I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Inverno a Nizza
Quanti anni avevi- amore- quell'inverno a Nizza? Ed erano azzurri o neri gli occhi quando appoggiati con le mani alla balaustra tu aggiungevi e toglievi aggettivi alla brezza? In quale continente viaggeranno oggi le braccia stanche della donna che passandoci accanto domandava a tutti: perché il tempo dell'amore fugge così in fretta? Quale suono faranno adesso i passi degli assenti in Place Massena? Quanti anni avevi- amore- quell'inverno- senza pioggia- a Nizza?
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Andando fuori tempo
Cercherò un luogo dove riposare. Lo cercherò riparato. Non so ancora se sotto a un cedro o se accanto a quelle due magnolie che in chissà quale altra vita furono viole. Cercherò un luogo. Lo cercherò tra la costa e il fianco sinistro della montagna o a oriente, lì, dove anche le palpebre più stanche sono porte che si spalancano. Cercherò un luogo soleggiato. Lo cercherò andando fuori tempo massimo col mondo. Se non trovate le tracce che ho lasciato, cercatemi. Non sarà facile- sono troppe le ombre appese ai rami- Se potrò, vi risponderò.
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Fu l’acqua del lago
Fu l'acqua del lago a farmi amare la terra. Ad ogni guizzo a ogni scintilla lasciati in aria dai pesci- calma- essa sussurrava: vedi? Bisogna andare a fondo per risalire a galla.
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Chi dobbiamo seguire?
In un movimento convulso- lo stesso che fece tremare le porte- che scosse forte l'alloro e smosse d'improvviso la caverna e il monte- come Enea chiedo agli dei chi- noi profughi del grande inganno che governa il mondo- dobbiamo seguire per trovare nella falsa fosforescenza del male una terra nella quale approdare?
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Passeri e pettirossi
Non si possono togliere gli occhi rossi a un ricordo. Si può però mitigarne i contorni- arrotondarne gli angoli con un bagliore caldo. E come attendono le glabre bouganville attendere il ritorno dal nulla dei passeri e dei pettirossi. A.P.
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Il sole è unisola
Due isolati di case. Il sole è un'isola di cose disperse. Penso a me stessa come si pensa a una casa, a un paese, a una città sommersi. Sotto un cipresso altissimo riposa una bambola di pezza. Chissà che età avranno gli Alisei e la brezza!
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Scrivo
Scrivo per dire agli alberi: -dormite- dormite- che qui la guerra non è finita. Scrivo per dare silenzio al silenzio- voce a due voci afone e evanescenti. Scrivo per dire ai mercanti di morte: cosa direte ai vostri figli quando vi punteranno contro i vostri fucili fiammanti? Scrivo per infilare una via laterale, per ridare fiato alla neve- alla luna- al verde della radura. Scrivo per dire agli alberi: -dormite- dormite- che qui la guerra non è finita.
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Diario di viaggio
A questo mio lungo viaggiare- da un punto interrogativo all'altro- aggiungo un girasole, tre rose, due genziane. L'alba che vibra e risale dal crinale. L'odore del pane, una manciata di sale. E l'Arno che raggiunge il mare. A.P.
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Attimo
Siamo quell'attimo che ancora tremola sul ramo. A.P.
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Paura
Guardo fuori. Il vento che infuria ha i lineamenti di due donne in fuga. Mando in alto un cerchio di fumo. In basso il mondo che parla solo di se stesso. Paura. Paura del cielo quando fa promesse. Tolgo da ogni frase parole che pronosticano certezze. Apro la finestra. Nell'aria ancora il profumo onesto di timo e ginestra.
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Postumi dei giorni felici
Vorrei dire: la notte è finita ma queste mie mani hanno troppe cicatrici e nessuno è mai sopravvissuto ai postumi dei giorni felici. Né febbraio- né l'acqua nel granaio- Tu dici:- aspetta- non è sempre vero che a marzo il vento muore presto- ma io conosco quanto possa essere inclemente aprile quando ride. Vorrei dire: la notte è finita ma queste mie mani hanno troppe cicatrici. E la mia sete è infinita. A.P.
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Stupore
Lo stupore mantiene vivi gli occhi. Non chiedermi di nuovo perché il cerchio si allarga ogni volta che lanci un minuscolo frammento di roccia nell'acqua. Lascia che io viva inclinata con la testa appena appoggiata sulle mie mani aperte. Altre vite ci passeranno accanto e voglio trattenerle. Anche se come l'acqua della laguna che esonda esse non hanno forma. A.P. Firenze, 27 ottobre 2020
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Giorni dispari
Amo i giorni dispari. Essi mi ricordano le nove rose che mi regalasti in quel novembre nel quale tutti gli alberi da frutto parevano dire- anche se lo sembriamo- noi non siamo morti. E- malgrado il cielo si divertisse a oscillare per non farsi trovare- fu quel sonno antico e provvisorio a far sì che persino io mi risvegliassi. Ed è da lì- da quegli alberi dei giorni dispari e da quelle nove rose rosse- ch'io divenni- contemporaneamente- a giorni vita, altri morte.
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Un giorno di festa
Apro le tende dalla strada deserta giunge indefesso un odore di festa. Un'auto romba al di qua del non visto; sopra il platano che ondeggia l'impressione di essere un'ombra- una chiamata persa- la sfocatura d'una foto scomparsa.
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Giorni diseguali
Dei giorni diseguali conservo ancora inciso sui palmi delle mani quel refolo di bora che nacque dai narcisi e morì in riviera. A.P.
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Quindici settembre
Quindici settembre. Un'amica dice: che fai, ti fermi? Oltre un rebus di voci le vite degli altri e la mia che s'è trasferita altrove.
