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Raccolta di testi in prosa di Sergio Milano
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Con la pioggia

Il maestrale è tornato portandosi appresso la pioggia, grassa, insistente, rumorosa; fossi un gabbiano gioirei, potrei librarmi libero nel cielo più plumbeo, volare, libero.
La realtà mi ha invece etichettato come uomo, persona, essere umano, cittadino;triste realtà, una città davanti, tutta per me, per tutto il tempo che mi resta.
Tutto di corsa è il mio cammino, amore, dolore, ansia, rassegnazione e attesa.
A pensarci bene la mia presenza è l’attesa, la mia vita è l’attesa, ma guardando davanti a me scorgo il deserto, lontano, assai lontano delle minuscole cose par che si muovano, piccoli puntini, avanzano eppure restano sempre minuscole.
Questa pioggia continua, fitta e mi ha infradicito anche i pensieri, nel cielo plumbeo il gabbiano esercita la sua arte, aviatore primordiale, aviatore piumato.
I miei passi rimbombano è l’eco? No! Uno , due , uno, due, la presenza del mio pedinatore è sempre più reale, come quei puntini nel deserto che mi sta davanti, quei dannati puntini che mi vengono incontro, avanzano eppure rimangono tali, puntini, similmente i passi del mio pedinatore pur essendo più distinti, restano lontani!
Spiovesse! Continua a venir giù con insistenza, con vigoria, la strada non c’è più, solo mare, mare che ricopre tutto.
Il gabbiano aviatore sopra in un cielo plumbeo, dei puntini avanzanti nel deserto che ho davanti, la pioggia martellante, il pedinatore dietro, l’attesa , solo, sperduto, in preda alle ansie , ai dubbi…e poi cosa c’è, avessi la fede, la speranza mi ha lasciato tanto tempo addietro, mi ha rubato la vita, lasciandomi straniero in una città sconosciuta, con un deserto davanti e i passi di qualcuno che dietro mi insegue…
Non sempre la morte rappresenta un dolore, anzi……ma se non arriva e non hai il coraggio d’invitarla, essa, il suo arrivo ritarda, come il treno che ti doveva portare a casa e che non è più arrivato, allora ti resta la speranza che quei passi che senti dietro, siano loro, si proprio loro quelli di quella morte liberatrice.
Alzo gli occhi al cielo è sempre plumbeo e l’amico, il gabbiano aviatore continua ad esercitarsi nella sua arte, guardando avanti non vedo più il deserto e scomparso portandosi appresso quei misteriosi puntini, ma dietro odo sempre i passi del pedinatore è sempre dietro, non lo vedo ma c’è….per quanto?

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La gatta

Tutte le volte che passavo per quella strada, andando con gli occhi sulla finestra della casa rosa, ad angolo con il corso principale, era sempre lì, dietro la finestra.
Nero oppure Nera, il sesso non potevo determinarlo da quella distanza, ma quel gatto o gatta, era sempre dietro i vetri di quella misteriosa casa, con i suoi magnetici occhi giallo-verde scrutava il mondo circostante.
Era un abitudine quotidiana, alzavo gli occhi verso quella finestra ed immancabilmente quegli occhi attenti si facevano trovare puntuali a quell'appuntamento quotidiano.
Il tempo, inesorabile giudice di qualsivoglia cosa esistente, è andato avanti per un lungo cammino che ci accomuna, la vita è volata via, è fuggita, lasciando solamente rimpianti per tutte quelle cose pensate e rimaste incompiute...indolenza, codardia, svogliatezza, impossibilità fisica e chissà cos'altro ancora.
Oggi resta poco, il passo non è più elastico, allo specchio mi scopro incanutito, stanco nel corpo, ma di più nell'anima, ripenso ai giorni del sole, mi piaceva correre, chissà per quanti chilometri ho corso, ed intanto il tempo correva più veloce di me, vinceva sempre.
Con passo reso incerto da una vile sciatalgia ripercorro la strada di un tempo; non riconosco più quasi nulla, la casa, la finestra, il corso...è cambiato tutto, e tutto cambierà ancora.
Mi prende un senso di vuoto, sento gli occhi umidi (come è ridicolo e patetico un vecchio che si commuove), lentamente torno verso luoghi che forse non esistono più, o forse sono esisti solo nella mia mente; attento, piano, con prudenza.....le macchine non riconoscono l'età dei pedoni...ecco vicino all'angolo del marciapiedi, in mezzo ad un'aiuola su cui stanno posizionati multicolori contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti, tra un bidone giallo ed uno nero, due occhi i giallo -verde mi scrutano, si, si è lei o lui? ancora non ho risolto il problema, ma mi osserva e sono certo che sorride, non pensavo che gli animali sapessero sorridere, mi fermo , finalmente ho capito che è una gatta, è nera, è lei, quella della finestra che non c'è più.

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Blanca

Blanca

Alla fine di una lunga e tediosa navigazione di oltre 2000 miglia di costa a sud del Pacifico, ai confini con il Perù e la Bolivia atraccammo al porto di Iqueque in Cile.
Avevamo navigato con mare calmo costeggiando le Ande nord occidentali; per tutta la navigazione i delfini ci avevano fatto compagnia saltando in mezzo alla spuma che si formava ai masconi della nave e un pò più a distanza ogni tanto uno sbuffo di vapore frammisto ad acqua ci segnalava la presenza di una balena.
Il porto era un attracco naturale privo di banchine e di moli con un lungo pontile in cemento armato lungo il quale su dei binari correvano incessantemente vagoni che scaricavano dentro le stive delle navi ormeggiate centinaia e centinaia di sacchi da un quintale contenenti salnitro, minerale estratto dagli immensi giacimenti situati nelle valli della catena andina, ricordo dell’era in cui la cordigliera era sommersa dall’oceano Pacifico.



