chiudi | stampa

Raccolta di poesie di Domenico Pelini
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

la lacuna bianca

la lacuna bianca

 

 

 

 

cantava: Nessuno, il tenebroso

angelo ribelle udiva la voce

 

il ramo dell’albero tormentava

i tendini nel letto

 

disteso dentro una lacuna bianca

il sonno di un bambino: la chimera

allattata dal prato

*

lettera a mia madre da tre angoli del tempo

lettera a mia madre da tre angoli del tempo

 

 

 

c’è un cornicione che cinge la piazza del paese, offrendosi ai ghiacci della Maiella.  Un bambino di quattro anni sta sopra  il filo di seta  di un sogno teso sul ciglio del burrone. Mezzo paese trattiene  il fiato perché quell’angioletto non spicchi  il volo. Carponi il babbo con la sua divisa pesante lentamente come lenta può solo essere la paura, strisciando su quel limine di pietra si avvicina a prendere il figlio che la sorte gli ha  affidato. C’è una cella, che di notte è buia assai: verso sera si apre alle tue mani che mi porgono del cibo. Sei stata gentile, allora, ma non tenesti aperta la guardiola.  Quella penombra la ricordo ancora, ma il buio della notte, la prima cella del vuoto, quello è precipitato nel fondo come la tua obbedienza .

 

 

                                                            °°°

 

 

c’è un ragazzo con riccioli bellissimi e un sorriso che rende gli angeli contenti. Tu  lo pensi al mare con i suoi  amici . Ha preso, un treno in un bel mattino d’estate; un viaggio che lui si gode divorando i campi, le città e i monti. C’è una grande stazione che si apre al suo cuore, l’aria che gli solletica le gambe che escono lisce dalle sue corte braghe. C’è un uomo gentile che lo prende per mano., mentre tranquilla lo pensi al mare. Quell’uomo è sceso dal cielo, gli offre  una bibita fresca nella sua casa, e, cambiato di veste, gli fa attraversare in silenzio Parigi in un crepuscolo d’oro, Ci sono i quadri mangiati dal vivo, c’è una dolce puttana che scuote le chiavi, c’è la protezione di Dio mentre tu ignara pulisci la casa alleggerita di un figlio.

 

 

                                                            ***

 

c’è una testa calva d’adulto, liscia come di notte in estate il mare. Tu, lo pensi appena malato, mentre lui scompare, e diviene chimera, sempre due in uno. Non lo vedi per un anno , forse lo pensi al mare. Quando lo vedi, non sai cosa dire   

gli offri del pesce  che non può mangiare, sotto un chiosco di femmine antiche.

 

                                                           °°°

ho preso dal tempo tre angoli robusti, per stringerti ora la mano, per fare  pace col cornicione di pietra, per avere il coraggio di guardarti in viso come quei quadri, e sommessamente, a capo chino, chiamarti mamma, con un lieve sorriso.

 

*

Il cappello lasciato indietro sulla strada

 

 

 

 

 

È un giorno  uguale a tanti  altri giorni precedenti:

immerge la mano le sue dita nel catino.

Una stella dondola in superficie nel riflesso del tuo  volto che si allontana.

 

(Odore di legni che gridano nel limine del giorno

che da quando l’uomo è sulla terra

c’è  sempre un  certo odore  di bruciato).

 

Nella luce che s’asciuga al primo sole,

ignaro il tuo destino cammina sopra un filo:

una costellazione di piccoli  violacei pianeti è nata

e invade le tue braccia all’improvviso.

 

È un giorno uguale a tanti  altri giorni precedenti, nel  largo d’aria dei colli

tra le crepe dove il tempo e le vespe hanno il  nido.

 

Mille anni dopo risuonerà nella conchiglia il suono di quei passi senza ristorno

mentre la  vita andava incontro a un pigiama tra i delfini appesi a un muro.

 

Ti scrivo, e la mano trema, tremano le dita ,

nel ricordo di quella purezza d’ore dove il tempo con te  si era sdraiato

a guardare le ali della polvere sbatacchiare confuse contro i vetri. 

 

Ti scrivo dentro questa  conchiglia che ne racchiude il suono ,

lo stesso  dello schiocco del primo bacio  e trema

trema anche la faccia e  i sogni si fanno  pelle,

pelle l’anima che prima  arrossiva al solo pensiero di una viola.

 

Sei la memoria rimasta in quella stanza, assopita nel torpore 

di mondi che passavano veloci tintinnando tra le flebo. 

 

Il tempo ancora di strappare  le ultime susine rimaste sopra i rami,

ti scrivo ancora in fuga dal contadino, 

tra le rane e i giunchi e la bici in spalla

con Albertino che  mi sorpassa 

lasciando il suo cappello indietro sulla strada.

 

*

Dialoghi con la felce

 

 

 

 

 

nella tunica delle tue lamine 

è favola di geli 

narrati ascoltando il sussurro  dei rami

 

                            *

 

tempo  fatto foglia, per non sfiorire

spazio tra i fiordi delle tue  vene, 

un nord  di semi in assenza di stami

                             

 

                            *

 

 

ti pieghi, come carta carbone 

divieni terra, stesso colore,

l‘ inverno riprende a raccontare 

il ricordo dei boschi nel buio in processione

 

 

                             *

 

 

sopra la  terra  una coltre  marrone,

nei  giorni degli  sguardi di tramontana,

un mantello di squame 

scagliate tra gli alberi dal mare

 

                           

                          *

 

 

paziente come la luce sai aspettare

per riapparire corolla  del tempo

chinato sui tuoi petali da non dire 

 

                           

                         *

 

 

celato  il tuo ventaglio 

alla fretta del vento,

riappari morendo

trovando il principio

dove  si stende la  fine.

 

*

una piccola vocale, una i ad esempio

Ogni parola il mondo percorre
un sorvolo inarrestabile che crea destini,
e non dimentica 
la cura benedetta in ogni piccola vocale,
una i ad esempio,
o l’incuria.

 

Righe !
Il tutto che riappare, 
una cura,
la lode:
un sorvolo.

*

se tutto va bene

Si perdono frasi nelle ultime schiere di onde:

sulla spiaggia anche gli  spettri si aggirano  confusi 

cercando affannati tra i conati del mare 

il relitto con le ali disperso tra i flutti.

 

Sparlo ai gabbiani, li rintrono di rime

fingo libeccio  perché qualcosa si  smuova

o qualcuno, mentre la calma d’intorno svapora

ogni soffio vestito da vento.

 

Le mani si tendono in un vano ventaglio,

nelle labbra sfiorite dove  il grano percola 

smarrita s’intana la dracma d’oro e l’ora

imitando la fuga veloce  del  granchio.

 

Una voce inudita lacrima lamento,

assenza di tenerezze umane si fa paesaggio

e l’onda incurva la schiena e s’invola 

nel grando mare d’inverno.

 

Se tutto va bene sarò  respiro

nell’hara di un bimbo cresciutomi accanto,

sarà la sua mano a portarmi alla foce 

come un sorriso giunto a destino.

 

 

*

hai il passo di tuo padre

Hai il passo di tuo padre

la sua stessa andatura,

i saltelli un po’ sbilenchi

con le suole in diagonale.

 

Ora è fumo che di rado

nelle notti si fa vivo,

borbottando un’opinione.

 

Hai lo sguardo di tuo padre,

la sua stessa espressione,

quando fingi di capire

e in fretta svolti l’angolo

 

per vederti scomparire.

 

*

povere mani

Povere mani

Giumella del semplice

Rosa odorosa