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Raccolta di pensieri di Giulia Archer
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Dire

Rinunciamo, il più delle volte, a raccontare e raccontarci ; a dire, nero su bianco, la nostra differenza, la nostra distanza abissale dalle immagini televisive e patinate che ormai dominano largamente l’immaginario collettivo e individuale ; rinunciamo per pigrizia, oppure orgoglio, o semplice indifferenza. Ma basta immaginare che nessuno leggerà mai le cose « terribili » che abbiamo da dire, per lasciare che si aprano le cataratte e il sangue della nostra mente fluisca, non libero, no, ma necessitato, sulla pagina bianca, ad accoglierne la sfida.

Un’amica sta morendo : lentamente e con dolore, perchè tenerla in vita a ogni costo è la dolorosa necessità di chi le è vicino e di chi, in questo mondo, è preposto alle sue cure. Un grido di protesta, che immagino suo, si leva dal mio cuore : « lasciatemi morire ! lasciatemi morire ! ». Siamo tutti Arianne che stringono in mano il gomitolo della propria vita, ma il filo è afferrato da tutte le parti da mani pietose e alla fine s’ingarbuglia. Tutte queste mani pietose hanno fede nella vita come unica speranza, unico bene, unico destino ; ma cosa sia speranza, bene, destino, nessuno se lo chiede. Nessuno si chiede cosa sia la vita, cosa sia la morte, perchè la temiamo, a volte quella degli altri più che la nostra.

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Logica

Breve commento sulla il-logica del nostro modo di pensare.

« ne laissez pas l’imprévu décider pour vous »

« Non lasciate che l’imprevisto decida per voi ». Slogan della campagna in corso in Francia per la gratuità degli anticoncezionali per le adolescenti.

« Non lasciate che » : forma imperativa che suppone nell’ascoltante il potere di dominare l’imprevisto, il quale, in quanto tale, non è dominabile. Se fosse dominabile non sarebbe imprevisto. Ma qui si esprime esplicitamente l’illusione della scienza (della fede nella scienza) di avere la potenza di dominare l’imprevisto.

« che l’imprevisto decida per voi » : la decisione, in quanto tale, è scelta tra due (o più) ‘possibilità’. Ora se l’imprevisto è tale non puo’ decidere, non si puo’ cioè conoscere, affermare, la sua scelta, altrimenti sarebbe un ‘previsto’. Oppure : se l’imprevisto ammette più ‘possibilità’ non è prevedibile quale scelga, in quanto imprevisto ; se invece non ammette più ‘possibilità’, non sussite ‘scelta’, ma solo necessità (quindi assenza di imprevisto).

 

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la cosiddetta esperienza

« Il cerchio è quadrato

La legna è cenere

Il vivo è morto »

Questo dice il buon senso.

Questo non appare.

« Il cerchio non puo’ diventare quadrato

La legna non puo’ diventare cenere

Il vivo non puo’ diventare morto

L’essere, ogni essere, non puo’ diventare altro da sè.

L’essere non puo’ diventare nulla »

Questo dice la Verità

Questo appare.

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La Cosa e la parola

La distruzione (in atto) della tradizione è anche distruzione della lingua. Di più: è la distruzione della parola e della relazione cosa-parola. la cosa rifiuta la parola, si ribella, la matrigna oppressiva e violenta è uccisa.

 

Dici 'vaso' ma potresti dire 'cielo' e questo arbitrio uccide la coscienza, che si ribella e risorge come puro sguardo sulla cosa, eternizzandola - o meglio, riconoscendone l'eternità.

 

L'arbitrio-violenza della parola che vuol designare non intacca la purezza della cosa.

 

Da cui l'esperienza "pericolosa" della percezione pura, illinguistica, della cosa, che una parola voluta non stacca più da te.

 

Il fenomeno intermedio (e incosciente) è la "parola in libertà" - apparentata al "sesso in libertà": nessuna parola richiede ormai fondamento e senso, ma puo' esser detta in modo infondato e insensato da chiunque. Ne sono esempio la massificazione del linguaggio scientifico, la popolarizzazione della "filosofia", la cultura di massa e per le masse.

