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Raccolta di testi in prosa di Salvatore Ambrosino
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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‘A brioche Italovenezuelana capitolo 1

Penso che sia andata proprio così.

Di prima mattina si sentì il raglio insistente di un asino, svegliò davvero tutti, quelli che dormivano e quelli che fantasticavano ad occhi aperti, come la giovane Mery.

 

Sì, quella

 

Quella che i compaesani chiamavano ‘a brioche, perché piccola e paffuta.

 

Non aveva dormito, tutta la notte, spaventata e nel contempo, felice per quello che avrebbe dovuto fare nella giornata che stava per arrivare

 

Non solo c’era la sveglia con quel tic-toc che man mano che passavano i minuti sembrava amplificassi, ma anche il vento sbuffava con vigore e per ripicca sbatteva lo scuro della finestrella, intervallando il suono dell’orologio.

 

Con lei, pure le sorelle avevano vegliato tutta la notte e di continuo le raccomandavano qualcosa.

 

 “Non ti scordare”

 

 

Questa frase si intervallava al tic toc della sveglia, dando l’impressione che lo rallentasse.

 

Quella notte segnava la fine di una vita dura, fatta di tanti sacrifici e rinunce.

La fine di un’esistenza in quel piccolo paesino arrampicato sulla montagna dove si viveva prevalentemente di quello che si ricavava dal lavoro della terra, un esistenza ad ogni modo tranquilla.

Una fine che dava inizio di una nuova  vita che ‘A Brioche non aveva mai immaginato prima.

Lei, come tutte le ragazze di quel piccolo paesino, già a quell’età era destinata a ritrovarsi da grande sposata con almeno tre o quattro figli, con il capo avvolto in un foulard in prevalenza rosso o verde e vestita dalle lunghe gonne di panno scuro, coperte da un grembiule ricavato da qualche vestito rovinato, o meglio, consumato dal tempo.

 

La sua sorte era già segnata, un copione di vita per tutti, lavorare la terra della montagna e dedicassi esclusivamente alla famiglia e alla casa.

 

 

 A Brioche, in quel benedetto viaggio, sperava che tutto cambiasse e si augurava di riuscire a buttar giù quel sistema che da sempre marchiava la vita delle donne del suo paese.

 

Cullava la speranza di costruire su quell’enorme muro un futuro più vantaggioso, diverso e sicuro, non solo per lei, ma anche per il resto della sua famiglia.

 

Ormai il mattino era lì e anche zia Pippinella, la vecchia zitellona soprannominata la pazza del paese (per il suo modo mascolino di vestirsi ) per accompagnarle a NAPOLI con il suo vecchio Fiat 1100, targato MI  21 09 61,color nero lucido a due porte, quando erano aperte ricordavano le orecchie di un grosso elefante.

 

La marmitta era legata con filo di ferro perché pochi giorni prima s’era rotto il gancio di sostegno, e il rombo del motore assomigliava a quello di un veicolo agricolo.

A guardarlo bene frontalmente sembrava che ti facesse l’occhiolino, ma forse per il colore diverso dei vetri dei fari, uno  bianco trasparente e l’altro giallino e o forse per il difetto della lampadina, che si accendeva ad intermittenza.

 

In verità zia Pippinella si presentò poco prima del sorgere del sole, agitatissima, tutta ben pettinata e  vestita di pantaloni scuri, camicia bianca con il colletto ricamato e una giacca nera.

 Era lì con quasi un’ora d’anticipo e quando vide che la porta era ancora chiusa con un tono di voce da tenore urlò.

 “ Gilurmèlla.” Era il modo amichevole di chiamare zia Martella la mamma di Mery, “Svegliati è ora di partire”. “Preparati altrimenti facciamo tardi e l’appàrecchio (l’aereo) se ne va in America e ‘a Brioche rimane qua”.

                  

I presenti in quel camerone rimasero ammutoliti, immobili a sentire la parola America.Tutti pensarono alla distanza dal loro piccolo paese, ai grossi palazzi (grattacieli), che come diceva zii Nicòla (zio Nicola, che c’era stato, alcuni anni prima)toccavano il cielo ed erano talmente alti che se c’era bel tempo s’intravedeva l’Italia.