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Inumana allegria
Nella voragine senza fine di tanta inumana allegria dico mille volte grazie a chi m'insegnò la libertà di poter piangere. A.P.
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Poi il cielo cadde
Con te i muri furono fiori. Le foreste, madri. Le albe- ansiose- primipare e padri. Poi il cielo cadde come cade quel soldato a cui hanno detto: "Spara!" E lui non spara perché oltre il mare vede sua madre. Di quell'addio- figlio- ora altro non rimane che un dio (che non è il mio). E quel grido che da sempre muore nel mare. A.P.
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Camminando
L'estate passa. Sono il lampo d'acciaio che s'inabissa nel suono dissonante di quel vecchio che- camminando- somma ai miei occhi i suoi passi. A.P.
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Uva e mosto
Oggi starò zitta. Sarò uva e mosto. La T della metà di me che si scontra contro la A di agosto che già annunzia la G di giorni morti. Oggi starò zitta. Sarò la N della neve che ricopre l'orto dove mia madre- vestita di blu- mi dice: aspetta! A.P.
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In treno
E' un'estate silenziosa questa. Silenziosa come questa donna che ho di fronte. Chissà cosa sogna... L'urlo di Munch? La Wally di Egon Schiele? La Nadja di Breton? Il blu della gonna di Emma Bovary? Zazie? Il metrò? La Gare d'Austerlitz? Chissà cosa sogna la donna di fronte...
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Vedere è non vedere
Non oltrepassare l'oltre. Vedere tutto è non vedere- non vedere- niente. Diventa piuttosto quel grande fiume azzurro che pensato diventa verde mentre la nudità del tempo inonda di indaco gli occhi e i fianchi della casa bianca in cui nascesti. A.P.
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Mi domandi perché
Mi domandi perché la mia lettera di aprile non abbia fine. Ebbene, anche se non c'era nebbia, qui eravamo in guerra. E non c'è guerra che non abbia una G una U una E due R e una A che non siano lettere perse che giungono dal fronte. Il cielo, comunque, è sempre terso; persino se si scrive di vita e di morte.
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La pagina che manca
Trascrivo la traiettoria di una stella. La pagina che manca è il lungo sonno d'una bambina senza nome alla quale furono negate una casa e una terra.
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Spazi bianchi
viviamo senza rompere mai le righe dimenticandoci che siamo solo spazi bianchi.
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Città fredda
A volte di notte mi cerco. E a bassa voce pronuncio il mio nome. Chi sono? Da dove vengo? Dov'è il tempo? Non lo vedo. Ritenta. Ritenta. Ricordi? La vita è lunga. Lunga. E tu hai fame e sonno. Ma dov'è il mondo? Conosci forse luoghi in cui gli uomini non siano obbligati a nascere e anche a morire contenti? Ritenta. La vita è lunga. E ci vuole molto tempo prima che la neve si sciolga.
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Zone di pace
Eccomi finalmente a casa. Sono mazzi di altee e rose borraccine le zone di pace.
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Straniamento
Straniamento. Riverberi di asfalto. Siamo arbusti di berberis rinati in territori di guerra.
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Poco importa
Quando la città si fa cerchio entro ed esco dal mondo. Scavo il cielo muto e a mani nude ritorno. Poco importa se le strade sono fantasmi sordi come lo è l'anosmia degli Dei nei deserti. Resta sempre la vita. E non è mai la stessa. Anche se scrivesti alla luna senza avere risposta.
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Uno due tre stella
Cortili ombreggiati. Partenze. Nella vertigine del vento si ricompongono d'un tratto tracce di esistenze. E' pozzo senza fondo l'acqua pulita dell'infanzia. Dietro la tenda bianca una bambina grida con le dita: uno, due, tre, stella.
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Il rumore dellacqua
Qualche volta la vita assomiglia al rumore dell'acqua. Accelera cambia altezza, frequenza, e rimbalza.
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Si chiamava Diletta
Parenti Diletta? Diletta è morta? Noi? No; mai accorti di niente. Pareti Muri senza occhi né orecchi. Botte. Botte da orbi. Amici Che vuole che le dica. Un uomo perbene. Tutto casa, chiesa e famiglia. Regole: tenere. Tenere- il più possibile- le bocche cucite. Ammazzata? Niente. Mai accorti di niente. Vicini Hai visto come si truccava? Anche lei, però! Se l'è proprio cercata.
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Nessuno
Nessuno avrà vissuto invano fintantoché l'inverno morirà credendo d'esser grano.
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senza titolo
Rugiada mattutina gerani rossi voglia di essere brina
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Nuvole
Volevo vivere vivere come vivono le nuvole agostane intanto che il cielo- calmo- si fa lana.
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Trompe- l’oeil
Non andare dicevi. La luce del giorno è limpida d'inganni. Ma c'erano verande aperte dappertutto e sciabecchi nei porti. Non andare dicevi. Come se la realtà non fosse un gioco degli specchi e la vita un falso d'autore che ha origine negli occhi.
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Finestre
Apro la finestra. La strada ha un respiro profondo. Con la fantasia tiro dentro il mondo. Firenze, 24 aprile 2020
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A che sono serviti?
A che sono serviti i versi dei poeti - gli accenti- gli occhi che ridiventavano azzurri nell'arsura dei venti? A che sono servite le mani del buon Sanka che innaffia gli istanti? L'empatia dei glicini negli orti? A che sono serviti i versi dei poeti- gli alianti- ora che aria rima con morte? A.P. Firenze, 22 aprile 2020
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Fresie
Un cielo noncurante ci divise. Ma brilla- brilla ancora sulle ripe- il giallo prorompente delle fresie. A.P. Firenze, 6 aprile 2020
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Ma la rosa è viva
Sono morti i salici del lago ma la rosa è viva e prima che anche quest'azzurro silenzio muoia- senza che nessuno lo pianga- spalancherò la finestra e vivrò due volte come la tua ginestra verdazzurra che dice ce la farò- ce la farò- perfino questa volta.
