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Raccolta di testi in prosa di Vincent Darlovsky
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Smemorati

Gli chiedevano perché non facesse uso della nuova tecnologia che si stava affermando.

La tecnica consisteva nel "registrare fuori dalla mente" i propri pensieri.

Intingevano la punta di una penna di uccello in un liquido colorante e poi la strisciavano su una carta di papiro o su pelle essiccata di animale lasciandoci sopra dei segni in codice. Il filosofo rispondeva che non avrebbe mai utilizzato una roba del genere poiché essa avrebbe imposto dei limiti al pensiero, che -in quanto tale- è infinito eppoi anche perché avrebbe indebolito la sua memoria.

La gente, all’idea di poter mettere al sicuro in un archivio esterno alla mente le informazioni, avrebbe smesso di sforzarsi di ricordarle.

*

Spioncino

Ho pigiato il pulsante del campanello sulla destra. La lucina che si vedeva attraverso lo spioncino è scomparsa per un paio di secondi, poi è riapparsa.

Mi ha aperto una mulatta sui trenta con i capelli ondulati. Era alta circa 160 centimetri, aveva un po’ di pancetta, una quarta di seno e il sedere un po' grosso. Mi è sembrata buona per quello che cercavo.

L’appartamento era composto da un ingresso che fungeva da disimpegno, un bagno, la cucina e una camera matrimoniale. La donna, dopo avermi aperto la porta, ha fatto cenno col dito che andassimo nella stanza da letto. Qui le ho premesso che non volevo un rapporto standard ed ho chiesto quanto mi sarebbe costata una prestazione di urofilia e spitting.

Mi ha risposto, senza guardarmi negli occhi, che il prezzo sarebbe stato lo stesso di un servizio normale. Le ho detto che mi andava bene.

Si è avvicinata al comodino di fianco al letto, lo ha aperto, ha preso una peretta, ha indossato un paio di guanti in lattice e dopo è andata in bagno. L’ho seguita per osservarla e toccarmi mentre riempiva la pompetta. Poi ha tirato fuori una traversina da un cesto a fianco del water e mi ha prescritto di andare a stenderla sul letto.

Mentre sistemavo la fascia sopra il materasso, l'ho vista spogliarsi. È uscita dalla stanza e, poco dopo, è tornata portando una bottiglietta d’acqua e un bicchiere di carta con dentro un liquido che sembrava olio. Mi ha chiesto di spogliarmi e mi ha dato le indicazioni su come posizionarmi sul letto. Poi ha unto l’ugello della peretta e l'ha inserito. Ha spremuto tutto dentro e subito dopo ha sfilato via il beccuccio. Ho contratto il pavimento pelvico per evitare fuoriuscite.

Mi ha chiesto se fosse tutto ok.

Le ho risposto che sentivo bruciore e che, comunque, la sensazione era piacevole.

Mi ha guardato, ha socchiuso le palpebre e ha bevuto a garganella l’acqua dalla bottiglietta. Ha fatto dei gargarismi, si è chinata verso di me e me l’ha riversata in bocca.

Ho passato il liquido da una guancia all’altra e l’ho ingoiato facendolo scorrere fra il dorso della lingua e il palato.

Si è accovacciata sul letto ed ha cominciato a masturbarmi.

La osservavo di profilo.

Le ho accarezzato il sedere e, quando ho provato a insinuare l’indice fra i glutei, lei con l’altra mano mi ha preso per il polso e mi ha fermato. Ho bagnato la traversa dopo 30/40 secondi.

Mi sono alzato e sono andato al gabinetto dove mi sono seduto sul water per liberarmi. Ho fatto il bidet, sono andato davanti allo specchio, ho aperto il rubinetto e ho sciacquato la bocca. Ho fissato il tipo di fronte. Mi guardava. Gli ho fatto l’occhiolino.

Quando sono uscito dal bagno, ho visto che la traversina era stata appallottolata e buttata a terra vicino alla porta di uscita. Sono rientrato in camera a rimettere i vestiti. Lei mi ha aspettato all’ingresso. Sono uscito dalla stanza e ho posato una banconota da 50 euro sulla consolle della specchiera. Lei ha aperto la porta e si è messa fra l’anta interna e il muro. Era ancora svestita e stava in piedi con la mano sulla maniglia fissando il pavimento. Prima di uscire, mi sono avvicinato per baciarla, ma lei ha girato la testa di lato a sinistra per novanta gradi. Sono riuscito a lambirla con le labbra sulla parte superiore del collo, fra il lobo dell’orecchia e la nuca. Ho attraversato la soglia sorridendole. Lei ha accompagnato la porta con entrambe le mani, fissando lo sguardo a terra, e me l’ha chiusa in faccia.

Mi sono ritrovato davanti allo spioncino, da cui fuoriusciva un puntino di luce. Ininterrotta.

*

Lezione frontale

Quell'anno, il 1987, frequentavo la Seconda Media.

Era lunedì e, in classe, alla seconda ora, l’insegnante di Storia e Geografia stava tenendo una lezione di Educazione Civica sul Vandalismo nelle metropoli: ha esordito snocciolando un elenco di divieti. Poi ci ha spiegato il significato di alcuni termini mentre ci leggeva a voce alta un paragrafo che parlava di giovani teppisti che scorrazzavano per le città danneggiando autobus e monumenti.

 

Dunque, in città ci stavano i vandali. Ma noi, abitando in un paesino e non essendo mai stati in una metropoli, pensavamo che questi teppisti fossero dei tipi trendy.

Alla fine dell'ora è suonata la campanella dell'intervallo. Io e due dei miei compagni, Gianni e Claudia, abbiamo cominciato a scherzare con quelle parole nuove. Io chiamavo Gianni Vandalo!, lui mi dava del Teppista e Claudia correva e urlava coprendosi e scoprendosi la bocca con la mano.

Dopo dieci minuti, la ricreazione è finita e noi siamo tornati in classe.

Quando siamo usciti da scuola, tutti e tre ci siamo dati appuntamento per le quattro del pomeriggio all’oratorio.

Però poi all’oratorio non ci siamo andati e siamo stati in giro fino alle sei, quando ci siamo diretti verso la scuola.

Era novembre e a quell' ora del pomeriggio era buio da un pezzo. L’aula dove facevamo lezione era al piano terra rialzato e si affacciava sul retro dell’edificio: la via lì era meno trafficata e poco illuminata. Abbiamo raccolto dei sassi.

 

 

La mattina dopo, all’ingresso della scuola, il bidello ci ha comunicato che ci avevano cambiato l’aula e che in classe ci stava aspettando il preside. Lo abbiamo trovato in piedi vicino alla cattedra. Prima ci ha spiegato perché fossimo stati spostati e poi ha dato la parola all’insegnante in servizio. Questo era lo stesso che il giorno prima ci aveva sciorinato la lezione sul vandalismo. Ha fatto un discorso di tre/quattro minuti, dopo ha chinato gli occhi e ha concluso: -Sono proprio dei vandali!-

Io ho guardato di sbieco Claudia e poi Gianni. Ridevano sotto i baffi.

 

Insomma, la predica di quei due è durata in tutto una decina di minuti, dopodiché il Capo d’Istituto si è levato di mezzo e noi abbiamo fatto lezione.

L’indomani, prima di entrare a scuola, verso le 08:25, ho rivisto il Preside in giro. Me lo sentivo alle calcagna da un paio di giorni.

Era in compagnia del falegname del paese, che era anche vetraio. Mi sono avvicinato con la scusa di raccogliere il pallone che stavo portando con me. I due stavano parlando dei costi e dei tempi che necessitavano per rimettere i vetri alle finestre. Non ho potuto sentire altro perché poi alle 08:30 è suonata la campanella.

Sono entrato in classe e mi sono avvicinato a Claudia e a Gianni per informarli di quello che avevo sentito.

-Appena loro rimettono i vetri, noi li rompiamo di nuovo- mi ha risposto lei sogghignando e scambiandosi uno sguardo con l'altro, che ha fatto il pollice in su.

Poco dopo è entrato nell’aula l’insegnante e ha ordinato che andassimo tutti a sederci.

Durante la seconda ora ho chiesto di andare al bagno dove, all’ingresso c'era il bidello che stava passando lo straccio sul pavimento.

Quando mi ha visto passare, si è fermato, ha appoggiato la mano sul palo dello scopettone e mi ha fissato fino alla cabina del pisciatoio, dove gli ho chiuso la porta in faccia.

 

La giornata di scuola è trascorsa senza altre novità e, al pomeriggio, sono andato da mio nonno e abbiamo giocato a carte.

Durante una partita di briscola, però, si è messo a tossire. Il colpo di tosse sembrava non finisse mai.

Si è piegato di lato sulla sedia, la faccia gli si è gonfiata e fatta rossa, gli è caduto il cappello di lato e si è accasciato.

Io sono rimasto immobile a guardarlo con le carte in mano e mia nonna si è inginocchiata e gli ha messo in bocca l’indice della mano disposto a uncino. Dopo qualche secondo, il vecchio ha smesso di tossire, si è rialzato e ci ha chiesto che cosa stesse succedendo.

Allora gli abbiamo raccontato che per poco non era morto davanti a noi, soffocato per la tosse. Nonna ha poi telefonato al medico curante, gli ha raccontato l’accaduto e gli ha chiesto se poteva venire a visitare nonno.

Io ho rimesso le carte nella custodia, li ho salutati con il bacino e sono tornato a casa.

La sera sono andato a letto appena dopo cena. Ma non mi sono addormentato subito.

Mi rigiravo sotto le coperte e pensavo a quello che si erano detti il Preside e l’Artigiano. Poi, forse dopo la mezzanotte, sono riuscito a prendere sonno e non ho pensato più a nulla.

Fino a quando mi sono alzato.

Era mattina.

Mi sono sciacquato il viso e ho fatto colazione. Sono uscito per andare a scuola e ho incontrato Claudia.

Questa, quando mi ha visto, mi ha detto che nel paese non c'erano più falegnami né vetrai, la scuola era senza Preside ed aveva le finestre tutte rotte, perciò non potevamo più frequentare le lezioni perché nelle aule faceva freddo.

Mentre lei mi parlava, io guardavo a terra e notavo che le vie erano ingombre di rifiuti che nessuno si prendeva la briga di raccogliere, per cui i mucchi di immondizia in fondo alla strada mi parevano sempre più grandi.

Abbiamo deciso di rincasare ma la via del ritorno era bloccata perché adesso i cumuli di spazzatura erano diventati ammassi di macerie e bisognava toglierle via con le mani per passare. Ci siamo piegati per farlo ma non riuscivamo spostarle di un centimetro perché erano pesanti.

