I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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la lacuna bianca
la lacuna bianca cantava: Nessuno, il tenebroso angelo ribelle udiva la voce il ramo dell’albero tormentava i tendini nel letto disteso dentro una lacuna bianca il sonno di un bambino: la chimera allattata dal prato
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lettera a mia madre da tre angoli del tempo
lettera a mia madre da tre angoli del tempo c’è un cornicione che cinge la piazza del paese, offrendosi ai ghiacci della Maiella. Un bambino di quattro anni sta sopra il filo di seta di un sogno teso sul ciglio del burrone. Mezzo paese trattiene il fiato perché quell’angioletto non spicchi il volo. Carponi il babbo con la sua divisa pesante lentamente come lenta può solo essere la paura, strisciando su quel limine di pietra si avvicina a prendere il figlio che la sorte gli ha affidato. C’è una cella, che di notte è buia assai: verso sera si apre alle tue mani che mi porgono del cibo. Sei stata gentile, allora, ma non tenesti aperta la guardiola. Quella penombra la ricordo ancora, ma il buio della notte, la prima cella del vuoto, quello è precipitato nel fondo come la tua obbedienza . °°° c’è un ragazzo con riccioli bellissimi e un sorriso che rende gli angeli contenti. Tu lo pensi al mare con i suoi amici . Ha preso, un treno in un bel mattino d’estate; un viaggio che lui si gode divorando i campi, le città e i monti. C’è una grande stazione che si apre al suo cuore, l’aria che gli solletica le gambe che escono lisce dalle sue corte braghe. C’è un uomo gentile che lo prende per mano., mentre tranquilla lo pensi al mare. Quell’uomo è sceso dal cielo, gli offre una bibita fresca nella sua casa, e, cambiato di veste, gli fa attraversare in silenzio Parigi in un crepuscolo d’oro, Ci sono i quadri mangiati dal vivo, c’è una dolce puttana che scuote le chiavi, c’è la protezione di Dio mentre tu ignara pulisci la casa alleggerita di un figlio. *** c’è una testa calva d’adulto, liscia come di notte in estate il mare. Tu, lo pensi appena malato, mentre lui scompare, e diviene chimera, sempre due in uno. Non lo vedi per un anno , forse lo pensi al mare. Quando lo vedi, non sai cosa dire gli offri del pesce che non può mangiare, sotto un chiosco di femmine antiche. °°° ho preso dal tempo tre angoli robusti, per stringerti ora la mano, per fare pace col cornicione di pietra, per avere il coraggio di guardarti in viso come quei quadri, e sommessamente, a capo chino, chiamarti mamma, con un lieve sorriso.
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Il cappello lasciato indietro sulla strada
È un giorno uguale a tanti altri giorni precedenti: immerge la mano le sue dita nel catino. Una stella dondola in superficie nel riflesso del tuo volto che si allontana. (Odore di legni che gridano nel limine del giorno che da quando l’uomo è sulla terra c’è sempre un certo odore di bruciato). Nella luce che s’asciuga al primo sole, ignaro il tuo destino cammina sopra un filo: una costellazione di piccoli violacei pianeti è nata e invade le tue braccia all’improvviso. È un giorno uguale a tanti altri giorni precedenti, nel largo d’aria dei colli tra le crepe dove il tempo e le vespe hanno il nido. Mille anni dopo risuonerà nella conchiglia il suono di quei passi senza ristorno mentre la vita andava incontro a un pigiama tra i delfini appesi a un muro. Ti scrivo, e la mano trema, tremano le dita , nel ricordo di quella purezza d’ore dove il tempo con te si era sdraiato a guardare le ali della polvere sbatacchiare confuse contro i vetri. Ti scrivo dentro questa conchiglia che ne racchiude il suono , lo stesso dello schiocco del primo bacio e trema trema anche la faccia e i sogni si fanno pelle, pelle l’anima che prima arrossiva al solo pensiero di una viola. Sei la memoria rimasta in quella stanza, assopita nel torpore di mondi che passavano veloci tintinnando tra le flebo. Il tempo ancora di strappare le ultime susine rimaste sopra i rami, ti scrivo ancora in fuga dal contadino, tra le rane e i giunchi e la bici in spalla con Albertino che mi sorpassa lasciando il suo cappello indietro sulla strada.
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Dialoghi con la felce
nella tunica delle tue lamine è favola di geli narrati ascoltando il sussurro dei rami * tempo fatto foglia, per non sfiorire spazio tra i fiordi delle tue vene, un nord di semi in assenza di stami * ti pieghi, come carta carbone divieni terra, stesso colore, l‘ inverno riprende a raccontare il ricordo dei boschi nel buio in processione * sopra la terra una coltre marrone, nei giorni degli sguardi di tramontana, un mantello di squame scagliate tra gli alberi dal mare * paziente come la luce sai aspettare per riapparire corolla del tempo chinato sui tuoi petali da non dire * celato il tuo ventaglio alla fretta del vento, riappari morendo trovando il principio dove si stende la fine.
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una piccola vocale, una i ad esempio
Ogni parola il mondo percorre un sorvolo inarrestabile che crea destini, e non dimentica la cura benedetta in ogni piccola vocale, una i ad esempio, o l’incuria. Righe ! Il tutto che riappare, una cura, la lode: un sorvolo.
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se tutto va bene
Si perdono frasi nelle ultime schiere di onde: sulla spiaggia anche gli spettri si aggirano confusi cercando affannati tra i conati del mare il relitto con le ali disperso tra i flutti. Sparlo ai gabbiani, li rintrono di rime fingo libeccio perché qualcosa si smuova o qualcuno, mentre la calma d’intorno svapora ogni soffio vestito da vento. Le mani si tendono in un vano ventaglio, nelle labbra sfiorite dove il grano percola smarrita s’intana la dracma d’oro e l’ora imitando la fuga veloce del granchio. Una voce inudita lacrima lamento, assenza di tenerezze umane si fa paesaggio e l’onda incurva la schiena e s’invola nel grando mare d’inverno. Se tutto va bene sarò respiro nell’hara di un bimbo cresciutomi accanto, sarà la sua mano a portarmi alla foce come un sorriso giunto a destino.
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hai il passo di tuo padre
Hai il passo di tuo padre la sua stessa andatura, i saltelli un po’ sbilenchi con le suole in diagonale. Ora è fumo che di rado nelle notti si fa vivo, borbottando un’opinione. Hai lo sguardo di tuo padre, la sua stessa espressione, quando fingi di capire e in fretta svolti l’angolo per vederti scomparire.
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povere mani
Povere mani Giumella del semplice Rosa odorosa
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