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Ti cercai dappertutto
Ti cercai dappertutto. Rinchiusa dentro il cerchio impazzito del mondo- col viso controvento- facesti un passo. Un solo passo avanti. Eccomi- mi hai trovata dicesti- Libertà- E io piansi. Sì, piansi tanto. Come adesso che ricordo quanto sia deserto il mondo quando manchi. A.P. Firenze, 25 marzo 2020
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Visioni
Galleggio sulle ombre. Visioni di dolore. Un raggio di sole tramortisce il cuore. A.P. Firenze, 24 marzo 2020
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Lontanissimo
Un sole insolente in solitario ascolta il respiro- lontanissimo del mondo- che sale portando in salvo l'ultimo orizzonte. A.P.
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Gli assenti
Quando mi chiamarono e qualcuno disse: entri entri- presto- non c'è più tempo ero il lago che ancora stringo negli occhi. Tu guardasti oltre e i monti gridarono agli Dei: -perché siete morti?- Ora, conto solo gli assenti. E gli astri claudicanti dei poeti e dei vinti. A.P. Firenze, 2 marzo 2020
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Non ho tempo
Non ho tempo per morire. Devo ancora coniugare il soliloquio del sole e l'infinito del mare.
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Non ho altro da dire
Non ho altro da dire nient'altro che non sia andare oltre - oltre - l'osceno omettere di dire che ha un solo colore l'ansia di morire. A.P. 11 febbraio 2020
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Il mio primo ricordo
Sono nata col sole di maggio sono nata ridendo. Il mio primo ricordo è sepolto nel piccolo giardino d'inverno fra il battito del pendolo e il cavallo a dondolo. Nelle notti d'autunno quando il cielo è sveglio mi rivedo e come allodola su un mandorlo gli ripeto: non me ne andrò finché canta il gallo. Sono nata col sole di maggio. sono morta vivendo. Il mio primo ricordo è sepolto nel piccolo giardino d'inverno. A.P. Firenze, 3 febbraio 2020
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Vorrei tanto
Vorrei tanto raccontarti di come d'inverno si risvegliano le foglie senza nome degli acanti; del figlio che vegliò la madre in sogno, del tanto di meno e del tanto meglio. Del luglio in cui piovve olio e tiglio. Vorrei tanto raccontarti di come d'inverno si risvegliano le stelle. A.P. Firenze, 28 gennaio 2020
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In quale luogo?
In quale luogo dormiranno adesso la valigia di pelle? Il pullman delle sette, gli amici che radiografavano le stelle? La ragazza con la minigonna? In quale luogo dormiranno il quaderno degli appunti, il solstizio nel quale scrivemmo: e, si... noi ci ameremo in eterno? In quale luogo dormiranno l'agrifoglio, la matita nera, il fermaglio giallo, il capodanno del millenovecentossessanta? A.P. Firenze, 16 gennaio 2020
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Insonnia
Ritorno sui miei passi. Per un istante sono i giorni, gli anni, i mesi che non vissi. Il perdono e il suo tuono. L'orso di Annaud e la sua tana. Il gran fiume Eridano. L'ambra che si dissolse sul marmo. La memoria di Adriano- la sua insonnia- mia madre che morì in inverno. Ritorno. Ritorno sui miei passi. E, si. Io sono. Sono i giorni, gli anni, i mesi che non vissi. Il biplano che, in un giorno di sole, a Elpis tese la mano.
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Il cielo è semplice
Il cielo è semplice, guardalo! Guarda com'è facile per esso tramutare il gemere d'un gelso in mille e mille gemme! A.P. Firenze, 3 gennaio 2019
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In questo mondo
In questo mondo che non ha più tempo, ti penso. E come un sound senza arpeggi- nell'uggia della pioggia- io mi perdo.
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Inverno
Tu continua a ballare. Non vedi quanto bene balena nei nidi d'una nube invernale? A.P. Firenze, 12 dicembre 2019
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La mia sera
La giornata è finita. la sera è un fiorire di vite e nature morte. Un rinascere e un morire una stanza senza porte. Un parlare senza dire. Un rifiorire infinito di piracante e distanze. A.P. Firenze, 9 novembre 2019
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Una strada
Una strada di terra a ricordarmi l'alba in cui da sola scalai la mia primissima montagna. A.P. Firenze, 18 ottobre 2019
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Donne
Avete udito quante lacrime di donne ora indorano le tombe? A.P. Firenze, 9 ottobre 2019
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Assenze
A mio figlio In questa immensa assenza nessuno ti assomiglia. Eccetto quel poeta che aspetta la partenza cogliendo una giunchiglia. A.P. Firenze, 22 settembre 2019
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Sempre
Sempre vissi in equilibrio fra l'ombra corta della vita e quella distorta della morte. Fui un avverbio di vento quando infuriò la tempesta. Un gesto della mano, un bisbiglio di fronte al saluto della terra. Ma forse la vita è proprio questo: un lungo sogno prima del risveglio. A.P. Firenze, 19 settembre 2019
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Se ti affiderai
Se ti affiderai al vento scorda che esso ha tre consonanti. D'esso preserva la "o"soltanto. Quella enorme, invisibile, "O" che fa rima con "sto vivendo". A.P.