Allora abbiamo deciso di camminarci sopra ma dovevamo stare attenti a non cadere in acqua da quegli scogli.

*

La Mantide

Avevano appena finito di fare l’amore.

Lui si era girato dall’altra parte come per dormire.

Lei si era alzata ma, invece di recarsi in bagno, era andata a prendere la borsetta sulla sedia a lato del letto verso il quale si era rivolto lui.

-Ma che stai facendo?!

-Non aver paura, Christian, fra poco sarà tutto finito.

-Tu sei matta, Carmen!

-Sai Chris, hai sempre avuto questo aspetto negativo.

-Ma di che cosa stai parlando?

-Delle tue offese. Mi dai sempre della matta. Mi tratti sempre male!

-Fermati, Amore Mio, ti prego!

-Ormai è tardi, Tesoro.

-Ma io ti amo- le disse Christian.

-Anche io ti amo. E voglio che tu sia soltanto mio- ribatté lei guardandolo negli occhi.

 

 

Poi premette il grilletto.

 

 

*

Giuda

Stavo aspettando l’autobus a Porta Maggiore da una decina di minuti.

Era mezzogiorno e c'erano più di 30 gradi. Ho deciso di arrivare a piedi fino alla fermata successiva perché mi sentivo agitato e non riuscivo a star fermo.L'occhio mi andava alle cosce delle donne che incontravo. Quattro su cinque avevano la minigonna o gli shorts, gli zoccoli o le infradito.

Una mulatta ha attirato la mia attenzione. Stava in piedi ferma davanti a un portone sul marciapiede di una traversa e mi guardava. Aveva una canottiera attillata che le lasciava scoperto l'ombelico e una minigonna che faceva intravedere la mutandina bianca. Era di poco sopra il metro e mezzo e aveva il culo proporzionato alla statura del corpo. Le tette invece mi parevano sproporzionate. I capelli erano corvini, ondulati e lunghi fino alle scapole. Mentre la osservavo, ha fatto cenno di baciarmi. Aveva le labbra carnose.

Mi sono avvicinato.

-Ciao, Ammore- mi ha detto toccandomi il pacco.

-Ciao, Tessoro- le ho risposto -quanto prendi?-

-30 euro bocaffìga-

-Da dove vieni?-

-Mexico. Tu ssei italiano?-

-Sì. Ma non sono di Roma-

-Ok. Capito. Vieni-.

Mi ha preso per un braccio, ha aperto il portone con una mandata di chiave e siamo entrati nell’androne di un palazzo di due piani. Siamo scesi per una scala di quattro gradini. A destra c'era una porta socchiusa. Ci siamo intrufolati dentro. Un monolocale di 25 metri quadrati e senza finestre. Però c’era una presa d'aria in alto su una parete. Ci siamo spogliati e sdraiati su un materassino che era adagiato a terra e avvolto da un lenzuolo che mi sembrava chiaro alla luce di una lampada che era stata posta accanto, sul pavimento. Lo abbiamo fatto due volte in mezzora. Nell’intermezzo ho affondato la bocca tra le sue gambe e poi fra le tette. Dopo, lei si è alzata e mi ha detto:

-Ammore, il bagno è dietro la porta a soffietto. Puoi andare a sciaquarte la boca e lavarte, sse vuoi-.

-Grazie, Tessòro, sei gentile. Ma preferisco sentire il tuo odore addosso fino a stassera-

-Ahahahahah…. Che schiffosso che sei!- mi ha detto dandomi un pizzicotto sulla guancia.

Mi sono rivestito, le ho baciato la mano e ho tolto il disturbo.

Mentre attendevo l'autobus e durante il tragitto, ho cercato di non pensare al fatto che avevo speso soldi a puttane.

Sono arrivato a casa di Tiz e ho citofonato. Mi ha aperto la porta e io l'ho salutata baciandola sulle labbra.

Poi sono andato in bagno, ho lavato i denti e ho fatto i gargarismi con un collutorio a base di alcool. Mi sono fatto un bidet e dopo sono andato in cucina da lei che stava preparando da mangiare.

[…]

La sera sono rimasto a dormire lì. Faceva caldo. A letto io stavo in boxer e lei era nuda.

Voleva fare l'amore, ma io non ne avevo voglia e ho fatto finta di essermi addormentato.

*

Stendino

Era un pomeriggio di domenica e io ero sobrio e annoiato.

A pranzo non avevo avuto la possibilità di bere vino. Il medico me lo aveva sconsigliato perché in settimana avevo fatto gli esami del sangue e i valori delle transaminasi erano risultati superiori alla media. Mia moglie, perciò, durante il pranzo, mi aveva tampinato. E irritato.

Avevo bisogno di staccare per un po’. Allora mi sono messo sul divano in una posizione tale che Corinna non avesse la possibilità di vedere il display del telefonino e ho digitato l'URL della “bacheca degli incontri”. Ho selezionato la città dove vivo e ho cominciato a scorrere le foto degli annunci mentre mi toccavo con la mano che avevo messo nella tasca della tuta che indossavo. Mi sono piaciute le immagini di una “orientale amante del fetish". Una mora con i capelli a caschetto e la pelle che, sulle foto, sembrava abbronzata.

Ho detto a mia moglie che sarei andato a fare un giro in macchina fino al parco. Lì avrei fatto una camminata per digerire.

Per fortuna non si è associata perché mi ha detto doveva fare due lavaggi in lavatrice. Ho messo le scarpe e sono uscito. Con la macchina ho fatto un tragitto di 300 metri e ho accostato. Ho digitato il numero di telefono che avevo salvato sul registro delle chiamate del cellulare e mi ha risposto una donna che non parlava bene in italiano. Si faceva comunque capire. Mi ha dato le indicazioni al telefono e sono entrato in un appartamento al piano terra di un palazzo che si trova di fronte al parco dove spesso porto mio figlio di 5 anni a giocare. 

Ho suonato al campanello. Ha aperto la porta una cinese di un metro e mezzo.

Non era grassa né magra. Indossava una maglia da notte che le arrivava al ginocchio. Aveva le pantofole e sembrava che non avesse il seno.

Mi sono reso conto che le foto dell’annuncio erano false. Anche se era il primo pomeriggio e fuori c’era il Sole, nell'alloggio c'era poca luce perché le tapparelle erano abbassate quasi del tutto. Dal disimpegno dell'ingresso la tipa mi ha preso per mano e mi ha portato in una stanza. Nonostante l’illuminazione in camera fosse scarsa, ho notato il pallore del suo viso.

Dalla cucina, la cui porta era semichiusa, sentivo voci di donne che parlavano, credo, in cinese. Ho dato 30 euro alla tizia e le ho chiesto dove si trovasse il bagno facendo il mimo di uno che aveva la necessità di fare pipì. Mi ha indicato dove andare. Sono entrato e ho chiuso la porta a chiave. Ho preso della carta igienica e l’ho avvolta sulla mano. Mi sono piazzato davanti al tazzone come per pisciare e mi sono masturbato. Poi ho buttato tutto nel water e ho scaricato. Sono uscito dal bagno e sono tornato in camera. L'asiatica si era spogliata e mi stava aspettando seduta sul letto. Quando mi sono avvicinato, le ho fatto capire che si doveva sdraiare. Ho tolto i vestiti e mi sono steso anch’io…

 

Nel momento in cui lei ha dato il via alle procedure di pulizia con le salviettine, ho constatato con piacere che l’esperimento di masturbarmi prima di andare a letto con una prostituta aveva funzionato. Ero riuscito a non avere l’orgasmo durante i preliminari.

Quando ci siamo rivestiti, l’ho baciata sulla guancia mentre si stava risistemando la vestaglia. Ha rimesso le pantofole e mi ha accompagnato alla porta. Le donne in cucina continuavano a parlare in una lingua che a me era sconosciuta.

Sono uscito sulla strada e, prima di mettermi in macchina, sono andato al bar e ho comprato una bottiglietta d'acqua. Sono salito in auto, ho fatto dei gargarismi e ho sputato l'acqua sull'asfalto, poi ho chiuso lo sportello e ho messo in moto.

Sono tornato a casa e mi sono rimesso sul divano.

-Dove sei stato?- mi ha chiesto Corinna.

-Diciamo-

-Diciamo che?!-

-Diciamo che mi sono rilassato-

-Come?- mi ha detto guardandomi con compassione.

-Socializzando-

-Ma non sei andato a camminare?

-Per così dire.

-Ma come parli?- ha cominciato ad alzare il tono della voce.

-magari.

-Hai bevuto al bar?

-Acqua minerale, sai.

-Smettila di fare il cretino e aiutami a prendere i panni dalla lavatrice.

Ho preso la vaschetta di plastica e l’ho posizionata sotto l’oblò, l’ho riempita di panni e l’ho portata sul balcone a Corinna che aveva aperto lo stendino e attendeva fissandomi. L’ho guardata negli occhi anche io per qualche secondo e ho fatto la smorfia di volermela slinguare. Ha distolto lo sguardo, ha scosso la testa e ha borbottato qualcosa.

Aveva addosso il pigiama, che le stava largo e sbracato, i calzini di spugna e le pantofole. I capelli, molti dei quali apparivano bianchi all’altezza della ricrescita, erano raccolti dietro ma qualcuno era spezzato e si notava contro luce che sparava [...].

*

Gaudente

Joe stava trascorrendo il pomeriggio a casa dei nonni, dove c’era anche lo zio Gigi, che era passato per un caffè.

Questi era il fratello di Nonno Sal e gli era morta la moglie di infarto da una settimana. L’aveva trovata lui quando era tornato dai campi alla fine della giornata.

Se ne stava rannicchiata di fianco sul pavimento della cucina, teneva gli occhi spalancati e sembrava che stesse osservando il battiscopa. Dalla bocca, che era semi-aperta, fuoriusciva della schiuma con sangue che era colato a terra per poi inalvearsi lungo le fughe fra le piastrelle. Le bollicine della schiuma erano turgide e questo significava che la donna era morta da poco. Al tatto, in effetti, il cadavere risultava ancora caldo.

Lo Zio Gigi raccontava l'episodio con la tazzina in mano e, quando si rivolgeva a Joe, la posava sul tavolo, sbarrava gli occhi e gesticolava.

Erano gli Anni 80, il bambino aveva 5 anni e i vecchi erano sui 75. I due fratelli continuarono a parlare della morte per un po’.

