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Raccolta di poesie di Cristina spinoglio
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Filastrocca

 

 

Essere forte.

Aprire una roccaforte

di nuovi incanti

abbaglianti

ammalianti.

Assopire i pianti.

Piantare un seme

che mi tenga insieme.

Si scuce

una luce bianca

un guizzo tra le nuvole

uno schizzo di pioggia.

Una piantina soave

nasce nel vaso accanto.

È la chiave

che tutto vive.

Forse è agapanto

selvaggio.

Cerca un assaggio

di domestiche cure.

S’insinua

nelle fessure della terra,

afferra il suo spazio.

Io, ho pagato il dazio

per le mie paure.

Costavano care

le ho buttate a mare

con la mente.

Non rimane niente.

E se mi prende

ancora scoramento

mi oriento

al tramonto,

che si accende,

poi la sera scende

si espande,

sconfigge

la corolla di luci

della città.

 

 

*

Natale

Natale

 

S’insinua lungo la china

nella mattina di ghiaccio

un sussurro di vento di foglie.

Svapora l’accento di un canto

dalle navate spoglie

della  cappella

e lieve si coglie il brusio

degli abiti di flanella

delle novizie.

Un alberello brilla

nel soggiorno bianco

della casa accanto.

L’orizzonte è un ventaglio

di luce d’ambra,

il pupazzo ha aghi di brina

sulla gota,

la neve celestina

è rattrappita

nella spianata vuota

del cortile.

Febbrile, un’esultanza timida

in questa calma candida

esprima la speranza

di  serbare una forza sottile,

parte della vita che scorre.

Non occorre imporla,

basta un bisbiglio,

quel sussurro di vento di foglie

nella bianca mattina di ghiaccio.

 

*

L’insidia dell’estate

L’insidia dell’estate

 

In sentieri oppressi di malessere

s’insinua l’insidia dell’estate.

Un po’ di vita muore.

Il cardellino, maestro solitario delle aurore,

smorza il suo trillo,

s’apparta sui rami bassi di faggi raccolti,

e l’orizzonte di carta

svela il biancore pallido

di  valli intrise di torpore.

Si accartoccia in fiore

il bocciolo di geranio

prima di sbocciare

e il manto di velluto

color sangue dell’amaranto

è un filo ossuto di spago esangue.

Langue nell’argilla l’ulivo.

S’insinua l’insidia dell’estate,

lo sapevo,

con  fastidi impercettibili,

sibili, strida, ronzii di vespe e cicale,

falene crespe e nere rodono i vetri,

spettri di sogni non trovano la strada di casa,

invasa è l’anima di clamori importuni,    

di cicalecci immuni al silenzio.

Sui pruni al calar della sera,

canta il grillo alle stelle,

il  suo sommesso pianto, melodia o incanto,

contro l’insidia dell’estate

nel suo manto di agguati e lusinghe,

che si aggira nei prati.

 

 

 

*

In attesa nel Vercors

In attesa nel Vercors

 

Chino il capo alla dimora del vento,

le mie mani inabili

sperdono scaglie di tabacco

sul tavolo lustro di mogano nero.

Fragore lontano di un’acqua amica,

il torrente nella piena del disgelo.

Un velo mi separa dalle foglie sorelle,

l’anta sbatte ribelle.

Le margherite appassite

ergono ancora timide corolle

tra il loglio e l’erba secca.

Il trifoglio si ostina a rinascere pulito.

Svanito è il sole tra nubi cocciute e nere.

Nelle assolute distese del tempo

chino ancora il capo,

e nel frattempo rinuncio a sperdermi,

mentre l’acqua canta

e la nube diventa birichina

mi dona una lamella di sole,

mi sprona,

le querciole e il camedrio

svettano virgulti audaci

nella pace del fosso.

Il tordo non si è mosso,

rimane fiero sul ramo che oscilla.

Una scintilla riduce in briciole

il poliedrico paesaggio di foglie.

Sono giunta fin qui,

lascio nel verde spargersi i pensieri,

dissolversi al canto del ruscello.

 

*

L’estate artica

L’estate artica

 

Mistero dell’estate artica:

a sottili strisce ambrate

docile si riduce la notte

e la luce s’inebria di sé

febbrilmente.

Una scia di seta opalescente

carezza l’orizzonte,

ponte tra due infiniti,

la maestà del cielo

e il velo marino che vasto si stende.

Sospende l’estate i confini

e sulla vallata di pini

il  bianco silenzio

discende,

si spande,

si muta

in canto profano.

Velluto,

tappeto di muschio odoroso

premuto sull’umido strato

spugnoso.

Un’eco di vento di mare:

in ondate di luce lunare

la pineta si corruga.

Libertà di renne in fuga,

voluttà di spazio,

sazietà della terra

*

Le bianche cappelle del cielo

Le bianche cappelle del cielo

 

Si lacera il velo,

le bianche cappelle del cielo

compongono il velo,

con ampie volute a spirale

scalfite d’azzurro

accolgono il  vento, lo scroscio, il lamento,

il canto irruento,

carovane di nubi in fuga.

Costretti alla terra,

sostiamo in attesa, docili ai segni,

assorti alle mansioni del giorno,

attenti al ritorno dell’eterno

in tracce minuscole,

un vuoto nella radura,

la luce che ci cattura

dalle persiane socchiuse.

Del campo a maggese non ci curiamo,

il rigoglio di erbe e di loglio

promette prosperità.

Alle asperità maligne non ci arrendiamo.

Asprigne, le mele amaranto

sul desco,

il vaporoso agapanto,

il pane bianco odoroso,

il lardo nella stagnola.

Fanno la spola pettirossi impettiti

nel canto della sera.

Da fuori la casa è uno scrigno,

di bruno legno sanguigno,

si sgrana un’orchestra di stelle

dal viola della finestra

e cola dalla fessura

la fioca mistura di luce,

oro e miele.

La notte conduce al silenzio.

Non sono più bianche

le bianche cappelle del cielo,

lo splendido velo di nero

ammanta la terra, preserva il mistero.

Le bacche di pyracantha

brillano sul sentiero lunare.

 

 

 

 

 

*

La fatica di Sisifo

La luce trema piano

sul tramonto montano,

una pozza di vecchia neve

nel solco breve

d’ogni china e pendio,

un addio quieto

al giorno senza riposo.

Un ricciolo bizzoso

di nubi

si sospende a ridosso

di un picco arcuato,

si colora di rosso.

Il paesaggio è scosso,

vibrante si ritira,

anela al nero,

al nulla, alla quiete.

Segrete le mete

della notte.

Alba cinerina fatta di niente.

Sosto in cucina

nell’inquietudine bianca.

Le valigie impettite

pendono un poco

in attesa di un viaggio

sull’alto dell’armadio.

Dicono che esista un oasi di pace.

E se fosse un’oasi di pece

quella che tesso

di tracce di sconforto?

Tremula permane

all’orizzonte,

maligna come uno spettro:

al fronte, in trincea,

di una guerra

che non so vincere.