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A volte sogno
A volte sogno. Sogno ciò che non sono. E ti domando: ma noi? Noi chi siamo? E la morte è sì soltanto un sogno come, della vita, un dì disse il poeta? Sì, a volte sogno. Sogno ciò che non sono e ciò che non saremo. A.P.
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Tutto torna
La pupilla inerme freme. Un'antichissima brezza tiene fra le mani fiori di Pazienza. Tutto torna: l'ora dell'assenza, l'erba, la mano che sfiorò la tua guancia nell'infanzia. A.P. Firenze, 16 agosto 2019
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Lungo la ferrovia
Trovarono un biglietto lungo la ferrovia. C'era scritto: rammenti? Rammenti, la neve, la tenacia dei vinti, le retrovie? I gridi trattenuti dei morti che di notte ammantano i monti? L'orma di chi partì a vent'anni? Trovarono un biglietto lungo la ferrovia. C'era scritto: rammenti? A.P. Firenze, 10 agosto 2019
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Spesso
Spesso nel cuore s'assiepano perché terribili da pronunciare. Ma, poi rammenti le chiese, le lune, spesso dirute, quattro ali ignorate e lì il cuore oberato e serrato s'apre come la conchiglia dorata che tu, muto, raccogliesti in estate. A.P. Firenze, 5 agosto 2019
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Estate
Giornata calda sull'argine dell'Arno un uomo canta. A.P. Firenze, 30 luglio 2019
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Chiedo
Chiedo al mattino dove sia il mio mattino, alla sera dove respiri una preghiera. Nessuno dice mai ciò che sa. Per questo, non si dimentica. Siamo nuvolaglie di terra? Isole riemerse dal mare? Forse una mano lo scriverà. Per ora, mi basta l'odore di due afflati di libertà.
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La vita
La vita è anche questo: ritrovare quel che siamo stati in un tè freddo bevuto d'estate. Alessandra Ponticelli Firenze, 2 luglio 2019
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Naufraghi
E' ora di ricongiungersi con il mare; è ora di chiedere perdono ad Adila la giusta, a Raschida la saggia, a Salima la salva, a Wadi l'uomo calmo. A Zahira. Al giovane Walid, e alla sua speranza. E'ora di fermare lo spasmo del male. E' ora di chiedere perdono a Karima che nuda, ora, dorme sul fondo del mare.
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Sete di tornare
Mi sfioro la fronte, sete di tornare a casa. Il mirto fiorisce. Intorno, aria che sa di morte. Mi sfioro la fronte, il sole blandisce la sorte. Come Ulisse, dormo con accanto un otre di venti. Più in là, un bimbo in silenzio corre. Alessandra Ponticelli Firenze, 5 giugno 2019
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Perché?
Una nuvola benedice la terra. Un uomo sul punto di partire dice: rivedrò mai la mia serra? E l'infanzia? Per la prima volta una bimba capisce la parola amore, e ride di speranza. Una nuvola benedice la terra. Ma, ancora, io vi domando: perché? Perché avete voluto tramutare il mondo in immondo, muto, campo di battaglia? Alesssandra Ponticelli Firenze, 15 maggio 2019
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Con lo sguardo
Con lo sguardo traduco l'universo. Una voce recide il cielo e dice: vuoi essere felice? Cerca fra mille rose quella senza radici. Alessandra Ponticelli Firenze, 1 maggio 2019
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Ti vedo
Ti vedo in un riflesso di luce e di vetro. Ti vedo nel lucus a non lucendo di questo lembo d'aprile lunante e genuflesso. Ti vedo. E ora non dà più dolore l'antica lussazione del cuore. Alessandra Ponticelli Firenze, 13 aprile 2019
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Sono tornata
Vorrei la pacatezza dei vecchi un manège rosso con sessanta cavalli su cui addormentarmi e dire: ehi, sono qua, mi senti? Sono tornata per congedarmi! Vorrei l'umiltà della sorgente per lavare la vita e, con gli occhi, chiedere a Dio una bella morte. Alessandra Ponticelli Firenze, 10 marzo 2019
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Treni
C'è un angolo nel mondo, un angolo in cui cadde un angelo. Non cade mai la neve, lì. Lì, non è mai inverno. Quando nel cuore un treno d'un tratto frena, da molto molto lontano, lì, io sempre ritorno. Alessandra Ponticelli Firenze, 2 febbraio 2019
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Un giorno
Un giorno, forse, sarò vento. Vento leggero di ponente, e, tutto, tutto sarà niente: il frastuono muto del mondo, le mille voci, i miei strumenti, i dieci e uno comandamenti. Un giorno sarò cruna d'ago, o filo, un filo d'erba verde, un'ombra nel lago, una luce: voce narrante del viandante che scrive la parola amore nei cento occhi di nostra madre terra. Quel giorno, forse, sarò vento. E non tutto sarà niente. Alessandra Ponticelli Firenze 4 gennaio 2019
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Abbi cura
Abbi cura di quel fiore cremisi che non cogliesti. Abbi cura di quell'ora di cielo che non vivesti. Abbi cura dei tuoi no detti senza cedimenti. Abbi cura del silenzio, e di tutte le parole d'amore che non dicesti. Firenze, 1 dicembre 2018
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Foglie
Ascolta, voglio dirtelo: non vidi mai grandi cose qui nel mondo, però vidi tante volte nel parlare improvviso d'una donna la grandezza che nasconde una piccola domanda. Una cosa ti domando: hai mai visto quanto sole può celare l'appassire repentino d'una foglia? Firenze, 19 novembre 2018
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Ricorda
Ricorda sempre: qualunque cosa fatta col cuore nasce già grande. Alessandra Ponticelli Firenze, 26 ottobre 2018
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Inverno
Sì, è vero. Siamo già in inverno. Ma conosci qualcuno sulla terra o più in là, ben oltre l'orizzonte, che non abbia ritratta sulla fronte l'estate del primo sguardo materno? Firenze, 11 novembre 2018
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Una rosa
Anche stasera chiuderò la porta da sola. Nella specchiera, riflessa, una rosa mi rammenta chi c'era. Firenze, 8 novembre 2018
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Di notte
Vedi, le notti non parlano. Ma se taci, come tacciono i tuoi libri semiaperti, esse, le notti, nel silenzio ti mostreranno la freschezza di quella bella domenica d'inverno in cui ti stringesti forte al fruscìo del libeccio. Vedi, le notti non parlano. Eppure, non dimenticano. Alessandra Ponticelli Firenze, 31 ottobre 2018