Per nonno Sal, la morte era rinascita; i cimiteri pullulavano di vita, i cadaveri brulicavano di vita, bastava guardare la carcassa di un animale che era morto da pochi giorni per accorgersi che numerosi vermi fuoriuscissero da ogni parte del corpo e si cibassero della carne in putrefazione.

Secondo lo zio Gigi, la morte era invece un sonno senza fine: ogni essere umano, alla fine, avrebbe chiuso gli occhi, sarebbe stato sistemato dentro una bara, avrebbe visto tutto nero e non avrebbe più sentito alcunché.

-Qualunque cosa sia la morte, tua moglie adesso lo saprà- disse Nonno Sal guardando verso la finestra.

Lo zio Gigi chinò la testa, stette in silenzio per qualche secondo e poi cambiò argomento.

Il piccolo, quando giunse l’ora di cena, se ne tornò a casa dai genitori, che abitavano di fronte. Quella sera, dopo aver mangiato assieme ai genitori, Joe andò a letto, ma non si addormentò subito. Pensava al fatto che tutti dovevano morire! Prima o poi, pure lui avrebbe dovuto chiudere gli occhi e sarebbe stato messo dentro una cassa da morto, rimanendo immobilizzato al buio. Per sempre. Altri esseri(ni) viventi se lo sarebbero divorato e lui non avrebbe potuto far niente.

Se il panico lo assaliva di giorno, mentre giocava, egli si arrestava all'improvviso, cercava un appoggio, sudava freddo, aveva il magone e gli veniva da piangere; se invece sopraggiungeva nel dormi-veglia, si alzava spaventato, si sedeva sul letto e chiamava la mamma, aveva il mal di testa, le diceva. E lei gli stava accanto. Poi, dopo mezzora, il mal di testa era passato e lui tornava a dormire.

Un giorno, però, Joe riuscì a vincere il timore della morte. A 21 anni.

Il ragazzo si trovava nella sala di attesa del medico di famiglia per una visita. Fra le mani sfogliava una rivista di divulgazione scientifica e pose attenzione a un articolo sulla morte. C'era scritto che il momento del trapasso era indolore: alcuni morivano eiaculando, altri si rilassavano e si cagavano addosso, altri ancora si addormentavano e poi andavano in coma.

In pratica, se prima di stendere le penne tutti sentivano il formicolio che si prova durante l'orgasmo, allora morire non era più spaventoso. Anzi.

*

Maturi e decadenti

A un giorno dall’accaduto, Nadine si è avvicinata mentre Corinna si trovava in bagno a pulire i sanitari e mi ha bisbigliato che avremmo dovuto chiarirci.

Quando mia moglie è uscita dal cesso, ho detto che stavo per andare a comprare l’acqua minerale. Nadine, che era lì davanti, ha colto l’occasione e mi ha chiesto con disinvoltura un passaggio al supermercato perché doveva fare la spesa.

In macchina ha cominciato lei a parlarne: aveva delle difficoltà ad accettare l’idea che -seppure in uno stato di ebbrezza- avesse tradito sua sorella.

Ho cercato di sdrammatizzare cambiando discorso e le ho chiesto che cosa dovesse comprare al supermercato. Non sono riuscito però a distrarla dalle preoccupazioni.

Mi sono poi limitato ad accennare ai postumi dell’inciucio: mi ero infatti masturbato un paio di volte pensando a quello che era successo la sera precedente in bagno mentre lei vomitava nel water.

Ma Nadine sembrava non sentire quello che le stavo dicendo. Tuttavia, guardandola di sottecchi, ho avuto l’impressione che facesse finta di non ascoltare. È probabile che giudicasse paradossale il fatto che, nonostante io stessi con la sorella di sei anni più giovane di lei, preferissi gli odori e il corpo di una 54enne nemmeno tanto in forma.

Dopo aver fatto la spesa, però, si è detta disposta a mantenere il riserbo sulla cosa e abbiamo pensato di ripercorrere per l’ultima volta le “tappe” della tresca.

Siamo usciti dal parcheggio del supermercato e abbiamo imboccato una strada sterrata che porta sul retro. Da lì ci siamo inoltrati in mezzo ai campi.

Ho fermato la macchina dove gli arbusti e l’erba erano alti sui lati della carreggiata. Era l’ora del crepuscolo.

Ho spento il motore e ho guardato a destra. Nadine si era allungata sul sedile. Si era alzata la gonna ed aveva aggraffato con le mani l’elastico della mutandina nel tentativo di tirarla giù

*

Barbie (Notte prima degli esami)

Durante la settimana abitava in un appartamento-mansarda a casa della zia, nel paese che era sede del liceo e che distava quaranta km dal suo.

In questo modo evitava di viaggiare e al mattino poteva dormire di più. Era l’inizio dell'estate del 1994 e, da un mese, studiava tutto il giorno in vista dell’esame di Maturità.

Poi, quando terminava, cercava rilassarsi il cervello. Ma non ci riusciva. Gli amici e compagni di scuola avevano la ragazza e, dopo lo studio, egli li vedeva fuori sul muretto della villetta al lato della piazza a baciucchiarsi, abbracciarsi e toccarsi. Anche lui avrebbe voluto avere una fidanzata a disposizione per farsi passare l’inquietudine.

Si era fracassato i maroni di masturbarsi guardando il water e avrebbe voluto fare qualcosa di diverso.

Adesso, però, corteggiare una ragazza in carne e ossa sarebbe stato complicato perché richiedeva del tempo e poi avrebbe dovuto far finta di essere innamorato.

A quell’età, inoltre, non lavorava e il padre gli dava solo 10.000 lire a settimana per cui le prostitute se le poteva giusto scopare con l’immaginazione quando si faceva le seghe.

La mansarda dove abitava era composta da una cameretta da letto, da un gabinetto pensile, da una stanza che fungeva da ingresso, soggiorno e disimpegno e, infine, da una terza stanza che era adibita a magazzino. Ci entrava quando ripeteva camminando e aveva notato che c’erano delle buste da spesa che contenevano giocattoli pieni di polvere e che, probabilmente, erano stati di sua cugina, che era più piccola di due anni.

Una sera era più inquieto del solito. L'indomani sarebbero iniziati gli esami ed egli aveva la sensazione di aver dimenticato tutto.

Si mise a rovistare nelle buste e trovò una Barbie che era nuda e staccata in tre pezzi. La prese, ne riattaccò le gambe al tronco. Andò in bagno e chiuse la porta con una mandata di chiave.

Dopo un quarto d’ora si sentì lo sciacquone e la chiave rigirare nella serratura. La porta si aprì e lui uscì con la Barbie in mano. Entrò nella stanza-ripostiglio, si avvicinò al sacchetto di plastica, ristaccò le gambe dal resto del corpo della bambola e ne infilò i pezzi dentro. Poi andò a sdraiarsi sul letto e attese che la zia lo chiamasse per la cena.

Nella busta, in mezzo ai giocattoli, Barbie giaceva a pezzi lucida e pulita. Senza polvere. [...].

*

Sintomi preoccupanti

Gli altri erano tutti, o quasi tutti, già svegli. C'era chi doveva andare a lavoro e chi si accingeva a preparare i bimbi per portarli a scuola, chi avrebbe preso l'aereo e chi avrebbe passato tutta la giornata dentro, alle prese con le faccende di casa.

Qualcun altro, infine, non si sarebbe alzato affatto.

Mario era a letto. Il viaggio in autobus era durato tutta la notte, da Crotone a Roma. Per sette ore era rimasto seduto e appollaiato vicino a uno sconosciuto e il pullman, che era vecchio, aveva scaricato puzza di gasolio bruciato nell'abitacolo.

Maledetta Nafta! Che gli aveva procurato più volte i conati di vomito.

Erano le 6 del mattino ed egli era stravaccato a pancia in giù, con una guancia spiaccicata sul materasso e la testa sotto il cuscino. Era la sua posizione preferita perché gli permetteva di fare pressione sul pene. Si sarebbe eccitato e avrebbe sognato di scopare fino a raggiungere la polluzione.

Alle 7 in punto ebbe un sussulto, si destò dal dormiveglia: si sentì tremare tutto quanto e gli sembrò che il letto si stesse muovendo. Erano i sintomi di una cervicale incipiente? Non ci pensò più di tanto e cercò di addormentarsi.

Dormì fino a mezzogiorno, poi si alzò e preparò da mangiare. Pasta con tonno.

Dopo pranzo andò in bagno, si sciacquò il viso e andò a studiare in biblioteca, nel Dipartimento di Storia della Facoltà di Lettere.

Stava leggendo il capitolo sulla Guerra dei Trent'Anni e avvertì il petto battere forte e veloce contro il banco.

Ecco, se lo aspettava, la tachicardia. La bestia era tornata dopo un po’ di tempo! Si mise più dritto e fece cinque/sei respiri profondi col diaframma per domare le palpitazioni. Subito dopo si alzò, andò in bagno e buttò nel cestino il pacco di Marlboro.

L'ennesima promessa di non fumare più. Per la salute del suo cuore.

Tornò in sala lettura e riprese a studiare. Per poco, perché uscì dalla facoltà prima del solito per andare dal medico curante a farsi l’impegnativa per una visita dal cardiologo. Sulla via del ritorno si fermò a mangiare per cena una pizza al taglio e rincasò. Un saluto furtivo ai compagni di appartamento e andò in bagno, lavò i denti e si rifugiò in camera. Spense la luce, accese la radio, regolò il volume e si mise a letto.

Ascoltava la musica pianissimo, si stava addormentando. Un altro capogiro lo riscosse.

Di nuovo!

Eccheccazzo!

Doveva farsi visitare dal cardiologo, poi un altro specialista -un ortopedico- avrebbe dovuto vederlo, l'esame di Storia Moderna era ormai imminente, e poi bisognava rimettersi a studiare per l'esame di Filosofia Teoretica, e ancora dopo questo secondo esame avrebbe desiderato avere già bello e pronto un rapporto stabile con una ragazza e aveva bisogno di andare dal dentista per la pulitura dei denti, sabato poi avrebbe dovuto fare le pulizie dell'appartamento perché toccava a lui e inoltre era necessario che si addormentasse subito perché l'indomani si sarebbe dovuto svegliare presto per studiare.

Il flusso dei pensieri in dormiveglia venne spezzato dall'irrompere dei coinquilini nella stanza. Ridevano e lo guardavano incuriositi.

C'era stata la terza scossa di terremoto in 12 ore e lui era rimasto refrattario a ogni segnale che provenisse dall’esterno. Un rincoglionito.