 

Ma questa parola senza senso e fondamento non è innocente, anzi è dominatrice e onninvasiva, designante un pensiero-cosa destinato all'annientamento, al nulla di senso. (vedi mass-media)

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Vita-terapia

Le Avanguardie destrutturanti dell'arte, che corrispondono, in filosofia, alla distruzione dell'epistéme metafisica, si diluiscono al presente come "arte terapeutica".
Come l'uomo deve credere alla morte per distruggerla e inventa poi rimedi, filosofici e pratici, sempre più complessi, all'angoscia determinata dal Divenire (=Morte), cosi' l' "artista" - oggi quasi tutti, l'arte è di massa - elabora l'art therapy come procedimento esplicito di terapia, l'agire artistico diventa auto-terapia, rimedio al disagio esistenziale che segue la distruzione di canoni estetici come dei valori epistemici.
Quasi che la vita sia ormai diventata una malattia.
Il meccanismo si ripete: la storia dell'uomo è (anche) storia dell'elaborazione di rimedi a cio' che egli stesso ha "creato" (crede di aver creato).
L'impossibilità del non-agire - l'agire essendo consustanziale all'uomo - sta al fondamento di questo meccanismo.  L'agire essendo distruzione che si crede creazione, poichè afferma il diventar altro di ogni oggetto dell'azione (compreso lo 'spirito', l' 'anima', e simili), chiama necessariamente un rimedio alla distruzione, cioè a se stesso.
Ed è necessario che questa aspirazione a un rimedio oscilli tra il ricorso a specialisti (psicologi, psicoterapeuti, attori di svariate discipline sempre più specialistiche) e una terapia auto-gestita, generalizzata ma individuale, cioè di massa.
Tutto cio' non sottintende alcun giudizio negativo: è solo la descrizione di un processo necessario alla liberazione dell'uomo da se stesso. Sottintende invece che questa vita/malattia e vita/terapia non avrà l'ultima parola: accompagna il crescente dominio della tecno-scienza e tramonterà con esso.  Ma noi, qui e ora, siamo ricercatori.

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Paul Auster filosofo

"Un'anima puo' leggere in se stessa solo cio' che vi è direttammente rappresentato; non puo' rivelare tutte le sue pieghe contemporaneamente, poichè esse continuano all'infinito" citato da Leibniz.  E poi, non citato ma pensiero originale: "Il linguaggio non è verità. E' il nostro modo di esistere nel mondo" - Paul Auster - "L'invenzione della solitudine", 2, Il Libro della Memoria. Questa frase puo' essere ritrovata, formulata diversamente, in Emanuele Severino.

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Follia contemporanea

Per Emanuele Severino il pensiero contingente della contingenza (sarebbe il pensiero contemporaneo) non puo' rinunciare alla verità assoluta: tutto è divenire.
Il divenire non diviene. Necessariamente.

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I fatti

I fatti (sostantivo) sono fatti (participio passato del verbo 'fare'). Ma spesso sono anche "fatti" (espressione idiomatica che equivale a "drogati").
Si puo' quindi dire: i fatti sono fatti fatti.

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a Amleto

La verità è verità dell'essere. Non c'è l'essere e poi la verità, o "inoltre" la verità.
Quindi è dell'essere che si deve dire la verità.

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desiderio d’infinito

La follia che separa finito e infinito, dà luogo al desiderio di infinito.
Ma è come voler dominare il divenire dopo averlo inventato: il divenire è indomabile perchè non esiste!  L'infinito non è realizzabile perchè esiste!

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banalità

Un giorno ho detto a un amico che scrivo poesie. Commento: "In Italia c'è un poeta ogni 5 abitanti!"  Ho pensato: "Tanto meglio, un imbecille di meno ogni 5 abitanti!".

Un giorno ho detto a un amico che ero depressa. Commento (benevolo): "Su dai, non sei mica il centro del mondo!"  Ho pensato: "Povero Pierre, non ha capito niente!"