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Pioggia
Mi piace guardare la pioggia quando scende leggera, mi piace guardarla dal punto più in ombra della loggia. Lì, ogni goccia riassume la forma del mondo: circolarità che si fa domanda, terra ferma per chi viaggia. Alessandra Ponticelli Firenze, 6 ottobre 2018
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Libero pensiero
Le maglie del libero pensiero si restringono. Non vedo. Piango. Piango assieme a un albero d'infanzia la gioia di sei angeli nel fango, la libertà di cadere a terra, se lo voglio. Rimpiango la forza che nasconde l'onda d'uno sbaglio. Lasciate che io inciampi. Non chiedo molto, in fondo. Ditemi, avete mai vissuto pensando controvento? Firenze, 4 ottobre 2018
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Essere
Quando sarai, ricorda chi sei stato. Essere è non dimenticare.
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Gerbere
A mio figlio Rivederti in una ghirlanda di gerbere bianche. Parlarti. Parlarti di questa candela che di sera, ogni tanto, accendo per ricordare al vento e al grembo che l'amore, se è amore vero, mai soccombe al battito lento o prematuro del tempo. Firenze 19 settembre 2018
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Marwan
Non amo la sera. Preferisco la luce del mattino. Ma questa sera così inquieta, da sembrare fiamma di candela, non ci incute paura. Non so dire cosa la notte spalmi dietro la montagna. Quello che vedo, ora è quello che vidi da bambina. E questo mi basta. Di ciò che resta, se qualcosa resterà del domani, lo chiederò a Marwan, l'uomo della panchina. L'uomo venuto dal mare che scrive alle due figlie perdute sopra migliaia di foglie cadute.
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Riconoscersi
Ci riconosceremo. Rivedremo le nostre vecchie mani sul ramo del grande gelso nano. Ci riconosceremo come la vecchia porta di casa riconosce chi, per caso, v'abitò una notte d'estate. Ci rivedremo quando l'uomo sarà di nuovo un uomo. Sai, è bello ricordarsi del mondo e vivere di nuovo. Alessandra Ponticelli Firenze, 10 agosto 2018
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Onde
Dove migrano le onde? Due mani si aprono. E'aria ferma o torrente l'acqua che non s'arrende? Un tempo, tra le dune, s'alzavano altri venti. Dove migrano le onde? Non sono che nomadi nidi le orme del tempo. Nidi con molte impronte. E queste mani, nuda terra che non s'arrende. Alessandra Ponticelli Firenze, 25 luglio 2018
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Senza recinti
Ho colto un papavero ha il profumo del monte che, a ovest, chiaro sogno ogni giorno. E' un monte alto senza recinti dove una donna conta di notte, a bassa voce, mille infiniti figli. Ho colto un papavero. Ha il profumo leggero di un albero ibrido. Mite, ibrido, albero nato due volte libero Alessandra Ponticelli Firenze, 30 maggio 2018
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Senza titolo
Guàrdati senza guardarti ascolta senza ascoltarti férmati, senza mai fermarti. Difenditi; non armarti. Scrivi, scrivi, senza rimpianti. Ma, soprattutto, àmati e lascia vivere gli altri. Alessandra Ponticelli Firenze, 11 giugno 2018
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Navigando
Se sentirai il mare parlare da solo non dimenticare mai, ragazzo, quell'uomo che navigando visse un solo inverno chiedendo a Dio una viola e l'eterno. Alessandra Ponticelli Firenze, 21 aprile 2018
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Cielo di marzo
Ha un'ombra il cielo di marzo. E' la luna. Una luna bruna, sopra un immenso lago scalzo. Ora dopo ora, l'acqua nuda pesa e misura il mio viaggio. Non so verso dove stia nuotando. Conosco, però, l'eco estiva dei venti, e il loro coraggio. C'è un lampo nel cielo di marzo. Lo guardo. Malgrado il silenzio, malgrado questo vagare scalzo di luna, che è solo passaggio. Alessandra Ponticelli Firenze, 27 marzo 2018
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Un piccolo ponte
Non puoi, poeta della notte, nel chiaro di un pensiero, generare un piccolo ponte per metterci a riparo? Alessandra Ponticelli Firenze, 18 marzo 2018
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Rododendri
Chiamerò mio figlio perché venga a cercarmi. Mio figlio... Se ne andò all'una di pomeriggio in un tempo che non ha ammaraggio. In un giorno d'aprile senza paesaggio. Ora nella terra non posso vederlo, però posso sentirlo. Forse se ne andò volando, quando il rododendro fiorisce e tutto si fa bianco. Alessandra Ponticelli, Firenze 13 gennaio 2018
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Occhi
A mio figlio I tuoi begli occhi neri in quella nuvola bianca dei miei oggi e di ieri. Alessandra Ponticelli Firenze 25 novembre 2017
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Forse
Forse non fummo mare, ma solo sponda. Forse un fumo lontano; un lembo di terra. Fiumi. Fiumi immobili di quando il mondo ricorda il freddo rovente delle guerre e la pupilla si serra mentre da sud spira un vento caldo che tutto rammenda. Fummo, forse, quel fumo lontano? Quel lembo di terra? In autunno dicemmo: può accadere di tutto in una domanda. Sì, perfino che il mare non sia più mare. Né il sole una stella. Alessandra Ponticelli, Firenze 19 ottobre 2017
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Affacci
Guarda come si amano le ombre sulle sottili vette indorate di verde! A valle, intanto, una finestra si apre: e nella mattina tersa viva mi appari, madre. Alessandra Ponticelli, 3 agosto 2017
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Ai venti
A mio figlio Ai venti, mai si arrese quel tuo bacio rimasto in sospeso. Alessandra Ponticelli, Firenze 6 luglio 2017
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Tacere
Tacere. E dare vita, con un colpo d'ala, a un pensiero pre-verbale. Dov'è l'ignaro poeta che confidò al mare, al tempo, e all'infinito, l'ignota parola da svelare? Quanto a me, come può una rondine senza nido fidarsi ancora del maestrale? Firenze, 12 aprile 2017
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Non serve
Non serve partorire parole. Meglio andare. Porterò con me una viola gravida di sole, il primo libro letto, una lente. La foto di famiglia in un interno. Una pièce a scena aperta. Non preoccuparti per la cena. L'orologio in cucina è fermo, e non segna ancora le sette.