*

Visodangelo

(Piangeva. Le mancava Mario. Il fidanzato con la testa a posto)

 

In sala insegnanti, quella mattina, ho trovato una tipa che se ne stava in piedi, piagnucolava e si toglieva le lacrime dalle guance con i polpastrelli. Mi sono avvicinato al mio cassetto, l’ho aperto, ho preso il testo che mi serviva per fare lezione nell’ora successiva, mi sono seduto e ho cominciato a sfogliarlo. La tizia poteva avere più o meno 25 anni, era magra e alta 1.70 circa. Aveva le labbra un po’ carnose ed era piatta di seno. I capelli erano castani, ricci e lunghi fino a sopra il culo.

Indossava un maglioncino con la scollatura, un paio di jeans attillati e delle scarpe di tela sui calzini bianchi.

Stava dicendo alla collega di Francese che era arrivata a Bergamo dal Salento la sera precedente ed era alla prima esperienza di lavoro.

Mentre la osservavo con la coda dell’occhio, mi è venuta la voglia di leccare le lacrime che le scorrevano sul viso.

È suonata la campanella. Mi sono alzato, ho salutato e me ne sono andato in classe.

Cinque giorni più tardi, all’inizio di aprile, questa qui mi ha chiesto un passaggio dal convitto di Bergamo Alta, dove pernottava, al piazzale della scuola. L’indomani mattina io, lei e un’altra insegnante saremmo partiti in pullman per accompagnare i liceali di quarta ad assistere alle prove generali dell'Opera alla Scala di Milano.

Nel pullman si è seduta dietro di me. Ha parlato sottovoce al telefonino per tutto viaggio di andata.

Al teatro mi si è posizionata davanti, un po' a destra. Le guardavo la vita e il fondoschiena. Al ritorno, mancavano pochi minuti per arrivare al piazzale della scuola. I ragazzi mi hanno chiesto di prendere la parola al microfono per i saluti finali. Sono andato avanti e ho ringraziato l’autista, che ci aveva portati a Milano, quindi l’insegnante di Strumento e infine mi sono congratulato con gli alunni perché durante il concerto avevano mostrato interesse. Ho posato il microfono per tornare a sedermi ma gli studenti dei primi posti mi hanno fatto notare che mi ero dimenticato della nuova prof. Allora ho ripreso l'aggeggio in mano e mi sono scusato per l’annesia dicendo che la prof.ssa Garrone, essendo giovane e carina, si era mimetizzata fra di loro. Con la mano sul petto ho fatto cenno col capo di inchinarmi verso la supplente, ho riposto l’apparecchio sopra il cruscotto e sono tornato a sedermi mentre gli alunni applaudivano e mi facevano i cori.

Dopo due/tre minuti qualcuno mi ha fatto toc toc sulla spalla. Mi sono girato. Mi stava fissando a una distanza di dieci centimetri, fra la spalliera di un sedile e l’altro:

-Grazie per i complimenti!- Era arrossita e la voce le tremava.

-Grazie di che?- ho risposto facendole l’occhiolino.

Siamo arrivati a Bergamo e l’ho riaccompagnata al dormitorio. Poi me ne sono tornato a casa e ho pranzato. Mi sono sdraiato sul letto ma non sono riuscito a dormire perché pochi minuti dopo mi è arrivato un suo messaggio in cui mi chiedeva se avessi già preso impegni per il pomeriggio. Avrebbe voluto approfittare del bel tempo per fare una passeggiata e vedere Bergamo.

Le ho risposto che ero libero e ci siamo dati appuntamento alla fermata dell’autobus di Piazza Pontida per le 16:00.

Abbiamo gironzolato per i negozi di Via XX Settembre. Poi siamo andati in gelateria e ci siamo seduti a un tavolino. Mentre mangiava il gelato, apriva la bocca come per dire O, tirava fuori la lingua rosa e slinguazzava la crema di nocciola e cioccolato.

All’imbrunire, prima di tornare a casa, le ho proposto di fare un po’ di terapia panoramica a Porta S. Giacomo.

-Terapia che?!- mi ha chiesto.

- Fidati. Ti piacerà di sicuro- (le) ho risposto.

Siamo arrivati e ci siamo seduti su una panchina a guardare verso Sud. Le ho detto che quando di notte ero agitato, andavo lì, osservavo la Pianura e immaginavo che in fondo ci fosse il mare. Dopo un quarto d’ora ci siamo alzati e siamo andati via.

Davanti al convitto delle monache le ho detto buonanotte. Sorrideva e mi guardava con gli occhi spalancati. Mi ha dato un bacio sulla guancia stringendomi la mano ed è scesa dall’auto. Mi sono sentito le orecchie calde e ho avuto un'erezione.

Sono tornato a casa e mi sono masturbato. La mattina successiva, appena l’ho rivista a scuola, mi sono avvicinato.

-Ciao, scusami, devo andare in classe- mi ha detto guardando a terra.

Al termine delle lezioni, sono di nuovo andato da lei e ho chiesto se volesse un passaggio in macchina.

-Grazie, ma preferisco di no- mi ha risposto rivolgendo lo sguardo di lato.

Nel pomeriggio, però, mi ha mandato un messaggio. Si scusava per come si era comportata a scuola e proponeva di vederci verso le 17:00 davanti al Convitto. In questo modo mi avrebbe spiegato tutto. Mi sono fiondato lì in anticipo. È uscita una decina di minuti dopo le cinque e mi ha salutato sorridendo. Ho notato i denti bianchi e ho immaginato di lucidarglieli con la lingua. Ho detto che le avrei fatto conoscere la Città Alta a piedi. Mentre passeggiavamo mi ha parlato della vita che faceva nel Salento. L’ho ascoltata per un quarto d’ora.

Alla fine, ha concluso:

-…insomma, io sono fidanzata da cinque anni ma mi sento come una tigre in gabbia.

-Ah, capisco- ho detto io.

-Quando finisce l'Anno Scolastico non vorrei ricominciare la vita di merda che ho fatto finora- ha continuato lei.

-Quindi hai intenzione di lasciarlo?- ho chiesto.

-Sì, ma prima mi devo mettere assieme a un altro.

-Ah…- ho fatto io.

-Non lo posso mollare senza motivo. Capisci? I miei non sarebbero d’accordo-.

La bocca le si apriva e chiudeva. Mi sono venute in mente le lacrime che aveva versato il primo giorno di lavoro in sala insegnanti. Ho cambiato discorso, evitando di guardarla negli occhi.

Presto mi sarei pentito di aver fatto il finto tonto.

I giorni successivi siamo usciti insieme. Di pomeriggio per lo più, perché il suo tipo non voleva che uscisse più tardi.

-Mi chiama tutte le sere sul telefono fisso del pensionato- mi ha detto una volta in macchina mentre stavamo andando a cena per una pizza fra colleghi.

Fissava il parabrezza.

Poi ha aggiunto:

-Mi dice che così sta più tranquillo. Qualche volta mi telefona perfino verso mezzanotte.

-Come fai stasera se lui ti chiama e tu sei ancora fuori?- ho chiesto.

-La mia compagna di stanza gli dirà che sto dormendo- ha risposto.

In pizzeria, fra un discorso e l’altro, lei ha bevuto una birra da 33 cl. ed io quasi un litro di vino. Quando l’ho riaccompagnata, le volevo chiedere di restare un po’ in giro ma poi non le ho detto niente. Siamo arrivati davanti al Convitto e lei, prima di uscire dalla macchina, ha dato un bacio sulla sua mano e me lo ha mandato con un soffio che ho avvertito sul viso.

Sono tornato a casa e mi sono messo a letto. Le ho detto con un messaggio che mi sentivo un pugno allo stomaco perché se ne era andata via senza farsi baciare sulle guance. Mi ha risposto dopo due minuti con un “Prrrrrrrrrrrr….”.

La sera successiva siamo usciti di nuovo. Abbiamo mangiato un panino e bevuto birra in un pub. A fine serata, mi ha detto che non aveva voglia di rincasare subito e che voleva fare un giro per l'hinterland di Bergamo… Ho pensato di portarla sulla via per Dalmine a fare il puttan-tour. Andavamo a 10 all'ora in mezzo a transessuali che traballavano su tacchi di 15 centimetri. Ci siamo fermati da unə che ci ha detto che, se volevamo farlo in tre, ci sarebbe costato 50 euro. Siamo ripartiti. Poco più avanti c’erano delle battone mezze nude. Visodangelo ha cominciato a sghignazzare. Ha portato la mano davanti alla bocca e mi ha detto che aveva spesso immaginato di fare la puttana sui marciapiedi e di essere rimorchiata e sbattuta da uno sconosciuto.

La voglia era nata da un sogno che aveva fatto un paio di volte quando era adolescente, ma non aveva mai avuto il coraggio di raccontarlo al fidanzato. Nel frattempo abbiamo accostato una prostituta che ci ha chiesto 100 euro per 20 minuti di rapporto a tre. Le ho risposto che per noi era troppo caro.

Dopo Visodangelo mi ha detto che era tardi e che voleva rientrare. L’ho riportata al Convitto.

-Se tu fossi una puttana, io sarei un tuo cliente fisso- ho detto mentre lei si toglieva la cintura di sicurezza. Ha scosso la testa e ha sorriso. È scesa dalla macchina, ha chiuso lo sportello e poi mi ha fatto ciao con la mano.

 

 

Si era fatta notte da poco. È entrata in macchina. Indossava una maglietta di seta e portava uno zainetto sulla spalla. La T-shirt in seta mi ha lasciato intravedere il seno e dal petto sentivo venire un odore che mi pungeva le mucose del naso.

L'ho portata a un parcheggio dove abitualmente mi apparto con le prostitute.

Ha aperto lo zainetto e ha tolto fuori un paio di zoccoli di 10/12cm e una minigonna in jeans. Si è tolta i pantaloni, i calzini e le scarpe di tela e ha messo la minigonna e i tacchi. Stavo per venire.

Quando ha finito di prepararsi, l'ho portata e lasciata su un marciapiede lungo la Statale per Dalmine.

Prima di scaricarla, l’ho avvisata che sarebbe potuta rimanere lì al massimo per cinque/sei minuti perché l'avrebbe potuta vedere il pappone della zona e poi sarebbe stato complicato spiegargli tutto. Se si fosse fermato un cliente, avrebbe dovuto dirgli che prendeva almeno 100 euro a botta per non farsi rimorchiare.

È scesa giù ed io ho fatto un giro dell'isolato.

Quando sono tornato dove l’avevo lasciata, si era fermata un’automobile bianca e Visodangelo stava parlando con chi c'era dentro.