 

Vantandosi, raccontava in paese che quando era stato in America, salì su uno di quei palazzi altissimi e toccò le nuvole con le dita e che perfino  una sola volta era riuscito a mangiarsene un po’;diceva che avevano un sapore delicato e che erano soffici e tiepide come la panna appena montata.

 

Lampante panzana, era una gran bugia alla quale, solo dei creduloni avrebbero potuto abboccare, non di certo i Moschianesi, uomini scaltri e fini che accondiscendevano solo per non contraddirlo.

 

Zia Martella, che in quel momento stava scendendo dal lettone, rimase per un istante ferma, quasi sospesa nell'area.

Era ovviamente anch’ella preoccupata e dispiaciuta che la primogenita andasse via e con un'espressione amareggiata e frettolosa rivolgendosi alle altre due figlie disse: "Sbrigatevi se no cambio idea e non vi porto a Napoli."

 

Conoscendo la sensibilità di sua figlia Mery con guisa garbata la invitò a vestirsi e a preparare il bagaglio.

 

In quell’istante il vecchio asino ricominciò a ragliare come per dire “lascia stare ‘a brioche, ha poco da correre sono le cinque di mattina e l’aereo parte alle 11:45.”

 

Quella mattina, forse per la stanchezza o forse per la poca voglia di partire e di lasciare tutto per l’America; Mery, dai suoi  movimenti così lenti, sembrava la proiezione di un film alla moviola.

Si alzò dal letto con estrema apatia, prese la brocca e la calò nel cupìello (un grosso recipiente di rame) riempiendolo, poi rovesciò il contenuto nel lavabo bianco sistemato su un piedistallo di ferro battuto di colore rosso, dove le roselline giallo pallido e rosa chiaro disegnate nel suo interno si confondevano con i petali di rose che la mamma aveva posto poco prima per far sì che l'acqua diventasse profumata.

 

Fu quando la giovane unì le mani per raccogliere acqua e petali per lavarsi il viso che zia Pippinella, stufa di aspettare, diede un colpo di clacson del vecchio fiat.

 

Mery sobbalzò

 

Quel suono improvviso ebbe l’effetto di un secchio d’acqua fresca.

Mery fece un respiro profondo, si caricò di vitalità, si asciugò in tutta fretta con il telo di lino posto lì sulla spalliera di una sedia e affacciandosi dal terrazzo collegato al camerone ed al vano della scala, con una voce piacevolmente ironica e carica di tutta la sua spontaneità le rispose:

” buongiorno! "Zia Pippinella, siamo già pronte, fra poco si parte e me ne vado in America “.

 

Dopo pochi minuti a Brioche scese le scale a due a due, come una gazzella, abbracciata ad una grossa valigia che aveva lasciato aperta tutta la notte sul terrazzo per farle prendere aria.

S’ avvicinò a zia Pippinella fece un inchino per salutarla e, insieme,si recarono in cucina.

 

 Appoggiò sul tavolo il vecchio bagaglio verde di cartone pressato, con tanti fiorellini stampati di varie tinte, lo aprì e con l’aiuto della zitellona incominciò a buttarci letteralmente di tutto: Vestiti, scarpe, cibarie tutto quello che la sua mamma gli aveva preparato con cura il giorno prima.

 

Man mano che riempiva  la valigia le si stringeva il cuore; un nodo alla gola di nostalgia la soffocava tanto che i suoi occhi si gonfiavano di lacrime dandole quasi l’aspetto di una rana.

 

Zia Pippinella, donna astuta, capì che Mery stava soffrendo e, senza dir niente, le diede due colpetti con la mano sulla spalla in segno di compassione. Poi versò in un bicchiere un po’ di marsala all'uovo e la invitò a bere dicendole: "uagliòttola bèvi che ti passa stù nuzzùle gànne, a pena è 'a nòsta che rimanìmmo cà."

 

“signorina bevi, che ti passa il nodo alla gola, la pena e nostra che restiamo qua “.)