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Fiesole
A mio figlio Stasera, in casa, c'è una luce di rose. E in alto, oltre Fiesole, il tuo nome è un lume appeso alle cose. Firenze 26 marzo 2017
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Luna
A mio figlio Non ho nulla da darti, se non una luna che illumini tutti.
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Oltreoceano
Scrivimi, scrivimi prima che crepi la sera. Non riesco a credere che sia vero. Sembra che l'aria non ricordi il suono acre della sirena. Ricordi? Ho paura dell'acqua quando sale alla gola, e, oltreoceano, i muri crescono a dismisura. Spareranno, vedrai, spareranno ai loro figli. Non riesco a credere che sia vero. Scrivimi, scrivimi prima che crepi la sera.
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Non era estate
Il sole bruciava, e non era estate. Se vidi l'amore di là dal vento? Sì, ma non chiedermi niente. Ho solo bisogno di sedermi un momento. Non vedi come le Erinni hanno infierito, furiose, sui miei incolpevoli anni? Il sole può bruciare se non è estate? Sì, ma non chiedermi niente. Ho solo bisogno di riprendere fiato. Ora, devo andare. C'è pace nell'orto. Se il tempo volge al bello, coglierò le ultime renette.
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Terra d’aprile
Lo vedi, figlio, il nostro amore? Liberato dalla terra afona d'aprile sale un respiro, e non vuol morire. Respiralo, figlio! E' il nostro amore. Che importa se, dai fondali, agili e leste riemergeranno le nuvole? La terra, ora, è più lieve. E l'amore, un bene indivisibile. Firenze, 17 aprile 2016
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In bianco e nero
4 aprile del '68. Ti seguo dal primo banco. Sulla lavagna, la tua mano bianca scrive: "Ho un sogno". La mia mano bianca, sul banco, scrive: " Ho un sogno". "E' stata una brutta giornata" dici: "Una brutta giornata!" 4 aprile del '68. Sulla lavagna, la tua mano bianca sventola un gesso bianco. Scrivi: "siamo tutti uguali". La mia mano bianca, sul banco, scrive: "siamo tutti uguali". C'è ancora un bimbo, all'ultimo banco. La sua mano nera, sul banco, scrive: "siamo tutti uguali. Ma quando?" Sotto i piedi, dura, una duna di terra bianca. Alessandra Ponticelli, 24 marzo 2016
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Punto e a capo
In autunno, vorrei essere un punto. D'inverno, una parentesi o, forse, niente. In primavera, vorrei avere più accenti. Accenti gravi e acuti. E, anche, due punti: due punti per andare a capo e vivermi accanto. D'estate, vorrei essere la barra obliqua del poeta, l'ombra della virgola non messa. Una lineetta. D'estate vorrei essere un punto. Il punto esclamativo del vento!
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Sopra le colline
Dove andrai quando le notti si faranno fredde? Sopra le colline, tracciate a matita, disegnai una luna troppo grande. Non sapevo di dover lasciare spazi bianchi. Non sapevo che i bambini non sempre diventano grandi. Dove ti riparerai quando le notti si faranno fredde? Il sole dice di non smettere mai di cercare. Ci sarà posto, anche per noi, nel caldo delle verande di una luna bambina che disegnai troppo grande?
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I nostri vent’anni
Cosa furono i nostri vent'anni? Sono parole che non so disegnare. La palla volata via di mano, una terra su cui posare i piedi, venti che soffiano da altri continenti? Cosa furono i nostri vent'anni? Sono parole che non so disegnare.
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Non voglio saperlo
Se un giorno non vedrò più il sole, mio Dio, ti prego, non dirmelo! Lascia che io lo veda con le mie mani, se le mie mani vedranno ancora. Se non vedrò più un filo d'erba, mio Dio, ti prego, non dirmelo! Lascia che io lo senta nel suo respiro, se il suo respiro parlerà ancora. Se non vedrò più la poesia, oh, mio Dio, ti prego, non dirmelo! Io la dirò da sola, con le mie parole, perché le mie parole ascolteranno ancora. Se un giorno non mi vedrai più, mio Dio, ti prego, non dirmelo! Non voglio saperlo. Cercami. Cercami nella mia assenza come io ho cercato te, ogni giorno, nel vuoto duro della tua presenza.