Mi sono accodato. Poggiava i piedi sui tacchi senza calze. Stava un po' chinata in avanti e con le mani cercava di abbassarsi la minigonna che le stava stretta.

Dopo una quindicina di secondi, ha guardato per un po' verso di me, si è rigirata e poi è successo quello che non sarebbe dovuto accadere.

[...]

Quando è risalita in macchina, mi ha detto di riportarla a casa. Guardava spesso l'orologio e si spostava di continuo sul sedile, come per trovare una posizione comoda. Siamo arrivati di fronte al convitto delle monache e le ho augurato sogni d'oro. È andata via senza salutare. Dopo quella sera ci siamo visti due volte in un mese e mezzo. Solo di pomeriggio. E non abbiamo mai ripreso l’argomento. A giugno, quando sono terminate le lezioni e il contratto di supplenza è scaduto, se n’è tornata in Puglia. Dal ragazzo. Meglio un fidanzato oggi e un marito domani che un puttaniere-guardone non si sa per quanto.

*

Il bimbo, il nonno e l’uccello morto.

PRIMA DEL PARCO.

 

 

- Ciao, Nonnino…

- Buongiorno, pupetto.

- Voglio sapere una cosa.

- Sono tutto orecchie, Giogiò.

- Ieri con lo Zio Gigi-Tony parlavate…

- E allora? Dovevamo stare muti?

- Ma noooo! Volevo dire un'altra cosa….

- E che cosa volevi dire?

- Ho sentito tutto, Nonno. Stavate parlando della morte.

- Uhhhh, ma un bimbo di 5 anni non deve pensare a queste cose!

- Ma io non ho 5 anni! Sono più grande, ne ho 6!

- E sei troppo piccolo lo stesso per questi discorsi. Va' a cagare, e lasciami riposare.

- cosa hai detto, Nonno?

- dicevo, va' a giocare.

- Sì, poi ci vado. Ma prima voglio sapere perché dobbiamo morire tutti.

- Eh, ma allora hai la testa dura?

- La morte è come dormire chiusi dentro 4 tavole, vero?

- Ma che dici!

- Così diceva lo zio Gigi-Tony ieri. L'ho sentito io.

- Va bene, nipotino, te la sei cercata. Parliamone.

- Non è giusto morire, Nonnino! Uno nasce e poi muore, deve lasciare la vita e chiudersi al buio dentro una scatola di legno!

- Ma la morte pullula di vita, Ciccino.

- E che cosa vuol dire pullula? - Significa che è piena di vita.

- Eh... ma scusa, nonno, la morte non è quando la vita finisce?

- Certo, finisce questa vita, ma ne iniziano altre.

- Ah…! Ho capito, vuoi dire la vita dell’anima. Quella che ci ha promesso Gesù?

- Non esattamente, Pupetto di nonno. Dalla morte non rinasce una vita soltanto.

- Ah, si!??

- Sì. È proprio così. Perché non provi a fare un esperimento?

- E che cosa è un esperimento?

- È una specie di gioco.

- Che tipo di gioco devo fare?

- Adesso è primavera...

- Si, nonno, lo so, è primavera e le lucertole si sono risvegliate. E allora?

- ...per cui ci sono tanti nidi di uccellini sugli alberi del parco davanti casa.

- E che c'entrano i nidi con la morte, Nonno?

- C’entrano, c'entrano. Tu non vai tutti i giorni a giocare al parco, vero?

- Sì sì. Ci vado a giocare tutti i giorni.

- Allora la prossima volta guarda attentamente sotto gli alberi.

- Epperché devo guardare sotto i pini?

- Sicuramente troverai a terra qualche cardellino che è morto subito dopo essere nato.

- Poverino! E come cadono? Li spingono?

- Per un motivo o per un altro, c'è sempre un uccellino che cade dal nido e muore. Succede sempre così.

- Epperché un uccellino deve sempre morire?

- Solo i più forti ce la fanno, Gioggio'.

- Epperché solamente i più forti ce la fanno? E quelli più deboli?

- Abbi pazienza. Poi, quando sarai più grande, te lo spiegheranno a scuola. Tu fai come ti ho detto

- E se lo trovo che ci faccio?

- Avvolgilo in un cartoncino e sotterralo, poi, dopo una settimana, tiralo di nuovo fuori.

 

 

DOPO IL PARCO

 

 

- Nonnino!

- Eeh…

- Poi l'ho trovato un cardellino morto. L’ho seppellito e, dopo un po’ di giorni, oggi ho scavato e l'ho tirato fuori.

- Ah, sì? E che cosa hai scoperto?

- L'uccellino era cambiato, c'era tanta puzza e poi tanti vermi se lo stavano mangiando. Alcuni uscivano dal suo corpo e altri ci entravano con la testa. 

- Che tipo di vermi erano? Te lo ricordi, Gioggiò?

- Erano rossi e sembravano fatti di anelli. Ma da dove sono venuti tutti quegli animaletti?

- Quegli esserini provengono dal corpicino, sono nati tutti nel cadavere. Adesso capisci?

- Ah….

- Una vita è andata via, tante altre vite sono arrivate!

- Va bene. Ho capito, Nonno. Quindi la vita dell’uccellino….

- Sì. Esatto! Bravo! Si è trasformata in altri esseri viventi.

- E allora anche noi ci trasformeremo quando saremo morti?

- È proprio così, Tesoruccio.

- E i nostri ricordi? I nostri pensieri? Dove andranno? Non ci saranno più?

- Si spegneranno. Per sempre.

*

Vigile

Mia madre è lì, appesa alle flebo della Rianimazione. E sta morendo una parte di me. Esco dall'ospedale. S’è fatta notte.

Vado alla macchina e metto in moto. Prima di uscire dalla città, scorgo una lucciola sul marciapiede. Le gambe sono slanciate sui trampoli e i glutei semicoperti da un miniabito. Freno e mi accosto. Arresto l'auto e abbasso il finestrino. La tipa si china, guarda nell’abitacolo e mi dice il costo della prestazione. La faccio salire in macchina. Sento che odora di qualcosa. Ho tanta voglia di possederla. Annusarla. Mettere il viso fra le sue cosce e leccarla. Ho il formicolio al ventre e un’erezione. Non riesco a rivolgerle la parola perché la voce mi trema.

Percorro 4/500 metri e intravedo un posto di blocco in fondo al rettilineo. Il cuore comincia a battere veloce, rimbomba nei timpani e nelle vene delle mani. Le guance e le orecchie mi si sono fatte bollenti. Passo davanti ai poliziotti fissando la carreggiata. Hanno fermato un’autoambulanza e nessuno mi ordina lo stop. Mi sento rincuorato.

Ma la tachicardia persiste. Cerco di chiedere qualcosa alla battona, che però sembra non dare attenzione a quello che balbetto ed è intenta a contare delle banconote che ha tirato fuori da una borsetta sulla quale è raffigurato un cuore fatto di brillantini. Infine riesco a chiederle il nome e mi risponde sorridendo. Anche io sorrido e le dico il mio.

Ma mi ricordo di mamma che è in coma e mi rendo conto che non sono ancora tornato a casa. Poi guardo sul lato passeggero: una straniera con gli occhi a mandorla e dei boccoli neri che le cadono sul viso mi sta indicando un posto dove mi dovrei appartare con lei. Allora costeggio il marciapiede, rallento e mi fermo. Mi piego verso destra e allungo il braccio per aprire lo sportello. Le chiedo il favore di scendere. La ragazza mi guarda preoccupata. Scende dalla macchina in silenzio, prende in mano il telefonino e comincia a digitare sul display.

Io metto la marcia e riparto. Arrivo a casa e mi sdraio sul letto. Resto vigile e penso che stavo per buttare dei soldi a puttane.

Non ho rimorsi però.

Fuori dall'ospedale ero agitato, ora invece mi sento sollevato.

*

L’AstraSeneca e l’ex-moglie

I

Dax: Pronto?

Manuela: ma ieri come hai fatto tu, quando sei arrivato al Centro Vaccinazioni?

 

D: Ho bussato.

 

M: Dove?

D: Al portone.

M: Quale?

D: …di vetro.

M: E poi?

D: Qualcuno lo ha aperto.

M: E che cosa è successo?

D: È spuntato uno vestito da infermiere.

 

M: Che ti ha detto?

D: Niente.

M: Ti ha fatto entrare?

 

D: No.

M: E allora perché è sbucato dalla porta?

D: Per darmi il numeretto.

M: Ok.

 

II

D: Pronto?

M: Non l'ho fatto?

D: Perché?

M: Oggi iniettano solo l'AstraSeneca.

 

D: E allora?

 

M: Gli ho detto che ho avuto due tromboflebiti…

D: Gli hai detto che hai avuto anche il lupus?

M: No. Glielo dovevo dire?

D: Dei due tumori che pensi di aver avuto?

M: Nemmeno.

D: …e gli hai riferito dei dolori all’anca?

M: Ma che c'entrano i dolori all'anca?

D: …dell'artrosi all'indice della mano sinistra?

M: Ma perché glielo dovevo dire?

D: …gli hai parlato pure degli incubi che fai la notte?

M: Mi prendi in giro?

D: ….e che non fai la cacca da due giorni?

M: Ma vai a cagare.

 

III

D: si?

M: Ho telefonato al Medico.

D: Ecchetthaddètto?

M: Di farmi vaccinare.

D: E lo hai fatto?

M: Ancora no.

D: Che aspetti?

M: Quello che mi dice mia sorella.

 

D: Va bene. Ciao.

M: Ciao.

 

IV

D: Ccheccè?

M: Natasha mi ha detto che, dopo una settimana che glielo hanno inoculato, gli sono comparse macchie gialle sui polpastrelli.

D: Ma io avevo capito che attendessi il parere dell'altra tua sorella. Il medico.

M: Ho chiamato pure lei. Ma Jessica non risponde. Sarà in ospedale.

D: Devo chiudere, sono a lavoro.

M: NO! Non chiudere! Prima dimmi come hai fatto a decidere!

D: Ho scelto fra due alternative...

M: Quali alternative?

D: ...nella peggiore delle ipotesi.

M: Quali ipotesi?

D: Crepare soffocato OPPURE morire incosciente dopo un mal di testa.

 

M: Eh?

D: Ho scelto la seconda possibilità.

M: Con te non si può parlare!

D: Appunto….

M: Appunto che?

D: Non mi telefonare più per chiedere consigli che poi ignori.

M: Fanculo.

 

V

D: Sì?

M: Jessica dice di attendere. Me ne vado a casa.

D: Non passi da qui?

M: Mi hanno fatto venire l'ansia.

D: Se vieni da me, te la faccio passare.

