I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Figlia
Il fango nei tuoi occhi un grido. Acqua cadeva, un velo sui tuoi occhi sospeso. Aggrappata al braccio di tua madre ti tenevi a una preghiera. Dal fango risalivi: “Non ho più paura.” “Figlia mia. Siamo ancora.” Ma stretta al tuo ramo lei scivolava: "Ho paura!". Acqua dal cielo onde di fango. La tua mano piccola la stringeva a te. Bagnate dalla luce della luna in una stanza su un'onda galleggiavate.
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Finistère
Cuspidi di legno neri segmenti fili di ragno mi alzo verticale. Come da sempre Senza di voi Senza di me. Da ieri. La mia voce cammina per le strade rotola corre s’inciampa. Sorride. Rintocca il metallo d’una chiesa nero come memoria di roccia entra nella stanza guizza veloce su una sedia. Mi parla. Chiacchiera chiacchiera la mia voce io vorrei riprenderla ma no lasciala stare. Una donna ciarliera straniera amica di tutti cammina senza schermirsi apparisce svanisce granello della polvere di mille vite nel passeggio eterno della strada. Piccoli fili di bava di ragno mi ricordano chi sono io forse devo tornare no resto qui nella non appartenenza tesso piccoli fili di bava donna ciarliera dentro a un bar rotola la mia voce nel negozio di libri nel ronzio del mercato nella via del centro bianca sul tram tra le aule in un vicolo fondo rossi fili che pendono verticali ritornelli e mormorii e corpi annebbiati cumuli di polvere sotto il cuscino mentre riposo infine sul fianco della memoria.
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Una storia semplice
Ssss. Silenzio. È una storia semplice. Chiuderemo gli occhi. Si spegnerà la luce. Diventeranno lampi i contorni dei volti. E mormorii le voci, più lenti, più lontani. E taceranno. Sarà silenzio. Le memorie si frantumeranno in coriandoli roteando nel vuoto universale. Poi nulla sarà. Chiuderò gli occhi e tutto finirà, in una notte che non avrà più sogni.
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Tu che mi costringi a vagare in una stanza buia
Tu che mi costringi a vagare in una stanza buia Tu che mi premi le tue palme ruvide sulle palpebre E mi fai male E con le tue mani sulle mie spalle Mi inchiodi Alla tavole di cemento Della mia paura. Tu che dall’alto mi guardi forse nuotare Come l’ultimo dei naufraghi Nel mare di una notte senza fondo Tu che siedi nel tuo trono freddo di silenzio Dove s’innalzano tese le nostre grida Tu, almeno questo dimmi: perché non parli, Dio?
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Sotto gli occhi chiusi
Dentro il buio delle mie pupille spente si depositano in danza gocce di rubino, piccole corolle di trifoglio incastonate in gemme sotto gli occhi chiusi. Ma quando fisso nel nero delle mie palpebre cucite la loro pioggia luccicante e intermittente scivola ai margini di un lago senza luce, dentro la notte dei miei lumi spenti.
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Risale dalla bocca della notte
Risale dalla bocca della notte Una marea lenta e partoriente Spinge e adagia Adagia e spinge Scintillii tra la ghiaia Come di madreperla E sagome sotto la sabbia Ancora pulsanti E spettri riversi Sulle braccia della notte Tra i detriti sulla sabbia Indugia all’alba Una creatura che ha ali bagnate di pioggia troppo pesanti per volare ha mani lunghe come coltelli che tracciano solchi sulla sabbia senza saper come afferrare Tra i detriti della notte Lei si aggira Con occhi resi opachi dalla luce Le sue mani moncherini hanno dimenticato La danza delle dita. "Quando il mattino è desto Tre colombe mi nascono dal cuore" Ma hanno consistenza di aura effimera di luna Riflessa un istante sulla sabbia Un istante prima che risalendo dalla notte il sole abbagli con la sua luce di silenzi.
