?-
-C’era traffico,mi dispiace.-
- Mi vuoi bene?-
- Ma sì ,amore mio,non vivo più senza di te- E così dicendo, Giovanni se la stringe forte al petto e al caldo contatto del suo seno, delle sue cosce non può non notare come tutto il suo corpo si svegli in spasmodico desiderio.
- Io ieri non ho potuto studiare, ho pensato in ogni momento a te-
Soggiunse Alice, anche lei con i sensi eccitati da quell’abbraccio intenso,profondo,suscitatore di brividi che dalla schiena salivano intensi su, verso la testa.
- E mi hai mandato trenta messaggi! Trenta torture per mie sensi, trenta quanto i denari del traditore Giuda, ma tu non mi tradisci, vero?-
E così dicendo Giovanni sbaciucchia la sua ragazza sulle nani, sul viso, in ogni parte scoperta del suo corpo.
Mentre così procede il tattile dialogo, l’ardore dei sensi, il cielo azzurro, il tiepido sole,tutto complotta per indurre la coppietta a marinare la scuola.
- Ogni tanto fa bene disintossicarsi, lontano dalle barbose lezioni mattutine, perché non andiamo ai giardini? propone Giovanni.
-Che dici ce ne freghiamo delle lezioni ,ce la buttiamo anche noi? Ma io oggi ho compito di matematica, oh Dio, lì c’è il Prof! –
Risponde Alice ,intimorita dalla semplice vista del suo insegnante.
- Ma che te ne frega di quello! E non guardarlo più, altrimenti m’ingelosisco- Risponde Giovanni, un po’ irritato più dagli sguardi che dallo zelo scolastico di Alice, la quale stupita dalle parole del suo ragazzo, risponde:
-Sì, quello di quarant’anni dovrei guardare!-
- E chi lo sa mai, il fascino del vecchio: i capelli brizzolati,la barbetta,il passo sicuro e l’aspetto altero e, mentre così dice, Giovanni ne imita l’andatura,suscitando il sorriso della sua amata, che sciolto ogni indugio esclama:
- Ma va là! Ok, buttiamocela, tanto di compiti ne faremo altri.
Così Alice e il suo Giovanni, lasciano l’atrio del loro liceo e in mezzo al traffico intensissimo a quell’ora del mattino, cercano di avviarsi verso la vicina villa Imperia, meta abituale dei ragazzi degli istituti circostanti, quando per un motivo o per un altro decidono di non andare a scuola .
Il giardino è molto grande , pieno di vegetazione di ogni tipo: palme ,pini marittimi, enormi ficus e poi siepi e cespugli di fiori di ogni tipo ; in perfetta armonia con la ricca vegetazione, ci sono fontane gorgheggianti tra fanciulleschi giochi di limpide acque, rese dorate dal sole, viali ampi o piccoli e tante, tante panche, alcune seminascoste da rami cadenti,complici, ammiccanti, invitanti ……, mentre il cinguettio degli uccelli si unisce in naturale sinfonia alla voce schietta dell’acqua e le tortore con il loro naturale assentire approvano compiacenti le effusioni sentimentali delle coppiette.
Alice e Giovanni sono diretti proprio lì,in quella stupenda oasi,dove la natura si rende complice degli amanti, fautrice dell’espansione sentimentale delle pulsioni dell’anima e del corpo. Percorrono il tragitto che li separa dalla meta, parlando e sparlando dei professori che hanno in comune, ma una volta giunti in quel paradiso terrestre, spinti da travolgenti fervori,cominciano a cercare con lo sguardo una panchina appartata, più consona ad esprimerli . Così si dirigono “ come colombi dal disio chiamati” là dove sembra loro più opportuno.