 

 Mery sapeva che non sarebbe stata una scampagnata, sapeva che andava in America per stare vicino ai suoi fratelli che avevano bisogno di lei, ma ancora  non si rendeva conto di quanto fossero lontani.

Pensosa, con un sorriso sofferto che si allargava piano piano, prese il bicchiere e bevve la marsala tutta in una volta, emanando subito dopo  un soffio profondo poi, rivolgendosi a zia Pippinella, con un bacio e facendole un occhiolino le disse: " cosa sono 12 ore di viaggio? come una giornata di lavoro, posso tornare, quando voglio .”.

 

 In modo saggio zia Pippinella senza discutere abbassò gli occhi e accennò un sì più volte muovendo la testa e senza dare troppo peso alle parole di Mery, si abbassò e accarezzo i gattini che girovagavano in cucina sotto il tavolo.

 

La zitellona sapeva bene che purtroppo così non sarebbe stato; quel viaggio di 12 ore di sola andata costava poco più di un salario di un anno di duro lavoro e non tutti potevano permettersi.

 

La famiglia di Mery assieme al contributo dei fratelli, aveva fatto uno sforzo immenso per racimolare i soldi per poterla fare giungere l'America, quindi per un certo verso lei era fortunata e privilegiata; ma il viaggio sarebbe stato comunque di sola andata.

 

Era quasi tutto pronto,Mery stava per chiudere la vecchia valigia quando ognuna delle sorelle le si presentò davanti  come un invito a non dimenticarsi di loro, ognuna le donò qualcosa di personale e caro.

Melina le diede il suo spillone rosso fermacapelli, mentre Nuccia le consegnò la sua spazzola di color rosa antico.

 

Quei gesti e quegli oggetti sembravano  dire " va', fa fortuna e mandaci a chiamare."

 

La loro sorte era nelle mani della ‘a Brioche.

 

respiro di Zia Pippinella che ormai non ne poteva più di aspettare, assomigliava al fischio sottile della moka napoletana.

All’improvviso con un modo arrogante e con un gesto velocissimo, chiuse la valigia rinchiudendoci dentro tutta la vita passata di Mery, il profumo del suo paese e il raglio dell’asino.

 

 La giovane Mery, con una forza a lei estranea, prese la valigia e si avviò con il capo chino verso l'auto che era lì parcheggiato davanti alla corte di casa.

Le brillavano gli occhi, le tremavano le gambe, ma lei, donna montanara, fece finta di niente, appoggiò a terra la valigia e con i pugni cercò di asciugarsi le gocce del pianto liberatorio.

In quel momento Mery si sentì sradicare come un albero dal suo terreno in piena vegetazione e in pochi minuti si appassì, ma non si accasciò.

Aveva in lei la vitalità di un vulcano in eruzione e niente l'avrebbe fermata nella sua decisione anche se un po' forzata.

Senza perdersi d’animo salì per prima in macchina e si sedette di fianco a zia Pippinella, mentre nei posti posteriori salirono zia Martella e le sue figlie.

 

Con superbia a Brioche chiuse lo sportello lasciando fuori il suo mondo, il piccolo paese di montagna, la sua gente e il profumo particolare del suo paese.

 Quando si entrava o si usciva da quel paese nell’aria si sentiva sempre un odore di varechina, dovuto agli scarichi a cielo aperto dell’acqua bianca che accostava tutta la strada centrale e finiva nel vallone, ai piedi del paese.)

Dopo un colpo di clacson, zia Pippinella fece partire il vecchio fiat che scricchiolando per la sua vecchiaia, orgoglioso si avviò verso l’America, lasciandosi dietro di lui una nuvola di fumo grigio, che oscurava e poi scompariva insieme al passato della giovane Mery in bianco e nero mentre compariva un mondo a colori tutto da scoprire.

 

 

Soltanto fuori paese Mery, invitò la mamma ad occupare il suo posto e lei si accomodò nella parte posteriore con le sorelle.

Dopo pochi chilometri di viaggio tenendosi per mano caddero nel dormiveglia e in seguito si addormentarono e Zia Pippinella come un gran pilota correva verso l'America, mentre tutti dormivano, (pure zia Martella faceva finta di dormire, per evitare tutte le prediche della vecchia zitellona.)