M: Natasha dice che ha dolore alla gamba.

D: Scusa, ma tua sorella non aveva dolori alla gamba già da prima??????????!!!

M: Sì, alle vene.

D: Quindi il vaccino non c'entra.

M: Ma io ho paura lo stesso.

D: Anche io.

M: Del Vaccino?

D: Di morire asfissiato.

 

VI

D: Cosa c’è?

M: Spostati! Ti sento a tratti!

D: Sei a casa tua?

M: Sto andando di nuovo.

D: Dove?

M: Al Centro Vaccinazioni.

D: EHHHH!

M: Vediamo che mi dice il medico del cambio turno.

D: Già…

M: Già che?

D: Vuoi il parere di un altro.

M: Ma ora c'è una fila lunghissima! Tu che dici?

D: Sii paziente, mettiti in coda. È importante.

M: Vaccinarsi?

D: Farti una consulenza.

M: In che senso?

D: Lì –se non sbaglio- c’è pure il Centro di Salute Mentale.

M: Ciao ciao.

 

VII

D: Ccchecccccè?

M: Non me lo ha voluto fare?

D: Ma dai!

M: Mi ha detto: “Signora, se poi si dovesse sentire male?”

D: Non avevo dubbi.

M: Che cosa non avevi?

D: Niente. Lascia stare.

 

M: Vengo a prendermi il bimbo?

D: NO! Stai tranquilla. Lascialo stare. Stasera te lo porto. Adesso è all'asilo.

M: Secondo te, perché non me lo hanno voluto fare?

D: Secondo me, hanno capito.

M: Che non posso farlo per le tromboflebiti?

D: No. Che sei matta.

M: Sì… Vabbé… CIAO.

[...]

*

La (Manu)Ela II

Il primo giorno degli orali sono arrivato a scuola in anticipo. Mi sono acceso un sigaro e ho sostato un po’ davanti al cancello d'ingresso. Poi ho visto la Ela arrivare in macchina. Era sul lato passeggero. Stava guidando un uomo che aveva la cravatta. Doveva essere il marito. La cosa non mi è andata giù. Prima che lei scendesse dall'auto, ho buttato il sigaro a terra, l'ho pestato e sono entrato nell'edificio in fretta per non farmi vedere. Non avevo voglia di salutarli. Sono andato ai gabinetti. Mi sono seduto sul water e ho rimuginato per un po’. Prima di uscire mi sono masturbato e, dopo l'orgasmo, ho tirato lo sciacquone. Quando sono entrato in aula, mi sono reso conto che l’esame era iniziato da cinque minuti. Il Presidente di Commissione mi stava guardando. -Scusate il ritardo, ma sono stato poco bene- ho detto, evitando di guardare la Ela negli occhi. Mi sono seduto e gli esami sono proseguiti. Durante la mattinata le ho mostrato indifferenza e ho fatto in modo di mettere in difficoltà i ragazzi durante il colloquio. La Ela ha cercato un paio di volte di bloccarmi. Si è messa in mezzo al discorso fissandomi ma io, entrambe le volte, mi sono sovrapposto alla sua voce. Le parlavo guardando di lato. Poi, alla fine dei colloqui, mi si è scagliata contro perché avevo messo in agitazione i ragazzi e mi ero rivolto a lei come a un'alunna. Il collega di inglese ha aggiunto che avevo esagerato. Gli ho risposto che non riuscivo a seguire i loro discorsi perché avevo la vescica piena e dovevo scappare in bagno. Il Presidente ha fatto finta di non sentire. Sono tornato ai cessi. Mentre urinavo, il water mi sembrava una bocca aperta che faceva i gargarismi. Sono rientrato in aula e il prof. d'inglese ha proposto a me e alla Ela di andare al bar con lui per la pausa pranzo. Abbiamo mangiato un panino e bevuto una birra a testa. La guardavo di sfuggita mentre mangiava e sorseggiava. Avrei voluto farmi imboccare la poltiglia che stava masticando. Siamo rientrati a scuola. Io e la Ela, prima di andare via, abbiamo detto al Presidente che saremmo andati nell'auletta delle riunioni a controllare la documentazione dei candidati per vedere se era tutto a posto. Il capo ci ha risposto che doveva andare via e che avrebbe lasciato le chiavi dell'auletta e dell'armadio dei documenti a lei, che era la vicepresidente della sottocommissione. Poi si è levato di mezzo e noi due siamo andati nell'aula. Eravamo di nuovo soli. Indossava un paio di jeans che le stavano stretti sul culo e una camicetta che era aperta fino al secondo bottone. Aveva le scarpe da ginnastica senza calzini. L'odore che emanava dalle running mi ha incasinato il cervello. Fissavo le sue caviglie. Nel pomeriggio sarebbe tornata a casa e avrebbe sfilato via dalle scarpe quei piedi raggrinziti per il sudore. Se lo avesse fatto davanti al marito, questi sarebbe rimasto indifferente alla scena. Ho aperto l'armadio, ho preso la cartella e l’ho appoggiata sul banco. Lei mi si è seduta accanto a una distanza di cinque centimetri, ha aperto il faldone e si è messa a sfogliarne le carte. Le guardavo le mani. Avevano le dita affusolate. Le unghie non erano smaltate né molto lunghe. La peluria sull’avambraccio spiccava sopra la pelle che non era abbronzata. Volevo accarezzargliela. Ho provato a sfiorarla con la scusa di prendere una penna che era davanti a lei sul banco. Ho notato che le è venuta la pelle d'oca e che mi stava guardando con la coda dell'occhio. -Con questo, abbiamo finito- mi ha detto. -Possiamo chiudere, allora- ho risposto, senza sapere quello che stessi dicendo. Ci siamo alzati, abbiamo riposto il materiale e siamo usciti al parcheggio. Lì la Ela ha preso il telefonino e ha chiamato qualcuno. Stavo per dirle se volesse un passaggio ma, prima che aprissi bocca, è arrivato il marito in macchina. Per evitare di salutarlo ho detto ciao a lei e poi sono filato dritto verso la mia auto prima che lui si fermasse. L'ho aperta e sono salito. Ho chinato il capo, ho girato la chiave e ho guardato verso di loro. Ho visto la Ela entrare in macchina, che era parcheggiata a cinque/sei metri di distanza. Ha chiuso lo sportello, ha abbassato il finestrino e mi ha guardato di traverso. Il tipo ha messo in moto. L’automobile ha accelerato in prima fino al cancello del cortile che dava sulla Provinciale, poi ha rallentato, ha svoltato a destra ed è sparita dietro la siepe [...].

*

La (Manu)Ela I

Il primo giorno degli orali sono arrivato a scuola in anticipo. Mi sono acceso un sigaro e ho sostato un po’ davanti al cancello d'ingresso. Poi ho visto la Ela arrivare in macchina. Era sul lato passeggero. Stava guidando un uomo che aveva la cravatta. Doveva essere il marito.

La cosa non mi è andata giù. Prima che lei scendesse dall'auto, ho buttato il sigaro a terra, l'ho pestato e sono entrato nell'edificio in fretta per non farmi vedere. Non avevo voglia di salutarli.

Sono andato ai gabinetti. Mi sono seduto sul water e ho rimuginato per un po’. Prima di uscire mi sono masturbato e, dopo l'orgasmo, ho tirato lo sciacquone.

Quando sono entrato in aula, mi sono reso conto che l’orale era iniziato da cinque minuti.

Il Presidente di Commissione mi stava guardando.

-Scusate il ritardo, ma sono stato poco bene- ho detto, evitando di guardare la Ela negli occhi.

Mi sono seduto e gli esami sono proseguiti. Durante la mattinata le ho mostrato indifferenza e ho fatto in modo di mettere in difficoltà i ragazzi durante il colloquio. La Ela ha cercato un paio di volte di bloccarmi. Si è messa in mezzo al discorso fissandomi ma io, entrambe le volte, le ho risposto un attimo! guardando di lato e ho continuato a parlare con il candidato di turno facendogli obiezioni in merito a quanto questo avesse appena espresso. Poi, alla fine dei colloqui, mi si è scagliata contro perché avevo messo in agitazione i ragazzi e mi ero sovrapposto alla sua voce. Il collega di inglese ha aggiunto che avevo esagerato. Gli ho risposto che non riuscivo a seguire i loro discorsi perché avevo la vescica piena e dovevo scappare in bagno.

Il Presidente ha fatto finta di non sentire.

Sono tornato ai cessi. Mentre urinavo, il water mi sembrava una bocca aperta che faceva i gargarismi.

Sono rientrato in aula e il prof. d'inglese ha proposto a me e alla Ela di andare al bar con lui per la pausa pranzo. Abbiamo mangiato un panino e bevuto una birra a testa. La guardavo di sfuggita mentre mangiava e sorseggiava. Avrei voluto farmi imboccare la poltiglia che stava masticando.

Siamo rientrati a scuola. Io e la Ela, prima di andare via, abbiamo detto al Presidente che saremmo andati nell'auletta delle riunioni a controllare la documentazione dei candidati per vedere se era tutto a posto. Il capo ci ha risposto che doveva andare via e che avrebbe lasciato le chiavi dell'auletta e dell'armadio dei documenti a lei, che era la vicepresidente della sottocommissione. Poi si è levato di mezzo e noi due siamo andati nell'aula.

Eravamo di nuovo soli.

Indossava un paio di jeans che le stavano stretti sul culo e una camicetta che era aperta fino al secondo bottone. Aveva le scarpe da ginnastica senza calzini. L'odore che emanava dalle running mi ha incasinato il cervello. Fissavo le sue caviglie.

Nel pomeriggio sarebbe tornata a casa e avrebbe sfilato via dalle scarpe quei piedi raggrinziti per il sudore. Se lo avesse fatto davanti al marito, questi sarebbe rimasto indifferente alla scena. Ho aperto l'armadio, ho preso la cartella e l’ho appoggiata sul banco. Lei mi si è seduta accanto a una distanza di cinque centimetri, ha aperto il faldone e si è messa a sfogliarne le carte. Le guardavo le mani. Avevano le dita affusolate. Le unghie non erano smaltate né molto lunghe.

La peluria sull’avambraccio spiccava sopra la pelle che non era abbronzata.

Volevo accarezzargliela. Ho provato a sfiorarla con la scusa di prendere una penna che era davanti a lei sul banco. Ho notato che le è venuta la pelle d'oca e che mi stava guardando con la coda dell'occhio.

-Con questo, abbiamo finito- mi ha detto.

-Possiamo chiudere, allora- ho risposto, senza rendermi conto di quello che stessi dicendo.