Anche la mia nave “Cassiopea” era ormeggiata in attesa di completare il carico di salnitro da sbarcare in Yugoslavia, alla fine di ogni giornata di dura fatica, alla sera, se franco dalle guardie scendevo in paese; il trasporto era effettuato da una grossa motobarca guidata da un cileno ciarliero che parlava in continuazione di politica; era stupefacente il fatto che uomini dall’aspetto rude e quasi primitivo sapessero parlare di politica, di rivendicazioni di classe e di socialismo come se fossero tutti quanti dei navigati ed esperti uomini di politica.
La barca attraccava ad un primitivo imbarcadero ricavato da degli enormi piatti scogli in mezzo ai quali era scavata una scala sempre in pietra che portava ripidamente dopo una salita di circa quattro metri al livello della terraferma.
Avevo notato, nei giorni precedenti una vecchia vestita di nero che immobile scrutava l’orizzonte, come se aspettasse da quel punto l’arrivo di qualcosa e avevo fatto notare ciò ad un mio compagno .
Anche quella sera, alla fine di una giornata di duro lavoro ero salito sul barcone, rassegnato ad ascoltare i discorsi del marinaio cileno; messo piede a terra, proprio alla fine dell’ultimo scalino la vecchia vestita di nero mi chiese, in un italiano quasi perfetto “Marinaio, vieni da Genova?” rimasi un attimo in silenzio, poi dissi “No, la mia nave viene dalla Yuogoslavia” e senza guardarmi “Ma sei italiano” aggiungendo “ed anche Cassiopea è una nave italiana” io per non apparire scortese e nascondendo la fretta che avevo di raggiungere i miei compagni che già si erano inoltrati sul sentiero che portava al paese risposi “Si siamo italiani” e subito ripresi a camminare per raggiungere i compagni; la vecchia vestita di nero mi afferrò per l’orlo del pesante cappotto di lana blù, facendo con l’altra mano un cenno come per dire “siediti” non so perché, ma mi fermai , dimenticandomi della fretta, mi accovacciai sul gradino polveroso accanto a lei, che iniziò un lungo racconto ambientato negli anni 1925-1930, si parlava di grandi transatlantici italiani che facevano la rotta del sud Pacifico, in particolare di un transatlantico italiano il “Cristoforo Colombo” che faceva la rotta Genova, Valparaiso, trasportando migliaia di italiano che cercavano una vita degna di tal nome in paesi lontani mille miglia dalla loro amara terra.
Mi raccontò della sua struggente storia d’amore con un ufficiale di quella nave; anni di passione, di promesse, di attese sempre culminanti in un ritorno del suo amato; poi con l’arrivo dell’anno 1935 aveva perso tutti i contatti, ma lei da allora ogni giorno ed eravamo nel 1960 andava a sedersi su quello scalino ed aspettava, aspettava che dall’orizzonte si materializzasse l’imponente sagoma bianca del Cristoforo Colombo e quindi il ritorno dell’ufficiale;mi disse che aveva visto arrivare migliaia di navi, chiesto a tanti marinai, aggiungendo che fino a che fosse rimasta in vita ogni giorno avrebbe aspettato il suo uomo.
Desistetti dal raggiungere i miei compagni e preso da una grande tristezza saltai sul barcone, e chiesi al cileno ciarliero di riportami a bordo.
Andando a ritroso negli anni ricordai che nel 1936 a seguito dell’entrata in guerra dell’Italia contro l’Abissinia (Eritrea), molte navi di linea civile erano state utilizzate per il trasporto di truppe e mezzi in Abissinia. L’indomani, dietro mia richiesta il comandante mi confermò che Il transatlantico Cristoforo Colombo era stato assegnato al trasporto truppe e con grande dolore, quasi con gli occhi umidi mi disse, che quando il conflitto si era messo male per gli italiani e gli inglesi stavano prendendo il porto di Massaua, il comandante della Cristoforo Colombo che si trovava alla fonda nel porto di Massaua, pur di non consegnare la nave agli inglesi, dopo averla fatta minare la fece saltare in aria ed affondare nel porto.
Che fine aveva fatto l’ufficiale di cui mi aveva parlato la vecchia vestita di nero? Chissà! Ma io volevo dare una risposta per confortare quella vecchia e così finito il turno, presa la barca di corsa saltai sul molo ed ancor più velocemente raggiunsi la vecchia; appena mi scorse mi fece, sorridendo, cenno di avvicinarmi e così mi inventai la fine della sua storia; fino ad un certo punto le narrai le vicende della nave, della sua fine e poi aggiunsi, inventando tutto, che il suo uomo, il bell’ufficiale italiano era stato assegnato come comandante su una corvetta che dopo tante e tante eroiche missioni alla fine colpita mortalmente dagli aerei nemici era affondata portandosi nel profondo del mare il comandante con tutto l’equipaggio. Pensavo così di aver posto fine all’angosciante attesa di quella vecchia, ma lei distogliendo per un solo momento lo sguardo dall’orizzonte mi disse, sempre sorridendo “La mia storia non è la tua e non ha ancora un finale, io aspetterò, ogni giorno che mi resta, su questo scalino, di veder comparire all’orizzonte la bianca sagoma della Cristoforo Colombo, so che arriverà” la guardai con vergogna per la bugia e le chiese quale fosse il suo nome “Blanca” rispose e fu l’ultima volta che la vidi, infatti l’anno dopo tornato ancora per lavoro, con delusione non la trovai più seduta sullo scalino e mi piace immaginare che veramente quel bianco transatlantico sia tornato per imbarcare per un viaggio senza fine lei ed il suo ufficiale.