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Raccolta di testi in prosa di Savino Carone
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Timeo

TIMEO

 

In tarda età, durante una serata epica, consumata sul Lambro, dedicata alle dipartite, ricca di epifonemi dell’epigastro epicureo o dell’epate sofferente, annunciò uno di coloro che si davano d’attorno, volontà di donarmi una vecchia giacca appartenuta ad un tale di cui si diceva io sembrassi epigono.

Era stato costui un medico condotto assai esperto di zoologiche patologie, tutto ciò a cagione di un mio modo ipocondriaco di menare la vita.

Orgogliosaccio di quel vellutino in tralice guarnito di sagatto smerlettato su pettorine e tasche, commosso lievemente di tanto azzeccato contrappasso e raffinato sudario, decisi che in tal luogo avrei potuto concludere tranquillamente l’esistenza.

 

Savino Carone ©®

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Spleen

Spleen

Mentre le spingevo lentamente il brutto coltello da pane, oggetto che avevo sempre poco amato perché sgraziato di forma, guardai la sua bocca, stretta in un ghigno di dolore mentre una scia di saliva mista a sudore le ruzzolava lenta, assai suggestiva, tra il mento e l’orecchio arrossato dallo sforzo, bocca che mi lasciò sgomento nell’ammirarne la bellezza arcigna delle labbra tirate a scoprire la candida dentatura, un bel lavoro odontoiatrico di pochi mesi prima. Aumentai leggermente il peso del mio corpo, curvo sul suo, forzando la lama, inadatta, che penetrava riottosa, e poggiai le labbra dolcemente sulle sue, in un repentino ed involontario gesto di tenerezza, gesto per me inusuale del quale sentii  sentii istintivamente il bisogno; forse un addio velato, chissà…                                   

 

La mia momentanea tenerezza mi commosse, mentre inesorabilmente la lama scivolava giù, tra i singulti del corpo che si opponeva, inutilmente, a quella innaturale penetrazione; ogni istinto di lei si ribellava all’ineluttabile conclusione della sua giovane vita, un odore di morte e secrezioni umane cominciava ad aleggiare nel piccolo salotto dove si consumava questo nostro ultimo incontro ed ebbi la tentazione di spalancare una finestra, la prudenza, connaturata al mio carattere schivo, mi sconsigliò il gesto e rimasi fermo là, presso di lei, accomodandomi in maniera tale da spingere più a fondo quell’infernale coltello, inadatto del tutto alla bisogna. Mi accorsi, sorpreso, di un suono acuto proveniente dalla mia lei, acuto come lo può essere il guaito di un cucciolo e la guardai, sperando che l’opera fosse alla sua conclusione; mi accorsi invece che un tenue rivolo di sangue cominciava a bagnare il suo bel vestitino estivo e, contemporaneamente, i miei pregiati mocassini, comprati a Firenze qualche mese prima. Però, ad onor del vero, la cosa non mi indispettì affatto, anzi rimasi del tutto indifferente all’accadimento che altre volte mi avrebbe portato ad un parossismo d’irritazione.
Improvvisa una voglia di caffè, forte e nero mi distrasse, non che fossi poi un gran bevitore di quella bevanda, forse l’urgenza di una pausa, di una momentanea distrazione mi parve avesse una sua ragionevolezza, quasi il troppo coinvolgimento che quest’ultima relazione aveva prodotto in me, nei miei sentimenti verso di lei, fosse superiore alla mia capacità, seppure notevole, di concentrazione. Ma non potevo lasciare la cosa a metà, come spesso mi capitava, il rischio questa volta era maggiore, il dolore fisico inflittole sicuramente avrebbe portato imbarazzanti conseguenze future, chissà di che tipo, noiosi avvocati, volgari gendarmi… dunque mi accinsi a finire l’opera da me intrapresa con tanta risolutezza, che, lo ammetto, cominciava a mancare: non per codardia od altro sentimento simile, semplicemente la primitiva risoluzione che mi aveva spinto a quell’increscioso gesto, di assai poco buon gusto, mi stava abbandonando; d’altro canto la cosa era oramai,per quanto avessi preso a maturare dei dubbi, irreversibile. Presi la volontà a due mani e continuai, lei cercava giustamente, ma invano, di sottrarsi ma la sedicente arma era penetrata di buone quattro dita, miracolosamente schivando le costole,così mi parve, non sono molto pratico di anatomia, dirigendosi, se pur con lentezza, verso il cuore, la sua parte migliore e più sensibile, quella che inizialmente mi aveva affascinato, così pronta al sentimento, così delicata da percepire qualsiasi vibrazione, anche se impercettibile…la natura, poi, l’adorava, davanti a qualche misero bocciolo in fioritura sorrideva con una tenerezza estatica… quasi ad ammirare il moltiplicarsi delle specie in quel modo singolare, sorrideva raggiante, ingenuamente, quasi una giovinetta appena matura.
Io non so “ridir come v’entrai”, nelle sue grazie, vide forse in me, in quei giorni lontani e felici, qualcosa di più di quello che io veramente fossi, non so, eppure prese per me passione, intensa, profonda, quasi vedesse una benigna manifestazione della natura, lei così giovane e spensierata, senza un alcunché di malizia ma amore, vero, sincero. Si mosse di scatto e dovetti sforzarmi di affondare di più la lama, per nessuna cosa al mondo avrei voluto scappasse né si sottraesse alla fine ormai prossima, quando la punta semi-rotonda del coltello da pane le toccò il cuore, si, quell’inestimabile orpello; scotè la sua persona da capo a piedi, come presa da un colpo di corrente elettrica..cercò di tirarsi su ma inutilmente, reclinò la testa, supina. Morì e me ne dispiacque, sinceramente: era per me la prima occasione di trovarmi così da presso ad un cadavere, anche se chiamarla con quel nome anonimo e volgare mi dispiaceva un poco; io cosa avrei fatto, di me, di lei…non ne avevo la più remota idea, né in quel momento il pensiero di tutto ciò costituiva per la mia coscienza alcun gravame. Decisi, quindi, di uscire e prendere finalmente quel caffè la cui voglia, da qualche tempo, mi solleticava il palato…per tutto il resto avrei riflettuto più tardi. Presi le chiavi di casa e in quel momento mi sovvenne la macchia fresca sul mocassino: cercai in cucina, sotto il lavello l’occorrente per smacchiare e con calma mi accinsi all’opera, meticolosamente detergendo l’improprio colore che deturpava la calzatura, infine, riposto il necessario nel suo posto, mi avviai all’uscio. Avrei però voluto salutarla, mi urtava uscire di casa così, quasi di soppiatto e dunque non lo feci, tornai sui miei passi, mi inginocchiai e la baciai sulla bocca ancora morbida e calda, rilassata ormai, ora che il suo corpo aveva posto fine all’estremo combattimento, quell’inutile istinto che la vita ci imprime a tutti i costi e che stupidamente chiamiamo di conservazione.        

 

                                                                      
Seduto in un bar all’aperto ordinai un buon caffè, in tazza grande, leggermente macchiato e ben zuccherato. La sera calava tra i riflessi smeraldini della vetrata del caffè, piacevolmente…
Aprii il quotidiano che qualche avventore distratto aveva lasciato su una poltroncina adiacente, proprio alla pagina degli spettacoli, nel contempo mi accesi, cosa che desideravo da molto, voluttuosamente, una sigaretta francese corta e scura.                                                                                                            . 

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Capoliveri 23 Aprile 2013.