Ci siamo alzati, abbiamo riposto il materiale e siamo usciti al parcheggio. Lì la Ela ha preso il telefonino e ha chiamato qualcuno. Stavo per dirle se volesse un passaggio ma, prima che aprissi bocca, è arrivato il marito in macchina.

Per evitare di salutarlo ho detto ciao a lei e poi sono filato dritto verso la mia auto prima che lui si fermasse. L'ho aperta e sono salito. Ho chinato il capo, ho girato la chiave e ho guardato verso di loro. Ho visto la Ela entrare in macchina, che era parcheggiata a cinque/sei metri di distanza. Ha chiuso lo sportello, ha abbassato il finestrino e mi ha guardato di traverso.

Il tipo ha messo in moto.

L’automobile ha accelerato in prima fino al cancello del cortile che dava sulla Provinciale, poi ha rallentato, ha svoltato a destra ed è sparita dietro la siepe.

*

Chiesa Gotica

Si erano messi d'accordo al telefono.

A lui era morta la compagna da una decina di giorni ed era andato a trovare i parenti di lei in Basilicata, dove aveva deciso di venire a trovarci e di passare la notte da noi. E così aveva telefonato a mia moglie: sarebbe arrivato a Crotone in treno dopo un viaggio di tre ore e Corinna sarebbe andata a prenderlo alla stazione.

Si conoscevano dai tempi dell’università, quando entrambi -a quanto pare- frequentavano le dark-room. Lei non lo vedeva da anni, da quando si era laureata. Lui non l'aveva mai vista, però l’aveva sempre sentita. E toccata.

Era cieco.

[...].

*

Vino in brick

Si erano scolati due litri a testa di vino in brick e, all'imbrunire, erano usciti a piedi e si erano fermati al bar della stazione per prendere un grappino.

“Mi sa che è la serata giusta", disse Bonny.

“Giusta per cosa?”, chiese Eddy.

“Dai un'occhiata al piazzale della stazione”.

“Sì, Bonny, sto guardando. Niente di nuovo”

“Oooohhh, ma sei cieco??” urlò Bonny.

“Abbassa la voce, coglione!” ribatté Eddy.

“Ma non le vedi quante tossiche ci sono in giro? Donne strafatte che ogni sera sono in cerca di spiccioli”.

“Le vedo. Bonny, puzzano a distanza come i barboni e nessuno le vuole".

“È questo il punto, Eddy, là fuori ci sono chili di figa sprecata. Il fatto che nessuno le caga è a nostro favore! Capisci?”.

“Non ti seguo più. Era meglio se ti fossi bevuta la solita birra da 5 gradi. Te lo avevo detto che non sei più abituato al vino”.

“Concentrati! -disse Bonny- Se adesso andiamo da una di loro, per esempio da quella sulla trentina seduta sul marciapiede, ci darà retta di sicuro”.

“Datti una regolata, Bonny. E non esagerare perché ti arrestano per circonvenzione di incapace”.

“Eddy, io sto cercando di farti capire che oggi forse riusciamo a scoparci qualcuna e tu come reagisci? Ti fai le paranoie”.

“Non sono paranoie, ho visto la macchina della polizia in giro".

“Ma tu non ti arrapi mai, Eddy? Non ce l’hai le palle?”.

“Non sono un asessuato, stronzo! -urlò Eddy-

Dici così perché ieri mi hai visto fare cilecca con la prostituta anziana che lavora sotto casa. Dammi tua sorella e ti faccio vedere come mi funziona”.

“Beviti un altro grappino e andiamo a prendercene una. Eddai, Cazzo!”

Eddy spalancò gli occhi: “e dove cazzo ce la portiamo?”

Bonny sorrise e fissò l'amico al centro della fronte: “allo stabile abbandonato dietro la Stazione, Coglione".

“Ok. Va bene, va bene. Proviamoci. Ma attacchi tu a parlare”.

“Bravo, Eddy, quando lo vuoi, riesci a non essere deficiente. Ora andiamo dalla tipa e le promettiamo 5 euro a testa e la facciamo venire con noi al fabbricato”.

Comprarono tre lattine di birra e si avvicinarono alla tipa, che se ne stava accovacciata sul ciglio del marciapiede a fumare una sigaretta. Le offrirono da bere e si sedettero accanto a lei. Parlarono e gesticolarono per cinque/sei minuti. Poi si alzarono e raggiunsero lo stabile.

Entrarono lì dentro scavalcando una finestra perché il portone d'ingresso era sbarrato con delle lamiere. Dopo una decina di minuti, dall'edificio uscì per prima la ragazza. Correva. Passarono alcuni secondi e saltarono fuori dalla finestra anche loro due. Bonny si fiondò bestemmiando sul marciapiede a rincorrere la tossica però Eddy lo afferrò da dietro per la maglietta e lo tirò a sé ma, nel far questo, venne trascinato in avanti e inciampò sul compagno. Caddero a terra. Eddy disse qualcosa all'amico, poi entrambi si alzarono e guardarono verso la stazione, dove una macchina della polizia si muoveva verso di loro a cinque all'ora con le sirene spente e i lampeggianti accesi. Cambiarono direzione e si diressero verso casa.

Arrivarono all’appartamento senza dare nell'occhio. Eddy ficcò la chiave nella serratura, aprì la porta e andò a sdraiarsi sul letto. Bonny entrò in bagno e si masturbò, poi andò in cucina, prese da bere e si recò nella stanza del coinquilino:

“Credi che io sia stato ingenuo a darle i soldi prima di farlo? Sembrava così socievole!”

Eddy non rispose. Si era addormentato e russava. Allora Bonny se ne tornò in camera, si tolse le scarpe, si buttò sulla branda e si scolò la bottiglia.

Era birra.

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Dora

Al liceo avevo difficoltà nel relazionarmi con le compagne di classe. Ancora oggi non riesco a guardare negli occhi una donna mentre le parlo. Questo mi angustia molto.

In Terza Media c'era un'insegnante con cui avevo dei problemi. Venni iscritto nel registro dei rapporti disciplinari perché un giorno questa prof indossava la minigonna senza calze, portava i tacchi a spillo ed io dal primo banco le avevo guardato le cosce toccandomi. Fu allora che ebbi il primo orgasmo. Mi convinsi che guardare con disinvoltura una bella donna fosse riprovevole. Cominciai a pensare che il sesso fosse una colpa, un piacere da perseguire di nascosto, senza farmi vedere dagli altri. Mi piacevano e mi piacciono le donne ma le guardo di sbieco oppure con gli occhiali da sole, e ho imparato a possederle a modo mio.

Da un anno convivo con Dora. Non è il tipo di donna che sognavo da ragazzo. In effetti, negli ultimi tempi, quando facciamo l'amore, penso alla conoscente che momentaneamente mi attrae di più. Questo mi eccita oltremisura. Ma io amo Dora perché non è una rompiscatole. Si fa fare di tutto senza parlare, non mi giudica e non ha aspettative.

Spesso, però, si lascia andare. Diventa apatica. Si affloscia. Allora capisco che è giunto il momento di tirarla su. Vado a prendere lo scatolo dove ci sono i nostri giocattoli, prendo la pompa e rigonfio la mia bambolina.

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Post mortem

Tony aveva notato che i nervi del collo del padre avevano continuato a pulsare per più di un minuto dopo che il questi era spirato, poi si era recato in infermeria per dire al medico di turno che suo papà era morto. Il dottore, che stava sonnecchiando seduto sulla sedia e curvo sulla scrivania, si alzò di scatto, andò nella stanza a constatare il decesso e tornò in infermeria, dove estrasse da una pila di fogli il modulo del certificato di morte. Questa era sopraggiunta per cachessia.

Due infermiere (che dalla faccia sembravano zoccole) entrarono in camera con la barella, la accostarono al letto e avvolsero un lenzuolo attorno al cadavere per portarlo via. Prima che lo caricassero, il ragazzo disse loro che avrebbe voluto abbassare lui le palpebre del trapassato, le quali erano rimaste aperte a metà. Pure la bocca era rimasta semi-aperta ed il figlio si preoccupò di chiudere anche quella.

Era l'una di notte e all'obitorio l'addetto non c'era, né c'erano altri corpi distesi sui marmi. Le operatrici sanitarie che avevano traghettato la salma rassicurarono il giovane: il papà sarebbe stato al fresco, avrebbero abbassato la temperatura a -18 e la decomposizione sarebbe stata scongiurata fino alla mattina dell'indomani, per cui poteva andare a dormire, ma lui, prima di andar via, volle scoprire il viso del morto e, quando sollevò il sudario, vide che dalla commissura labiale fuoriusciva un liquame che colava giù per il collo fino a macchiare il marmo di bluastro. Allora prese un lembo del lenzuolo che avvolgeva il corpo e cercò di pulire.

Al termine dell’operazione, il volto del papà gli sembrava pulito ma sulla lastra di marmo era rimasta una patina e Tony si rese conto che, al momento, sarebbe stato impossibile far sì che la nitidezza del marmo tornasse uguale a quella delle mattonelle che erano sulle pareti.

Andò a dormire e tornò in obitorio alle 07:00.

Trovò sul posto l'addetto alla sistemazione dei corpi e notò che suo padre era in compagnia di un altro defunto. Questo non era coperto bene dal lenzuolo, che sembrava fosse stato buttatogli addosso di fretta, come uno straccio ammucchiato sul pavimento. Tony riuscì a intravederne una coscia, un braccio e i piedi. Sembravano pennellati di giallo.

Il preposto chiese al ragazzo se volesse assistere alla rimessa in sesto del genitore, questi annuì e gli si posizionò davanti.

Il tipo finì di bere un caffè da un bicchierino usa e getta, lo buttò nel cestino e procedette prima alla pulitura dei genitali, poi al tamponamento delle vie aeree: prese della bambagia e la inserì nella gola e nelle narici del morto con un oggetto in metallo, che pareva un bisturi.

Il defunto, ora, doveva essere vestito e il ragazzo porse l’abbigliamento che nel frattempo gli aveva portato la sorella. Prima, però, si volle accertare che nel taschino interno della giacca non ci fossero dei soldi perché si era ricordato che il vecchio aveva il vizio di mettervi da parte gruzzoletti di banconote.

La vestizione era terminata e il defunto era pronto per mostrarsi in sala ai visitatori.

Tony, però, continuava a chiedersi in quali pantaloni dell’armadio di casa il babbo avesse potuto mettere da parte dei risparmi [...].

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Ansia anticipatoria

Uno scoramento assale il tipo di mezza età all'inizio del pomeriggio.