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Ora è tempo
Ho bastonato la terra fino a sfinirla. Ora è tempo di costruire la mia capanna. Una capanna pigra dove giacere di fianco. Ho bastonato la terra fino a sfinirla. Ora è tempo di mangiare madeleines e bere tè caldo. Mi alzerò presto domattina. Vi scriverò quando il sole avrà varcato il confine.
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Risvegli
Fuori, un tintinnio di chiavi annuncia arrivi e partenze. Dentro, il gemito lontano di un treno risveglia imperiture assenze.
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Spilli d’acqua
E' nato un fiore intorno allo stagno, diradati e leniti si sono gli affanni. Spilli d'acqua zampillano tra i muri, e sulle facce grinze dei seccatoi. Fuori, in un labirinto di pietre incerte, stancamente, camminano gli anni.
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La notte
La notte lascia sempre qualcosa di concreto. Sognando, si acquisiscono servitù reali, diritti effettivi e, silenziosamente, le illusioni si fanno cose.
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Non mi hai illuso
Non mi hai illuso dicendo: "ce la farà". Dicesti: "bisogna sperare". E io ho sperato mentre, lui, appeso alle deboli gambe, volava con occhi limpidi, vivo, sui marciapiedi umidi, sopra il pallore di cemento e acciaio che balugina nello sguardo incomprensibile di questa città e, lontano, sopra decine di teste glabre assetate di guarigione. Non mi hai illuso dicendo: "ce la farà". Dicesti: "bisogna sperare". E io ho sperato.
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La speranza
Alla fine, la chiamai. La chiamai, al telefono, la speranza. Era distesa sul mondo e lo stava a guardare. "Ne avrò ancora per qualche millennio", mi disse. "Non posso lasciare". Poi, una sera, una voce mi fece uno squillo. Accettai di parlare. Fu allora che la vidi arrivare.
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L’oro della sera
A mio figlio Di tante sfumature e tante altezze si nutrono le ore. E ora come di tulipani è l'oro della sera.
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Come di cose
Non siamo mai pronti a morire. Mai un giorno di sole fu notte, nemmeno d'aprile. Ma, oggi, la mente s'inganna e, lucida, agli occhi usurpa un velo bianco, di lacrime. Calde. Come di cose vive, la vita.
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Due mani giunte
Il narratore non è la storia Il poeta non è la poesia Il viaggiatore non è il viaggio L'innamorato non è l'amore Il navigante non è il mare. Due mani giunte non sono il Signore.
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,E il cielo si colora
C'è sempre un ragazzo, all'una, di là dalla piazza. E' un ragazzo nero. Vende accendini e guarda il cielo. E il cielo si colora. Si colora del bianco pulito dei suoi denti, del rosso intuitivo dei bambini intelligenti. Del blu di un mare attraversato d'estate e del nero freddo di un altro inverno. Del giallo luminoso della giunchiglia frattanto spuntata sull 'insegna. C'è sempre un ragazzo, all'una, di là dalla piazza. E' un ragazzo nero. Vende accendini e guarda il cielo.
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Voci di novembre
Sono stanca di voci che non hanno pace. E tra i cipressi schietti anche il mio credo è fiacco. Poi mi viene incontro una madre, tiene in braccio un bambino. E, allora, in quel vocìo io vivo e muoio, a ogni verso del giorno. Di te, che moristi a primavera con le finestre socchiuse. Dei tuoi capelli rimane l'odore desto del mare.
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Alberi
Noi non siamo che alberi. Alberi nati per caso da un seme sguisciato dalle mani o voluti, cercati tra le viottole anguste dei vivai, là, nel tacito via vai delle vermene. O sorti, lungo i vivagni più fitti, dei torrenti dove si mantengono vivi i pesci e scendono a valle investiti da impetuose e impietose correnti. Noi non siamo che alberi. Alberi svettati in un lampo dalle cantonate e, come me, scampati al rigore di lunghi interminabili inverni. O caduti, come te, senza ragione, nella stagione degli amori più belli.
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Coniugazione
Non mi riesce proprio più di vivere, oggi. Atterro. E a terra il si è un do e un sì un no. Vivere. Voce dolente di un verbo all'infinito che non si può coniugare. Nell'indicativo delle mie mani anche i tempi certi si fecero incerti. Non me lo chiedere, Padre. Non mi riesce proprio più di vivere, oggi. Che io sopravviva, forse. Nel congiuntivo del mio domani.
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Padre
Ora, che tra i radi cigli del sentiero, algida lampeggia la sera, tu ti condensi, padre. In canuta nube d'alito caldo, e sali su, curvo, dall'erta costa. Scordato hai la strada e giri smarrito la testa a sinistra, a destra... E, mentre mi vedi, come salice piangi di me e, del mio saliscendi.
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Sole settembrino
Un pigiama gocciola dalla finestra rotta. E' il pigiama a righe di un bimbo magrebino. Il sole bruciante settembrino illumina una faccia intollerante olivastra vergogna di chi lo chiama "clandestino". In un paese di svanita memoria rimane solo il sole a ricamare la storia.
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Il bacio di Klimt
Se ci fosse davvero nel bianco o nel nero un po' di colore una mano Klimtiana di luce un tasto d'oro un bacio in vivavoce, sola, forse, non sarebbe questa mia litania che accompagna il tempo fobia assolata di un recinto estinto e stinto da una folata repentina di vento.