Zia Pippinella ad ogni occasione raccontava che da giovane aveva partecipato ad una selezione per piloti delle volanti di polizia dello stato e purtroppo solo perché era donna non gli avevano permesso di partecipare, ma in ogni modo l’avevano premiata con un attestato di merito per la capacità di guida . (a quei tempi era una delle pochissime donne che guidavano.).

 C’è l’aveva nel sangue la passione delle auto, lei stessa faceva manutenzione al suo veicolo ed era anche esperta nella manutenzione dei vecchi motori agricoli.

La zitellona non parlava mai di suo fratello il conte Dino.

Lo chiamavano così al paese, perché lui viveva in miseria, ma voleva far credere a tutti di essere un nobile un benestante. vestiva in modo elegante e portava sempre un foulard rosso al collo e una giacca di camoscio.

S’illudeva di sapere tutto e di tutti ma era un miserabile un incapace. Nelle sue polemiche politiche era evidente che odiava tutti i benestanti, ma la cosa ridicola è che lui stesso credeva d’esserlo.

 

Giunti a Napoli, zia Pippinella con fierezza fece svegliare le ragazze con la frase: “ uagliòttelle, virite l’apparecchie”.

 ragazze, guardate gli aerei)

 

Le ragazze si svegliarono, ancora intontite scesero dalla macchina. e alla vista degli aeri rimasero sbalordite dalle dimensioni.

Una di loro chiese: “ma come fanno, a muoversi nell'aria?”

“Bò!” Rispose zia Martella e poi s’affrettò a prendere la valigia dal vano bagaglio per evitare altre domande e senza mai voltarsi indietro si avviò decisa verso l’entrata dell’aeroporto.

Mery si attaccò alla sottana di sua madre, impaurita per il volo e timorosa la seguì con appresso le sorelle e zia Pippinella.

 

Fatti tutti i controlli, A Brioche si avviò all'aereo e salì la scala senza mai voltarsi, abbandonando dietro di lei l’accaduto, il tempo passato.

 

Quando lo sportello si chiuse, gli occhi di zia Martella e quelli delle sorelle si riempirono di lacrime e uno di loro con voce tremante sussurrò: "Buona fortuna Mery". "non dimenticarti di noi"

 

'A Brioche era felicissima, pensava all'America e al suo futuro, ed appena l'aero prese quota anche lei si staccò dal suolo e incominciò a volare con la mente e poco dopo si addormentò in un sonno profondo.

Sognò di volare era bellissimo, volava come un gabbiano senza affondare si appoggiava sulle onde dell’oceano a riposare e poi ripartiva verso l’America lasciando cadere dal suo grosso sacco che portava sulle spalle tutto il suo passato, tutte le sue paure e le sue angosce, in quelle acque profonde e gelide . ….ad un certo punto vide suo padre sorridente seduto su una nuvola con una targhetta come se stesse ad indicare il luogo ma era un numero 21.09.61 avvicinandosi, lui gli disse: "sono contento che sia giunta prima tu in America così io posso andare a riposare tranquillo e spero che ……………….”

Mery, a questo punto fu svegliata da un assistente di volo che la invitava a mangiare, rimase per qualche minuto ad occhi spalancati senza fare un cenno. Scocciata con respiro affannoso e con voce sussultante disse “no grazie “.

 

Non aveva mai sognato suo padre da quando era morto e restò dispiaciuta di essersi svegliata proprio in quel momento.

Non era capace d’interpretare quello strano sogno, cercava di trovare una soluzione o meglio cercava di decifrare la frase del suo papà.

Cosa voleva dire “spero che….tutto vada bene” o forse. “Spero che … tu abbi fortuna “. Oppure “Spero che …ti trovi bene, “e il numero cosa voleva suggerire.

Mery con la speranza di riprendere quel sonno cercò di riaddormentarsi, ma non ci riuscì, neanche contando le pecore, arrivò a contarne cinquemilacinquecetoventicinque.

Si stancò, ma non si addormentò.

Purtroppo quella frase rimase incompleta e Mery quel giorno non riuscì a sapere cosa voleva dirle suo padre.