Se a mezzogiorno il cielo è terso, per lui lo spazio diventa vitreo e la luce immobile. Se invece è uggioso, il tipo di mezza età vede tutto terreo.

Egli ricorda poco di quando è piombato sul sentiero obbligato che porta al burrone.

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Solo. Solo come un cane!

Non mi ero rassegnato all'idea che Corinna mi avesse mollato senza preavviso, per cui l'avevo cercata con insistenza e, dopo una settimana, ero riuscito a incontrarla. Ai Giardini. Era lì che si faceva trovare, solo che non mi parlava più.

Aveva saputo della scappatella con la Ela. Questa era la parrucchiera che, il giorno prima del distacco, le aveva fatto un'acconciatura coi fiocchi e, due giorni dopo, era venuta a letto con me: era brava con gli uomini e si faceva fare di tutto. Del resto, era stata la signora a lasciarmi in bianco senza motivo e non potevo mica farmi le seghe e autocommiserarmi per il resto della vita.

Ora, però, volevo farmi perdonare.

Un giorno le portai perciò un bouquet di fiori, lei lo accettò. In quell'oasi di pace in mezzo alla città, stemmo in silenzio per un quarto d'ora a guardarci e a riflettere. Cercavo di farle capire che mi ero pentito. Ma era imperterrita. Ascoltava i miei discorsi, mi fissava ridendo sotto i baffi, però non mi rivolgeva la parola. Quella volta passò vicino a noi il custode del parco. Salutò guardando a terra. Gli chiesi da quanto tempo non potasse le siepi e lui mi rispose che non le toccava da sei mesi. Poi mi disse che doveva andare a sistemare un'aiuola che si trovava dietro una fontanella e si congedò. Il tipo era cordiale, mi guardava con commiserazione e si rivolgeva a me con il "tu", ignorando la presenza di lei. Forse gli era antipatica per l'atteggiamento che mostrava nei miei confronti. Le proposi di fare una passeggiata. Rimase impassibile. Allora restammo dove eravamo.

Discutemmo per oltre un'ora e non mi accorsi che si era fatto tardi. Il sorvegliante doveva chiudere e mi fissava. Il suo volto non esprimeva più compassione. Feci notare a Corinna che era ora di alzare i tacchi e tornare a casa.

Varcammo l'uscita, il guardiano chiuse in fretta il cancello. Io mi avvicinai alla macchina, aprii la portiera e mi voltai a guardare verso mia moglie, poi, prima di rigirarmi per entrare nell'abitacolo, spostai lo sguardo in alto e rilessi quella scritta sopra l'inferriata, che da otto giorni mi ripetevo nel dormiveglia: "Tutto è vanità, tranne il sepolcro".

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Il nitido della materia

La caldaia non funzionava da due settimane. Nei giorni lavorativi telefonavo al tecnico ma questo non rispondeva. Vedeva la mia chiamata e mi contattava il giorno dopo. Mi diceva che non aveva avuto tempo, quindi ci mettevamo d'accordo per una data. Poi arrivava il momento, io gli ritelefonavo e di nuovo nessuna risposta.

Mi chiamò la mattina di sabato, ma io stavo lavorando e non ero a casa, per cui ci accordammo per il lunedì. Nel giorno che avevamo stabilito, però, ancora una volta non rispose. Provai una seconda volta a telefonargli. Il cellulare risultava spento. Gli mandai un messaggio vocale via Whatsapp, lui lo vide e lo ascoltò, ma niente. Non mi sembrava il caso di chiamare un altro. Volevo vedere la faccia del tizio che mi stava tenendo al freddo da 15 giorni. Inviai un messaggio di lamentele al fratello, che era il suo datore di lavoro, e il giorno dopo il tipo si presentò a casa per riparare la caldaia.

Si mise a maneggiare il termostato, io gli chiesi se volesse un bicchierino di limoncello e lui accettò. Prima di darglielo lo allungai con alcool puro 95° per liquori. Se lo bevve in un sorso, allora gliene offrii un altro e, dopo cinque minuti, un altro ancora. Dopo il quarto cocktail strascicava le parole. E le gambe. Gli dissi che in passato avevo abitato nel suo quartiere, lui fece un sorriso di compiacimento e mi rivelò la via e il civico in cui viveva. Quando finì, mi assicurai che fosse riuscito a riparare la caldaia e lo pagai. Gli chiesi se voleva un altro bicchiere. Accennò di sì con il capo. Presi un calice e lo riempii per metà d’acqua e per metà del miscuglio. Se lo ingollò e si tolse dai piedi.

L’indomani andai a trovarlo.

Davanti all’abitazione c'erano delle persone e sulla porta d'ingresso era affisso un manifesto di morte col suo nome.

Il giorno prima aveva centrato con la macchina il guardrail di una curva e c'era rimasto secco.

Entrai dentro. C'era un corridoio. La camera ardente era la prima stanza a sinistra. Salutai una signora e due ragazzi che stavano piangendo. Poi mi avvicinai al feretro, abbassai la testa e toccai la bara per farmi il segno della croce. Rimasi pochi secondi con la testa china a guardare la cassa e vi appoggiai il palmo della mano. Era liscia e lucida. Legno massello di qualità.

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Disbrigo pratiche

Il coma era la conseguenza della cachessia in stato avanzato. La sentenza del sanitario del Pronto Intervento però non toglieva che, nei momenti in cui ero sveglio, fossi cosciente e capace di ascoltare, solo che non avevo le forze per aprire la bocca e gli occhi.

Comunque non avevo dolori perché mi somministravano il Contramal sotto la lingua. Oltre al medico, in quel momento si stavano occupando di me i due figli che avevo cresciuto, e mia moglie, che interveniva di tanto in tanto con parole tipo "ho capito" o "infatti".

Speravano che la mia morte fosse indolore. E veloce.

Secondo il medico del 118, gli organi stavano mollando uno dopo l'altro, quindi il calvario sarebbe finito di lì a poco. Mentre parlava mi alzò la palpebra destra e disse che i capillari della sclera si erano anneriti. Segno che la circolazione periferica non funzionasse più e che la vista fosse compromessa. Sarei deceduto entro due ore.

Ci sentivo ancora, però.

Mio figlio e la madre espressero il dubbio che se fossi morto in serata, il funerale non si sarebbe potuto svolgere l’indomani e si chiedevano se oltre le 24 ore la salma avrebbe cominciato a esalare gas.

Il dottore li rassicurò: gli addetti delle pompe funebri sapevano come intervenire sui cadaveri affinché non puzzassero. Sentii mia figlia tirare un sospiro di sollievo. Poi tutti continuarono a tranquillizzarsi a vicenda dicendo che in quel momento ero incosciente. A conferma di ciò, udii il medico asserire che ero insensibile alle punture che mi stava facendo con un ago sui polpastrelli. Le dita, infatti, erano diventate cianotiche. Poi aggiunse che avrebbero potuto farmi ricoverare giusto per non lasciare alcunché di intentato. Fra l'altro, morendo in ospedale, sarei stato esposto nella sala del pianto presso l'obitorio e i miei cari si sarebbero risparmiati il trambusto delle visite a casa.

Loro risposero che era una buona idea.

A quel punto distolsi l'attenzione da quello che gli astanti dicevano perché mi ricordai che mio cognato il giorno precedente mi aveva promesso dei pasticcini e non me li aveva portati. Avevo voglia di mangiare qualcosa di dolce.

Dopo cominciai ad avere tanto sonno, non riuscivo a concentrarmi su quello che sentivo e avvertivo un formicolio su tutto il corpo. Mi sembrava di vedere la buonanima di papà che camminava verso di me. Provavo ad abbracciarlo ma lui era arrabbiato, si rifiutava di stringermi e mi parlava ma io non capivo cosa stesse farfugliando. Poi, piano piano, riuscii a discriminare una sua espressione. Si trattava di una frase che mi diceva quando ero un adolescente e lo facevo arrabbiare.

“Cresci figli, cresci porci".

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Avanguardie pedagogiche

La scuola era al pianterreno di un condominio di sette piani.

I ragazzi della terza stavano facendo un laboratorio di storia su "La rinascita dell'Anno Mille". Io camminavo fra i banchi e, mentre davo suggerimenti a chi me li chiedeva, si sentì un tonfo. Proveniva dalla finestra.

Una donna sulla cinquantina era precipitata dal terrazzo dell'ultimo piano. Gli studenti, soprattutto le ragazze, gridarono. Ebbi il dubbio che l'avesse buttata giù qualcuno che poteva aggirarsi indisturbato nei dintorni, per cui preferii mettere al sicuro 19 giovani in salute invece che perdere tempo a chiamare i soccorsi per un individuo di mezza età già compromesso.

Ordinai alla classe di lasciare immediatamente l'aula. Gli alunni obbedirono, li portai nell'aula di informatica e li chiusi dentro. Tornai in classe e mi affacciai dalla finestra per guardare di nuovo la tipa che era piombata dall'alto.

Stava riversa sull'asfalto, aveva la bocca semi-aperta, le gambe divaricate, un braccio sotto la schiena e l'altro steso intorno alla testa. Indossava il pigiama e notai che la sua pancia era gonfia. Sembrava una barbona che dormiva dopo una sbronza. Ma era morta, stecchita. Le feci un paio di foto col telefonino e chiamai il 118: "Salve, sono un insegnante del Liceo Pedagogico, qui su via A. Manzoni, durante la lezione, abbiamo visto cadere sulla strada una donna dai piani di sopra. Mi sembra esanime ma venite lo stesso". Poi chiamai la polizia e dissi le stesse cose.

Pensai che i miei allievi sedicenni avessero il diritto di vedere il morto, quindi andai a chiamarli prima che il corpo venisse prelevato. Li lasciai osservare il cadavere spiegando loro che così avrebbero temprato il loro carattere. Mentre loro guardavano la suicida, io gli parlavo di Leopardi, Epicuro, Lucrezio, Montaigne, Sartre e dei Kamikaze giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale.

Un maschietto era molto incuriosito e faceva commenti da adulto, un altro mi chiese se si trattasse di suicidio, io non risposi ma lui insisteva con la domanda ed io allora gli spiegai che, se la morta non aveva urlato durante il volo, o era stata tramortita già prima di schiantarsi oppure si era uccisa da sola. Due alunne si toccavano la pancia, guardavano a terra e mi chiesero di poter andare in bagno. Acconsentii.

Quando giunsero la polizia, l'autoambulanza e il Dirigente Scolastico, avevo già chiuso la finestra e ripreso la lezione laddove era stata interrotta al momento del botto.