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Can-can
Pare una ballerina di can-can stasera la città. Ancheggia tra un nido e un'altana ora madre ora gitana. Si sfila un anello fasullo dalla mano, guarda di sottecchi, saluta e s'allontana.
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Estate del ’93
E' questa la vita che voglio ricordare. Una giornata di sole, una bicicletta, io e mio figlio lungo la darsena. A pedalare. Un cane che ci saluta abbaiando, la frescura di un albero, il silenzio del primo pomeriggio. L'odore buono del salmastro e il parlare tra sé di una donna che passa. E' questa la vita che voglio ricordare.
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Allo straniero
Allo straniero, che passando un giorno mi chiese cosa vidi, oggi dico: vissi. Vissi quando rivoli di lacrime non bastarono a lavare la cenere dei giorni e vissi anche quando sulla tavola non c'era più pane da dare né acqua da bere. Non importa, straniero, cosa vidi. Io vissi. E oggi ti dico: vivi.
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Ovunque
Ti amerò, ovunque. E le tue labbra vivranno nelle pianure, sui monti, nel respiro dell'inverno quando in un soffio leggero di vento, puntellandosi con le ali, si abbandona al silenzio.
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Che ne sarà?
Che ne sarà della terra dell'uomo muto di Giono che piantava imperterrito alberi, mentre il mondo crollava sgretolato dalla guerra. Che ne sarà di me della femme d'à côté del mio bicchiere di lucciole quando perfino il dolore, stufo, mi volterà le spalle dicendo: "non ho più voce". Che ne sarà di noi ormai ombre distanti che amavamo Camus la sua rivolta e i nostri silenzi?
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Non avere paura
Non avere paura, amore, e vola, vola libero oltre le nuvole e le ore. Ho preso io i tuoi occhi. Li ho rubati alle bieche luci artificiali quando nessuno, nessuno, nemmeno Dio vedeva. Non avere paura, amore, sono miei ora. E ora è sempre. Ma tu, ti prego, vola, vola libero oltre le nuvole e le ore.
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Chiedilo
Quante facce ha questo giorno. Ma ci sarà ancora un altro giorno, figlio, per accogliere il piangere zitto delle foglie, i tuoi perché lucidi e brevi? Chiedilo. Chiedilo a Dio quante facce ha questo giorno che continua a nascere, e ci illude, mentre dentro muore.
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Madre
Nel caos fine delle linee spunti madre e ti fermi lì, tra l'esangue luce di fuori silente sul bianco antico della porta di ieri. Una bambina sogna. Sogna e dondola aggrappata forte alla maniglia solida di un porto. Ti prego, dimmi madre cos'è quel punto che ondeggia al largo. Una barca di carta o una nave?
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Regali di Natale
Agli amici regalerò la prima luce del mattino ai bambini i sorrisi di mio figlio ai padri la carezza di una madre alla madre quella di mio padre. Ai vecchi regalerò un foglio e una penna ai giovani un orizzonte da colorare. E così sarà Natale.
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Partenza
E' buio. Non partirò all'alba freddata dal fuoco di un pavido cacciatore. Né mi coglierà la sveglia contadina curva sulla gramigna. Non partirò neppure la sera assopita nel ventre tiepido del tramonto. Partirò col sole, a testa alta mentre la madre mangia il bimbo dorme e la luce abbaglia.
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Un battito d’ali
Scruta l'orizzonte. E' lì che muoiono gli inverni gelati. Le ferite aperte nei corpi straziati le ombre inquiete dei vicoli ciechi. Scruta l'orizzonte, e rallegrati. Rallegrati del tuo piccolo, ma vivo, battito d'ali.
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Cosa mi rimane
Penso all'uomo che non vede il cielo e rimira il mare e mi chiedo: cosa mi rimane?
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Mi ricorderò di te
Quando vedrai il fiume tacere, l'albero sgranchirsi al sole della sera, e il vento bisbigliare a un mendicante di volare, pensami. E io mi ricorderò di te. A.P.
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Edera
Eppure mi somigli, edera, che non sei edera ma una vite, che dico, una vita che s'arrampica libera impigliata alle ringhiere di fronte alle muricce olivastre di sasso. Sì, mi somigli, edera che non sei vite che non sei edera, ma una vita tagliata che pianse e piange mentre si fa sera.
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Dove morì il tempo?
E mentre inciampo dimmi, Dio. Dove morì il tempo? E le ore? Dimmi, dove morirono le ore, i grembi accoglienti, le giovani madri assetate di acque sonore? E i minuti? Dimmi, Dio dove morirono i minuti? Erano, forse, i mille soldati partiti e mai ritornati? E mentre inciampo dimmi, Dio. Perché morì il tempo?
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I nostri monti
A nonna Ginetta C'è una bell'aria stamani un lenzuolo bianco di lino qui, sulla muta piana di Campaldino. Due labbra baciano la collina mentre l'antiche ombre dei morti rapide risalgono i nostri monti.
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Se passerai di qui.
Se passerai di qui, fermati. Fermati almeno un istante. Ci sono sempre i tuoi occhi chiusi nel cassetto bianco e più giù, fissate dal gaudente Balzac, le tue Converse nuove, mute, rimaste lì, ancora annodate dallo stupore. Se passerai di qui, fermati. Fermati a salutare questa vecchia giovane madre che non ha più lacrime né parole che vive in bilico su un filo come un acrobata senza nome.
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Vivere voglio
Avanza il giorno in punta di piedi; qui, sull'orologio plumbeo tintinna limpido il bacio che ti diedi. Uccisa, muore l'ora del ticchettìo fatale. Fermati, non riandare. Sì. Vivere voglio, nel bene e nel male.
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L’attesa »
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