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La poesia ha poche parole
La poesia ha poche parole. Non ha bisogno di attese. Nell’intuizione di un momento Si sostanzia di nulla E fa il nulla sostanza. La poesia non ha parole. Dà voce al silenzio Quando ricolma L’abisso Della notte.
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Ci accompagni la vita
Ci accompagni la vita con calma nel liquido mutare della forma, e con un’ansa di maestosa lentezza il suo corso raffreni in pianura. Proceda senza premura, finché la placida bocca del mare accolga le sue scure correnti in un’acqua senza colore. Sulle rive di limo e di fango sosteranno neri dei cormorani, e sotto la sabbia indurita, pulsando in cerca d’uscita, nascosta, la vita che piango dischiuderà bianche le sue mani.
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Quando finalmente tutto tace
Quando finalmente tutto tace Posso parlare. Quando finalmente tutto tace Le loro voci ritornano Da lontananze dimenticate. Quando finalmente tutto tace Posso ascoltare. La vita prende forma Si gonfiano le sacche vuote Dei simulacri della memoria E volti grandi Come lune bianche Incombono si chinano su di me ad alitarmi le loro perdute presenze.
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Non sono i bagliori
Non sono i bagliori Ma questa luce stanca Che si piega al buio A rivelarmi chi sono. Da una stanza In penombra Osservo Un’altra lei Che mi guarda Stupita E io le sorrido: Lo vedi? Non dovevi aver paura.
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Sono un simulacro vuoto
Sono un simulacro vuoto sospeso sul nulla chino sul proprio ventre invaso dalla linfa di altrui vita delle loro vite pieno ritto s’alza e mi guarda. Ha gli occhi pieni di lacrime. Piange. Io piango.
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Tremava come un tuorlo nel cielo
Tremava come un tuorlo d’uovo nel cielo. Dietro l’albume di una nuvola. Non aveva aureole. Mi avvicinavo e lui scappava. Mi avvicinavo e lui fuggiva. Se avessi potuto fermarmi Avrei accostato al ciglio della strada La mia auto stanca Ma il pedala non rispondeva. Correvo e lui si sfaceva Assottigliato In una lamina restava, per un attimo come in attesa di me. Distolsi lo sguardo Lui mi guardava. Come sangue rappreso Rimase un attimo ancora Sospeso su di me fingendosi un’aurora. E quando lo cercai lui disparve.
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Io nei tuoi occhi tu nei miei occhi
Ho guardato i tuoi occhi E ho visto la mia morte Hai guardato i miei occhi E hai visto la tua morte Erano laghi Senza confini Erano stagni Di acqua nera senza fondo Erano sogni I miei occhi I tuoi occhi. Intorno a noi si era fatto silenzio. Le fatiche di altri non ci preoccupavano più. Erano state nostre. Non ci riguardavano più le loro le nostre grida. Strillavano spaventati dalla Sorte Sciocchi. Ma io nei tuoi occhi Tu nei miei occhi Avevamo trovato la pace.
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Per una strana coincidenza
Per una strana coincidenzaPer una strana coincidenza Mi sono sentita felice Sul letto nessuna luce M’illuminava il volto Nessun appuntamento m’attendeva di giorno Nessuna mano si era posata sul mio petto Nessuna parola aveva cancellato il dubbio Non avevo trovato le chiavi Ma forse la porta era già aperta Non mi ero alzata per vedere Non cercavo di capire Non sentivo voci Né sogni né ombre. La tenda bianca Si muoveva leggera. Sentivo solo il mio corpo steso Immobile sul materasso Fermo come una radice nella terra. Una sonnolenza piena di pace Per una strana coincidenza Mi aveva resa felice.
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Sentivo battere il cuore
Sentivo battere il cuore. Bussava. Mi misi in ascolto di passi silenti che non giunsero alla porta di casa. Discese qualcuno mentre il cuore batteva più piano. Passava qualcuno. Sostava. E mentre aspettavo, andava lontano.
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