Un’attrazione fatale, una sensualità travolgente, una spinta misteriosa che in un momento inatteso della vita si sono accesi in loro e, come fuoco indomabile, illuminano i loro sguardi,i sorrisi, fanno battere forte i cuori e riempiono l’anima di tanta voglia di darsi, di dare, di camminare insieme verso una meta, anche se non si sa quale. Alice e Giovanni si sentono come nubi vaganti nel cielo, che forte vento spinge ad unirsi, ad amalgamarsi, senza che niente più li distingua: un lungo bacio e altro ancora e poi ancora…… Frattanto le nonne passeggiano i piccoli nipoti e distolgono lo sguardo dei piccoli, cambiando viale, qualcuno porta al guinzaglio il cane, altri leggono il quotidiano, dei bimbi smollicano del pane per attirare i piccioni, i carabinieri a cavallo fanno il loro giro di perlustrazione , ma nessuno osa disturbare : ora un sorriso nostalgico,ora uno sguardo furtivo o innocente accompagnano l’espandersi dei sentimenti, mentre complice il vento soffia leggero tra i rami che si sussurrano parole d’amore e lo scroscio delle fontane,pudico sorride.
FRANCESCA LUZZIO







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Il ragazzo fagotto

IL RAGAZZO FAGOTTO


Otto luglio 2005, ore sei e trenta.
Suona la sveglia, Marco si affretta a spegnerla e si crogiola ancora qualche minuto nel letto, distendendo piacevolmente le gambe.
“Finalmente oggi finisco, fatti gli orali, addio maturità! Sarò un uomo libero”
Ma è un pensiero che dura solo un momento e subito l’ansia per gli esami gli secca la gola. L’immediata esigenza di bere lo induce ad alzarsi e a recarsi in cucina, dove trova la madre intenta a preparare la colazione.
Apre il frigorifero e lei con l’indifferenza abituale che manifesta nei confronti del figlio, gli dice:
- Mi raccomando, Giulio, cerca di fare bene, altrimenti è meglio che non torni a casa; d’altra parte da domani saranno affari tuoi. -
Marco non le risponde neppure : era abituato a queste minacciose effusioni.
“Sì, da domani saranno affari miei, finalmente, grazie ai miei diciotto anni, andrò a vivere da solo! Non ne posso più di essere spedito come un pacco postale, da una casa all’altra, tra l’indifferenza più netta di mio padre e di mia madre, della compagna dell’uno e del compagno dell’altra.”
Questi pensieri tornano ad alleggerirgli l’ansia degli esami, così quasi con gioia va in bagno a
sbarbarsi e nel guardarsi allo specchio, egli che non si è mai piaciuto, si vede anche più bello: i suoi riccioli rossicci, i suoi occhi azzurri, la sua carnagione bianca che gli danno nell’insieme un tocco femmineo, gli appaiono seducenti, insomma si piace.
Così, compiaciuto, torna nella sua stanza per vestirsi, quando gli risuonano alla mente le parole della professoressa d’italiano,”mi raccomando, quando ci saranno gli esami, venite vestiti in modo decente perché, se è pur vero che l’abito non fa il monaco, l’abbigliamento adeguato è un modo per mostrare rispetto nei confronti della commissione esaminatrice”.
Così sceglie un jeans non bucato, una maglietta bianca, insomma un abbigliamento sportivo, ma serio.
“Una donna preparata, in gamba, in grado di essere anche maestra di vita e forse, se non fosse stato per lei….non so, non so, se ce l’avrei fatto a continuare!”
