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Raccolta di poesie di Pietro Secchi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Intera

Da’ la tua Parola intera.
Dalla senza paura
(come un corpo
che tutto ruggisce).
Se non puoi darla,
allora sognala.
Ma sii sempre
una farfalla
ridente nel fuoco.

*

A Mario Luzi

Sfavillano
nello sfavillio
le faville.
Veloci fatue stelle
di scintille
sfolgoranti,
dubbi
del dubbio
che si lubrica,
sbrilla,
snoda.
Perpetua
pace e pugnace pirosi
di fiamma fiammante.
Spazio non spazio
tra il suo giallo e il suo blu,
gemma di gelo.
Quanto poco sei stato capito,
quanto l’imo era tutto
del nulla della nostra misura,
della nostra pretesa.
Siamo di luce
negati alla luce,
resta ancora la fiamma
vindice dell’altura
ma vince
sfavillando
la favilla della fine.

*

Ho provato a guardare

Ho provato a guardare
il colore della terra.
Era marrone,
come la sincerità del nulla,
eppure fatto di carne,
come l’amore e la foglia.

*

In morte di Platone

IN MORTE DI PLATONE

Si dice che il corpo fosse ancora teso
nell’ultimo spasmo,
che il polso con tutte le fibre
ancora accompagnasse
con la solita pervicacia
le dita sul papiro avido
di subire e le sopracciglia
aggrottate restassero intatte,
ché la vita riverente
e pudica in quell’incauto abbandono
non si sentì di toccarle.
Perché non era ella,
dipartendosi, che poteva
donargli quella pace
cocciutamente e ciecamente rifiutata.
E qual madre umiliata
dalla saggezza dei più giovani,
ristette lì, a contemplare
quella fronte rugosa,
quella rada chioma canuta,
fino ad assorbirne parole
che ormai uscivano lievi
senza più contrazioni di tendini.
Si dice che nessuno entrò nella stanza
e così fu trovato fermo
com’era l’eterno,
con lo sguardo aperto
e sorprendentemente lieto verso di lei.
Che non voleva uscire.
Non aveva più catene alle caviglie.
La grande, l’antica
era stata generata.
Suo figlio le aveva teso l’occhio
verso il sole.



*

Ti inseguiamo ancora

Ti inseguiamo ancora.
Con la corsa anelante e rotta
dei mille cani randagi
sull’asfalto spaccato
da troppi soli.
Le mascelle addentano
il vuoto della nostra fatica.
Abbiamo bave lente
ai bordi delle bocche,
l’abbaiare si è fatto sempre più
un lamentoso addio
che non vuole ascoltare le zampe
che vorticano la disperazione
per il padrone più in là,
di quel passo sempre più in là.
Dalle ossa invisibili
si sono formate le colline
e persino i monti più alti
echeggiano spesso un sibilo
che tanto piace al padrone
che lo crede dell’aria o del sole.
E quando si libra verso il cielo,
sui nostri cadaveri neri
poggia i piedi ignari e crudeli.
E noi lì, sempre lì,
più indietro,
per la durata di tutte le lune
senza mai uno sguardo
rivolto all’affannoso inciampare.
Nessuno fu più fedele di noi,
nessuno con tanta costanza
ti seguì per essere preso
una sola volta da un suono.
Non troverai più nessuno così,
padrone,
Parola.