Vestitosi, non torna neppure a salutare sua madre che si trova ancora in cucina: non ne vale la pena. Esce di casa e mentre percorre il tragitto che lo separa da scuola, si sente in quel particolare stato d’animo che potrebbe dirsi sospeso, tipico delle anime penitenti del Purgatorio dantesco, diviso com’è tra la preoccupazione per gli esami, la gioia per la nuova, futura vita che lo attende e il passato che già ha vissuto. Ma mentre il futuro è per lui una pagina bianca da riempire, gli anni trascorsi della sua esistenza gli passano davanti agli occhi come diapositive che scorrono veloci:
liti convulse tra mamma e papà, vocii confusi, imprecazioni che trovavano il loro culmine in quel termine ba-star-do, che veniva sillabato quasi a caricarne il significato, quasi a dare a quella parola tutto il peso che meritava, mentre occhiate feroci scendevano su di lui, fragile e indifeso, che con grande senso di colpa, anche se ignaro di quale, nell’incomprensibile significato di quella parola, si nascondeva dietro le porte,sotto il tavolo, insomma dove poteva, desideroso in quei momenti solo di annullarsi, di scomparire o magari di trasformarsi nel suo orsacchiotto che tranquillo se ne stava lì, sull’angolo del divano .
Gli sembra d’impazzire perché adesso come allora sente rompersi i timpani a quei rumori, a quelle grida, ma poi al frastuono succedeva il silenzio, restava solo quell’incomprensibile senso di colpa,
pesante come un macigno reso ancora più pesante dall’indifferenza e forse anche dal disprezzo in cui entrambi lo abbandonavano.
“Certo, io sono frutto di una violenza, di uno stupro subito da mia madre, di un tradimento, di un terribile qualcosa che mi rende inviso ad entrambi; non so e forse non lo saprò mai! Eppure, adesso che andrò ad abitare da solo, adesso che non sarò più sgradito pacco postale, ma uomo autonomo, libero in tutti i sensi, anche economicamente, grazie alla rendita che insieme alla casa mi ha lasciato sempre quella buon’anima di mia nonna, cercherò il mio vero padre, voglio capire perché mi circonda questo disprezzo. Un cane di solito è trattato meglio di me”.
Mentre è immerso in tali pensieri, gli viene da piangere e ridere contemporaneamente, continuando a ricordare come dopo il divorzio dei suoi genitori,ogni mese, fatto fagotto ed egli stesso fagotto, ha cambiato casa.
Che indifferenza! Lo accompagnavano e lo scaricavano, sollevandosi da un peso fastidioso; talvolta restava anche dietro la porta chiusa perché nessuno era in casa ad aspettarlo e poi lo attendevano altre parole infastidite, mentre gli si additava l’angolo della stanza o lo sgabuzzino in cui si sarebbe dovuto sistemare. Tuttavia cresceva, ma cresceva male perché capiva di essere un peso, una cosa più che una persona, che sarebbe stato meglio che non ci fosse mai stata.
Spesso somatizzava la solitudine e l’indifferenza che lo circondava e si ammalava con facilità: influenze, mal di pancia, terribili mal di testa lo affliggevano frequentemente, creando ulteriore fastidio a chi l’ospitava; in quei periodi non andava neppure a scuola, inficiando ulteriormente il suo mediocre profitto e soprattutto continuava a non interagire con i suoi compagni, già continuava, perché di fatto neanche quando andava a scuola parlava con loro.
Chiuso com’era nelle sue angosce e nei suoi problemi, anche durante la ricreazione restava solo, rannicchiato sulla sua sedia, escluso da qualsiasi rapporto umano; d’altra parte perché uscire se non aveva neanche i soldi per comprare la colazione?
L’apparire in lontananza della scuola, riporta alla sua immaginazione la figura della sua insegnante d’italiano e un sorriso sfiora le sue labbra, mentre affettuosi pensieri gli attraversano la mente.
”Cara prof, sei qui, ti vedo! I tuoi capelli brizzolati, i tuoi occhi buoni, il tuo sorriso che si trasformava in invito, ogni qualvolta alle undici ti trovavi in classe:- Su, Marco, ti posso offrire un caffè?-
Immerso in tale gradevole pensiero, Marco giunge a scuola e, strano a dirsi, non pensa più agli esami, alla prossima libertà che lo attende, in fondo c’è qualcuno che vuole bene anche a lui e questo gli basta per sentirsi uomo.




Francesca Luzzio